Sentenza n. 30 del 2011

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SENTENZA N. 30

ANNO 2011

 

Commento alla decisione di

 

Marco Croce

La “lunga marcia” del precedente: la nomofilachia come valore costituzionale?

 

(per gentile concessione del Forum di Quaderni Costituzionali)

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Ugo                             DE SIERVO                                    Presidente

-      Paolo                           MADDALENA                                 Giudice

-      Alfio                            FINOCCHIARO                                      "

-      Alfonso                       QUARANTA                                            "

-      Franco                         GALLO                                                     "

-      Luigi                            MAZZELLA                                             "

-      Gaetano                       SILVESTRI                                              "

-      Sabino                         CASSESE                                                 "

-      Paolo Maria                 NAPOLITANO                                        "

-      Giuseppe                     FRIGO                                                      "

-      Alessandro                  CRISCUOLO                                           "

-      Paolo                           GROSSI                                                    "

-      Giorgio                        LATTANZI                                               "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 7, terzo periodo, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, come integrato dall’articolo 42, comma 2, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), promosso dalla Corte dei conti, Sezioni riunite in sede giurisdizionale, nel giudizio avente ad oggetto l’esame di questioni di massima deferito dal Presidente della Corte dei Conti, con ordinanza dell’8 aprile 2010, iscritta al n. 195 del registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 26, prima serie speciale, dell’anno 2010.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 15 dicembre 2010 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

Ritenuto in fatto

1.― La Corte dei conti, a Sezioni riunite in sede giurisdizionale, con ordinanza dell’8 aprile 2010, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 7, terzo periodo, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, come integrato dall’articolo 42, comma 2, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), per asserita violazione degli articoli 24, 25 e 111 della Costituzione.

1.1.― Il giudice a quo premette che con atto del 14 dicembre 2009, notificato ai Presidenti di tutte le sezioni giurisdizionali regionali e ai Presidenti delle sezioni d’appello, il Presidente della Corte dei conti ha deferito l’esame di talune questioni di massima alla Sezioni riunite in sede giurisdizionale, ai sensi della norma censurata, e in relazione ai giudizi formalmente promossi e incardinati presso la terza sezione centrale d’appello della Corte dei conti recanti n. 36000, n. 36013, n. 36017, n. 36079, n. 36094, n. 36095, n. 36181, in base a reclamo proposto dalla procura regionale per il Lazio, n. 36077 e n. 36153, in base ad appello proposto dalla parte privata, nonché n. 36159, in base a reclamo proposto dalla Procura regionale per le Marche. In particolare, le questioni di massima proposte attenevano tutte all’interpretazione da dare, in presenza di orientamenti oscillanti della giurisprudenza, all’art. 17, comma 30-ter, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102.

Con decreto n. 41 del 18 dicembre 2009 il Presidente della Corte dei conti ha fissato l’udienza per la discussione delle predette questioni.

Si aggiunge, inoltre, che «essendo stato il predetto atto di deferimento notificato ai Presidenti di tutte le sezioni territoriali e centrali della Corte dei conti, e quindi anche al Presidente della terza sezione centrale d’appello, da parte di quest’ultimo sono stati adottati decreti con i quali le camere di consiglio per la trattazione dei giudizi relativi ai reclami e agli appelli pendenti presso quella terza sezione centrale d’appello, in relazione ai quali le questioni di massima in esame sono state rimesse a queste Sezioni riunite, già fissate con precedenti decreti in data 16 novembre 2009 e in data 9 dicembre 2009, sono state rinviate a data da stabilire».

Con ordinanza del 5 febbraio 2010 n. 8, il Presidente della Corte dei conti ha stabilito la composizione del Collegio, provvedendo, poi, con decreto n. 9 del 5 febbraio 2010, a nominare il relatore.

2.― Esposto ciò, il collegio remittente, in via preliminare, pone la questione relativa alla legittimazione del Presidente della Corte di conti a deferire alle Sezioni riunite in sede giurisdizionale le suddette questioni di massima.

La norma censurata prevede che: «il Presidente della Corte può disporre che le Sezioni riunite si pronuncino sui giudizi che presentano una questione di diritto già decisa in senso difforme dalle sezioni giurisdizionali, centrali o regionali, e su quelli che presentano una questione di massima di particolare importanza». La norma aggiunge, in una parte non oggetto di impugnazione, che «se la sezione giurisdizionale, centrale o regionale, ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni riunite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del giudizio».

