Sentenza n. 164 del 1994

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SENTENZA N. 164

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 6, commi terzo e quarto, del decreto legge 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica) convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, promossi con le seguenti ordinanze:

 

1) ordinanza emessa il 17 dicembre 1992 dal Tribunale di Milano nel procedimento civile vertente tra Fiat Auto S.p.A. ed altra e Amura Vincenzo ed altri iscritta al n. 578 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41, prima serie speciale, dell'anno 1993;

 

2) ordinanza emessa il 15 ottobre 1993 dal Pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Giuli Andrea ed altri e Adivar S.p.A. iscritta al n. 749 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visti gli atti di costituzione della Fiat Auto S.p.A. e di Delle Donne Corrado ed altri, nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 1994 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

 

uditi gli avvocati Sergio Vacirca per Delle Donne Corrado ed altri, Rosario Flammia e Paolo Tosi per Fiat Auto S.p.A. e l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. Nel corso di un giudizio promosso da Vincenzo Amura ed altri contro la s.p.a. FIAT Auto per ottenere la condanna al pagamento di differenze retributive dovute a vario titolo (per gratifica natalizia, ferie, festività, ecc.) computando l'indennità sostitutiva della mensa per il valore reale del pasto e non soltanto quello convenzionale, fissato da un accordo aziendale nella misura di lire 100 giornaliere, il Tribunale di Milano, con ordinanza del 17 dicembre 1992 (pervenuta alla Corte costituzionale il 2 settembre 1993) ha sollevato, in riferimento agli artt. 24 e 36 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 4, del d.l.11 luglio 1992, n. 333, convertito in legge 8 agosto 1992, n.359.

 

La norma impugnata fa "salve, a far data dalla loro decorrenza, le disposizioni degli accordi e dei contratti collettivi, anche aziendali, pur se stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, che prevedono limiti e valori convenzionali del servizio di mensa e dell'importo della prestazione sostitutiva di esso, percepita da chi non usufruisce del servizio istituito, a qualsiasi effetto attinente ad istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro subordinato".

 

Premessa la natura retributiva del servizio della mensa quando sia prevista una indennità sostitutiva per coloro che non ne usufruiscono, il giudice remittente ritiene la norma impugnata contrastante con l'art.36 Cost., "considerato che la funzione attribuita alla retribuzione, pure in natura, dalla norma costituzionale ha una propria proiezione anche nelle utilità indirette prodotte dall'esecuzione del contratto e agganciate al valore della prestazione lavorativa".

 

La stessa norma inoltre, incidendo su posizioni soggettive già acquisite al patrimonio dei singoli, accertabili dal giudice nell'esercizio della funzione giurisdizionale, violerebbe altresì l'art. 24 Cost. in quanto estingue l'aspettativa connessa al diritto controverso.

 

1.2. Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale si sono costituiti i lavoratori ricorrenti concludendo per una sentenza di accoglimento.

 

Essi rilevano che la questione sollevata dal Tribunale di Milano è diversa da quella decisa da questa Corte con la sentenza n. 402 del 1993.

 

Nelle due ordinanze del Pretore di Torino non era richiamato l'art.36 Cost., sul quale è invece imperniata l'odierna ordinanza.

 

Alla stregua di questo parametro la questione posta dal Tribunale di Milano è interpretata in termini di sospetta illegittimità di un intervento legislativo con forza retroattiva che incide "sull'equilibrio tra prestazioni lavorative già eseguite e retribuzioni corrispettivamente dovute, qualificando situazioni ormai esaurite in modo diverso da come sarebbero state qualificate dal giudice in base alla legge vigente al tempo in cui lo scambio si è perfezionato".

 

Con una successiva memoria i ricorrenti osservano in subordine che, quanto meno, si dovrebbe ammettere la rivalutazione degli importi dell'indennità sostitutiva, fissati in sede aziendale in conformità dell'accordo interconfederale 20 aprile 1956.

 

1.3. Si è pure costituita la società FIAT Auto chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

 

Ad avviso della società, anche ad ammettere la natura retributiva del servizio mensa in ragione della prevista indennità sostitutiva, l'assetto della relativa disciplina contrattuale descritto dall'ordinanza di rimessione impone di escludere che tale servizio rientri nel trattamento economico destinato ad esprimere i requisiti della proporzionalità e della sufficienza coperti dalla retribuzione garantita dall'art. 36 Cost. E ciò proprio perchè l'erogazione della mensa o di un'indennità sostituiva non è obbligatoriamente prevista nè dall'accordo interconfederale, nè dai contratti di categoria e quindi resta estranea, pur se prevista in sede aziendale, all'ambito degli elementi di riferimento della valutazione del minimo costituzionalmente garantito. La maggior parte delle aziende medio-piccole non erogano nè servizio di mensa, nè indennità sostitutiva, e in relazione a questo fatto la citata sentenza n. 402 del 1993 non ha mancato di rilevare la funzione perequativa assolta dal la norma impugnata.

