Sentenza n. 154 del 2014

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SENTENZA N. 154

ANNO 2014

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Gaetano                       SILVESTRI                                     Presidente

-           Luigi                            MAZZELLA                                      Giudice

-           Sabino                         CASSESE                                                ”

-           Giuseppe                     TESAURO                                               ”

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                        ”

-           Giuseppe                     FRIGO                                                     ”

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                           ”

-           Paolo                           GROSSI                                                   ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                              ”

-           Aldo                            CAROSI                                                   ”

-           Marta                           CARTABIA                                             ”

-           Sergio                          MATTARELLA                                       ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                               ”

-           Giancarlo                     CORAGGIO                                            ”

-           Giuliano                       AMATO                                                   ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo e terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, promosso dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio nel procedimento vertente tra Amadori Massimo ed altri e il Ministero dell’economia e delle finanze con ordinanza del 24 luglio 2013, iscritta al n. 244 del registro ordinanze 2013 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell’anno 2013.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 marzo 2014 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio.

Ritenuto in fatto

1.– Con ordinanza depositata il 24 luglio 2013 (r.o. n. 244 del 2013), il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo e terzo periodo, del decreto-legge 31 marzo 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, in riferimento agli artt. 2, 3, 36, 53 e 97 della Costituzione.

1.1.– Il TAR Lazio espone che i ricorrenti sono ufficiali della Guardia di finanza i quali, con decorrenze giuridiche diverse, hanno acquisito il grado di maggiore o maturato i 13 anni di servizio senza demerito dalla nomina a ufficiale, nel periodo oggetto di applicazione del decreto-legge n. 78 del 2010, introduttivo per il personale cosiddetto non contrattualizzato disciplinato all’art. 3 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), tra cui il personale della Guardia di finanza, il blocco per il triennio 2011-2013: a) dei meccanismi di adeguamento retributivo previsti dall’art. 24 della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), per gli anni 2011, 2012 e 2013; b) degli automatismi stipendiali (classi e scatti) correlati all’anzianità di servizio, relativi allo stesso periodo; c) di ogni effetto economico delle progressioni in carriera, comunque denominate, conseguite nel periodo 2011-2013. Essi hanno agito per l’accertamento del diritto al pieno trattamento retributivo, per il triennio 2011-2013, delle prestazioni di lavoro straordinario svolte, secondo gli importi corrisposti a favore degli ufficiali che hanno conseguito lo stesso grado o la medesima anzianità di servizio in un periodo anteriore al 1° gennaio 2011.

1.2.– Il giudice rimettente ritiene che la norma censurata trovi applicazione in ordine alla retribuzione del lavoro straordinario, nella parte in cui stabilisce che «Per le categorie di personale di cui all’articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti» (secondo periodo), e che, per lo stesso personale, «le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici» (terzo periodo).

Non reputa, infatti, convincente la tesi dei ricorrenti secondo cui la retribuzione del lavoro straordinario non formerebbe oggetto delle disposizioni di blocco introdotte dall’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010 e che, conseguentemente, dovrebbe essere calcolata secondo gli importi spettanti ai pari grado promossi al grado di maggiore prima del 1° gennaio 2011 o che, comunque, prima di tale data, abbiano raggiunto i 13 anni di servizio dalla nomina a ufficiale senza demerito.

In particolare, il TAR osserva che l’art. 43, comma 14, della legge 1° aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza) dispone che il compenso per lavoro straordinario, per gli ufficiali dirigenti e cosiddetti omogeneizzati, è di regola determinato in misura proporzionale ad alcune voci del trattamento retributivo fondamentale.

1.3.– Il TAR sostiene la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo e terzo periodo, del d.l. n. 78 del 2010, nella parte in cui impedisce ai suddetti ufficiali di conseguire la remunerazione del lavoro straordinario nella misura corrispondente alla qualifica conseguita o all’anzianità raggiunta nel corso del triennio oggetto delle misure di contenimento della spesa pubblica.

1.3.1.– Viene prospettata la violazione degli artt. 2, 3 e 36 Cost.