Il giudice a quo rileva come, prima della modifica introdotta dall’art. 42 della legge n. 69 del 2009, il giudizio delle Sezioni riunite della Corte dei conti su questioni di massima e per contrasti giurisprudenziali avesse carattere «esclusivamente incidentale», coinvolgendo tutte le sezioni giurisdizionali della Corte di conti, regionali e centrali. In particolare, il nuovo assetto della giustizia contabile, articolata in sezioni giurisdizionali regionali di primo grado e in sezioni centrali d’appello (e per la Sicilia, una sezione regionale anche per l’appello), a differenza di quanto previsto per la giustizia amministrativa, non differenzia, «sotto l’aspetto ordinamentale e dei ruoli», le sezioni territoriali da quelle centrali (o comunque d’appello). Ne consegue, prosegue sempre il Collegio remittente, che le Sezioni riunite, «organo giudiziario autonomo», devono essere «intese come la “riunione” a livello apicale di tutte le sezioni giurisdizionali della Corte dei conti (ed è per questa ragione che per la composizione del relativo albo si attinge anche ai componenti delle sezioni territoriali)».

La modifica introdotta dal citato art. 42 avrebbe aggiunto, rispetto al sistema previgente, il potere del Presidente della Corte dei conti di «deferire autonomamente e al di fuori di un giudizio pendente questioni di massima alle Sezioni riunite».

Tale potere sarebbe diverso dal potere di rimessione delle questioni di diritto controverse o delle questioni di massima alle Sezioni unite della Corte di cassazione, riconosciuto al Primo Presidente della Corte stessa dall’art. 374, secondo comma, del codice di procedura civile, e dal potere di rimessione all’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato riconosciuto al Presidente del Consiglio stesso ai sensi dell’art. 45, commi 2 e 3, del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato). Per effetto di tali rimessioni entrambi gli organi sopra indicati decidono la controversia nella sua interezza, e quindi anche nel merito, ma la decisione viene resa, puntualizza il giudice a quo, «nell’ambito dello stesso organo giurisdizionale, con competenza ripartita internamente». Il deferimento del Presidente della Corte dei conti avviene, invece, «nei confronti di organi giurisdizionali diversi e autonomi per competenza territoriale e funzionale, rispetto ai quali il Presidente della Corte di conti è del tutto estraneo». Il Presidente della Corte dei conti potrebbe, pertanto, «di sua iniziativa e a prescindere da qualsiasi impulso di parte, “sottrarre” un giudizio pendente presso una sezione giurisdizionale territoriale o d’appello, per portarlo innanzi alle Sezioni riunite della Corte dei conti, e cioè innanzi ad un giudice costituito “nominativamente” dallo stesso Presidente della Corte dei conti».

Il remittente sottolinea, inoltre, come non potrebbe neanche essere assimilato il potere di deferimento in esame a quello che l’art. 1, comma 7, del decreto-legge n. 453 del 1993 riconosce al Procuratore generale della Corte dei conti. In particolare, tale norma prevede che: «le Sezioni riunite della Corte dei conti decidono sui conflitti di competenza e sulle questioni di massima deferite dalle sezioni giurisdizionali centrali o regionali, ovvero a richiesta del Procuratore generale». Si osserva come tale potere venga esercitato dal Procuratore generale non nella veste di “parte”, ma di «organo che partecipa all’esercizio della funzione nomofilattica mediante il potere di ricorrere “in via principale nell’interesse della legge” ai sensi dell’art. 6, comma 6, del decreto-legge n. 453 del 1993» (si cita la sentenza n. 375 del 1996 della Corte costituzionale).

Svolta questa premessa, si assume che la norma impugnata violerebbe, in primo luogo, il principio della precostituzione del giudice naturale per legge di cui all’art. 25 Cost., in quanto, prevedendo che il Presidente della Corte dei conti possa deferire d’ufficio la questione di massima alle Sezioni riunite, «al di fuori di un giudizio pendente», mediante il «prelievo» di un giudizio pendente innanzi ad altro giudice, consentirebbe la scelta del giudice dopo l’instaurazione della controversia. A tale proposito, si deduce, inoltre, che la citata norma costituzionale prevedrebbe «una riserva assoluta di legge in materia di competenza del giudice, così vietando anche che la competenza stessa possa essere determinata da fonti secondarie o da atti non legislativi».

In secondo luogo, verrebbe violato il principio di terzietà del giudice di cui all’art. 111, secondo comma, Cost., che costituisce un «necessario corollario del principio della precostituzione del giudice naturale per legge», ciò perchè lo stesso Presidente, «mediante il potere di deferimento», finirebbe «per essere giudice in una causa da egli stesso promossa». D’altronde, «se si volesse osservare», puntualizza il remittente, «che non trattasi, nel caso di specie, di una causa propria del Presidente della Corte, risulta comunque violato il principio del divieto della ufficialità del giudizio, non potendo il giudice giudicare una causa da egli stesso promossa (…), o comunque non promossa da un soggetto (attore) diverso dal giudice». Sempre in relazione al principio di terzietà si sottolinea come nella Costituzione la neutralità del giudice sia garantita, oltre che dal principio del giudice naturale precostituito per legge, anche dalle norme che prevedono: il divieto di iniziativa processuale d’ufficio (art. 24, primo comma, Cost.); il divieto di costituire giudici straordinari o speciali (art. 102 Cost.); la soggezione dei giudici soltanto alla legge (art. 101, secondo comma, Cost.). Tali principi sarebbero ulteriormente ribaditi dall’art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che l’Italia ha recepito con la legge 4 agosto 1955, n. 848 (Ratifica ed esecuzione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali firmata a Roma il 4 novembre 1950 e del Protocollo addizionale alla Convenzione stessa, firmato a Parigi il 20 marzo 1952).

