Sentenza n. 173 del 2012

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SENTENZA N. 173

ANNO 2012

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alfonso                       QUARANTA                       Presidente

-           Franco                         GALLO                                   Giudice

-           Luigi                            MAZZELLA                                 

-           Gaetano                       SILVESTRI                                   

-           Sabino                         CASSESE                                      

-           Giuseppe                     TESAURO                                    

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                             

-           Giuseppe                     FRIGO                                           

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                

-           Paolo                           GROSSI                                        

-           Giorgio                        LATTANZI                                   

-           Aldo                            CAROSI                                        

-           Marta                           CARTABIA                                  

-           Sergio                          MATTARELLA                                        

-           Mario Rosario              MORELLI                                     

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli articoli 9, commi 3, 28, 29, 31 e 36, e 14, comma 24-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1 della legge 30 luglio 2010, n. 122, promossi dalle Regioni Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Liguria, Umbria, Emilia Romagna e Puglia con ricorsi notificati il 24-27 e il 28 settembre 2010, depositati in cancelleria il 28 settembre, il 6 e il 7 ottobre 2010 e rispettivamente iscritti ai nn. 96, 102, 103, 106 e 107 del registro ricorsi 2010.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica dell’8 maggio 2012 il Giudice relatore Luigi Mazzella;

uditi gli avvocati Ulisse Corea per la Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, Giandomenico Falcon per le Regioni Liguria, Umbria ed Emilia Romagna, Stefano Grassi per la Regione Puglia e gli avvocati dello Stato Massimo Salvatorelli e Antonio Tallarida per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 27 settembre 2010, depositato in cancelleria il 28 settembre 2010 e iscritto al n. 96 del registro ricorsi dell’anno 2010, la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha promosso, tra l’altro, questioni di legittimità costituzionale degli articoli 9, comma 28, e 14, comma 24-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1 della legge 30 luglio 2010, n. 122, in riferimento agli articoli 117, terzo e quarto comma, e 119, secondo comma, della Costituzione, dell’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della Parte seconda della Costituzione), e degli articoli 2, lettera a), 3, lettere f) e l), 4, primo comma, e 12 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta).

1.1.– La ricorrente afferma che l’art. 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010 stabilisce, tra l’altro, che «A decorrere dall’anno 2011, le amministrazioni dello Stato [...] possono avvalersi di personale a tempo determinato o con convenzioni ovvero con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nel limite del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nell’anno 2009. Per le medesime amministrazioni la spesa per personale relativa a contratti di formazione lavoro, ad altri rapporti formativi, alla somministrazione di lavoro, nonché al lavoro accessorio [...], non può essere superiore al 50 per cento di quella sostenuta per le rispettive finalità nell’anno 2009». La stessa disposizione aggiunge che le riportate previsioni «costituiscono principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica ai quali si adeguano le Regioni, le Province autonome e gli enti del Servizio sanitario nazionale». Ad avviso della ricorrente, tale disposizione, per quanto riguarda la specifica posizione della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, deve essere coordinata con l’art. 14, comma 24-bis, del medesimo decreto-legge n. 78 del 2010, ai sensi del quale il limite di spesa previsto dall’art. 9, comma 28, può essere superato esclusivamente nel caso di proroga dei rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati dalle Regioni a statuto speciale, nonché dagli enti territoriali facenti parte delle predette Regioni, «a valere sulle risorse finanziarie aggiuntive appositamente reperite da queste ultime attraverso apposite misure di riduzione e razionalizzazione della spesa», fatto salvo, comunque, il rispetto dei vincoli ed obiettivi di contenimento della spesa pubblica previsti dal patto di stabilità interno. Inoltre, sempre secondo il comma 24-bis dell’art. 14, per l’attuazione dei «processi assunzionali la Regione è tenuta ad attingere prioritariamente ai lavoratori a tempo determinato».

1.1.1.– Ciò premesso, la ricorrente sostiene, in via principale, che il combinato disposto degli artt. 9, comma 28, e 14, comma 24-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, contrasta con gli artt. 2, lettera a), e 4, primo comma, dello statuto della Regione, nonché con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.

Al riguardo la difesa regionale afferma che, ai sensi dell’art. 2, lettera a), dello statuto regionale speciale, la Regione Valle d’Aosta /Vallée d’Aoste gode di una competenza primaria in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale». Conseguentemente, nella relativa disciplina, la Regione valdostana non può essere limitata dall’intervento del legislatore statale, essendo venuto meno anche il limite del rispetto dei principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica, dell’interesse nazionale e delle norme fondamentali di riforma economico-sociale, in virtù della previsione di cui all’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001. Nella medesima materia, poi, in forza del parallelismo posto dall’art. 4 dello statuto, la Regione esercita le rispettive funzioni amministrative.

Ad avviso della ricorrente, le predette attribuzioni statutarie sarebbero lese dal comma 28 dell’art. 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, perché, per effetto di tale disposizione, la Regione e gli enti pubblici regionali non possono autonomamente determinarsi circa il trattamento accessorio da destinare al personale, né possono – per la parte eccedente il limite fissato con legge statale – assumere nuovo personale o mantenere i rapporti contrattuali in essere, dovendo, altrimenti, rideterminarne, in senso peggiorativo, il relativo trattamento economico.

Le impugnate disposizioni del decreto-legge n. 78 del 2010 inciderebbero pertanto in maniera diretta su aspetti concernenti lo «stato economico» del personale.

Inoltre, l’art. 14, comma 24-bis, del medesimo decreto-legge, nel consentire alla Regione di superare il tetto massimo di spesa imposto dal comma 28 del precedente art. 9 solo nell’ipotesi della proroga di contratti a tempo determinato, impone all’ente la scelta di uno specifico modello contrattuale e lederebbe pertanto le attribuzioni regionali in materia di stato giuridico del personale. Identica considerazione varrebbe per l’ultimo periodo dello stesso art. 14, comma 24-bis, che, in ipotesi di nuove assunzioni, obbliga le Regioni ad attingere prioritariamente al personale a tempo determinato ovvero a motivare una diversa scelta del personale da assumere. A quest’ultimo riguardo, la difesa regionale menziona anche la sentenza n. 95 del 2008 di questa Corte, secondo cui la regolamentazione delle modalità di accesso al lavoro pubblico regionale è riconducibile alla materia dell’organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici regionali che rientra nella competenza residuale delle Regioni.

1.1.2.– In subordine, la ricorrente sostiene che il combinato disposto degli artt. 9, comma 28, e 14, comma 24-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010 sarebbe illegittimo anche ove si volesse invocare il titolo competenziale rappresentato dalla materia del coordinamento della finanza pubblica. In particolare, risulterebbero violati l’art. 3, lettera f), dello statuto di autonomia speciale e gli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost., applicabili alla Regione ai sensi dell’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.

Infatti le predette norme impugnate, lungi dall’introdurre principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica, si risolvono nell’imposizione di misure analitiche e di dettaglio che non lasciano alcun margine di intervento al legislatore regionale in ordine alla scelta degli strumenti idonei a perseguire l’obiettivo del contenimento della spesa pubblica.

Né l’indebita ingerenza nelle attribuzioni regionali potrebbe ritenersi esclusa dalla previsione della deroga introdotta dall’art. 14, comma 24-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, che consente di superare il limite di spesa del 50 per cento solamente in caso di proroga di contratti a tempo determinato già in essere. Neppure tale deroga, infatti, permette alla Regione di rinnovare contratti di tipo diverso da quelli a tempo determinato ovvero di procedere all’assunzione di nuovo personale per un importo eccedente il 50 per cento della spesa sostenuta nell’anno 2009 per le medesime finalità.

