Ordinanza n. 217 del 2016

ORDINANZA N. 217

ANNO 2016

 

Commento alla decisione di

Guglielmo Leo

Un nuovo conflitto di attribuzione sollevato dal Presidente del Consiglio riguardo ad indagini connesse agli accertamenti sul sequestro di Abu Omar)

per g.c. di Diritto Penale Contemporaneo

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Paolo                           GROSSI                                           Presidente

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                    Giudice

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                                ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Giuliano                       AMATO                                                   ”

-           Silvana                         SCIARRA                                                ”  

-           Daria                            de PRETIS                                               ”

-           Nicolò                          ZANON                                                   ”

-           Franco                         MODUGNO                                            ”

-           Augusto Antonio       BARRBERA                                             ”

-           Giulio                          PROSPERETTI                                        ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito della richiesta di rinvio a giudizio della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia del 16 luglio 2015, promosso con ricorso dal Presidente del Consiglio dei ministri, depositato in cancelleria il 31 agosto 2015 ed iscritto al n. 3 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2015, fase di ammissibilità.

Udito nella camera di consiglio del 21 settembre 2016 il Giudice relatore Paolo Grossi.

Ritenuto che, con ricorso depositato il 31 agosto 2015, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, per violazione degli artt. 1, 5, 52, 94 e 95 della Costituzione, in relazione agli artt. 1, comma 1, lettere b) e c), 39, 40 e 41 della legge 3 agosto 2007, n. 124 (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto), nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia, in relazione alla richiesta di rinvio a giudizio degli imputati Nicolò Pollari e Pio Pompa per il reato di peculato aggravato continuato, di cui al capo A) dell’imputazione, formulata nell’ambito del procedimento penale n. 02/15 R.G. Dib. e n. 5970/09 R.G. P.M., pendente davanti al Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Perugia;

che il ricorrente riferisce che la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia aveva svolto indagini preliminari nei confronti di Nicolò Pollari, già direttore del Servizio per le informazioni e la sicurezza militare (SISMI) dal 15 ottobre 2001, e di Pio Pompa, consulente dal novembre 2001 e quindi dipendente del medesimo Servizio dal dicembre 2004 al dicembre 2006, quale direttore di sezione addetto all’ufficio del direttore;

che, in base all’ipotesi accusatoria, i due indagati si sarebbero resi responsabili, in concorso tra loro, del delitto di peculato aggravato continuato (artt. 314, 81, secondo comma, 61, numero 2, e 110 del codice penale), per essersi appropriati e aver fatto uso, tra l’estate del 2001 e il luglio del 2006, di somme e di risorse umane e materiali del SISMI, utilizzandole per scopi estranei a quelli istituzionali del Servizio;

che, in particolare, il Pompa – su richiesta e, comunque, con l’approvazione del Pollari – avrebbe svolto attività dirette a raccogliere ed elaborare informazioni sulle opinioni politiche, i contatti e le iniziative di magistrati, funzionari dello Stato, giornalisti e parlamentari, di associazioni di magistrati, anche europei, di giornalisti, di parlamentari e di movimenti sindacali, acquisendo, tra l’altro, informazioni sulle indagini in corso presso la Procura della Repubblica di Milano per il sequestro di Abu Omar a mezzo del giornalista Renato Farina, al quale sarebbe stato versato un compenso di almeno 30.000 euro; con l’aggravante di aver agito al fine di commettere o di far commettere a terzi diffamazioni, calunnie e abusi di ufficio (capo A dell’imputazione);

che ai medesimi Pollari e Pompa era stato contestato, inoltre, il delitto di violazione di corrispondenza aggravata continuata in concorso (artt. 616, primo comma, 81, secondo comma, 61, numero 9, e 110 cod. pen.), per avere, con abuso delle rispettive qualità, preso cognizione della corrispondenza elettronica circolante all’interno della lista chiusa dei destinatari delle comunicazioni dell’associazione MEDEL (Magistrats européens pour la démocratie et les libertés); fatto accertato in Roma il 5 luglio 2006 (capo B dell’imputazione);

