Ordinanza n. 222 del 2012

 CONSULTA ONLINE 

ORDINANZA N. 222

ANNO 2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alfonso                       QUARANTA                                   Presidente

-           Franco                         GALLO                                              Giudice

-           Luigi                            MAZZELLA                                           ”

-           Gaetano                       SILVESTRI                                            ”

-           Sabino                         CASSESE                                               ”

-           Giuseppe                     TESAURO                                              ”

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                      ”

-           Giuseppe                     FRIGO                                                    ”

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                         ”

-           Paolo                           GROSSI                                                  ”

-           Giorgio                        LATTANZI                                             ”

-           Aldo                            CAROSI                                                  ”

-           Marta                           CARTABIA                                            ”

-           Sergio                          MATTARELLA                                      ”

-           Mario Rosario              MORELLI                                               ”

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 61, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), come aggiunto dalla legge di conversione 26 febbraio 2011, n. 10, promossi dal Tribunale di Velletri con ordinanza del 17 ottobre 2011 e dal Tribunale di Napoli con ordinanza del 24 giugno 2011, iscritte ai numeri 84 e 90 del registro ordinanze 2012 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica numeri 20 e 21, prima serie speciale, dell’anno 2012.

Visto l’atto di costituzione di L. M.;

udito nella camera di consiglio del 19 settembre 2012 il Giudice relatore Alessandro Criscuolo.

Ritenuto che il Tribunale ordinario di Napoli, con ordinanza del 24 giugno 2011 (r.o. n. 90 del 2012), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, 101, 102, 104, 111, e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 61, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie) convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, comma aggiunto dalla detta legge di conversione;

che il rimettente premette di essere investito di un giudizio promosso da G.I.C.A. s.n.c. nei confronti del Monte Paschi di Siena s.p.a., avente ad oggetto la domanda di accertamento della nullità – per violazione della normativa in materia di anatocismo, commissioni di massimo scoperto ed usura – delle clausole contrattuali relative a rapporti di conto corrente e di conto anticipi intrattenuti dalla attrice con l’istituto di credito, nonché la domanda di accertamento del diritto dell’attrice medesima alla ripetizione dell’indebito versato;

che, nel costituirsi, il Monte Paschi di Siena s.p.a. aveva eccepito la prescrizione decennale dell’azione di ripetizione dell’indebito oggettivo per tutte le annotazioni anteriori al 2 marzo 2001, essendo stato l’atto di citazione notificato in data 2 marzo 2011;

che, con istanza depositata in data 16 giugno 2011, GICA s.n.c. aveva chiesto di sollevare questione di legittimità costituzionale del citato art. 2, comma 61, in riferimento agli articoli 3, 24, 101, 102, 104, 111, e 117, primo comma, Cost.; che il detto art. 2, comma 61, dispone: «In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’articolo 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa. In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto»;

che, in punto di rilevanza, il giudice a quo osserva che dalla sollevata questione di legittimità costituzionale dipende ogni valutazione in merito all’intervenuta prescrizione dei diritti nascenti dalle annotazioni in conto effettuate oltre dieci anni prima della data di notificazione dell’atto di citazione;

che, in punto di non manifesta infondatezza, il rimettente – facendo sostanzialmente propri i profili di illegittimità costituzionale evidenziati dalla parte privata nella istanza del 16 giugno 2011 – assume la violazione dei limiti interni, individuati dalla Corte costituzionale, alla ammissibilità di una norma interpretativa, nonché la violazione degli artt. 3, 24, 101, 102, 104, 111 e 117 Cost., in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848;

che, quanto alla ritenuta violazione dei limiti interni all’ammissibilità di una norma di interpretazione autentica, il giudice a quo deduce la irragionevolezza della norma censurata sia per la inesistenza di una norma specifica da interpretare, quale condizione dell’esercizio del potere di legislazione a fini interpretativi, sia perché l’interpretazione prospettata non potrebbe essere inclusa tra quelle legittimamente desumibili dalla disciplina complessiva dell’istituto;