Lo Stato, quindi, avrebbe esorbitato dalla competenza concorrente prevista dall’art. 117, terzo comma, Cost., limitando indebitamente l’autonomia finanziaria di spesa della Regione, nonché quella dei Comuni situati nella Regione Valle d’Aosta, in relazione alla quale la competenza spetta alla ricorrente ai sensi dell’art. 3, lettera f), dello statuto di autonomia speciale.

1.1.3.– La difesa regionale aggiunge che il combinato disposto degli artt. 9, comma 28, e 14, comma 24-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010 lede anche l’autonomia finanziaria di entrata della Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, costituzionalmente tutelata dagli artt. 3, lettera f), e 12 dello statuto regionale speciale, nonché dall’art. 119 Cost. e dall’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.

Infatti, il predetto art. 14, comma 24-bis, dispone che i contratti a tempo determinato prorogati dalla Regione in virtù della deroga da esso prevista gravino solo «sulle risorse finanziarie aggiuntive appositamente reperite» dalla Regione medesima «attraverso apposite misure di riduzione e razionalizzazione della spesa certificate dagli organi di controllo interno». In questa maniera, ad avviso della ricorrente, il legislatore statale, esorbitando dalla sua competenza concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica, avrebbe seccamente imposto alla Regione valdostana l’istituzione di risorse aggiuntive, fissato le modalità di reperimento e individuato la relativa destinazione, così violando ogni garanzia afferente all’autonomia finanziaria di entrata della ricorrente.

1.1.4.– Ulteriori profili di illegittimità costituzionale sono denunciati dalla ricorrente con riferimento al fatto che l’art. 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010 prevede espressamente che le disposizioni da esso dettate si applichino anche agli enti del Servizio sanitario nazionale.

In particolare, sarebbe violato l’art. 3, lettera l), dello statuto di autonomia speciale che attribuisce alla Regione la competenza legislativa in materia di «igiene e sanità, assistenza ospedaliera e profilattica».

La difesa regionale ricorda, poi, che, a seguito della riforma del Titolo V della Parte seconda della Costituzione, la sanità risulta ripartita fra la materia di competenza regionale concorrente della «tutela della salute» e quella dell’organizzazione sanitaria, in cui le Regioni possono adottare una propria disciplina anche sostitutiva di quella statale. Tale particolare forma di autonomia riconosciuta alle Regioni ad autonomia ordinaria in materia di tutela della salute ed organizzazione sanitaria deve applicarsi anche alla ricorrente in quanto più ampia rispetto a quella prevista dallo statuto speciale. Conseguentemente, l’art. 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010 sarebbe costituzionalmente illegittimo anche in riferimento all’art. 117, quarto comma, Cost., in combinato disposto con l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001.

Inoltre, pur volendo ritenere che l’organizzazione dei servizi sanitari non costituisca una materia di competenza residuale regionale ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost., bensì un aspetto rientrante nella materia «tutela della salute» di competenza concorrente ai sensi del terzo comma del medesimo art. 117, l’art. 9, comma 28, sarebbe comunque illegittimo perché la disciplina in esso contenuta non costituisce un principio fondamentale in tema di organizzazione, estendendosi anche ai profili di dettaglio di quest’ultima.

2.– Con ricorso notificato il 28 settembre 2010, depositato in cancelleria il 6 ottobre 2010 e iscritto al n. 102 del registro ricorsi dell’anno 2010, la Regione Liguria ha promosso, tra l’altro, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 3, 28, 29 e 36, del decreto-legge n. 78 del 2010, in riferimento agli artt. 3, 36, 39, 97, 117, terzo e quarto comma, e 119 della Costituzione.

2.1.– Ad avviso della ricorrente, il comma 3 del predetto art. 9 [a norma del quale «A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente provvedimento, nei confronti dei titolari di incarichi di livello dirigenziale generale delle amministrazioni pubbliche, come individuate dall’Istituto nazionale di statistica (ISTAT), ai sensi del comma 3, dell’art. 1, della legge 31 dicembre 2009, n. 196, non si applicano le disposizioni normative e contrattuali che autorizzano la corresponsione, a loro favore, di una quota dell’importo derivante dall’espletamento di incarichi aggiuntivi»], ponendo limiti rigidi ed autoapplicativi a voci specifiche e minute di spesa, lederebbe l’art. 117, terzo comma, Cost. e l’autonomia finanziaria delle Regioni.

Inoltre, contrasterebbe con l’art. 39 Cost., perché incide sull’entità dei trattamenti economici determinata dai contratti collettivi, violando la riserva di contrattazione collettiva in materia di retribuzioni. Tale violazione si tradurrebbe, ad avviso della difesa regionale, in lesione dell’autonomia organizzativa e finanziaria regionale tutelata dagli artt. 117, quarto comma, e 119 Cost., perché lo Stato, in questa maniera, altera unilateralmente le scelte fatte dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) per conto delle Regioni e pone limiti puntuali a specifiche voci di spesa regionale.

Inoltre, la norma in questione violerebbe il principio di ragionevolezza e l’art. 36 Cost., perché riduce i trattamenti fissati nei contratti collettivi, che si presumono essere quelli proporzionati alla qualità e quantità del lavoro prestato, producendo un’ingiustificata ed irragionevole alterazione del sinallagma contrattuale, danneggiando i singoli lavoratori a fronte di una limitata incidenza sul totale della manovra. Tali violazioni, poi, si rifletterebbero in lesione dell’autonomia finanziaria ed organizzativa regionale, riguardando la gestione del personale regionale e del bilancio.

2.2.– La ricorrente impugna, poi, l’art. 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010 assumendo che esso violerebbe l’art. 117, terzo comma, Cost., poiché, ponendo limiti rigidi a una specifica voce di spesa, eccede dalla competenza statale concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica. Inoltre la norma contrasterebbe con l’art. 119 Cost., perché, concernendo una specifica voce di spesa e fissando misure di dettaglio, lede l’autonomia organizzativa e finanziaria delle Regioni e degli enti locali.

2.3.– L’art. 9, comma 29, del decreto-legge n. 78 del 2010 stabilisce che «le società non quotate, inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, come individuate dall’ISTAT ai sensi del comma 3 dell’articolo 1 della legge 31 dicembre 2009, n. 196, controllate direttamente o indirettamente dalle amministrazioni pubbliche, adeguano le loro politiche assunzionali alle disposizioni previste nel presente articolo». La ricorrente sostiene che tale norma, concernendo anche società pubbliche dell’ordinamento regionale, lederebbe l’autonomia organizzativa e finanziaria della Regione e degli enti locali, eccedendo dai limiti della potestà legislativa statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, poiché impone un limite rigido ad una voce specifica di spesa.

2.4.– La Regione Liguria censura anche l’art. 9, comma 36, del decreto-legge n. 78 del 2010, il quale stabilisce che «per gli enti di nuova istituzione non derivanti da processi di accorpamento o fusione di precedenti organismi, limitatamente al quinquennio decorrente dall’istituzione, le nuove assunzioni, previo esperimento delle procedure di mobilità, fatte salve le maggiori facoltà assunzionali eventualmente previste dalla legge istitutiva, possono essere effettuate nel limite del 50% delle entrate correnti ordinarie aventi carattere certo e continuativo e, comunque nel limite complessivo del 60% della dotazione organica» e che, a tal fine, «gli enti predispongono piani annuali di assunzioni da sottoporre all’approvazione da parte dell’amministrazione vigilante d’intesa con il Dipartimento della funzione pubblica ed il Ministero dell’economia e delle finanze».