La disciplina censurata determinerebbe, in contrasto con gli artt. 2 e 3 Cost., un’irragionevole disparità di trattamento all’interno del Corpo della Guardia di finanza: infatti, a parità di grado (e con mansioni conseguentemente corrispondenti), gli appartenenti al Corpo percepirebbero o meno lo stesso trattamento economico accessorio in relazione ad un elemento del tutto aleatorio, costituito dall’anno in cui la relativa promozione è stata conseguita ovvero la prescritta anzianità è stata maturata.

Sarebbe violato, altresì, l’art. 36 Cost., in quanto, in base ad esso, il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, dovendosi presumere che tale sia la retribuzione tabellare prevista per il grado rivestito.

Il giudice rimettente sostiene che, pur non essendovi dubbio che anche la riduzione del passivo del bilancio statale è un valore avente piena copertura costituzionale (vieppiù oggi, dopo il recepimento nell’art. 81 Cost. del principio del pareggio di bilancio), tale obiettivo non può tuttavia essere realizzato a scapito dei principi di uguaglianza formale e sostanziale, ovvero degli altri valori tutelati dalla Costituzione, tra cui quelli definiti dall’art. 36 Cost.

1.3.2.– A parere del TAR Lazio sarebbe, altresì, leso l’art. 97 Cost.

La circostanza per cui il trattamento economico tra colleghi si differenzia non già in virtù delle mansioni svolte e delle conseguenti responsabilità bensì in relazione ad un elemento casuale – rappresentato dal momento in cui la qualifica è stata acquisita o l’anzianità maturata –, non potrebbe che interferire negativamente sui rapporti tra i colleghi stessi, così riverberandosi sull’organizzazione degli uffici ed incidendo negativamente sul loro buon andamento.

1.3.3.– Il giudice rimettente, infine, qualificando il blocco disciplinato dalle disposizioni impugnate come imposizione di natura tributaria, prospetta la violazione degli artt. 2, 3 e 53 Cost.

L’art. 9, comma 21, del d.l. n. 78 del 2010 introdurrebbe una prestazione patrimoniale, poiché verrebbe trattenuta una parte dei compensi maturati con il grado superiore o la maggiore anzianità. La disposizione censurata imporrebbe agli interessati un peculiare concorso alle spese pubbliche, ovvero, in altri termini, istituirebbe un tributo anomalo, in contrasto con i richiamati parametri costituzionali.

Sarebbe leso il principio di capacità contributiva, poiché il sacrificio sarebbe richiesto non in relazione ad uno specifico indice di ricchezza, ma al dato, economicamente insignificante, del momento in cui la qualifica è stata acquisita o l’anzianità maturata, senza alcuna considerazione del principio di progressività.

Inoltre, il tributo colpirebbe solo una parte dei dipendenti che hanno raggiunto una determinata qualifica o maturato una certa anzianità, e, comunque, soltanto i redditi dei pubblici dipendenti, senza invece gravare, a parità di capacità contributiva, su analoghe categorie di lavoratori o di redditi.

Il giudice rimettente evidenzia che l’eccezionalità della situazione economica che lo Stato deve affrontare è suscettibile, senza dubbio, di consentire al legislatore anche il ricorso a strumenti eccezionali; tuttavia resta cómpito dello Stato garantire anche in queste condizioni il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale.

2.− È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate non fondate.

L’Avvocatura rileva che la norma censurata ha un precedente nell’art. 7 del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384 (Misure urgenti in materia di previdenza, di sanità e di pubblico impiego, nonché disposizioni fiscali), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 novembre 1992, n. 438, che ha superato il vaglio di legittimità costituzionale.

A sostegno della non ravvisabilità della asserita violazione degli artt. 3 e 97 Cost., in particolare, viene valorizzato che la norma impugnata ha toccato tutti i dipendenti del settore pubblico, secondo le coordinate perimetrate dalla Corte, e cioè in misura non eccedente «l’obiettivo di realizzare un raffreddamento della dinamica retributiva e non in danno di una sola categoria di pubblici dipendenti» (sentenza n. 223 del 2012). Viene infine rimarcato come la delicata situazione delle finanze pubbliche nazionali, anche nella prospettiva europea, deponga per la legittimità dei sacrifici imposti alle diverse categorie, proprio in applicazione del principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost., che non potrebbe, quindi, ritenersi violato.