che, entrambi gli indagati, con memorie depositate in vista dell’interrogatorio di cui all’art. 415-bis, comma 3, del codice di procedura penale, avevano eccepito che, per difendersi dalle accuse loro mosse, avrebbero dovuto rivelare notizie coperte da segreto di Stato, in quanto inerenti agli «interna corporis» del SISMI;

che, a fronte di ciò, il pubblico ministero aveva chiesto al Presidente del Consiglio dei ministri, ai sensi dell’art. 41 della legge n. 124 del 2007, di confermare l’esistenza del segreto di Stato riguardo a quattro circostanze, la cui conoscenza era ritenuta essenziale per la definizione del procedimento;

che, con note del 3 e del 22 dicembre 2009, il Presidente del Consiglio dei ministri aveva confermato il segreto di Stato in ordine a tutti i punti oggetto dell’interpello e, in particolare, con riguardo ai «modi e forme dirette e indirette di finanziamento per la gestione da parte di Pio Pompa della sede del SISMI di via Nazionale, allorché il Servizio era diretto da Nicolò Pollari», e quanto ai «modi e forme di retribuzione, diretta o indiretta, di Pio Pompa e Jennj Tontodimamma, collaboratori prima e dipendenti poi del SISMI, diretto da Nicolò Pollari»;

che a seguito della richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero il 29 dicembre 2009, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Perugia aveva sollevato conflitto di attribuzione nei confronti del Presidente del Consiglio dei ministri in relazione alle suddette note di conferma del segreto;

che il conflitto era stato deciso dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 40 del 2012, nel senso della spettanza al Presidente del Consiglio dei ministri del potere di emettere le note in questione;

che, con sentenza del 1° febbraio 2013, il Giudice dell’udienza preliminare aveva dichiarato, quindi, il non luogo a procedere nei confronti degli imputati per il delitto di peculato, per l’esistenza del segreto di Stato, e in ordine al reato di violazione di corrispondenza, perché estinto per prescrizione;

che, in accoglimento del ricorso proposto, limitatamente alla statuizione relativa al peculato, dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Perugia e dal Procuratore generale presso la Corte d’appello di Perugia, la Corte di cassazione, con sentenza 13 novembre 2014-13 gennaio 2015, n. 1198, aveva annullato la decisione, rinviando al Tribunale di Perugia per un nuovo giudizio;

che il giudice di legittimità aveva censurato, in specie, la mancanza, nella sentenza annullata, di qualsiasi delucidazione in ordine alle ragioni per le quali, ai fini dell’accertamento del delitto di peculato, non sarebbe stata sufficiente la dimostrazione dell’origine pubblica delle risorse impiegate in attività non istituzionali: origine pubblica che sembrava essere stata comunque riconosciuta dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Perugia;

che a seguito dell’annullamento con rinvio, l’imputato Niccolò Pollari aveva ulteriormente opposto l’esistenza del segreto di Stato in ordine ai seguenti fatti e temi di prova:

«a) Se la sede di via Nazionale a Roma fosse una sede del SISMI o di altro soggetto pubblico o privato: se fosse finanziata con risorse “pubbliche” ovvero con risorse “non pubbliche” e da quale soggetto;

b) se la sede di Via Nazionale a Roma fosse finanziata dallo Stato o da altro ente pubblico italiano o straniero;

c) se la sede di Via Nazionale a Roma fosse finanziata da un soggetto italiano privato o straniero;

d) sulla funzione della sede di Via Nazionale a Roma, sulle persone che lì operavano e la usavano e sulle attività ivi espletate;

e) se la sede di Via Nazionale a Roma fosse una sede operativa del SISMI oppure fosse una sede operativa di altri soggetti italiani o stranieri ovvero di privati;

f) se, dunque, la sede di Via Nazionale a Roma sia mai stata finanziata con erogazioni iscritte nel bilancio dello Stato o altro ente pubblico o in qualche modo riconducibile a tali bilanci;

g) se, inoltre, la sede di via Nazionale a Roma fosse un sito riferibile a privati o a soggetti stranieri, finanziato con risorse private o straniere;

h) se le somme asseritamente erogate da Pompa Pio a Farina Renato fossero di origine pubblica o privata o connesse ad operazioni di intelligence autorizzate dal Governo;