La ricorrente sostiene che la norma, ove fosse da intendere come rivolta anche al sistema regionale, sarebbe illegittima per violazione degli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, e 119 della Costituzione.

Essa, infatti, ponendo un limite alle assunzioni degli enti pararegionali e paracomunali, non detta un principio di coordinamento della finanza pubblica, ma un precetto dettagliato lesivo dell’autonomia finanziaria della Regione e degli enti locali.

Inoltre, il limite sarebbe irragionevole e pregiudicherebbe il buon andamento della pubblica amministrazione, perché costringe gli enti a restare per diversi anni «sotto-organico» e pone un limite percentuale alle spese per il personale fissato in modo rigido ed indiscriminato, a prescindere da quali possano essere le altre necessità di spesa degli enti pubblici. Tale violazione degli artt. 3 e 97 Cost. si rifletterebbe, poi, in lesione dell’autonomia organizzativa e finanziaria della Regione e degli enti locali, nella cui sfera rientrano le politiche assunzionali.

3.– Con ricorso notificato il 28 settembre 2010, depositato in cancelleria il 6 ottobre 2010,  e iscritto al n. 103 del registro ricorsi dell’anno 2010, la Regione Umbria ha promosso, tra l’altro, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione.

La ricorrente svolge, al riguardo, i medesimi argomenti dedotti nel ricorso della Regione Liguria e riportati sub n. 2.2.

4.– Con ricorso notificato il 28 settembre 2010, depositato in cancelleria il 6 ottobre 2010 e iscritto al n. 106 del registro ricorsi dell’anno 2010, la Regione Emilia-Romagna ha promosso, tra l’altro, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010, in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione. 

La ricorrente formula le medesime censure contenute nel ricorso proposto dalla Regione Liguria e riportate sub n. 2.2.

5.– Con ricorso notificato il 28 settembre 2010, depositato in cancelleria il 7 ottobre 2010 e iscritto al n. 107 del registro ricorsi dell’anno 2010, la Regione Puglia ha promosso, tra l’altro, questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, commi 28, 29, 31 e 36, del decreto-legge n. 78 del 2010, in riferimento agli artt. 117, secondo, terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, e 119 della Costituzione.

5.1.– La ricorrente sostiene, in particolare, che l’art. 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010 violerebbe gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., perché prevede limiti puntuali a specifiche voci di spesa.

5.2.– Quanto all’art. 9, comma 29, del d.lgs. n. 78 del 2010, ad avviso della difesa regionale esso, nella parte in cui si applica a società controllate da enti territoriali diversi dallo Stato, eccederebbe dalla competenza statale prevista dall’art. 117, secondo comma, lettera g), Cost., e invaderebbe quella regionale residuale stabilita dal quarto comma dello stesso art. 117.

La medesima norma sarebbe illegittima, poi, per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., perché imponendo vincoli puntuali di spesa ad enti differenti rispetto a quelli nei confronti dei quali lo Stato dispone della competenza legislativa, esorbiterebbe dai limiti posti dall’art. 117, terzo comma, Cost., a tutela dell’autonomia finanziaria regionale garantita dall’art. 119 della Costituzione.

5.3.– Con riferimento all’art. 9, comma 31, del decreto-legge n. 78 del 2010, la Regione Puglia premette che tale norma prevede che i trattenimenti in servizio del personale delle pubbliche amministrazioni possono avvenire esclusivamente entro i limiti delle facoltà assunzionali consentiti in base alle cessazioni del personale, con conseguente proporzionale riduzione delle risorse destinabili alle nuove assunzioni per un importo pari al trattamento retributivo derivante dai trattenimenti in servizio.

Ad avviso della difesa regionale, tale disposizione, nella parte in cui si applica anche alle Regioni, è illegittima per violazione dell’art. 117, quarto comma, Cost., poiché, regolando la possibilità di effettuare il trattenimento in servizio anche del personale delle amministrazioni regionali e locali, invade la competenza legislativa residuale regionale nella materia della «organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti locali». Che si tratti di una normativa destinata ad intervenire in tale materia, peraltro, sarebbe confermato – secondo la ricorrente – dal fatto che essa risulta espressamente dettata «al fine di agevolare il processo di riduzione degli assetti organizzativi delle pubbliche amministrazioni».

La Regione Puglia aggiunge che, ove non si ritenesse che l’art. 9, comma 31, del decreto-legge n. 78 del 2010 appartenga alla materia della «organizzazione amministrativa», la sua legittimità dovrebbe essere necessariamente valutata sulla base delle disposizioni costituzionali che prevedono la competenza dello Stato a dettare i «principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica» e che regolano l’autonomia finanziaria regionale. Ed allora, posto che la norma in esame prevede un limite puntuale concernente una specifica voce di spesa, ossia quella dei trattenimenti in servizio, essa non potrebbe essere qualificata come principio fondamentale della materia del «coordinamento della finanza pubblica», con conseguente violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 della Costituzione.

5.4.– La ricorrente sostiene, poi, che l’art. 9, comma 36, del decreto-legge n. 78 del 2010, nella parte in cui si applica anche alle Regioni, violerebbe gli artt. 117, secondo comma, lettera g), terzo e quarto comma, 118, primo e secondo comma, e 119, della Costituzione.

5.4.1.– Sussisterebbe, innanzi tutto, contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera g), e quarto comma, della Costituzione. Infatti, la prima delle due disposizioni costituzionali citate attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in relazione alla materia dell’ordinamento e dell’organizzazione amministrativa degli enti pubblici nazionali; pertanto se lo Stato disciplinasse anche l’organizzazione amministrativa di enti pubblici diversi da quelli statali, verrebbe ad invadere la competenza legislativa residuale che, in virtù dell’art. 117, quarto comma, Cost., spetta alle Regioni nella materia dell’organizzazione amministrativa degli enti pubblici regionali e locali.

5.4.2.– L’art. 9, comma 36, del decreto-legge n. 78 del 2010, limitando le nuove assunzioni al 50 per cento delle entrate correnti ordinarie aventi carattere certo e continuativo e, comunque al 60 per cento della dotazione organica, lederebbe anche gli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., poiché la norma impone un vincolo di spesa puntuale, il quale non può essere legittimato dalla competenza statale a porre i «principi fondamentali» nella materia del «coordinamento della finanza pubblica».

5.4.3.– La Regione Puglia aggiunge che la norma censurata, nella parte in cui prevede che gli enti predispongano «piani annuali di assunzioni da sottoporre all’approvazione da parte dell’amministrazione vigilante d’intesa con il Dipartimento della funzione pubblica ed il Ministero dell’economia e delle finanze», contrasterebbe anche con l’art. 118, primo e secondo comma, Cost., perché alloca una funzione amministrativa (l’approvazione dei piani di assunzione) in capo al Dipartimento della funzione pubblica ed al Ministro dell’economia e delle finanze, nell’ambito di una materia diversa da quelle contemplate dall’art. 117, secondo comma, Cost.; infatti, nella parte in cui l’art. 9, comma 36, del decreto-legge n. 78 del 2010 è rivolto anche agli enti pubblici non statali, esso è ascrivibile al quarto comma dell’art. 117 Cost. e l’art. 118, secondo comma, Cost., prevede che ad allocare le funzioni amministrative sia il legislatore competente in base al precedente art. 117.

Il primo comma dell’art. 118 Cost., invece, sarebbe leso perché – a prescindere dalla questione concernente la titolarità della competenza legislativa ad allocare la funzione – la norma impugnata ha attribuito quest’ultima ad organi statali senza che ciò sia giustificato dal principio di sussidiarietà, e in particolare dalla inadeguatezza del livello regionale di governo. Infatti, posto che il fine della normativa in questione è quello di concorrere al contenimento della spesa pubblica, il controllo del rispetto dei criteri di coordinamento della finanza pubblica da parte degli enti pubblici non statali può efficacemente essere svolto dagli organi inseriti nel circuito regionale dell’indirizzo politico.