In terzo luogo, prevedendo la norma impugnata una iniziativa officiosa, sarebbe violato l’art. 24 Cost., il quale esprime il «principio secondo il quale non è possibile porre ai cittadini limitazioni od ostacoli alla loro difesa nel processo delle posizioni sostanziali» che l’ordinamento gli riconosce.

In definitiva, si osserva come la norma censurata rappresenti «l’unico caso in cui un organo totalmente estraneo al giudizio formula d’ufficio la domanda e nomina anche il collegio giudicante».

Per quanto attiene, poi, al potere delle Sezioni riunite di sollevare la questione, il Collegio remittente sottolinea di non ignorare l’esistenza di un orientamento giurisprudenziale che ritiene non sussistente tale potere, in quanto le Sezioni riunite dovrebbero limitare il proprio giudizio soltanto al «punto di diritto su cui si basa la questione rimessa». Il Collegio ritiene, però, condivisibile l’altro orientamento, fatto proprio anche dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 375 del 1996, secondo cui esistono questioni di costituzionalità che possono trovare la loro sede di emersione e di concreta rilevanza solo nel giudizio innanzi alle Sezioni riunite. Inoltre, si deduce come la dedotta questione di costituzionalità non riguardi «il punto di diritto su cui si basa la questione rimessa», bensì la stessa legittimazione del Presidente della Corte dei conti.

3.― È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo, in primo luogo, che la questione venga dichiarata inammissibile, in quanto le Sezioni riunite della Corte dei conti possono sollevare questioni soltanto in relazione a norme diverse da quelle che sono utili a risolvere il quesito loro sottoposto.

In secondo luogo, il giudice remittente avrebbe omesso di indagare se sia possibile interpretare la norma in senso conforme a Costituzione. Infatti, «partendo dal presupposto che le sezioni regionali costituiscono organi giudiziari autonomi, il testo della norma della cui costituzionalità si dubita ben consente di escludere che il giudizio instaurato dinanzi alla Sezione giurisdizionale regionale rientri nel potere di deferimento alle Sezioni riunite di una questione di massima». La disposizione censurata «menziona le sezioni regionali solo per significare che il deferimento alle Sezioni riunite può avvenire anche quando la difformità di orientamento su una questione di diritto si sia manifestata (non nell’ambito del giudice di ultima istanza, come ad esempio avviene per i giudizi dinanzi la Corte di cassazione e il Consiglio di Stato, ma) nell’ambito delle sezioni regionali stesse». Si osserva come il disposto testuale «appare chiarissimo in tale senso». Nulla, nella disposizione censurata, «lascia intendere che il Presidente possa intervenire “avocando” alle Sezioni riunite dei giudizi pendenti dinanzi a quelle; ciò in specie considerando che, ancora in mancanza di una decisione della sezione regionale, un reale conflitto non si è ancora manifestato». Diversa sarebbe la questione, non rilevante in questa sede, relativa alla facoltà riconosciuta dall’ultimo periodo della norma in esame alle sezioni regionali di rimettere la questione nel momento in cui deve essere decisa la questione stessa.

In definitiva, la rimessione dovrà avvenire «laddove la questione sia comunque in quel momento sottoposta al giudizio di sezioni centrali o comunque di un giudice contabile di grado successivo al primo. La norma non facoltizza, invece, secondo questa lettura costituzionalmente orientata, il Presidente ad intervenire con la rimessione di cui si tratta ove la questione penda dinanzi a sezione regionale».

Le Sezioni riunite avrebbero dovuto conseguentemente, in alternativa, «o escludere la possibilità di una simile interpretazione (in quanto ad esempio smentita dal “diritto vivente”)» – e avrebbero allora potuto motivatamente rimettere la questione alla Corte costituzionale – «ovvero dichiarare inammissibili innanzi a sé le questioni eventualmente fatte oggetto di rimessione dal Presidente al di fuori dei casi consentiti dalla legge».

Nel merito, la questione sarebbe comunque non fondata.