i) il nome del soggetto, persona fisica o giuridica, pubblica o privata, erogatore e titolare delle somme asseritamente versate al Farina, nonché il nome di colui che avrebbe amministrato e concretamente disposto di tali somme e infine chi possa aver materialmente consegnate al Farina e chi sia il destinatario finale di tali somme;

j) se tali somme siano state prelevate dal bilancio dello Stato, di altro ente pubblico o dello stesso SISMI, ovvero provengano da soggetti terzi diversi o da soggetti estranei alla P.A.;

k) se tali somme siano state erogate e pagate da un soggetto italiano o straniero;

l) sulla finalità sottesa a tali erogazioni e sul beneficiario delle relative somme;

m) se tali erogazioni siano state effettuate, a titolo di rimborso spese, in relazione a specifiche operazioni autorizzate dal Governo in cui sia stato in alcun modo coinvolto Renato Farina: su chi possa aver interessato, al riguardo, il Farina e sulle ragioni di tale interessamento verso la sua persona;

n) sulla natura e sull’oggetto di tali operazioni. Sugli Organi che le avevano richieste, disposte e/o autorizzate;

o) se tali operazioni attenessero ad accertamenti ed indagini relativi alla cattura e/o all’omicidio di ostaggi italiani in Iraq od al reperimento di documentazione da produrre, in proposito, ad Autorità italiane competenti. Se tali operazioni inoltre riguardassero il periodo in cui sono state condotte operazioni politico/militari in Iraq ed in riferimento alla presenza italiana e/o di italiani in quel paese, al tempo della c.d. “seconda guerra del golfo”»;

che il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Perugia, con nota del 4 maggio 2015, aveva quindi informato il Presidente del Consiglio dei ministri della nuova opposizione del segreto di Stato, chiedendo la conferma della sua esistenza;

che, in risposta all’interpello, il Presidente del Consiglio dei ministri, con nota del 4 giugno 2015, aveva rappresentato che i fatti e i temi di prova in esso indicati risultavano «compresi nella sfera di efficacia di segreti di Stato già vigenti, in ragione di determinazioni di apposizione o di conferma adottate in passato dai [suoi] predecessori»;

che, ciò nonostante, nel corso dell’udienza preliminare del 16 luglio 2015, il pubblico ministero aveva concluso insistendo nel chiedere il rinvio a giudizio degli imputati per il delitto di peculato, sul presupposto della piena utilizzabilità degli elementi di prova presenti in atti (documenti e prove dichiarative), dai quali risulterebbe un rapporto diretto tra il Pompa e il Pollari in ordine all’attività svolta da quest’ultimo mediante l’utilizzazione di risorse umane, finanziarie e materiali del SISMI (e, in particolare, della sede di Via Nazionale, che si asserisce gestita dal Pompa);

che la tesi del pubblico ministero si baserebbe sull’assunto che il rapporto in questione non sarebbe affatto coperto da segreto di Stato;

che, ad avviso del ricorrente, la predetta richiesta di rinvio a giudizio lederebbe le attribuzioni costituzionali del Presidente del Consiglio dei ministri in materia di tutela del segreto di Stato;

che il conflitto sarebbe senz’altro ammissibile sotto il profilo soggettivo, dovendo reputarsi pacifiche, alla luce della giurisprudenza costituzionale, sia la legittimazione attiva del ricorrente, quale potere dello Stato abilitato a difendere la predetta sfera di attribuzioni; sia la legittimazione passiva della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia, quale organo competente a manifestare definitivamente la volontà del potere cui appartiene, in quanto direttamente investito delle funzioni previste dall’art. 112 Cost., e dunque gravato dell’obbligo di esercitare l’azione penale e di svolgere le attività di indagine a questa finalizzate;

che egualmente indubbia risulterebbe l’ammissibilità del conflitto sotto il profilo oggettivo: il ricorso sarebbe volto, infatti, a salvaguardare l’integrità delle attribuzioni costituzionali del Presidente del Consiglio dei ministri nell’esercizio dell’attività politica volta alla tutela della sicurezza dello Stato, concretatasi, nella specie, nella conferma del segreto di Stato su tutti i fatti e temi di prova indicati nell’atto di interpello del Giudice dell’udienza preliminare;