6.– In tutti i giudizi si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.

6.1.– Preliminarmente la difesa dello Stato eccepisce la tardività dei ricorsi proposti contro norme già contenute nel decreto-legge n. 78 del 2010, non modificate in sede di conversione e, quindi, in ipotesi immediatamente lesive.

6.2.– Nel merito, il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che il predetto decreto-legge è stato adottato nel pieno di una grave crisi economica internazionale, al fine di assicurare la stabilità finanziaria del Paese nella sua interezza. Le disposizioni in esso contenute, pertanto, devono essere esaminate nel loro complesso, poiché ognuna sorregge le altre al fine di raggiungere le finalità di stabilizzazione e di rilancio economico. Si tratterebbe, in particolare, di interventi normativi tutti rientranti nella competenza statale del coordinamento della finanza pubblica e che trovano fondamento nei principi fondamentali della solidarietà politica, economica e sociale (art. 2 Cost.), dell’uguaglianza economica e sociale (art. 3, secondo comma, Cost.), dell’unitarietà della Repubblica (art. 5 Cost.) e della responsabilità internazionale dello Stato (art. 10 Cost.), nonché in quelli correlati del concorso di tutti alle spese pubbliche (art. 53 Cost.), della pari dignità (art. 114 Cost.), del fondo perequativo (art. 119 Cost.), della tutela dell’unità giuridica ed economica (art. 120 Cost.) e degli altri doveri espressi dagli artt. da 41 a 47, 52 e 54 della Costituzione.

6.2.1.– Nel giudizio promosso dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste l’Avvocatura generale dello Stato deduce che, poiché le norme impugnate sono dirette a consolidare il patto di stabilità esterno ed interno, esse si applicano anche agli enti ad autonomia speciale, perché pure su questi grava il dovere di conseguire gli obiettivi di finanza pubblica, condizionati anche dagli obblighi comunitari.

6.3.– Con specifico riferimento alle censure rivolte alle disposizioni contenute nell’art. 9 del decreto-legge n. 78 del 2010, il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che esse concernono la spesa per il personale delle pubbliche amministrazioni, vale a dire uno degli aggregati di spesa più consistenti e di rilevanza strategica i fini dell’attuazione del piano di stabilità interno, con conseguente sottrazione di tali disposizioni da ogni censura di interesse regionale, anche perché si tratta di norme non permanenti, ma transitorie.

L’art. 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010 conterrebbe, poi, una disposizione di principio, cui le Regioni debbono adeguarsi.

Inoltre l’Avvocatura generale dello Stato ricorda che, con la sentenza n. 151 del 2010, questa Corte ha stabilito che la disciplina del rapporto di pubblico impiego è riconducibile alla materia dell’ordinamento civile, riservata alla competenza esclusiva statale.

6.4.– Con riferimento alla censura rivolta all’art. 14, comma 24-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010 dalla Regione Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste, il Presidente del Consiglio dei ministri, oltre a richiamare quanto dedotto rispetto all’art. 9, sostiene che tale norma detta disposizioni specifiche per le Regioni ad autonomia speciale che non violano lo statuto regionale neppure nell’ultimo periodo, ponendo un principio di riforma economico-sociale a favore dei lavoratori precari.

7.– Le parti hanno depositato memorie.

7.1.– La Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste ha chiesto in via preliminare che la Corte dichiari l’inapplicabilità ad essa delle norme oggetto della sua impugnazione, in virtù del disposto dell’art. 1, comma 132, della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2011), a norma del quale «Per gli esercizi 2011, 2012 e 2013, le regioni a statuto speciale, escluse la regione Trentino-Alto Adige e le province autonome di Trento e di Bolzano, concordano, entro il 31 dicembre di ciascun anno precedente, con il Ministro dell’economia e delle finanze il livello complessivo delle spese correnti e in conto capitale, nonché dei relativi pagamenti, in considerazione del rispettivo concorso alla manovra, determinato ai sensi del comma 131». La Regione sostiene che, poiché in data 11 novembre 2010 essa ha già raggiunto l’accordo con il Ministero per la semplificazione normativa relativamente all’assolvimento degli obblighi di carattere finanziario posti dall’ordinamento dell’Unione europea e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale, previsto dall’art. 1, comma 160, della legge n. 220 del 2010, la disciplina contenuta nel decreto-legge n. 78 del 2010 è ad essa inapplicabile.

In via subordinata, la Regione eccepisce che le norme da essa impugnate sarebbero incostituzionali anche per violazione del principio di leale collaborazione.

7.2.– Le Regioni Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna deducono l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo la possibilità di impugnare disposizioni contenute in un decreto-legge anche dopo la sua conversione in legge.

Le ricorrenti contestano che si possano ritenere legittime le disposizioni impugnate invocando la situazione di emergenza economica, la quale non consentirebbe comunque l’emanazione di norme che nel contenuto si discostino dalle regole costituzionali.

Con riferimento specifico alle disposizioni dell’art. 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 oggetto di impugnazione, le Regioni affermano che esse non attengono alla spesa complessiva per il personale pubblico, ma a singole voci componenti di quella spesa. Inoltre si tratta di norme autoapplicative che non lasciano alcun margine  di scelta alle Regioni. Alcune di esse, poi, non hanno neppure natura transitoria.

7.2.1.– In memorie successivamente depositate, le Regioni Liguria, Umbria ed Emilia-Romagna sostengono che l’art. 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010 è stato modificato dall’art. 4, comma 102, lettera a), della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - legge di stabilità 2012), il quale ha aggiunto le camere di commercio agli enti soggetti al limite relativi alle assunzioni e gli enti locali ai soggetti per i quali le disposizioni del predetto comma 28 costituiscono principi generali ai fini del coordinamento della finanza pubblica. Tuttavia simili modificazioni, ad avviso delle ricorrenti, non fanno venir meno la materia del contendere in relazione alla censura fondata sull’applicazione dell’art. 9 agli enti locali, considerato che la norma modificata ha avuto già applicazione.

Le ricorrenti menzionano, poi, le sentenze di questa Corte n. 182 e n. 232 del 2011, sottolineando che la prima ha ribadito i limiti del potere statale in materia di coordinamento della finanza pubblica, mentre la seconda ha escluso che una disposizione contenuta nel d.l. n. 78 del 2010 (e, precisamente, l’art. 43) potesse qualificarsi come principio fondamentale di coordinamento della finanza pubblica.

7.3.– La Regione Puglia deduce preliminarmente l’infondatezza dell’eccezione di tardività sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato.

Nega, poi, che situazioni di emergenza economica abilitino lo Stato a legiferare eccedendo dai limiti previsti dalla Costituzione alla sua competenza legislativa.

La difesa regionale richiama la giurisprudenza costituzionale in tema di coordinamento della finanza pubblica e, con specifico riferimento alle disposizioni dell’art. 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 oggetto di impugnativa, contesta che esse possano essere qualificate come principi fondamentali in quella materia, anche per il loro carattere autoapplicativo.

Riguardo all’art. 9, comma 31, del d.l. n. 78 del 2010, la Regione Puglia contesta la fondatezza dell’argomentazione di controparte, secondo cui la norma non avrebbe natura innovativa e, con riferimento al comma 36 dello stesso art. 9, prende atto che l’Avvocatura generale dello Stato sostiene che la norma non si applica alle Regioni; la ricorrente, pertanto, conferma che la sua autonomia costituzionale sarebbe adeguatamente salvaguardata anche da una pronuncia di rigetto fondata su una simile interpretazione della disposizione censurata.