Il potere del Presidente di rimettere alle Sezioni riunite anche le controversie pendenti dinanzi alle sezioni regionali «non può che discendere dalla considerazione delle stesse – attesa la peculiarietà del “sistema” della Corte dei conti – quali “sezioni” dello stesso organo giudiziario decentrate sul territorio». Ciò non violerebbe il principio del giudice naturale precostituito per legge poiché la rimessione alle Sezioni riunite è pur sempre prevista e regolamentata dalla legge.

Non violerebbe neanche i principi del giusto processo, della terzietà del giudice e del divieto di iniziativa officiosa «poiché l’iniziativa processuale che incardina il giudizio non può di certo farsi risalire al Presidente della Corte, cui è riferibile solo la scelta – regolamentata dalla legge – di risolvere un conflitto tra diversi orientamenti e la soluzione di questioni di massima in una determinata fase del giudizio». Inoltre, «la circostanza che le Sezioni riunite siano (possano essere) presiedute dal Presidente non rende certamente quest’ultimo “parte” del giudizio».

Considerato in diritto

1.— Con ordinanza dell’8 aprile 2010 la Corte dei conti, Sezioni riunite, in sede giurisdizionale, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 7, terzo periodo, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, come integrato dall’articolo 42, comma 2, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile), per asserita violazione degli articoli 24, 25 e 111 della Costituzione.

La norma censurata prevede che «il Presidente della Corte può disporre che le Sezioni riunite si pronuncino sui giudizi che presentano una questione di diritto già decisa in senso difforme dalle sezioni giurisdizionali, centrali o regionali, e su quelli che presentano una questione di massima di particolare importanza».

2.— In via preliminare, è necessario stabilire, ai fini del giudizio di ammissibilità della questione sollevata con l’ordinanza sopra citata, se sussista, nella specie, la legittimazione delle Sezioni riunite della Corte dei conti ad introdurre il presente giudizio incidentale di legittimità costituzionale.

Nella specie, le Sezioni riunite dubitano della costituzionalità della norma che consente il deferimento della questione interpretativa alla loro cognizione.

È evidente, dunque, che non può negarsi al remittente la legittimazione a sollevare la questione di legittimità costituzionale della norma che ha attribuito al Presidente della Corte dei conti il potere di devolvere la questione di massima a tale particolare articolazione del giudice contabile.

D’altronde, questa Corte, con la sentenza n. 375 del 1996, ha avuto modo di affermare che sussiste la legittimazione delle Sezioni riunite della Corte dei conti a sollevare questioni di legittimità costituzionale collegate «al momento della verifica, da parte di queste ultime, dei presupposti della propria competenza».

3.— Ancora sul piano dell’ammissibilità, va rilevato, preliminarmente, che la dedotta questione di legittimità costituzionale deve essere riguardata sotto due aspetti correlati alla duplice previsione sostanzialmente contenuta nella norma censurata: a) la prima, che attribuisce al Presidente della Corte il potere di deferire, d’ufficio, alle Sezioni riunite le questioni di massima che emergono in controversie pendenti (come quelle in esame) in sede di appello; b) la seconda, che conferisce lo stesso potere di deferimento con riguardo a questioni di massima che emergono in controversie pendenti davanti a sezioni giurisdizionali regionali.

La valutazione della rilevanza, nel giudizio a quo, della questione deve essere effettuata, dunque, con specifico riferimento alle due ipotesi innanzi precisate.

Orbene, partendo dal rilievo che, nella specie, le questioni di massima in relazione alle quali il Presidente della Corte ha esercitato il potere di deferimento alle Sezioni riunite sono tutte emerse in vari giudizi di appello pendenti presso la terza sezione giurisdizionale centrale della Corte, non vi è dubbio che la questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento alla corrispondente previsione normativa sia rilevante nel giudizio a quo e quindi sia ammissibile.

Ad opposta conclusione deve, invece, pervenirsi per la seconda ipotesi sopra prospettata, quella cioè relativa all’esercizio da parte del Presidente della Corte del medesimo potere di deferimento delle questioni di massima che emergono in giudizi pendenti davanti alle sezioni regionali. Ciò per l’ovvia ragione che, nel caso ora in esame, non si verte in una ipotesi di tal genere. A prescindere, peraltro, dalla stessa possibilità di interpretare la normativa vigente nel senso della deferibilità alle Sezioni riunite della Corte di questioni di massima o nelle quali si sono determinati contrasti interpretativi ad opera delle sezioni giurisdizionali regionali.

A quanto sopra va aggiunto che le medesime Sezioni riunite, con pronuncia successiva alla ordinanza di rimessione in esame, in ragione della difficoltà di coniugare con i principi del diritto processuale la sussistenza di un “contrasto verticale” tra giudici di primo e secondo grado, ha ritenuto che – all’esito di una interpretazione che identifica la sezione regionale, indicata nell’ultima parte del comma (non oggetto di censura in questa sede) solo nella sezione d’appello esistente in Sicilia – l’accesso alle Sezioni riunite è consentito esclusivamente alle sezioni giurisdizionali d’appello (Corte dei conti, Sezioni riunite, 13 ottobre 2010, n. 8).