Considerato in diritto

1.– Con ordinanza del 24 luglio 2013, il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio ha sollevato questione di costituzionalità dell’art. 9, comma 21, secondo e terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, in riferimento agli artt. 2, 3, 36, 53 e 97 della Costituzione.

2.– La norma censurata, nella parte in cui stabilisce, rispettivamente, che «Per le categorie di personale di cui all’articolo 3, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 e successive modificazioni, che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione delle classi e degli scatti di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti», e che, per il medesimo personale, «le progressioni di carriera comunque denominate eventualmente disposte negli anni 2011, 2012 e 2013 hanno effetto, per i predetti anni, ai fini esclusivamente giuridici», impedisce agli ufficiali della Guardia di finanza, che, nel corso del triennio oggetto delle misure di contenimento della spesa pubblica, abbiano acquisito il grado di maggiore o maturato i 13 anni di servizio senza demerito dalla nomina di ufficiale, di conseguire la remunerazione del lavoro straordinario nella misura corrispondente rispettivamente alla qualifica conseguita o all’anzianità raggiunta.

A parere del giudice a quo, ciò comporterebbe la violazione degli artt. 2, 3 e 36 Cost., da un lato, per l’irragionevole disparità di trattamento del personale della Guardia di finanza, atteso che, a parità di grado e con mansioni corrispondenti, gli appartenenti al Corpo percepirebbero diversi trattamenti economici accessori per il lavoro straordinario in relazione ad un elemento cronologico del tutto aleatorio; dall’altro lato, per la lesione del diritto del lavoratore ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato, tale dovendo presumersi quella corrispondente alla retribuzione tabellare prevista per il grado rivestito o l’anzianità raggiunta.

Inoltre, sarebbero lesi gli artt. 2, 3 e 53 Cost., in quanto verrebbe imposto un peculiare concorso alle spese pubbliche, colpendo solo i redditi di pubblici dipendenti e, tra essi, solo quelli di coloro che hanno raggiunto una determinata qualifica o maturato una certa anzianità dopo il 1° gennaio 2011. Sarebbe, inoltre, istituito un tributo anomalo, nel cui ambito il sacrificio è richiesto non in relazione ad uno specifico indice di ricchezza, ma a un dato temporale economicamente insignificante, e ciò senza alcuna considerazione del principio di progressività.

La norma censurata, infine, si porrebbe in contrasto con l’art. 97 Cost., in quanto, determinando la differenziazione del trattamento economico non in virtù delle mansioni espletate ma in relazione ad un elemento casuale, interferirebbe sui rapporti tra i colleghi riverberandosi negativamente sul buon andamento degli uffici.

3.– Va premesso che correttamente il giudice rimettente, non aderendo alla prospettazione dei ricorrenti circa l’esclusione dei compensi per il lavoro straordinario dal blocco del trattamento retributivo, ritiene che le disposizioni in questione siano invece applicabili.

Difatti, per coloro che hanno acquisito il grado superiore, va applicato il terzo periodo del comma 21 dell’art. 9 del d.l. n. 78 del 2010. Tale disposizione sterilizza, appunto, gli effetti economici delle progressioni di carriera senza operare alcuna distinzione tra voci fondamentali e voci accessorie del trattamento retributivo.

Per gli ufficiali cosiddetti “omogeneizzati”, nei cui confronti gli artt. 43, commi 22 e 23, e 43-ter della legge 1° aprile 1981, n. 121 (Nuovo ordinamento dell’Amministrazione della pubblica sicurezza) dispongono un riconoscimento di natura economica e non una progressione di carriera, il blocco deriva dal secondo periodo del comma 21 del citato art. 9, il quale prevede che, per coloro che fruiscono di un meccanismo di progressione automatica degli stipendi, gli anni 2011, 2012 e 2013 non sono utili ai fini della maturazione di «classi e scatti» di stipendio previsti dai rispettivi ordinamenti. Non è illogico ritenere che con tale binomio il legislatore abbia voluto includere tutti i miglioramenti stipendiali, pur se non formalmente definiti come «classi» e «scatti», poiché la natura ancillare del compenso per lavoro straordinario rispetto allo stipendio giustifica che, in mancanza di un’espressa differenziazione, al primo si applichi la medesima disciplina del secondo.