La difesa regionale contesta, infine, che le disposizioni dell’art. 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 oggetto di impugnazione possano essere ricondotte alla materia dell’ordinamento civile, poiché esse non attengono alla disciplina degli istituti contrattuali del rapporto di impiego pubblico. 

7.4.– Anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato memorie nelle quali ha ribadito argomentazioni già svolte in sede di costituzione in giudizio.

In particolare, l’Avvocatura generale dello Stato ha riaffermato che le previsioni contenute nell’art. 9 del decreto-legge n. 78 del 2010 soddisfano i requisiti richiesti dalla giurisprudenza di questa Corte affinché le norme statali che impongono limiti alla spesa di Regioni ed enti locali possano qualificarsi come principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica. Infatti, esse pongono solamente obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica (intesi anche nel senso di un transitorio contenimento complessivo, sebbene non generale, della spesa corrente), senza prevedere strumenti o modalità per il loro perseguimento. Quanto all’art. 9, comma 36, del decreto-legge n. 78 del 2010, la difesa dello Stato sostiene che esso, riferendosi agli enti di nuova istituzione, non si applica alle Regioni.

Il Presidente del Consiglio dei ministri, con riferimento all’art. 9, commi 3, 28, 29, 31 e 36 del decreto-legge n. 78 del 2010 sostiene che trattasi di disposizioni di principio e, pertanto, legittimamente emanate dallo Stato nell’esercizio della propria competenza legislativa in materia di coordinamento della finanza pubblica. Il comma 28, inoltre, è riconducibile anche alla materia dell’ordinamento civile.

Quanto all’art. 14, comma 24-bis, la difesa dello Stato sostiene che, trattandosi di disposizione che contiene una deroga, a favore delle Regioni ad autonomia speciale, del limite imposto dall’art. 9, comma 28, essa è una norma di favore per i predetti enti. Per quel che concerne, poi, l’ultimo periodo (che prescrive che le Regioni, per l’attuazione dei processi assunzionali previsti dalla normativa vigente, debbano prioritariamente  attingere ai lavoratori a tempo determinato), il Presidente del Consiglio dei ministri afferma che si tratta di una norma di principio ispirata a criteri solidaristici, diretta ad assicurare la stabilità occupazionale e ad evitare un aumento insostenibile dell’impiego pubblico a tutela del patto di stabilità.

Considerato in diritto

1.– Con distinti ricorsi, la Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e le Regioni Liguria, Umbria, Emilia-Romagna e Puglia hanno promosso, tra l’altro, questioni di legittimità costituzionale degli articoli 9, commi 3, 28, 29, 31 e 36, e 14, comma 24-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge, con modificazioni, dall’articolo 1 della legge 30 luglio 2010, n. 122, in riferimento – nel complesso – agli articoli 3, 36, 39, 97, 117, secondo comma, lettera g), terzo e quarto comma, 118, primo comma, e 119 della Costituzione, dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della Parte seconda della Costituzione), degli articoli 2, lettera a), 3, lettere f) e l), 4, primo comma, e 12 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), e del principio di ragionevolezza.

2.– In particolare, la Regione Liguria ha censurato l’art. 9, comma 3, del decreto-legge n. 78 del 2010, il quale stabilisce che nei confronti dei titolari di incarichi di livello dirigenziale generale delle amministrazioni pubbliche non si applicano le disposizioni normative e contrattuali che autorizzano la corresponsione, a loro favore, di una quota dell’importo derivante dall’espletamento di incarichi aggiuntivi.

Ad avviso della ricorrente, tale norma vìola sia l’art. 117, terzo comma, della Costituzione, perché, ponendo limiti rigidi a una specifica voce di spesa, eccede dalla competenza statale concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica, sia l’art. 119 della Costituzione, poiché, concernendo una specifica voce di spesa e fissando con precisione la misura del taglio, lede l’autonomia organizzativa e finanziaria delle Regioni e degli enti locali.

La Regione Liguria afferma che sono violati anche il principio di ragionevolezza e gli artt. 36 e 39 Cost., perché, riducendo i trattamenti fissati nei contratti collettivi, la norma impugnata produce un’ingiustificata ed irragionevole alterazione del sinallagma contrattuale e vìola la riserva di contrattazione collettiva in materia di retribuzioni, alterando le scelte compiute dall’Agenzia per la rappresentanza nazionale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) per conto delle Regioni e ponendo limiti puntuali a specifiche voci di spesa regionale.

3.– Tutte le ricorrenti propongono questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010, il quale, con disposizioni espressamente qualificate come principi generali di coordinamento della finanza pubblica, impone, a partire dal 2011, vincoli alla possibilità per le pubbliche amministrazioni statali di ricorrere alle assunzioni a tempo determinato e alla stipula di convenzioni e contratti di collaborazione coordinata e continuativa, nonché restrizioni alla spesa per i contratti di formazione-lavoro, gli altri rapporti formativi, la somministrazione di lavoro e il lavoro accessorio.

Le ricorrenti impugnano tali disposizioni per violazione degli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., sostenendo che esse eccedono dalla competenza legislativa statale concorrente, perché pongono limiti ad una specifica voce di spesa e fissano misure di dettaglio.

La Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste lamenta anche la violazione dell’art. 3, lettera l), dello statuto di autonomia speciale, perché, nella parte in cui si riferisce anche agli enti del servizio sanitario nazionale, l’art. 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010 lede la competenza regionale in materia di «igiene e sanità, assistenza ospedaliera e profilattica», nonché dell’art. 117, quarto comma, Cost., che attribuisce alle Regioni una competenza esclusiva in materia di organizzazione sanitaria.

La stessa Regione impugna la predetta norma statale anche in combinato disposto con il successivo art. 14, comma 24-bis, il quale stabilisce che il limite di spesa previsto dall’art. 9, comma 28, può essere superato esclusivamente nel caso di proroga dei rapporti di lavoro a tempo determinato stipulati dalle Regioni a statuto speciale, nonché dagli enti territoriali facenti parte delle predette Regioni, «a valere sulle risorse finanziarie aggiuntive appositamente reperite da queste ultime attraverso apposite misure di riduzione e razionalizzazione della spesa», fatto salvo, comunque, il rispetto dei vincoli e degli obiettivi di contenimento della spesa pubblica previsti dal patto di stabilità interno, e che per l’attuazione dei «processi assunzionali la regione è tenuta ad attingere prioritariamente ai lavoratori a tempo determinato».

Ad avviso della difesa regionale, in questa maniera sarebbero lesi gli artt. 2, lettera a), e 4, primo comma, dello statuto speciale e l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, che attribuiscono alla Regione la competenza primaria in materia di «ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti dalla Regione e stato giuridico ed economico del personale». Sussisterebbe, poi, contrasto con l’art. 3, lettera f), dello statuto e con gli artt. 117, terzo comma, e 119, secondo comma, Cost., poiché le norme impugnate si risolvono nell’imposizione di misure analitiche e di dettaglio che non lasciano alcun margine di intervento al legislatore regionale. Infine sarebbero violati gli artt. 3, lettera f), e 12 dello statuto, l’art. 119 Cost., e l’art. 10 della legge cost. n. 3 del 2001, poiché il legislatore statale, esorbitando dalla sua competenza concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica, ha imposto alla Regione valdostana l’istituzione di risorse aggiuntive, fissato le modalità del loro reperimento e individuato la relativa destinazione, così violando l’autonomia finanziaria di entrata della Regione medesima.