che, in relazione al primo rilievo, il rimettente osserva come l’art. 2935 del codice civile – secondo cui il dies a quo, ai fini della prescrizione di un diritto, decorre dal momento in cui il suo titolare è posto nelle condizioni di poterlo esercitare – costituisce una regola di carattere generale, necessitante della etero-integrazione della disciplina speciale prevista per i singoli tipi contrattuali, nonché dei principi generali in materia di adempimento delle obbligazioni e di ripetizione d’indebito;

che, nel caso di specie, le norme etero-integratrici sarebbero da individuare nella disciplina delle operazioni bancarie e nel conto corrente bancario;

che il giudice a quo rileva come una legge di interpretazione autentica avrebbe dovuto avere ad oggetto una norma che disciplinasse di per sé, in maniera specifica, la decorrenza della prescrizione con riguardo al contratto di apertura di credito, regolato in conto corrente, selezionandone una delle possibili opzioni;

che, invero, l’inesistenza di una disciplina specifica aveva indotto gli interpreti ad applicare un principio generale (desumibile dall’art. 2935 cod. civ.), adattato allo schema e alla funzione del singolo contratto bancario;

che, quanto al secondo rilievo, concernente l’impossibilità d’includere la soluzione interpretativa prospettata tra quelle legittimamente desumibili dalla disciplina complessiva dell’istituto, il rimettente osserva come, nel rapporto di conto corrente bancario, in armonia con i principi generali in materia di adempimento, di ripetizione d’indebito e con quelli relativi alla causa del contratto medesimo, il decorso della prescrizione dell’azione di ripetizione – come ritenuto dalla Corte di cassazione a sezioni unite nella sentenza del 2 dicembre 2010, n. 24418 – sarebbe da individuare: a) nel versamento (nell’ipotesi di conto passivo, senza affidamento, come di superamento del limite affidato); b) nella chiusura del rapporto (quando non siano effettuati versamenti, in pendenza di rapporto, o quando il versamento effettuato in pendenza di rapporto abbia funzione meramente ripristinatoria dell’affido utilizzabile);

che, infatti, quando il passivo non abbia superato il limite dell’affidamento concesso al cliente, i versamenti da questo posti in essere avrebbero natura di atti ripristinatori della provvista di cui il correntista può ancora continuare a godere (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 2 dicembre 2010, n. 24418 citata, nonché Corte di cassazione, sentenze 6 novembre 2007, n. 23107, 23 novembre 2005, n. 24588 e 18 ottobre 1982, n. 5413);

che, in questo caso, la fattispecie dell’adempimento, sub specie di pagamento, sarà configurabile soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia preteso e ottenuto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino comprese somme e competenze non dovute;

che, ad avviso del rimettente, il legislatore, con la norma censurata, avendo fatto decorrere la prescrizione dei diritti nascenti dall’annotazione dal giorno di questa, non avrebbe attribuito alla norma interpretata un significato compatibile con il novero delle possibili opzioni ermeneutiche;

che l’esclusione dell’interpretazione della norma censurata dal novero di quelle ammissibili si desumerebbe anche dalla individuazione, ad opera del legislatore, del dies a quo della decorrenza della prescrizione in una circostanza di fatto, quale l’annotazione in conto, esulante dalla sfera conoscitiva del cliente, essendo quest’ultimo edotto delle movimentazioni del conto soltanto con la ricezione dell’estratto conto;

che, con riferimento all’assunta violazione del principio di azione e di indefettibilità della tutela giurisdizionale di cui all’art. 24 Cost., il Tribunale censura sia la prima che la seconda parte del citato art. 2, comma 61;

che, in particolare, in ordine alla prima parte della disposizione, secondo cui «In ordine alle operazioni bancarie regolate in conto corrente l’articolo 2935 del codice civile si interpreta nel senso che la prescrizione relativa ai diritti nascenti dall’annotazione in conto inizia a decorrere dal giorno dell’annotazione stessa», il rimettente denuncia la scelta del legislatore diretta ad individuare il dies a quo del decorso della prescrizione in una circostanza di fatto, cioè l’annotazione, esulante dalla sfera conoscitiva e di conoscibilità del cliente;