Ciò è particolarmente evidente nel caso in esame, in cui, ai sensi della disciplina di settore, per il personale non dirigente la misura oraria del compenso per il lavoro straordinario è legata ai parametri stipendiali che, a norma dell’art. 2 del decreto legislativo 30 maggio 2003, n. 193 (Sistema dei parametri stipendiali per il personale non dirigente delle Forze di polizia e delle Forze armate, a norma dell’art. 7 della legge 29 marzo 2001, n. 86), articolano il trattamento economico del personale della Guardia di finanza; mentre, per il personale dirigente, l’art. 2170 del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66 (Codice dell’ordinamento militare) dispone che il compenso per il lavoro straordinario sia determinato in misura proporzionale alla retribuzione mensile.

Più in generale, la riconducibilità di questa voce non marginale del trattamento economico al blocco previsto dal secondo periodo del comma 21 è suggerita anche dalla ratio cui è ispirato il d.l. n. 78 del 2010, che è volto ad introdurre un meccanismo di raffreddamento della dinamica retributiva nel suo complesso e senza distinzione alcuna.

4.– Tanto premesso sulla ricostruzione del quadro normativo operata dal giudice a quo, può procedersi all’esame dei gruppi di censure prospettate dal giudice rimettente.

5.– La questione di costituzionalità dell’art. 9, comma 21, secondo e terzo periodo, sollevata con riferimento alla violazione degli artt. 2, 3 e 36 Cost., non è fondata.

5.1.– Per le censure relative agli artt. 2 e 3 Cost., valgono, anche nel caso di specie, le considerazioni di questa Corte, che ha ritenuto l’intervento in esame giustificato, nel suo complesso, dalle notorie esigenze di contenimento della spesa pubblica, in presenza del carattere eccezionale, transeunte, non arbitrario, consentaneo allo scopo prefissato nonché temporalmente limitato dei sacrifici richiesti (sentenza n. 310 del 2013).

Le disposizioni censurate rientrano infatti nel perimetro delineato dalla sentenza n. 304 del 2013, con riferimento a questa normativa, secondo cui «la misura adottata è giustificata dall’esigenza di assicurare la coerente attuazione della finalità di temporanea “cristallizzazione” del trattamento economico dei dipendenti pubblici per inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica, realizzata con modalità per certi versi simili a quelle già giudicate da questa Corte non irrazionali ed arbitrarie (sentenze n. 496 e n. 296 del 1993; ordinanza n. 263 del 2002), anche in considerazione della limitazione temporale del sacrificio imposto ai dipendenti (ordinanza n. 299 del 1999)».

5.2.– Questa Corte ha inoltre negato che sia ravvisabile una lesione dell’affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica, posto che «il legislatore può anche emanare disposizioni che modifichino in senso sfavorevole la disciplina dei rapporti di durata, anche se l’oggetto di questi sia costituito da diritti soggettivi perfetti, sempre che tali disposizioni “non trasmodino in un regolamento irrazionale, frustrando, con riguardo a situazioni sostanziali fondate sulle leggi precedenti, l’affidamento dei cittadini nella sicurezza giuridica, da intendersi quale elemento fondamentale dello Stato di diritto” (sentenze n. 166 del 2012, n. 302 del 2010, n. 236 e n. 206 del 2009)» (sentenza n. 310 del 2013).

5.3.– Con specifico riferimento alla disparità di trattamento con i colleghi che hanno raggiunto il grado superiore o maturato l’anzianità prima del 2011, viene in rilievo uno degli elementi cui è connessa la disciplina economica del rapporto. Infatti coloro che si sono visti riconoscere il migliore trattamento retributivo hanno raggiunto il grado superiore o maturato la maggiore anzianità di servizio prima rispetto ai ricorrenti nel giudizio a quo, per i quali tali condizioni si sono verificate a partire dal 1° gennaio 2011.