4.– É impugnato anche l’art. 9, comma 29, del decreto-legge n. 78 del 2010, il quale stabilisce che le società inserite nel conto economico consolidato della pubblica amministrazione, controllate direttamente o indirettamente dalle amministrazioni pubbliche, «adeguano le loro politiche assunzionali alle disposizioni previste nel presente articolo».

Le Regioni Liguria e Puglia lamentano il contrasto di tale norma con gli artt. 117, secondo comma, lettera g), terzo e quarto comma, e 119 Cost., denunciando la lesione della competenza regionale residuale in tema di società partecipate dalle Regioni e dagli enti locali e la compressione dell’autonomia finanziaria delle Regioni, stante il carattere dettagliato della disposizione.

5.– La Regione Puglia impugna anche l’art. 9, comma 31, del decreto-legge n. 78 del 2010, il quale stabilisce che i trattenimenti in servizio del personale delle pubbliche amministrazioni possono avvenire esclusivamente entro i limiti delle facoltà di assunzione consentiti in base alle cessazioni del personale. La ricorrente lamenta la violazione degli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., denunciando la lesione della propria competenza residuale in materia di ordinamento degli uffici regionali e degli enti locali ed eccepisce che, se si volesse ricondurre la norma nell’àmbito del coordinamento della finanza pubblica, essa sarebbe comunque illegittima in considerazione della sua natura di vincolo puntuale alla spesa.

6.– Le Regioni Liguria e Puglia impugnano, infine, l’art. 9, comma 36, del decreto-legge n. 78 del 2010, il quale impone un vincolo alle facoltà di assunzione degli enti pubblici di nuova istituzione, stabilendo che questi possono procedere ad assunzioni «nel limite del 50% delle entrate correnti ordinarie aventi carattere certo e continuativo e, comunque nel limite complessivo del 60% della dotazione organica». La norma, inoltre, prevede che gli enti predispongano piani annuali di assunzioni che debbono essere approvati dall’amministrazione vigilante d’intesa con il Dipartimento della funzione pubblica ed il Ministero dell’economia e delle finanze.

Le ricorrenti, denunciando il contrasto di tale norma con gli artt. 3, 97, 117 e 119 Cost., lamentano che lo Stato ha ecceduto dalla propria competenza legislativa, sia perché si tratta di norma attinente all’organizzazione di enti non statali (riservata alla competenza residuale regionale), sia perché il carattere dettagliato della disposizione ne impedisce la qualificazione come principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica. Esse denunciano altresì la violazione dell’art. 118 Cost., poiché la norma censurata attribuisce ad organi statali la funzione dell’approvazione dei piani assunzionali, senza che ciò sia giustificato dall’inadeguatezza del livello regionale di governo e in una materia diversa da quelle previste dall’art. 117, secondo comma, della Costituzione.

7.– Riservata a diverse pronunce la decisione sulle altre questioni promosse dalle ricorrenti, i ricorsi debbono essere riuniti per essere decisi con la stessa sentenza.

8.– Il Presidente del Consiglio dei ministri preliminarmente eccepisce la tardività dei ricorsi perché proposti contro norme già contenute nel decreto-legge n. 78 del 2010, non modificate in sede di conversione e, quindi, in ipotesi immediatamente lesive, onde esse avrebbero dovuto essere impugnate con ricorsi proposti entro 60 giorni dall’emanazione del decreto-legge e non, come avvenuto nella fattispecie, dopo la conversione in legge.

L’eccezione non è fondata.

Questa Corte, infatti, ha ripetutamente affermato l’ammissibilità di questioni concernenti disposizioni contenute in un decreto-legge proposte solamente successivamente alla conversione in legge (tra le tante, sentenza n. 383 del 2005).

9.– In ordine alle questioni promosse dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste contro gli artt. 9, comma 28, e 14, comma 24-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010 deve essere dichiarata la cessazione della materia del contendere.

In effetti, la ricorrente, nella memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica dell’8 maggio 2011, ha affermato che, a séguito della sopravvenuta entrata in vigore della legge 13 dicembre 2010, n. 220 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge di stabilità 2011), il suo concorso agli obiettivi di finanza pubblica ha luogo, ormai, con misure da definire mediante accordi con lo Stato. Si tratta, precisamente, dell’accordo con il Ministro dell’economia e delle finanze previsto dall’art. 1, comma 132, della legge n. 220 del 2010 e di quello con il Ministro per la semplificazione normativa, ai sensi dell’art. 1, commi 160 e seguenti della stessa legge n. 220 del 2010. Alla luce di tale normativa, la Regione ricorrente sostiene che le disposizioni impugnate non sono ad essa applicabili, perché introducono misure volte ad assicurare il proprio concorso agli obiettivi di finanza pubblica senza che esse siano state pattuite mediante i menzionati accordi.

La ricorrente ha prodotto in giudizio una copia dell’accordo concluso in data 11 novembre 2010 con il Ministro per la semplificazione, con la denominazione «Accordo tra lo Stato e la Regione autonoma Valle d’Aosta per il coordinamento della finanza pubblica nell’ambito del processo di attuazione del federalismo fiscale, in attuazione dell’art. 119 della Costituzione». Tale accordo non è stato concluso nel rispetto di quanto previsto dai commi 160 e seguenti dell’art. 1 della legge n. 220 del 2010 (entrata in vigore il 1° gennaio 2011), ma in dichiarata applicazione della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), al fine di «modificare l’ordinamento finanziario della Regione e di definire specifiche norme di coordinamento finanziario». In attuazione di tale accordo – il quale prevede che gli obiettivi finanziari in esso pattuiti «sono approvati con legge ordinaria dello Stato […]» – è poi effettivamente intervenuta la citata legge n. 220 del 2010, la quale, al comma 160 del suo art. 1, stabilisce che: «Ai sensi del combinato disposto dell’articolo 27 della legge 5 maggio 2009, n. 42, e dell’articolo 50 dello Statuto speciale per la Valle d’Aosta, di cui alla legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4, e successive modificazioni, la regione Valle d’Aosta concorre […] all’assolvimento degli obblighi di carattere finanziario posti dall’ordinamento dell’Unione europea e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica stabilite dalla normativa statale, attraverso le misure previste nell’accordo sottoscritto tra il Ministro per la semplificazione normativa e il presidente della regione Valle d’Aosta: a) con la progressiva riduzione della somma sostitutiva dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione a decorrere dall’anno 2011 fino alla soppressione della medesima dall’anno 2017; b) con il concorso finanziario ulteriore al riequilibrio della finanza pubblica, mediante l’assunzione di oneri relativi all’esercizio di funzioni statali, relative ai servizi ferroviari di interesse locale; c) con la rimodulazione delle entrate spettanti alla regione Valle d’Aosta».

Dalla conclusione di quest’ultimo accordo e dalla successiva approvazione dei suoi obiettivi finanziari ad opera della citata legge n. 220 del 2010 – atti entrambi sopravvenuti al decreto-legge n. 78 del 2010 recante la disposizione impugnata – consegue che il concorso della Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste all’assolvimento degli obblighi di carattere finanziario posti dall’ordinamento dell’Unione europea e dalle altre misure di coordinamento della finanza pubblica fissate dalla normativa statale è rimesso, per le annualità successive al 2010, alle misure previste nell’accordo stesso e nella legge che lo recepisce. Pertanto, gli artt. 9, comma 28, e 14, comma 24-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010 (che dispongono esclusivamente per gli anni successivi al 2010) sono applicabili a detta Regione solo, eventualmente, attraverso le misure fissate nell’accordo e approvate con legge ordinaria dello Stato. Essi, dunque, non trovando diretta applicazione nei confronti di tale Regione autonoma, non possono violarne l’autonomia legislativa e finanziaria, con conseguente cessazione della materia del contendere in ordine alle questioni promosse dalla ricorrente.