che, quanto al merito, il ricorrente rammenta come la Corte costituzionale abbia costantemente fondato, fin dalla sentenza n. 86 del 1977, la legittimità costituzionale dell’istituto del segreto di Stato sulla sua preordinazione alla tutela dei supremi valori dell’esistenza, dell’integrità e dell’essenza dello Stato democratico: valori posti al vertice di quelli su cui poggia la salus rei publicae e, dunque, idonei a giustificare le resistenza di tale presidio rispetto ad altri interessi, pur costituzionalmente tutelati, quali quelli connessi all’esercizio della funzione giurisdizionale;

che nella medesima sentenza dianzi citata, la Corte ha individuato, altresì, nel Presidente del Consiglio dei ministri, quale organo responsabile della politica generale del Governo ai sensi dell’art. 95 Cost., il titolare del potere di segretazione: potere di natura squisitamente politica, il cui esercizio soggiace all’esclusivo controllo del Parlamento, dinanzi al quale il Governo è politicamente responsabile (art. 94 Cost.).

che il Parlamento italiano, dapprima con la legge 24 ottobre 1977, n. 801 (Istituzione e ordinamento dei servizi per le informazioni e la sicurezza e disciplina del segreto di Stato) e, quindi, con la legge n. 124 del 2007, ha disciplinato la materia facendo puntuale applicazione delle indicazioni della Corte;

che, in particolare, l’art. 1, comma 1, lettere b) e c), della legge n. 124 del 2007, demanda al Presidente del Consiglio dei ministri l’apposizione e la tutela del segreto di Stato, nonché la sua conferma;

che l’art. 39 delimita l’area degli atti, dei documenti, delle notizie e delle attività coperti da segreto, mentre il successivo art. 40, sostituendo l’art. 202 del codice di procedura penale, disciplina la tutela del segreto sul versante processuale penale, imponendo ai pubblici ufficiali, ai pubblici impiegati e agli incaricati di pubblico servizio di astenersi dal deporre su fatti coperti da segreto di Stato (comma 1); facendo obbligo all’autorità giudiziaria dinanzi alla quale venga opposto, da parte di un testimone, un segreto di Stato di informarne il Presidente del Consiglio dei ministri, sospendendo ogni iniziativa volta all’acquisizione della notizia oggetto del segreto (comma 2); regolando la procedura volta all’acquisizione della conferma del segreto e le conseguenze della conferma, nel senso di prevedere che, laddove la conoscenza di quanto coperto dal segreto sia essenziale per la definizione del processo, il giudice deve dichiarare non doversi procedere per l’esistenza del segreto di Stato, e consentendo comunque all’autorità giudiziaria di procedere in base ad elementi autonomi dagli atti, documenti e cose coperti da segreto (commi 3, 4, 5 e 6);

che l’art. 41 vieta, a sua volta, ai pubblici ufficiali, ai pubblici impiegati e agli incaricati di pubblico servizio di riferire riguardo a fatti coperti dal segreto di Stato, ribadendo l’obbligo dell’autorità giudiziaria, dinanzi alla quale, nel corso di un processo penale, sia opposto il segreto di Stato, di informarne il Presidente del Consiglio dei ministri (comma 1), e regolando in modo similare la richiesta di conferma e le conseguenze di quest’ultima, in particolare quanto all’inibizione, per l’autorità giudiziaria, di acquisire e utilizzare, anche indirettamente, le notizie coperte da segreto (commi 3, 5 e 6);

che, alla luce di tale quadro normativo, l’illegittimità della richiesta di rinvio a giudizio formulata dalla Procura della Repubblica di Perugia risulterebbe evidente;

che il segreto di Stato opposto dall’imputato Pollari e confermato dal Presidente del Consiglio dei ministri ha infatti ad oggetto, tra l’altro, la funzione della sede di via Nazionale in Roma, le persone che vi operavano o la usavano e le attività ivi espletate;