che, allo stesso modo, il rimettente assume la illegittimità della seconda parte della disposizione, secondo cui «In ogni caso non si fa luogo alla restituzione di importi già versati alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto », qualora sia letta – non nel senso di una clausola di salvaguardia della posizione giuridica di chi abbia già ricevuto il rimborso, cui la prescrizione non può essere più eccepita – ma nel senso di un divieto di ripetizione delle somme indebitamente corrisposte dai clienti del sistema bancario (come interessi superiori al tasso legale o anatocistici);

che tale ultima opzione interpretativa – che, secondo lo stesso rimettente, sarebbe probabilmente da escludere sulla base di un’esegesi costituzionalmente orientata della norma – contrasterebbe con il principio di “giustiziabilità” delle posizioni giuridiche;

che, con riguardo alla dedotta violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo del principio di uguaglianza e di ragionevolezza, il Tribunale lamenta, in primo luogo, la introduzione di un’inammissibile disparità di trattamento tra banche e utenti del sistema bancario, in quanto la norma censurata, nello stabilire il dies a quo della decorrenza della prescrizione nel giorno della annotazione, assicurerebbe un ingiustificato privilegio per le banche, a danno del contraente debole, qual è l’utente del sistema bancario;

che, sempre con riferimento all’assunto contrasto con l’art. 3 Cost., il rimettente denuncia la violazione del principio di uguaglianza anche sotto il profilo della introduzione di un’inammissibile disparità di trattamento tra tipologie contrattuali assimilabili sotto il profilo funzionale;

che, al riguardo, il Tribunale rileva come il cosiddetto contratto di conto corrente di corrispondenza, qualificabile come negozio complesso atipico o come forma di collegamento negoziale, ricomprenderebbe delle fattispecie, quali, ad esempio, il mandato o il deposito, la prescrizione dei cui diritti inizierebbe a decorrere dalla cessazione dei rispettivi rapporti;

che, in ordine all’assunta violazione dell’art. 3 Cost., il giudice a quo lamenta, inoltre, l’introduzione di un’inammissibile disparità di trattamento tra somme versate indebitamente, rispettivamente prima e dopo l’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-legge n. 225 del 2010;

che, in particolare, in forza della seconda parte della disposizione censurata, la paralisi dei poteri sostanziali e processuali di tutela degli utenti del sistema bancario opererebbe per le sole somme già versate alla data di entrata in vigore della legge di conversione del detto decreto-legge, con ingiustificata compressione del diritto di ripetizione dell’indebito solo per chi abbia posto in essere pagamenti fino alla suddetta soglia temporale;

che il Tribunale assume anche il contrasto della citata disposizione con l’art. 111 Cost., in tema di giusto processo, sub specie della parità delle armi, in quanto, supportata da una previsione di retroattività, verrebbe a sancire – se non altro nelle ipotesi in cui dalle indebite annotazioni della banca sia decorso un decennio – la paralisi dei poteri sostanziali e processuali di chi abbia agito in giudizio esperendo un’azione di ripetizione dell’indebito;

che il rimettente deduce, altresì, la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 6 della Convezione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU);

che tale norma convenzionale, nell’interpretazione datane dalla Corte EDU, impone al legislatore di uno Stato contraente di non interferire nell’amministrazione della giustizia allo scopo di influire sulla singola causa o su di una determinata categoria di controversie, attraverso norme interpretative che, violando il principio di «parità delle armi», assegnino alla disposizione interpretata un significato vantaggioso per una parte del procedimento, salvo il caso di «ragioni imperative di interesse generale»;

che, nel caso di specie, il legislatore nazionale avrebbe emanato una norma interpretativa – in presenza di un notevole contenzioso e di un orientamento della Corte di cassazione sfavorevole alle banche – contrastante con il principio di «parità delle armi», non essendo prefigurabili «ragioni imperative d’interesse generale» idonee ad escludere la violazione del divieto d’ingerenza nell’amministrazione della giustizia;

che, infine, il giudice a quo deduce il contrasto con gli artt. 101, 102, 104 Cost. sotto il profilo della possibile incidenza della norma censurata su concrete fattispecie “sub iudice”, a vantaggio di una delle due parti del giudizio (ex plurimis: sentenza n. 397 del 1994);