4.― Nel merito, nei limiti innanzi precisati nei quali può essere ritenuta ammissibile, la questione proposta non è fondata.

L’analisi delle specifiche censure formulate dalla Corte remittente presuppone che venga delineato il quadro normativo generale entro il quale trova collocazione il particolare potere di deferimento alle Sezioni riunite delle questioni di massima, attribuito dall’ordinamento all’organo di vertice della giurisdizione contabile, vale a dire al Presidente della Corte dei conti.

4.1.― Al riguardo, va ricordato che, nel processo civile, l’art. 374, secondo comma, del codice di procedura civile – nel testo modificato dall’articolo 8 del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al codice di procedura civile in materia di processo di cassazione in funzione nomofilattica e di arbitrato, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 14 maggio 2005, n. 80) – attribuisce al Primo Presidente della Corte di cassazione la facoltà di «disporre che la Corte pronunci a Sezioni unite sui ricorsi che presentano una questione di diritto già decisa in senso difforme dalle Sezioni semplici, e su quelli che presentano una questione di massima di particolare importanza». Il successivo terzo comma del medesimo articolo aggiunge che «se la sezione semplice ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso».

Nel processo amministrativo l’articolo 45 del regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), nel testo modificato dall’art. 15 della legge 21 dicembre 1950, n. 1018 (Modificazioni al testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), ha disposto, al secondo comma, che se la sezione giurisdizionale del Consiglio «rileva che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo o possa dar luogo a contrasti giurisprudenziali, con ordinanza emanata su richiesta delle parti o di ufficio può rimettere il ricorso all’Adunanza plenaria». Il successivo terzo comma del medesimo articolo ha, poi, precisato che «prima della decisione il Presidente del Consiglio di Stato, su richiesta delle parti o d’ufficio può deferire all’Adunanza plenaria qualunque ricorso che renda necessaria la risoluzione di questioni di massima di particolare importanza».

La suindicata disciplina concernente il processo amministrativo è stata sostanzialmente recepita nel nuovo codice del processo amministrativo, approvato con decreto legislativo 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al Governo per il riordino del processo amministrativo), con l’articolo 99, commi 1 e 2, il quale ha aggiunto, in linea con quanto stabilito dal codice di procedura civile, che il deferimento all’Adunanza plenaria può essere disposto dal Presidente del Consiglio di Stato anche per dirimere contrasti di giurisprudenza. I successivi commi 3 e 4 del medesimo art. 99 hanno, inoltre, così disposto: «3. Se la sezione cui è assegnato il ricorso ritiene di non condividere un principio di diritto enunciato dall’Adunanza plenaria, rimette a quest’ultima, con ordinanza motivata, la decisione del ricorso», «4. L’Adunanza plenaria decide l’intera controversia, salvo che ritenga di enunciare il principio di diritto e di restituire per il resto il giudizio alla sezione remittente».

4.2.— Nella giurisprudenza contabile, la funzione nomofilattica, come è noto, è attribuita alle Sezioni riunite della Corte.

Al riguardo, va sottolineato che già l’articolo 4 della risalente legge 21 marzo 1953, n. 161 (Modificazioni al testo unico delle leggi sulla Corte dei conti), al primo comma, così stabiliva: «ove una sezione giurisdizionale della Corte dei conti rilevi che il punto di diritto sottoposto al suo esame ha dato luogo a contrasti giurisprudenziali può, con ordinanza emanata su richiesta delle parti o di ufficio, rimettere il giudizio alle Sezioni riunite». Il secondo comma dello stesso articolo aveva aggiunto quanto segue: «prima della discussione il Presidente della Corte dei conti, su istanza delle parti o di ufficio, può rimettere alle Sezioni riunite i giudizi che rendano necessaria la risoluzione di questioni di massima di particolare importanza». Infine, il comma 3 così disponeva: «per i giudizi per i quali è ammesso l’appello alle Sezioni riunite ai sensi delle vigenti disposizioni, il deferimento alle sezioni medesime previsto dai commi precedenti è subordinato al consenso delle parti».

Tale disciplina è stata modificata dall’art. 1, comma 7, del decreto-legge n. 453 del 1993, secondo il quale «le Sezioni riunite della Corte dei conti decidono sui conflitti di competenza e sulle questioni di massima deferite dalle sezioni giurisdizionali centrali o regionali, ovvero a richiesta del procuratore generale. Esse sono presiedute dal Presidente della Corte dei conti» e «giudicano con sette magistrati. Ad esse sono assegnati due presidenti di sezione e un numero di consiglieri determinato dal consiglio di presidenza della Corte dei conti all’inizio dell’anno giudiziario».