che risulterebbe quindi palese l’infondatezza dell’assunto del pubblico ministero, secondo il quale il rapporto diretto tra gli imputati Pollari e Pompa, riguardo alle attività che il Pompa avrebbe compiuto utilizzando risorse del SISMI – e, in particolare, la sede di via Nazionale – non sarebbe coperto da segreto: trattandosi, al contrario, di circostanza agevolmente riconducibile al tema di prova di cui alla lettera f) dell’atto di interpello;

che l’utilizzazione, da parte del pubblico ministero, degli elementi di prova concernenti il suddetto rapporto si risolverebbe, quindi, in una inammissibile sostituzione dell’autorità giudiziaria all’autorità politica nella concreta determinazione di ciò che costituisce oggetto del segreto di Stato in relazione alla vicenda processuale in questione, ponendosi, altresì, in aperto contrasto con il divieto di acquisizione e utilizzazione, anche indiretta, delle notizie coperte dal segreto, sancito dall’art. 41, comma 5, della legge n. 124 del 2007;

che il ricorrente chiede, pertanto, alla Corte di dichiarare che non spettava alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia chiedere il rinvio a giudizio degli imputati per il reato di peculato aggravato continuato, di cui al capo A) dell’imputazione, sulla base degli elementi di prova presenti in atti relativi al rapporto diretto tra gli imputati Pollari e Pompa in relazione all’attività ascritta a quest’ultimo, e, conseguentemente, di annullare detta richiesta.

Considerato che, in questa fase del giudizio, la Corte è chiamata, a norma dell’art. 37, terzo e quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, a delibare, senza contraddittorio, se il ricorso sia ammissibile in quanto esista «la materia di un conflitto la cui risoluzione spetti alla sua competenza», sussistendone i requisiti soggettivo ed oggettivo, fermo restando il potere, a seguito del giudizio, di pronunciarsi su ogni aspetto del conflitto, compreso quello relativo alla ammissibilità;

che, quanto al requisito soggettivo, il Presidente del Consiglio dei ministri è legittimato a promuovere il presente conflitto, in quanto organo competente a dichiarare definitivamente la volontà del potere cui appartiene in ordine alla tutela, apposizione, opposizione e conferma del segreto di Stato, non solo in base alla legge 3 agosto 2007, n. 124 (Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica e nuova disciplina del segreto), ma anche alla stregua delle norme costituzionali che ne definiscono le attribuzioni (ex plurimis, ordinanze n. 244 e n. 69 del 2013, n. 376 del 2010 e n. 230 del 2008);

che, alla luce della costante giurisprudenza di questa Corte, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia – nella persona del Procuratore della Repubblica, titolare dell’ufficio (sentenza n. 1 del 2013) – è parimenti legittimata a resistere nel conflitto, in quanto investita dell’attribuzione, costituzionalmente garantita, inerente all’esercizio obbligatorio dell’azione penale (art. 112 Cost.), cui si connette la titolarità diretta ed esclusiva delle indagini ad esso finalizzate (ex plurimis, ordinanze n. 218 del 2012, n. 241 del 2011 e n. 124 del 2007);

che, quanto al requisito oggettivo, il ricorrente lamenta la lesione di attribuzioni costituzionalmente garantite, essendo devoluta alla responsabilità del Presidente del Consiglio dei ministri, sotto il controllo del Parlamento, la tutela del segreto di Stato quale strumento destinato alla salvaguardia della sicurezza dello Stato medesimo (ordinanze n. 244 e n. 69 del 2013, n. 230 del 2008).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara ammissibile, ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, il conflitto di attribuzione proposto dal Presidente del Consiglio dei ministri nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dispone:

a) che la cancelleria della Corte costituzionale dia immediata comunicazione della presente ordinanza al Presidente del Consiglio dei ministri;

b) che il ricorso e la presente ordinanza siano notificati, a cura del ricorrente, alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Perugia, in persona del Procuratore della Repubblica, entro il termine di sessanta giorni dalla comunicazione di cui al punto a), per essere successivamente depositati, con la prova dell’avvenuta notifica, nella cancelleria di questa Corte entro il termine di trenta giorni previsto dall’art. 24, comma 3, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 settembre 2016.

F.to:

Paolo GROSSI, Presidente e Redattore

Roberto MILANA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 7 ottobre 2016.