Ordinanza n. 197 del 2011

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ORDINANZA N. 197

ANNO 2011

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Alfonso                      QUARANTA                        Presidente

-           Paolo                          MADDALENA                     Giudice

-           Alfio                           FINOCCHIARO                            "

-           Franco                        GALLO                                         "

-           Luigi                           MAZZELLA                                 "

-           Gaetano                      SILVESTRI                                   "

-           Sabino                        CASSESE                                      "

-           Giuseppe                    TESAURO                                    "

-           Paolo Maria                NAPOLITANO                             "

-           Giuseppe                    FRIGO                                           "

-           Alessandro                 CRISCUOLO                                "

-           Paolo                          GROSSI                                        "

-           Giorgio                       LATTANZI                                   "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell’approvazione, da parte del Senato della Repubblica, in data 20 aprile 2011 (in sede di discussione sulla conversione in legge del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34), dell’emendamento governativo n. 5800 (testo corretto) e della delibera della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi del 4 maggio 2011, promosso da Antonio Di Pietro ed altri nella qualità di promotori e presentatori della richiesta di referendum abrogativo di alcune norme in materia di nuove centrali per la produzione di energia nucleare, con ricorso depositato in cancelleria l’11 maggio 2011 ed iscritto al n. 6 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2011, fase di ammissibilità.

Udito nella camera di consiglio del 7 giugno 2011 il Giudice relatore Paolo Grossi.

Ritenuto che, con ricorso depositato l’11 maggio 2011, Antonio Di Pietro, Vincenzo Maruccio, Benedetta Parenti e Gianluca De Filio, nella qualità di promotori e presentatori della richiesta di referendum abrogativo delle «Norme in materia di nuove centrali per la produzione di energia nucleare», hanno sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti: a) del Senato della Repubblica, in riferimento alla approvazione, con modificazioni, in data 20 aprile 2011, del disegno di legge n. 2665 di conversione del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34 (Disposizioni urgenti in favore della cultura, in materia di incroci tra settori della stampa e della televisione, di razionalizzazione dello spettro radioelettrico, di moratoria nucleare, di partecipazione della Cassa depositi e prestiti, nonché per gli enti del Servizio sanitario nazionale della regione Abruzzo), limitatamente alla menomazione, che si asserisce esser stata arrecata ai promotori e sottoscrittori della richiesta referendaria, dal voto con il quale l’assemblea ha approvato l’emendamento governativo n. 5800 («testo corretto») che ha radicalmente modificato l’art. 5 del citato decreto-legge n. 34 del 2011; b), «per quanto possa occorrere», del Governo, in persona del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore, in riferimento alla presentazione del menzionato emendamento n. 5800 («testo corretto»); c) della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, con riferimento alla delibera approvata dalla medesima Commissione nella seduta del 4 maggio 2011, contenente «Disposizioni in materia di comunicazione politica, messaggi autogestiti e informazione della concessionaria pubblica nonché tribune relative alle campagne per i referendum popolari indetti per i giorni 12 e 13 giugno 2011», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 104 del 6 maggio 2011;

che, data per pacifica la sussistenza dei presupposti soggettivi del conflitto, con riguardo alla contestata approvazione, con modificazioni, in data 20 aprile 2011, del disegno di legge n. 2665 di conversione del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, i ricorrenti deducono che – sulla base di quanto enunciato nella sentenza n. 68 del 1978, in ordine al fatto che il legislatore non può «bloccare» il procedimento referendario se i princìpi ispiratori della nuova disciplina non divergono da quelli della normativa sottoposta a referendum –, ove la disciplina modificativa si presenti, ad un tempo, ispirata agli stessi principi della norma oggetto di quesito referendario, e risulti, inoltre, manifestamente incostituzionale per carenza dei requisiti di straordinaria necessità ed urgenza, si deve riconoscere in capo ai promotori il potere di sollevare conflitto di attribuzione, non soltanto contro le leggi, ma anche contro gli atti endoprocedimentali manifestamente viziati e volti a determinare, come nella specie, la sopravvenuta inutilità del referendum;

che l’emendamento contestato reca, ai commi 1 ed 8, un testo che ricalca nella sostanza la richiesta di abrogazione enunciata nei quesiti referendari, mentre la ratio che permea l’intera proposta emendativa è quella di configurare solo una moratoria, come attestato dalle dichiarazioni rese dal Ministro per lo Sviluppo economico nel corso del dibattito al Senato, e dal Presidente del Consiglio dei ministri;