Da ultimo, l’art. 42, comma 2, della legge n. 69 del 2009 ha aggiunto, al citato comma 7 dell’art. 1 del d.l. 453 del 1993, due periodi: il primo, oggetto di censura, prevede – come si è già notato − che «il Presidente della Corte può disporre che le Sezioni riunite si pronuncino sui giudizi che presentano una questione di diritto già decisa in senso difforme dalle sezioni giurisdizionali, centrali o regionali, e su quelli che presentano una questione di massima di particolare importanza»; il secondo, non investito dal dubbio di costituzionalità, stabilisce che «se la sezione giurisdizionale, centrale o regionale, ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle Sezioni riunite, rimette a queste ultime, con ordinanza motivata, la decisione del giudizio». È bene aggiungere che l’articolo 17, comma 31, del decreto-legge 1° luglio 2009, n. 78 (Provvedimenti anticrisi, nonché proroga di termini), convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, ha previsto, nel diverso ambito della funzione di controllo, che il Presidente della Corte «può disporre che le Sezioni riunite adottino pronunce di orientamento generale sulle questioni risolte in maniera difforme dalle sezioni regionali di controllo nonché sui casi che presentano una questione di massima di particolare rilevanza».

4.2.1.― In relazione al contenuto della vigente disciplina, relativa al potere presidenziale di deferimento in ambito giurisdizionale, appare opportuno mettere in rilievo come il legislatore del 2009 abbia inteso reintrodurre, sia pure con modifiche, il potere presidenziale di accesso alle Sezioni riunite in origine contemplato dall’art. 4 della legge n. 161 del 1953 e successivamente disciplinato dall’art. 1, comma 7, del d.l. n 453 del 1993. Di seguito, da un lato, è stato previsto che il deferimento possa avvenire anche per la risoluzione di questioni di diritto già decise in senso difforme dalle sezioni giurisdizionali, centrali o regionali; dall’altro, è stata eliminata la condizione del consenso delle parti per i giudizi per i quali era ammesso l’appello alle Sezioni riunite. In definitiva, come emerge anche dai lavori preparatori della norma censurata, la ragione che ha ispirato la scelta legislativa è stata quella di aggiungere, al fine di potenziare il potere nomofilattico delle Sezioni riunite, un’ulteriore forma di accesso alle predette sezioni da parte del Presidente della Corte, in linea con quanto previsto dall’art. 374 cod. proc. civ. L’introduzione del potere presidenziale nel diverso ambito del giudizio sui controlli persegue, invece, la finalità di «garantire la coerenza nell’unitaria attività svolta dalla Corte dei conti per le funzioni che ad essa spettano in materia di coordinamento della finanza pubblica, anche in relazione al federalismo fiscale» (citato art. 17, comma 31, primo inciso, del d.l. n. 78 del 2009).

5.― Così ricostruito, per grandi linee, il quadro normativo in cui si colloca la norma censurata, si può passare ad analizzare le singole censure formulate dal remittente.

5.1.― Il giudice a quo lamenta la violazione dell’art. 24 Cost. della Costituzione, sul presupposto che, prevedendo la norma censurata una iniziativa officiosa del Presidente della Corte dei conti, non sarebbe osservato il «principio secondo il quale non è possibile porre ai cittadini limitazioni od ostacoli alla (…) difesa nel processo delle posizioni sostanziali» che l’ordinamento riconosce loro.

La censura non è fondata.

La giurisprudenza costituzionale è costante nel ritenere che l’art. 24 Cost. è violato qualora le norme processuali pongano condizioni di «sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione» (sentenze n. 237 del 2007 e n. 266 del 2006).

Nel caso in esame non si comprende, a prescindere dalla genericità della censura prospettata, la ragione per la quale la previsione del potere di deferimento attribuito al Presidente della Corte dei conti possa recare un vulnus al diritto di difesa tutelato dall’evocata norma costituzionale. La disposizione censurata, infatti, non disciplina in alcun modo il diritto di azione delle parti private o del pubblico ministero contabile, limitandosi a stabilire i criteri che presiedono all’accesso alle Sezioni riunite. Del resto, il potere di deferire d’ufficio le questioni involgenti problematiche interpretative di massima è riconosciuto dall’ordinamento, come già sottolineato, sia al Primo Presidente della Corte di cassazione, sia al Presidente del Consiglio di Stato, senza che mai sia stata contestata la loro naturale preordinazione a garantire la retta applicazione della legge, quando questa sia suscettibile, in astratto, di interpretazioni contrastanti.

In definitiva, il dedotto parametro costituzionale di cui all’art. 24 Cost. è inconferente.