Come già affermato da questa Corte, ciò costituisce un elemento che di per sé può giustificare un diverso trattamento retributivo (sentenza n. 304 del 2013).

In particolare, si è ritenuto che non esiste un principio di omogeneità di retribuzione a parità di anzianità, ed anzi «è ammessa una disomogeneità delle retribuzioni anche a parità di qualifica e di anzianità», naturalmente in situazioni determinate (sentenza n. 304 del 2013). E in una tale prospettiva non può considerarsi irragionevole un esercizio della discrezionalità legislativa che privilegi esigenze fondamentali di politica economica, a fronte di altri valori pur costituzionalmente rilevanti (da ultimo, sentenze n. 310 e n. 304 del 2013).

5.3.1.– Quanto alla disparità di trattamento tra dipendenti pubblici e privati, come chiarito dalla citata sentenza n. 310 del 2013, «non può non rilevarsi che le profonde diversità dello stato giuridico (si pensi alla minore stabilità del rapporto) e di trattamento economico escludano ogni possibilità di comparazione».

5.4.– Con riferimento all’art. 36 Cost., poi, questa Corte è ferma nel sostenere che il giudizio sulla conformità a tale parametro costituzionale non può essere svolto per singoli istituti, né giorno per giorno, ma occorre valutare l’insieme delle voci che compongono il trattamento complessivo del lavoratore in un arco temporale di una qualche significativa ampiezza (sentenze n. 310 e n. 304 del 2013, n. 366 e n. 287 del 2006, n. 470 del 2002 e n. 164 del 1994).

6.– La questione di costituzionalità per violazione degli artt. 2, 3 e 53 Cost., in relazione alla presunta natura tributaria della misura in esame, è parimenti non fondata.

I criteri elaborati da questa Corte in ordine alle prestazioni patrimoniali portano ad escludere che tale natura sia ravvisabile nella misura oggetto della norma impugnata. Si è precisato, infatti, che gli elementi indefettibili della fattispecie tributaria sono tre: una disciplina legale diretta in via prevalente a procurare una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; una decurtazione che non comporti una modifica di un rapporto sinallagmatico; una destinazione delle risorse derivanti, connesse ad un presupposto economicamente rilevante, a «sovvenire» le pubbliche spese. Nessuno di questi elementi è rinvenibile nella fattispecie.

In particolare, con la recente sentenza n. 304 del 2013, sempre con riferimento alle disposizione in esame, si è ritenuto che: «La norma censurata […] non ha natura tributaria in quanto non prevede una decurtazione o un prelievo a carico del dipendente pubblico. Pertanto, in assenza di una decurtazione patrimoniale o di un prelievo della stessa natura a carico del soggetto passivo, viene meno in radice il presupposto per affermare la natura tributaria della disposizione. Inoltre, viene a mancare anche il requisito relativo all’acquisizione delle risorse al bilancio dello Stato, in quanto la disposizione non realizza un’acquisizione che, anche in via indiretta, venga a fornire copertura a pubbliche spese, ma determina un risparmio di spesa».

7.– Infine, anche la questione di costituzionalità per violazione dell’art. 97 Cost. non è fondata.

La censura, incentrata sulla presunta distorsione delle dinamiche dei rapporti tra colleghi e sulle possibili ripercussioni negative sull’andamento degli uffici, si sostanzia infatti in considerazioni metagiuridiche e meramente ipotetiche.

Comunque, nella più volte ricordata sentenza n. 304 del 2013, si è affermata la non fondatezza della censura relativa al comma 21, formulata in riferimento all’art. 97 Cost., in una prospettiva simile a quella qui in esame, in quanto «“il principio di buon andamento dell’amministrazione non può essere richiamato per conseguire miglioramenti retributivi (ordinanza n. 205 del 1998; sentenza n. 273 del 1997)” (ordinanza n. 263 del 2002)».

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 21, secondo e terzo periodo, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, sollevata, in riferimento agli artt. 2, 3, 36, 53 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 maggio 2014.

F.to:

Gaetano SILVESTRI, Presidente

Giancarlo CORAGGIO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 giugno 2014.