che, dunque, risulterebbe evidente, da un lato, che la proposta abrogazione legislativa mira soltanto ad evitare che sulle norme vigenti si pronuncino i cittadini; e, dall’altro lato, che l’adeguamento degli impianti ai nuovi parametri di sicurezza non giustifica la necessità e l’urgenza di abrogare le norme contenute nel decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 31 (Disciplina della localizzazione, della realizzazione e dell’esercizio nel territorio nazionale di impianti di produzione di energia elettrica nucleare, di impianti di fabbricazione del combustibile nucleare, dei sistemi di stoccaggio del combustibile irraggiato e dei rifiuti radioattivi, nonché benefici economici e campagne informative al pubblico, a norma dell’articolo 25 della legge 23 luglio 2009, n. 99), con conseguente violazione dell’art. 77, secondo comma, della Costituzione, nonché dell’art. 97 del Regolamento del Senato della Repubblica, in quanto l’emendamento in contestazione sarebbe estraneo «all’oggetto della discussione» e sarebbe come tale improponibile;

che, d’altra parte, i promotori osservano che la illegittimità può derivare anche dagli emendamenti inseriti in sede di conversione, come sottolineato dalla giurisprudenza costituzionale e come rammentato dal Capo dello Stato in messaggi motivati tesi a richiamare l’osservanza da parte delle Camere dei princìpi sanciti dalla Costituzione in tema di decretazione di urgenza e come attestato dagli impegni assunti in proposito dal Governo e dai Presidenti dei gruppi parlamentari;

che, con riferimento alla delibera approvata dalla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, contenente «Disposizioni in materia di comunicazione politica, messaggi autogestiti e informazione della concessionaria pubblica nonché tribune relative alle campagne per i referendum popolari indetti per i giorni 12 e 13 giugno 2011», i ricorrenti osservano come la detta Commissione parlamentare, adottando soltanto in data 4 maggio 2011 la delibera in oggetto, pubblicata, poi, nella G.U. il 6 maggio, nonché introducendo in essa alcune disposizioni (di seguito indicate) ulteriormente limitative degli spazi temporali a disposizione dei promotori e dei sottoscrittori, abbia gravemente ristretto la facoltà di partecipazione ai dibattiti televisivi dei sostenitori del referendum, con conseguente grave menomazione del potere referendario, quale espressione della sovranità popolare, riducendo a poco più di due settimane il tempo previsto dal legislatore per le campagne referendarie sul servizio pubblico radiotelevisivo;

che, in tal modo, secondo i ricorrenti la Commissione parlamentare avrebbe violato gli articoli 1, 3, 21, 48, 75 della Costituzione, gli artt. 2, 3, 4, 5 e 9 della legge 22 febbraio 2000, n. 28 (Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica); l’art. 52 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo); gli articoli 1 e 4 della legge 14 aprile 1975, n. 103 (Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva); l’art. 1, comma 1, della legge 10 dicembre 1993, n. 515 (Disciplina della campagne elettorali per l’elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica) e l’art. 3 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177 (Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici);

che, in particolare, i ricorrenti, dopo avere richiamato le disposizioni a loro avviso rilevanti della legge n. 28 del 2000 e la delibera del 29 ottobre 2003 della stessa Commissione parlamentare di vigilanza, in ordine alla delimitazione dei periodi interessati dalle campagne elettorali o referendarie, osservano che con decreto del Presidente della Repubblica 23 marzo 2011 (Indizione del referendum popolare per l’abrogazione di norme della legge 7 aprile 2010, n. 51, in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale, quale risultante a seguito della sentenza n. 23 del 2011 della Corte costituzionale), pubblicato nella G.U. n. 77 del 4 aprile 2011, è stato indetto il referendum popolare per l’abrogazione della citata legge n. 51 del 2010 e sono stati convocati i relativi comizi per i giorni 12 e 13 giugno 2011.

che, sebbene l’art. 5, comma 1, della legge n. 28 del 2000 preveda che la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi debba definire, non oltre il quinto giorno successivo all’indizione dei comizi elettorali, i criteri specifici ai quali, fino alla chiusura delle operazioni di voto, la concessionaria pubblica e le emittenti radiotelevisive private devono conformarsi nei programmi di informazione, al fine di garantire la parità di trattamento, l’obiettività, la completezza e l’imparzialità dell’informazione, la detta Commissione parlamentare solo il 4 maggio 2011 ha approvato la delibera, poi pubblicata nella G.U. n. 104 del 6 maggio 2011;

che, con riferimento alla delimitazione dei periodi interessati dalle campagne elettorali o referendarie, i ricorrenti indicano la delibera del 29 ottobre 2003 con cui la Commissione parlamentare ha affermato che «i periodi interessati da campagne elettorali o referendarie sono quelli compresi tra le ore ventiquattro del giorno di pubblicazione del provvedimento che convoca i comizi elettorali o che indice la consultazione referendaria, e le ore ventiquattro dell’ultimo giorno nel quale è previsto che si tengono le votazioni»;