5.2.― Con la seconda censura il giudice a quo lamenta la violazione dell’art. 25, primo comma, Cost. in quanto la previsione secondo cui il Presidente della Corte può deferire, d’ufficio, la questione di massima alle Sezioni riunite, mediante il «prelievo» di un giudizio pendente innanzi ad una sezione semplice della Corte, consentirebbe la scelta del giudice dopo l’instaurazione della controversia.

Strettamente connessa con tale censura è quella relativa all’asserita violazione dell’art. 111 Cost. con riguardo al principio di terzietà del giudice, considerato dall’ordinanza di rimessione come il «necessario corollario del principio della precostituzione del giudice naturale per legge». Inoltre, il remittente rileva che lo stesso Presidente della Corte, «mediante il potere di deferimento (…), finisce per essere giudice in una causa da egli stesso promossa».

A questo proposito, il giudice a quo osserva, sempre con riferimento agli indicati parametri costituzionali, che, a differenza di quanto l’ordinamento stabilisce per i poteri di deferimento spettanti al Primo Presidente della Corte di cassazione e al Presidente del Consiglio di Stato, la previsione dell’analogo potere presidenziale nell’ambito del processo contabile non avrebbe tenuto conto della inesistenza di differenze ordinamentali quanto ai ruoli dei magistrati che compongono le Sezioni della Corte. In particolare, il remittente deduce che il deferimento alle Sezioni riunite, su iniziativa del Presidente della Corte, di questioni di massima relative a controversie di competenza delle sezioni regionali avverrebbe nei confronti di «organi giurisdizionali diversi e autonomi per competenza territoriale e funzionale, rispetto ai quali il Presidente della Corte dei conti è del tutto estraneo».

Anche tali censure non sono fondate.

Al riguardo, escluso, per le ragioni già dette in ordine alla delimitazione del thema decidendum, che venga qui in rilievo la stessa possibilità di esercizio del potere di deferimento presidenziale con riferimento a giudizi pendenti davanti agli organi di primo grado della magistratura contabile, va osservato che la giurisprudenza costituzionale è costante nel ritenere che il principio di certezza del giudice, di cui all’art. 25, primo comma, Cost., è efficacemente espresso nel concetto di «pre-costituzione del giudice», «vale a dire nella previa determinazione della competenza, con riferimento a fattispecie astratte realizzabili in futuro, non già, a posteriori, in relazione, come si dice, a una regiudicanda già insorta». In altri termini, «il principio della precostituzione del giudice tutela nel cittadino il diritto a una previa non dubbia conoscenza del giudice competente a decidere, o, ancora più nettamente, il diritto alla certezza che a giudicare non sarà un giudice creato a posteriori in relazione a un fatto già verificatosi» (sentenza n. 88 del 1962). Il principio in esame è osservato «purchè l’organo giudicante sia stato istituito dalla legge sulla base di criteri generali fissati in anticipo e non in vista di singole controversie» (sentenza n. 452 del 1997). Inoltre, la Corte ha chiarito che l’art. 25 Cost. non viene violato allorché «la legge, sia pure con effetto anche sui processi in corso, modifica in generale i presupposti o i criteri in base ai quali deve essere individuato il giudice competente: in questo caso, infatti, lo spostamento della competenza dall’uno all’altro ufficio giudiziario non avviene in conseguenza di una deroga alla disciplina generale, che sia adottata in vista di una determinata o di determinate controversie, ma per effetto di un nuovo ordinamento – e, dunque, della designazione di un nuovo giudice “naturale” – che il legislatore, nell’esercizio del suo insindacabile potere di merito, sostituisce a quello vigente» (così, da ultimo, la sentenza n. 237 del 2007). Orbene, se queste affermazioni valgono a giustificare lo spostamento di competenza da un organo giurisdizionale ad un altro, a maggior ragione consentono di superare il dubbio relativo alla violazione dell’art. 25, primo comma, Cost., avanzato con riferimento alla scelta compiuta dalla norma in esame. Tale norma, infatti, si limita a consentire il deferimento di una questione di diritto, avente carattere incidentale, ad un’articolazione interna della Corte dei conti, quali sono, in effetti, le Sezioni riunite. Dal momento che, secondo la giurisprudenza costituzionale (sent. 419 del 1998), il principio di precostituzione del giudice naturale non può operare nella ripartizione, tra sezioni interne, «dei compiti e delle attribuzioni» spettanti ad un determinato ordine giurisdizionale (ordinanza n. 181 del 2001), è evidente come la norma censurata – stabilendo a priori dei criteri generali di risoluzione delle questioni idonei ad individuare il giudice munito della potestà di fissare, in via incidentale, il principio di diritto relativo ad una questione di massima di dubbia interpretazione – si sottragga ai vizi di costituzionalità denunciati. In altri termini, il legislatore ha ritenuto, nell’esercizio della sua discrezionalità, che, in presenza di determinati presupposti puntualmente indicati, il Presidente della Corte possa, al fine di assicurare il fondamentale valore rappresentato dalla omogeneità nell’applicazione e nell’interpretazione del diritto, esercitare il potere di deferimento alle Sezioni riunite delle questioni di massima.