 

La lettura dell'art. 36 Cost. data dal Tribunale di Milano travolgerebbe qualsiasi intervento del legislatore in materia retributiva, a partire da quello del 1982, che ha riformato l'istituto dall'indennità di anzianità, fino a quello sulla mensa, non solo là dove dispone per il passato, ma anche là dove dispone per il futuro.

 

In realtà la questione di costituzionalità, in riferimento all'art.36 Cost., ha potuto porsi solo quando il legislatore ha introdotto limiti all'autonomia collettiva in materia retributiva, sul riflesso che tali limiti impedivano lo svolgimento della sua funzione di indicatore dei minimi retributivi garantiti dall'art. 36 Cost.

 

Al contrario il Tribunale di Milano pretende di vedere consacrato nell'art. 36 Cost. un potere giudiziale di controllo sulla composizione e l'articolazione dei trattamenti retributivi previsti dalla contrattazione collettiva privo di qualsiasi riscontro nel precetto costituzionale.

 

Quanto alla pretesa violazione dell'art. 24 Cost. si osserva che sotto questo aspetto la questione è già stata dichiarata infondata dalla sentenza ripetutamente citata.

 

1.4. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata per i medesimi motivi esposti all'udienza pubblica del 5 ottobre 1993 in cui furono discusse le citate ordinanze del Pretore di Torino (R.O. nn. 15 e 84/92).

 

2.1. Nel corso di un giudizio promosso da Andrea Giuli ed altri nei confronti della s.p.a. Adivar, al fine di ottenere il riconoscimento del loro diritto alla rivalutazione, secondo gli indici ISTAT, dell'indennità di mensa fissati dall'accordo aziendale in lire 1.300 giornaliere con riferimento al valore attuale della moneta o al costo effettivo di un pasto alla data di emanazione della sentenza, il Pretore di Roma ha sollevato, con ordinanza del 15 ottobre 1993, questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 3, del d.l. n. 333 del 1992, in riferimento agli artt.3, 24, 101, 102 e 104 Cost. Alla stregua della motivazione i parametri costituzionali indicati nel dispositivo devono essere integrati con l'art. 36 Cost.

 

In quanto esclude il potere del giudice di adeguare l'ammontare convenzionale dell'indennità sostitutiva della mensa al valore attuale della moneta o al costo effettivo del servizio, la norma impugnata è ritenuta lesiva dell'art. 36 Cost., i cui requisiti di proporzionalità e sufficienza della retribuzione "devono essere applicati non solo ai fini della determinazione del trattamento complessivo dovuto al lavoratore, ma anche delle sue singole voci".

 

La pretesa incostituzionalità della norma in esame è denunciata inoltre "sia sotto il profilo della violazione del diritto di difesa del cittadino e dell'autonomo esercizio da parte dei giudici della loro funzione (artt.24, 101, 102 e 104 Cost.), essendo stata imposta con legge retroattiva un'interpretazione confliggente con un non gradito e consolidato orientamento giurisprudenziale, sia sotto il profilo della violazione del principio di ragionevolezza (art.3 Cost.) per l'evidente disparità di trattamento che si verrebbe a creare tra i lavoratori che scelgono di avvalersi del servizio mensa - perdendo, di conseguenza, il diritto non solo all'indennità sostitutiva, ma anche all'inserimento di essa nella retribuzione-parametro per il calcolo degli istituti retributivi indiretti, legali e contrattuali - e i lavoratori che, invece, esercitano il loro potere di scelta in senso negativo, con la conseguenza di vedere l'indennità sostitutiva non solo inserita nella retribuzione diretta, ma anche nella base di calcolo ai fini dei detti istituti, sia pure limitatamente al suo valore convenzionale.

 

2.2. Nel giudizio davanti alla Corte costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

 

Considerato in diritto

 

1. Dal Tribunale di Milano è impugnato, in riferimento agli artt. 24 e 36 Cost., l'art. 6, comma 4, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n.359; dal Pretore di Roma è impugnato, per contrarietà agli artt. 3, 24, 36, 101, 102 e 104 Cost., il comma 3, del medesimo articolo 6.

 

L'art. 6, comma 3, del decreto legge citato dispone: "Salvo che gli accordi ed i contratti collettivi, anche aziendali, dispongano diversamente, stabilendo se e in quale misura la mensa è retribuzione in natura, il valore del servizio di mensa, comunque gestito ed erogato, e l'importo della prestazione pecuniaria sostitutiva di esso, percepita da chi non usufruisce del servizio istituito dall'azienda, non fanno parte della retribuzione a nessun effetto attinente a istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro subordinato".