10.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 3, del decreto-legge n. 78 del 2010 promosse dalla Regione Liguria sono in parte inammissibili e in parte non fondate.

10.1.– La norma impugnata stabilisce che nei confronti dei titolari di incarichi di livello dirigenziale generale delle amministrazioni pubbliche non si applicano le disposizioni normative e contrattuali che autorizzano la corresponsione, a loro favore, di una quota dell’importo derivante dall’espletamento di incarichi aggiuntivi.

10.2.– Le questioni promosse in riferimento al principio di ragionevolezza e all’art. 36 Cost. sono inammissibili.

Ad avviso della ricorrente, la norma impugnata, riducendo i trattamenti fissati nei contratti collettivi, che si presumono essere quelli proporzionati alla qualità e quantità del lavoro prestato, determinerebbe una ingiustificata ed irragionevole alterazione del sinallagma contrattuale e tale violazione si rifletterebbe in lesione dell’autonomia finanziaria ed organizzativa regionale, riguardando la gestione del personale regionale e del bilancio.

La censura è inammissibile, risolvendosi nella evocazione di parametri non attinenti al riparto di competenza legislativa tra Stato e Regioni. Né sussiste il preteso collegamento con l’autonomia finanziaria ed organizzativa delle Regioni, non potendosi affermare che una norma statale che abbia incidenza sulla disciplina del rapporto di lavoro dei dipendenti pubblici costituisca di per sé una compromissione delle prerogative regionali.

10.3.– Le questioni promosse in riferimento all’art. 117, terzo comma, e 119, Cost., non sono fondate.

La Regione Liguria denuncia la natura autoapplicativa ed il carattere di dettaglio della norma censurata, insuscettibile di essere considerata come principio fondamentale, con conseguente lesione dell’autonomia finanziaria ed organizzativa delle Regioni.

In realtà, nella parte in cui la disposizione si applica al personale dirigenziale regionale e provinciale (i cui rapporti di impiego sono tutti contrattualizzati), essa è riconducibile nella materia dell’ordinamento civile.

Infatti l’art. 9, comma 3, del decreto-legge n. 78 del 2010 non fa altro che rafforzare il principio già affermato dall’art. 24 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), a norma del quale il trattamento economico corrisposto ai dirigenti pubblici «remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai dirigenti in base a quanto previsto dal presente decreto, nonché qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del loro ufficio o comunque conferito dall’amministrazione presso cui prestano servizio o su designazione della stessa; i compensi dovuti dai terzi sono corrisposti direttamente alla medesima amministrazione e confluiscono nelle risorse destinate al trattamento economico accessorio della dirigenza».

Si tratta di disciplina diretta a conformare due degli istituti del rapporto di lavoro che lega i dirigenti alle pubbliche amministrazioni di appartenenza quali sono il trattamento economico e soprattutto il regime di esclusività. L’art. 9, comma 3, del decreto-legge n. 78 del 2010, dunque, attiene direttamente ai diritti e agli obblighi gravanti sulle parti del contratto di lavoro pubblico, stabilendo, in sostanza, che il trattamento economico erogato al dirigente dall’amministrazione di appartenenza remunera tutta l’attività da lui svolta, anche quella connessa con lo svolgimento di incarichi aggiuntivi che, seppure non vietata in assoluto, non può dar luogo alla corresponsione, a favore del dirigente medesimo, di emolumenti che si aggiungano a quel trattamento economico.

10.4.– Ad avviso della ricorrente sarebbe leso anche l’art. 39 Cost., perché la norma statale impugnata, incidendo sull’entità dei trattamenti economici determinata dai contratti collettivi, violerebbe la riserva di contrattazione in materia di retribuzioni e tale violazione si tradurrebbe in lesione dell’autonomia organizzativa e finanziaria regionale, perché lo Stato avrebbe alterato unilateralmente le scelte fatte dall’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni (ARAN) per conto delle Regioni e posto limiti puntuali a specifiche voci di spesa regionale.

La questione non è fondata.

La norma censurata integra la disciplina dell’istituto delle incompatibilità e degli incarichi aggiuntivi dei dirigenti pubblici e, dunque, non attiene a materia oggetto di contrattazione collettiva. Il compenso spettante al dirigente per gli incarichi aggiuntivi esula dall’attività svolta in esecuzione del contratto di impiego che lo lega all’ente pubblico. Si tratta, cioè, di un àmbito diverso da quello in cui vengono in rilevanza le scelte compiute dall’ARAN per conto delle Regioni.

11.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010, promosse dalle Regioni Liguria, Umbria, Emilia-Romagna e Puglia in riferimento agli artt. 117, terzo comma, e 119 Cost., non sono fondate.

La norma statale impugnata, con disposizione espressamente qualificata come principio generale di coordinamento della finanza pubblica, al quale devono adeguarsi le Regioni, le Province autonome, e gli enti del Servizio sanitario nazionale, impone, a partire dal 2011, limiti alla possibilità per le pubbliche amministrazioni statali di ricorrere alle assunzioni a tempo determinato e alla stipula di convenzioni e contratti di collaborazione coordinata e continuativa (il limite è quello del 50 per cento della spesa sostenuta per le stesse finalità nel 2009); nonché limiti alla spesa sostenibile dalle stesse amministrazioni per i contratti di formazione-lavoro, gli altri rapporti formativi, la somministrazione di lavoro e il lavoro accessorio (anche qui il limite è pari al 50 per cento della corrispondente spesa sostenuta nel 2009).

Successivamente alla proposizione dei ricorsi, l’art. 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010 è stato modificato dall’art. 4, comma 102, della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2012). In particolare, il legislatore ha integrato l’elenco delle amministrazioni soggette al limite previsto dalla norma impugnata, inserendovi espressamente le Camere di commercio e gli enti locali. Tale modifica non altera i termini della questione così come risultanti dai ricorsi in esame, poiché l’intervento del 2011 non tocca gli aspetti della norma oggetto di doglianza da parte delle ricorrenti. Si aggiunga che, in base all’art. 36 della legge n. 183 del 2011, le descritte modifiche della norma impugnata hanno effetto dal 1° gennaio 2012, onde il testo originario dell’art. 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010 ha comunque avuto vigore per tutto il 2011.

Orbene, le doglianze formulate dalle ricorrenti non sono fondate, perché la norma oggetto della presente questione è stata legittimamente emanata dallo Stato nell’esercizio della sua competenza concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica. Essa, infatti, pone un obiettivo generale di contenimento della spesa relativa ad un vasto settore del personale e, precisamente, a quello costituito da quanti collaborano con le pubbliche amministrazioni in virtù di contratti diversi dal rapporto di impiego a tempo indeterminato. L’art. 9, comma 28, censurato, d’altronde, lascia alle singole amministrazioni la scelta circa le misure da adottare con riferimento ad ognuna delle categorie di rapporti di lavoro da esso previste. Ciascun ente pubblico può determinare se e quanto ridurre la spesa relativa a ogni singola tipologia contrattuale, ferma restando la necessità di osservare il limite della riduzione del 50 per cento della spesa complessiva rispetto a quella sostenuta nel 2009.

12.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 29, del decreto-legge n. 78 del 2010 promosse dalle Regioni Liguria e Puglia in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera g), terzo e quarto comma, e 119 Cost., non sono fondate.

La norma censurata estende anche a soggetti di diritto privato (quali sono le società partecipate dalle pubbliche amministrazioni), le disposizioni in tema di assunzioni.