E deve anche rilevarsi come, contrariamente a quanto sembra sostenere il giudice remittente, le Sezioni riunite, in sede giurisdizionale, nell’esercizio della loro funzione nomofilattica, si limitino a fissare il principio di diritto, demandando la decisione nel merito della controversia alle singole sezioni, salvo il potere di queste di non condividere il principio enunciato dalle Sezioni riunite e rimettere ad esse la decisione del giudizio.

Non è, pertanto, esatto che il Presidente della Corte dei conti possa d’ufficio, e dunque a prescindere da qualsiasi impulso di parte, “prelevare” un giudizio pendente presso una sezione giurisdizionale e portarlo, per la decisione, innanzi alle Sezioni riunite. Il Presidente della Corte non ha, infatti, il potere di “trasferire” il giudizio da una sezione giurisdizionale alle Sezioni riunite; può soltanto deferire a queste ultime l’esame della questione di massima, fermo restando, tuttavia, che il giudizio resta incardinato nella sezione davanti alla quale pende e alla quale – dopo la pronuncia delle Sezioni riunite – gli atti devono ritornare per l’ulteriore seguito, con la specificazione innanzi illustrata.

Non possono, quindi, ritenersi violati da parte della norma censurata i principi di precostituzione e quello di terzietà del giudice.

Né può ritenersi, come sostenuto dal remittente, che il potere di deferimento sia esercitato da una parte del processo. Sul punto è agevole rilevare come debba escludersi che al Presidente della Corte dei conti, quando esercita tale potere, possa essere attribuita la qualità “di parte” del processo. Al Presidente della Corte, anche nell’esercizio di detto peculiare potere di deferimento, deve essere riconosciuto senza dubbio la qualità di “giudice terzo e imparziale”, la cui attività è esclusivamente diretta ad assicurare l’esatta osservanza della legge, nell’interesse, in definitiva, degli utenti del “servizio giustizia”.

Quanto, infine, alla dedotta violazione dei parametri costituzionali in esame, in ragione della asserita “autonomia” delle sezioni giurisdizionali della Corte, deve ribadirsi come sia fuori di dubbio che, quanto alle sezioni centrali di appello della Corte, che vengono in rilievo nel presente giudizio per le ragioni già dette, le Sezioni riunite non si trovano affatto nella situazione di differenziazione ordinamentale richiamata dall’ordinanza di rimessione. Dette sezioni, infatti, come si è già precisato, rappresentano una articolazione interna della Corte nella sede giurisdizionale di appello avverso le sentenze rese dai primi giudici in sede regionale.

Né, agli indicati effetti, assume un particolare rilievo significativo la circostanza che la questione di massima sia portata all’esame di «un giudice costituito nominativamente dallo stesso Presidente della Corte ai sensi dell’art. 11, comma 7, della legge 4 marzo 2009, n. 15» (Delega al Governo finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni nonché disposizioni integrative delle funzioni attribuite al Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro e alla Corte dei conti). È sufficiente considerare, una volta ammesso che le Sezioni riunite rivestono, come si è sopra chiarito, la natura di articolazione interna del plesso giurisdizionale centrale della magistratura contabile, che non sussiste alcuna differenziazione nelle modalità di composizione delle Sezioni riunite con specifico riguardo alla ipotesi in cui il deferimento delle questioni di massima involga controversie rientranti nella competenza del giudice di appello.

In definitiva, anche in relazione alla doglianza da ultimo esaminata, la norma censurata si sottrae ai denunciati vizi di costituzionalità.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 7, terzo periodo, del decreto-legge 15 novembre 1993, n. 453 (Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti), convertito, con modificazioni, nella legge 14 gennaio 1994, n. 19, come integrato dall’articolo 42, comma 2, della legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile) – nella parte in cui attribuisce al Presidente della Corte dei conti il potere di deferimento di questioni di massima in relazione a giudizi pendenti innanzi a sezioni giurisdizionali di primo grado – sollevata, in riferimento agli articoli 24, 25 e 111 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe;

b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del suddetto art. 1, comma 7, terzo periodo, del decreto-legge n. 453 del 1993 – nella parte in cui attribuisce al Presidente della Corte dei conti il potere di deferimento di questioni di massima in relazione a giudizi pendenti innanzi a sezioni giurisdizionali d’appello – sollevata, in riferimento agli articoli 24, 25 e 111 della Costituzione, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24 gennaio 2011.

F.to:

Ugo DE SIERVO, Presidente

Alfonso QUARANTA , Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 gennaio 2011.