che, dunque, ad avviso dei ricorrenti, la tardiva approvazione della delibera e la conseguente tardiva pubblicazione nella G.U. del 6 maggio 2011, avrebbe comportato la menomazione delle attribuzioni dei promotori e dei sottoscrittori della richiesta referendaria, sia perché essi non avrebbero potuto esporre le ragioni a sostegno dell’abrogazione delle norme sul legittimo impedimento, sia perché l’informazione radiotelevisiva, pubblica e privata, avrebbe taciuto sui temi referendari, con conseguente pregiudizio del diritto dei cittadini di informarsi e di maturare una propria opinione;

che, inoltre, i ricorrenti osservano come anche le disposizioni della delibera, di seguito indicate, sarebbero lesive delle loro attribuzioni costituzionali, in quanto «tali da restringere notevolmente i tempi della campagna referendaria», introducendo una serie di intralci burocratici non conciliabili con l’esigenza di dare una compiuta e approfondita informazione, perché la detta campagna avrebbe, nella migliore delle ipotesi, una durata effettiva di poco superiore alle due settimane;

che, in particolare, ciò si riscontrerebbe: a) per l’art. 3, comma 2, nella parte in cui prevede che le forze politiche costituenti gruppo in almeno un ramo del Parlamento nazionale, ovvero che abbiano eletto con proprio simbolo almeno due deputati al Parlamento europeo, chiedano alla Commissione entro i 5 giorni non festivi successivi alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della delibera, di partecipare alle trasmissioni, indicando preventivamente per ciascun quesito in relazione al quale intendono intervenire, se il loro rappresentante sosterrà la posizione favorevole o quella contraria, ovvero se sono disponibili a farsi rappresentare di volta in volta da sostenitori di entrambe le opzioni di voto; b) per l’art. 3, comma 3, là dove dispone che i comitati, le associazioni e gli altri organismi collettivi comunque denominati, rappresentativi di forze sociali e politiche di rilevanza nazionale (diverse da quelle riferibili ai soggetti di cui alle lettere a e b della medesima disposizione), devono essersi costituiti come organismi collettivi, entro cinque giorni non festivi successivi alla data di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale della delibera in oggetto;

che l’intento della Commissione parlamentare di vigilanza, volto a comprimere illegittimamente il tempo di svolgimento della campagna referendaria, emergerebbe anche: 1) dall’art. 4 della delibera, nella parte in cui dispone che la RAI cura l’illustrazione dei quesiti referendari e delle modalità di votazione a decorrere dal 16 maggio 2011; 2) dall’art. 5, là dove prevede l’obbligo per la RAI di predisporre e trasmettere un ciclo di tribune riservate ai temi del referendum, televisive e radiofoniche, a partire dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione della delibera nella G.U.; 3) dall’art. 6, nella parte in cui differisce la programmazione dei messaggi politici autogestiti a partire dal quindicesimo giorno successivo alla pubblicazione del provvedimento nella G.U.; 4) e dall’art. 10, nella parte in cui stabilisce che entro dieci giorni dalla pubblicazione del provvedimento sulla G.U. la RAI comunica all’Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni e alla Commissione il calendario di massima delle trasmissioni di comunicazione politica ed istituzionale;

che i ricorrenti richiamano l’ordinanza di questa Corte n. 171 del 1997 (relativa ad un caso per alcuni aspetti analogo), con la quale si è affermato che «ogni limitazione della facoltà di partecipare ai dibattiti televisivi sui referendum potrebbe, in astratto, ledere l’integrità delle attribuzioni dei comitati promotori»;

che, infine, i ricorrenti formulano una richiesta di provvedimento cautelare e chiedono alla Corte costituzionale, previa dichiarazione di ammissibilità del conflitto, «di voler adottare le più opportune misure cautelari compensative dell’illegittimo ritardo col quale la delibera è stata adottata» in quanto l’esecuzione dell’atto impugnato comporterebbe il rischio di un irreparabile pregiudizio all’interesse costituzionale dei promotori e dei sottoscrittori del referendum «e addirittura un irreparabile pregiudizio al corretto funzionamento dell’ordinamento giuridico della Repubblica»;

che, in particolare, a sostegno di detta istanza, invocano la giurisprudenza della Corte costituzionale secondo cui là dove è previsto un potere di annullamento è, altresì, implicita la previsione di un potere cautelare (al riguardo sono richiamate le seguenti decisioni: sentenze n. 236 del 2010; n. 318 del 1995; n. 227 del 1975; n. 8 del 1982 e n. 284 del 1974, ordinanza n. 217 del 2010);

che, con atto depositato il 6 giugno del 2011, i promotori e i presentatori della richiesta di referendum abrogativo delle «Norme in materia di nuove centrali per la produzione di energia nucleare» hanno dichiarato di rinunciare al ricorso.

Considerato che la rinuncia, in questa fase, determina la necessità di dichiarare, con assoluta precedenza, l’estinzione del processo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara estinto il processo.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2011.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Paolo GROSSI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 giugno 2011.