 

Il comma 4 soggiunge: "Sono fatte salve, a far data dalla loro decorrenza, le disposizioni degli accordi e dei contratti collettivi, anche aziendali, pur se stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto, che prevedono limiti e valori convenzionali del servizio di mensa di cui al comma 3 e dell'importo della prestazione sostitutiva di esso, percepita da chi non usufruisce del servizio istituito, a qualsiasi effetto attinente a istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro subordinato".

 

2. Le due questioni sono connesse e pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

 

3.1. In riferimento all'art. 24 Cost. la questione sollevata dal Tribunale di Milano va dichiarata manifestamente infondata, essendo già stata ritenuta non fondata da questa Corte con sentenza n. 402 del 1993. La questione non è fondata nemmeno in riferimento all'art. 36 Cost.

 

Nella prospettazione del tribunale il profilo del possibile contrasto con l'art. 36 Cost. non investe la normativa dell'art. 6 insè, indipendentemente dal problema della retroattività: nella parte in cui dispone per l'avvenire la legittimità dell'art. 6 non viene contestata.

 

La violazione dell'art. 36 Cost. è ravvisata soltanto nella parte che dispone la salvezza, con efficacia ex tunc, degli accordi e dei contratti collettivi "stipulati anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto", che determinano limiti e valori convenzionali dell'incidenza del servizio di mensa sugli istituti retributivi.

 

Così circoscritta, la questione viene sostenuta col seguente argomento. Poichè, in virtù dei detti accordi o contratti, "la mensa è considerata come se fosse retribuzione in natura", la drastica limitazione della sua computabilità nelle voci retributive indirette o differite - fissata dall'accordo aziendale di cui è causa "nella misura irrisoria di lire 100" - viola l'art. 36 Cost.: "va considerato infatti che la funzione attribuita alla retribuzione, anche in natura, dalla norma costituzionale ha una propria proiezione anche sulle utilità indirette prodotte dall'esecuzione del con tratto e agganciate al valore reale della prestazione lavorativa".

 

Si può obiettare anzitutto che, anche ad ammettere la premessa, la regola di onnicomprensività della retribuzione, sancita con norma imperativa dall'art. 2121 cod.civ. per il calcolo delle indennità di fine rapporto (della sola indennità di preavviso dopo il 31 maggio 1982) e, con riguardo alle prestazioni in natura, ritenuta implicita anche nel concetto di "retribuzione globale di fatto" inerente ad altri istituti retributivi, non trova alcuna copertura nell'art. 36 Cost.

 

Nei limiti in cui la questione è proposta, questo parametro costituzionale non è utilizzabile. Per farlo scendere in campo si dovrebbe dimostrare che, una volta con venuto che il servizio di mensa si considera retribuzione, il suo equivalente monetario concorre indefettibilmente a integrare la retribuzione minima garantita dall'art. 36; ma allora la censura di contrarietà alla norma costituzionale non potrebbe non coinvolgere anche il terzo comma del- l'art. 6.

 

3.2. All'ordinanza di rimessione si può muovere un'obiezione più radicale, che investe la premessa del ragionamento, la quale separa indebitamente nella contrattazione collettiva la decisione sull'an dell'incidenza del servizio della mensa sugli istituti retributivi dalla decisione sul quantum dell'incidenza, attribuendo alla prima un'autonoma efficacia costitutiva di posizioni soggettive nel patrimonio dei singoli, accertabili dal giudice. Si perde di vista così il dato iniziale, che qualifica negativamente il servizio della mensa come prestazione in natura non avente di per sè, ontologicamente, natura retributiva: si tratta, invero, di un servizio sociale dell'azienda (art. 11 della legge n. 300 del 1970), "predisposto dal datore di lavoro con riguardo alla generalità dei lavoratori" (cfr. art. 17 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503), mentre gli elementi della retribuzione hanno essenzialmente carattere individuale.

 

Questo dato comporta, come ha rilevato la sentenza n. 402 del 1993, che "l'autonomia collettiva ha il potere di fissare discrezionalmente, senza vincolo di alcun parametro, la misura dell'incidenza del servizio di mensa sugli istituti legali e contrattuali del rapporto di lavoro". La decisione sul se e la decisione sul quanto dell'incidenza sono due momenti inscindibili di un unico, medesimo potere, sicchè la prima non può essere efficace se non nei limiti della seconda.

 

4.1. La questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 3, del d.l. n. 333 del 1992 è stata sollevata dal Pretore di Roma nel corso di un giudizio promosso da lavoratori non usufruenti del servizio, i quali pretendono che nella retribuzione diretta l'indennità sostitutiva - fissata da un accordo aziendale del 1981 in lire 1300 giornaliere - sia adeguata "al valore attuale della moneta o al costo effettivo di un pasto alla data di emanazione della sentenza".

 

La difesa della società convenuta ha eccepito l'inammissibilità della questione in riferimento all'art. 36 Cost., tale norma non risultando compresa tra i parametri costituzionali indicati nel dispositivo dell'ordinanza.