Questa Corte ha già affermato che le disposizioni in tema di «regime giuridico» delle società partecipate dalle pubbliche amministrazioni debbono essere ricondotte alla materia dell’ordinamento civile tutte le volte in cui esse non attengano alle forme di svolgimento di attività amministrativa (sentenza n. 326 del 2008). Anche la norma, oggetto della presente questione, riguarda la disciplina delle assunzioni valevole per i soggetti di diritto privato di cui si tratta ed è estranea ai profili strettamente connessi con lo svolgimento di attività amministrativa. Essa, pertanto, dev’essere ricondotta alla normativa in tema di ordinamento di queste società di capitali, oggetto, in generale, di norme di diritto privato.

Da ciò consegue l’infondatezza delle censure sollevate dalle ricorrenti, per avere lo Stato emanato la norma nell’esercizio della competenza legislativa attribuitagli dall’art. 117, secondo comma, lettera l), della Costituzione.

13.– Neppure le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 31, del decreto-legge n. 78 del 2010 promosse dalla Regione Puglia in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 119 Cost., sono fondate.

La norma impugnata introduce un limite all’esercizio della facoltà delle pubbliche amministrazioni di accogliere le istanze di trattenimento in servizio per un biennio oltre il raggiungimento dell’età pensionabile proposte dai dipendenti ai sensi dell’art. 72 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 6 agosto 2008, n. 133. Essa, in particolare, stabilisce che i trattenimenti in servizio possono avvenire esclusivamente entro i limiti delle facoltà di assunzione consentiti in base alle cessazioni del personale, con conseguente proporzionale riduzione delle risorse destinabili alle nuove assunzioni per un importo pari al trattamento retributivo derivante dai trattenimenti in servizio.

La disposizione, dunque, equipara, ai fini dell’applicazione dei limiti alle assunzioni imposti alle pubbliche amministrazioni da altre norme, i trattenimenti in servizio alle assunzioni di nuovo personale. Ciò, evidentemente, sulla base della constatazione del fatto che, sul piano dei conseguenti oneri finanziari a carico dell’ente pubblico, il trattenimento in servizio produce effetti analoghi a quelli dell’assunzione. La norma censurata, dunque, non fa altro che integrare la generale disciplina in tema di limiti alle assunzioni dettata da altre disposizioni in materia di coordinamento della finanza pubblica. E ciò fa enunciando un principio di natura generale secondo il quale anche i provvedimenti di trattenimento in servizio dei dipendenti oltre il compimento dell’età pensionabile, vanno considerati, ai fini della verifica del rispetto di quei limiti, alla stregua di assunzioni. Anche l’art. 9, comma 31, del decreto-legge n. 78 del 2010 è stato, quindi, legittimamente emanato dallo Stato nell’esercizio della sua competenza concorrente in materia di coordinamento della finanza pubblica.

14.– Le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 36, del decreto-legge n. 78 del 2010 promosse dalle Regioni Liguria e Puglia, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, secondo comma, lettera g), terzo e quarto comma, 118, primo comma, e 119 Cost., non sono fondate.

Anche la norma statale oggetto di tale questione impone un vincolo alle facoltà di assunzione delle pubbliche amministrazioni, statuendo che gli enti pubblici di nuova istituzione possono procedere ad assunzioni «nel limite del 50% delle entrate correnti ordinarie aventi carattere certo e continuativo e, comunque nel limite complessivo del 60% della dotazione organica». Stabilisce, inoltre, che gli enti predispongano piani annuali di assunzioni che debbono essere approvati dall’amministrazione vigilante d’intesa con il Dipartimento della funzione pubblica ed il Ministero dell’economia e delle finanze.

La norma impugnata non prevede alcun limite al proprio àmbito soggettivo di applicabilità, riferendosi genericamente agli «enti di nuova istituzione», e non consente un’interpretazione che restringa l’operatività della disposizione ai soli enti statali.

Non sono condivisibili, pertanto, le argomentazioni secondo cui lo Stato avrebbe ecceduto dalla propria competenza legislativa, perché si tratterebbe di norma attinente all’organizzazione di enti non statali (riservata alla competenza residuale regionale), ovvero perché il carattere dettagliato della disposizione ne impedirebbe la qualificazione come principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica. Neppure sono condivisibili quelle secondo cui vi sarebbe violazione dell’art. 118 Cost., poiché la norma censurata attribuirebbe ad organi statali la funzione dell’approvazione dei piani di assunzione in una materia diversa da quelle di cui all’art. 117, secondo comma, Cost., senza peraltro che ciò sia giustificato dall’inadeguatezza del livello regionale di governo.

Invero, anche le disposizioni dettate dall’art. 9, comma 36, del decreto-legge n. 78 del 2010 sono complementari alle limitazioni alle assunzioni da parte di pubbliche amministrazioni contenute nelle generali disposizioni della legislazione statale di principio in materia. In effetti, esse mirano ad evitare che quelle limitazioni (che riguardano le amministrazioni già esistenti) siano eluse mediante l’istituzione di nuovi enti che possano procedere a indiscriminate nuove assunzioni. Pertanto, l’art. 9, comma 36, del decreto-legge n. 78 del 2010 partecipa della natura di principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica.

Anche l’attribuzione al Dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell’economia e delle finanze di competenze in ordine all’approvazione dei piani di assunzione è riconducibile alla competenza legislativa statale in questione, trattandosi di una misura accessoria al limite generale introdotto dallo stesso art. 9, comma 36, e finalizzata ad assicurarne il rispetto.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

riservata a diverse pronunce la decisione sulle altre questioni promosse dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste e dalle Regioni Liguria, Umbria, Emilia-Romagna e Puglia con i ricorsi indicati in epigrafe,

1) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 9, comma 3, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 30 luglio 2010, n. 122, promosse, in riferimento all’articolo 36 della Costituzione e al principio di ragionevolezza, dalla Regione Liguria con il ricorso indicato in epigrafe;

2) dichiara cessata la materia del contendere in ordine alle questioni legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 28, e del combinato disposto degli articoli 9, comma 28, e 14, comma 24-bis, del decreto-legge n. 78 del 2010, promosse, in riferimento agli articoli 117, terzo e quarto comma, e 119 della Costituzione, all’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al Titolo V della Parte seconda della Costituzione), e agli articoli 2, lettera a), 3, lettere f) e l), 4, primo comma, e 12 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la Valle d’Aosta), dalla Regione autonoma Valle d’Aosta/Vallée d’Aoste con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 3, del decreto-legge n. 78 del 2010, promosse, in riferimento agli articoli 39, 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, dalla Regione Liguria con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 28, del decreto-legge n. 78 del 2010, promosse, in riferimento agli articoli 117, terzo comma, e 119 della Costituzione, dalle Regioni Liguria, Umbria, Emilia-Romagna e Puglia con i ricorsi indicati in epigrafe;

5) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 29, del decreto-legge n. 78 del 2010, promosse, in riferimento agli articoli 117, secondo comma, lettera g), terzo e quarto comma, e 119 della Costituzione, dalle Regioni Liguria e Puglia con i ricorsi indicati in epigrafe;

6) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 31, del decreto-legge n. 78 del 2010, promosse, in riferimento agli articoli 117, terzo e quarto comma, e 119 della Costituzione, dalla Regione Puglia con il ricorso indicato in epigrafe;

7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 36, del decreto-legge n. 78 del 2010, promosse, in riferimento agli articoli 3, 97, 117, secondo comma, lettera g), terzo e quarto comma, 118, primo comma, e 119 della Costituzione, dalle Regioni Liguria e Puglia con i ricorsi indicati in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 2 luglio 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Luigi MAZZELLA, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2012.