che il Tribunale ordinario di Velletri, con ordinanza del 17 ottobre 2011 (r.o. n. 84 del 2012), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, 24, 41, 47, 102, 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 61, del citato decreto-legge n. 225 del 2010, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, comma aggiunto dalla detta legge di conversione;

che il rimettente premette di essere investito di un giudizio promosso dal sig. L. M. nei confronti della Banca Popolare del Lazio, società cooperativa a responsabilità limitata, avente ad oggetto l’azione di accertamento della nullità delle clausole contrattuali di capitalizzazione trimestrale di interessi passivi, di interessi ultralegali, di commissioni di massimo scoperto, relative al conto corrente intercorso tra l’attore e l’istituto di credito convenuto, con condanna di quest’ultimo alla ripetizione delle somme indebitamente percepite;

che, nel costituirsi nel giudizio, la banca convenuta ha eccepito, tra l’altro, la prescrizione decennale del diritto di ripetizione dell’indebito dalla data di annotazione di ogni singola posta contestata, stante la sopravvenienza del citato art. 2, comma 61;

che, in punto di rilevanza, il giudice a quo osserva come dalla applicazione del primo periodo del detto art. 2, comma 61 – se interpretato nel senso del decorso della prescrizione decennale dell’azione di ripetizione dell’indebito, non già dalla data di estinzione del rapporto di conto corrente, ma dal giorno di ogni singola annotazione –conseguirebbe l’estinzione per prescrizione del diritto dell’attore alla ripetizione degli importi versati a titolo solutorio e annotati in data anteriore al 10 marzo 1998, ovvero oltre dieci anni prima della data di notificazione dell’atto di citazione;

che il rimettente aggiunge come dalla applicazione del secondo periodo dell’art. 2, comma 61 – se interpretato nel senso che, nelle operazioni bancarie in conto corrente, ciascuna delle parti può non restituire gli importi già versati alla data del 27 febbraio 2011 (data di entrata in vigore della legge di conversione n. 10 del 2011), anche se non dovuti – conseguirebbe il rigetto totale della domanda di ripetizione dell’attore, essendo stato chiuso il rapporto di conto corrente bancario in data 10 giugno 2002, per cui si tratterebbe di versamenti tutti antecedenti alla data di entrata in vigore della legge n. 10 del 2011;

che, in punto di non manifesta infondatezza, il rimettente assume la violazione degli artt. 3, 24, 101, 102, 104, 111, 117, primo comma, Cost. in relazione all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali;

che, quanto all’assunto contrasto con l’art. 3 Cost., il giudice a quo deduce la violazione dei limiti interni di ammissibilità delle norme di interpretazione autentica – incertezze applicative di una norma, contrasti giurisprudenziali, possibili varianti di senso del testo originario – nonché la violazione dei limiti generali all’efficacia retroattiva delle leggi, limiti costituiti dai principi di ragionevolezza, di non introduzione di ingiustificate disparità di trattamento, di tutela dell’affidamento, di certezza dell’ordinamento giuridico e di non invasione delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario;

che, in particolare, ad avviso del rimettente, il legislatore – in mancanza dei presupposti di incertezza del diritto o di contrasto giurisprudenziale per l’emanazione di una norma di interpretazione autentica – avrebbe irragionevolmente riservato un ingiustificato trattamento di favore alle banche sulla base di un orientamento giurisprudenziale minoritario disatteso dalla sentenza della Corte di cassazione, sezioni unite civili, n. 24418 del 2010, secondo cui il dies a quo per il decorso della prescrizione era da individuare nella chiusura del conto e non già nella annotazione;

che, inoltre, la norma censurata, operando sull’art. 2935 cod. civ., introdurrebbe una sanatoria di ben definiti ed individuabili rapporti di conto corrente preesistenti alla introduzione della medesima e, di fatto, derogherebbe alla regola generale della irretroattività delle norme di diritto sostanziale, così violando il principio costituzionale di uguaglianza;

che il detto art. 2, comma 61, restringerebbe irragionevolmente, altresì, il campo di applicazione dell’art. 2935 cod. civ., derogando eccezionalmente a quest’ultima norma quanto alla decorrenza del termine di prescrizione e darebbe luogo, in tal modo, ad una ingiustificata disparità di trattamento rispetto agli altri titolari di crediti pecuniari derivanti da ripetizioni di somme indebitamente corrisposte;