 

L'eccezione non può essere accolta, trattandosi di mera omissione materiale, imputabile a dimenticanza. La prima parte della motivazione è imperniata sull'art. 36 Cost., esplicitamente richiamato due volte.

 

4.2. Ad avviso del giudice remittente i requisiti costituzionali di proporzionalità e sufficienza della retribuzione "devono essere applicati non solo ai fini della determinazione del trattamento economico complessivo dovuto al lavoratore, ma anche delle sue singole voci": ne consegue che, precludendo la possibilità di rivalutazione della voce costituita dall'indennità sostitutiva della mensa, la norma impugnata si pone in contrasto con l'art. 36 Cost.

 

La giurisprudenza consolidata di questa Corte è attestata sull'interpretazione opposta, secondo la quale la conformità della retribuzione ai requisiti costituzionali non può essere valutata in relazione ai singoli elementi che la compongono e al le prestazioni accessorie, ma occorre considerare unicamente la retribuzione nel suo complesso (cfr. sentenze nn. 141 del 1979, 176 del 1980, 227 del 1982, 229 del 1983, 1 del 1986, 314 del 1987, 243 del 1993; ord. n. 114 del 1988). Analogamente la sentenza n. 3888 del 1993 della Corte di cassazione a sezioni unite (alla quale si sono uniformate le sentenze nn. 11157 e 11339 del 1993, 426 e 581 del 1994 della sezione lavoro) ha ritenuto manifestamente infondata la questione in esame sul riflesso che "è il trattamento economico complessivo, in concreto corrisposto a ciascun lavoratore, che deve risultare connotato dai requisiti di proporzionalità e sufficienza", onde il controllo del giudice, appunto perchè riferito alla retribuzione nella sua globalità, non potrà mai comportare "la rivalutazione del valore convenzionale del servizio di mensa, ove questa non sia prevista dalla disciplina contrattuale relativa" (punto 4.14 della motivazione).

 

Il silenzio dell'art. 36 sulla struttura della retribuzione e sull'articolazione delle voci che la compongono significa che è rimessa insindacabilmente alla contrattazione collettiva la determinazione degli elementi che concorrono a formare, condizionandosi a vicenda, il trattamento economico complessivo dei lavoratori, del quale il giudice potrà poi essere chiamato a verificare la corrispondenza ai minimi garantiti dalla norma costituzionale. Inteso correttamente in questi termini, il potere giudiziale di controllo sulla congruità della retribuzione non è minimamente intaccato dall'art. 6 del d.l. n.333 del 1992.

 

4.3. La violazione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. è denunciata sulla base di un presupposto normativo e di fatto errato. Il giudice remittente ritiene che i lavoratori, i quali scelgono di usufruire del servizio di mensa, perdano il diritto all'inclusione dell'indennità sostitutiva, "sia pure limitatamente al suo valore convenzionale", nella base di calcolo delle voci retributive indirette o differite indicate nell'art. 1 dell'accordo interconfederale 20 aprile 1956. Ma questa pretesa differenza di trattamento rispetto ai lavoratori che non usufruiscono del servizio è smentita dall'art. 2 dell'accordo medesimo e dalla prassi applicativa.

 

4.4. Gli ulteriori profili di incostituzionalità, relativi agli artt.24, 101, 102 e 104 Cost., sono prospettati in contraddizione con l'intenzione, espressa nell'incipit della motivazione e mantenuta nel dispositivo dell'ordinanza, di sollevare "la questione di legittimità costituzionale con riferimento al disposto del terzo e non già del quarto comma dell'art. 6 del d.l. n. 333 del 1992". Il richiamo dei detti parametri costituzionali ha senso soltanto in relazione alla questione di legittimità del quarto comma, in quanto conferisce efficacia retroattiva alla disposizione del comma precedente. Pertanto, sotto questi profili, la questione, essendo limitata al terzo comma, va dichiarata inammissibile.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 4, del d.l. 11 luglio 1992, n. 333 (Misure urgenti per il risanamento della finanza pubblica), convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, sollevata, in riferimento all'art.36 della Costituzione, dal Tribunale di Milano con l'ordinanza in epigrafe;

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale del citato art. 6, comma 4, del d.l. n. 333 del 1992, sollevata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dal nominato tribunale con la medesima ordinanza;

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma 3, del citato d.l. 11 luglio 1992, n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992, n. 359, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 36 della Costituzione, dal Pretore di Roma con l'ordinanza in epigrafe;

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale del citato art. 6, comma 3, del d.l. n. 333 del 1992, sollevata, in riferimento agli artt. 24, 101, 102 e 104 della Costituzione, dal nominato Pretore con la medesima ordinanza.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14/04/94.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Luigi MENGONI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 28/04/94.