che, ad avviso del rimettente, qualora la norma censurata si applicasse anche per il passato e ai giudizi in corso, si configurerebbe anche una violazione dell’art. 24 Cost., sotto il profilo della limitazione dei diritti di tutela primari, nonché dell’art. 102 Cost., sotto il profilo di un’ingiustificata invasione delle prerogative proprie della magistratura ordinaria;

che il rimettente ravvisa, altresì, la violazione degli artt. 41 e 47 Cost. in quanto la norma censurata, eludendo lo spirito dell’intero “corpus normativo” nel quale è inserita, più che supportare le famiglie e le imprese in stato di difficoltà economica, colpirebbe i diritti e le aspettative di esse alla riscossione di somme indebitamente contabilizzate dagli istituti di credito durante lo svolgimento di rapporti in conto corrente e dagli stessi percepite in violazione di norme di ordine pubblico, nonché pregiudicherebbe anche il diritto delle banche alla restituzione di somme date a mutuo ai correntisti in regime di apertura di credito in conto corrente, se annotate oltre dieci anni prima della formale richiesta di rientro o di pagamento del saldo finale di chiusura del conto;

che, in ordine all’assunto contrasto con l’art. 117, primo comma, Cost., attraverso la violazione dell’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, statuente il diritto ad un giusto processo, il rimettente osserva come il legislatore avrebbe adottato una norma “interpretativa” in presenza di differenti contenziosi, e, soprattutto, successivamente alla sentenza della Corte di cassazione n. 24418 del 2010, così operando una interferenza nell’amministrazione della giustizia allo scopo di influire su singole controversie, in assenza di «ragioni imperative di interesse generale»;

che nel giudizio incidentale, con comparsa depositata in data 1° giugno 2012, si è costituito il sig. L. M., attore nel giudizio principale, aderendo alle censure di illegittimità costituzionale prospettate dal rimettente e deducendo, altresì, la violazione dell’art. 111 Cost., sotto il profilo del diritto ad un giusto processo.

Considerato che il Tribunale ordinario di Napoli e il Tribunale ordinario di Velletri, con le ordinanze indicate in epigrafe, sollevano questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 61, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, comma aggiunto in sede di conversione, ipotizzando, nel complesso, la violazione degli articoli 3, 24, 41, 47, 101, 102, 104, 111 e 117, primo comma, della Costituzione;

che, pertanto, i relativi giudizi, essendo strettamente connessi, vanno riuniti per essere definiti con unica pronuncia;

che, successivamente all’ordinanza di rimessione, questa Corte, con sentenza n. 78 del 2012, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di detto art. 2, comma 61;

che, per effetto di tale sentenza, le questioni di legittimità costituzionale della medesima norma, sollevate dagli odierni rimettenti, sono divenute prive di oggetto e, pertanto, devono essere dichiarate manifestamente inammissibili;

che a tale conclusione si giunge sul rilievo che le questioni in esame riguardano la stessa norma della quale è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale con la richiamata sentenza n. 78 del 2012, sicché, in forza dell’efficacia ex tunc di tale pronuncia, è preclusa al giudice a quo una nuova valutazione della perdurante rilevanza delle questioni stesse, unica valutazione che potrebbe giustificare la restituzione degli atti al giudice rimettente (da ultimo, ordinanze n. 146 del 2012; n. 76 del 2012; n. 312, n. 85, n. 55 e n. 19 del 2011, n. 298 e n. 222 del 2010).

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 61, del decreto-legge 29 dicembre 2010, n. 225 (Proroga di termini previsti da disposizioni legislative e di interventi urgenti in materia tributaria e di sostegno alle imprese e alle famiglie), convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, sollevate, in riferimento nel complesso agli articoli 3, 24, 41, 47, 101, 102, 104, 111 e 117, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale ordinario di Napoli e dal Tribunale ordinario di Velletri, con le ordinanze indicate in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 settembre 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Alessandro CRISCUOLO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 4 ottobre 2012.