Sentenza n. 334 del 2009

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 334

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-           Francesco                    AMIRANTE                                    Presidente

-           Ugo                             DE SIERVO                                    Giudice

-           Paolo                           MADDALENA                                     "

-           Alfio                            FINOCCHIARO                                   "

-           Franco                         GALLO                                                  "

-           Luigi                            MAZZELLA                                          "

-           Gaetano                       SILVESTRI                                           "

-           Sabino                         CASSESE                                              "

-           Giuseppe                     TESAURO                                             "

-           Paolo Maria                 NAPOLITANO                                     "

-           Giuseppe                     FRIGO                                                   "

-           Alessandro                  CRISCUOLO                                        "

-           Paolo                           GROSSI                                                 "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 77-quater, comma 7, e 83, commi 21 e 22, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, promossi con ricorsi della Provincia autonoma di Trento e della Regione Siciliana notificati il 20 ottobre 2008, depositati in cancelleria il 22 ed il 28 ottobre 2008 ed iscritti al n. 71 ed al n. 88 del registro ricorsi 2008.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 18 novembre 2009 il Giudice relatore Franco Gallo;

uditi l’avvocato Luigi Manzi per la Provincia autonoma di Trento e l’avvocato dello Stato Sergio Sabelli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. – Con ricorso notificato il 20 ottobre 2008 e depositato il 22 ottobre successivo, la Provincia autonoma di Trento ha impugnato, tra altre disposizioni dello stesso decreto-legge, l’art. 77-quater, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, per violazione dell’art. 8, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), attuativo del Titolo VI dello statuto speciale. La ricorrente riferisce che, in forza del comma 1, lettera a), del citato art. 77-quater, l’applicazione delle disposizioni di cui all’art. 7 del d.lgs. 7 agosto 1997, n. 279 (Individuazione delle unità previsionali di base del bilancio dello Stato, riordino del sistema di tesoreria unica e ristrutturazione del rendiconto generale dello Stato), è estesa, a partire dal 1° gennaio 2009, «alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano, compatibilmente con le disposizioni statutarie». Il successivo ed impugnato comma 7 dello stesso art. 77-quater sostituisce il comma 2 del menzionato art. 7 del d.lgs. n. 279 del 1997, stabilendo che «Le entrate costituite da assegnazioni, contributi e quanto altro proveniente direttamente dal bilancio dello Stato devono essere versate per le regioni, le province autonome e gli enti locali nelle contabilità speciali infruttifere ad essi intestate presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato. Tra le predette entrate sono comprese quelle provenienti da operazioni di indebitamento assistite, in tutto o in parte, da interventi finanziari dello Stato sia in conto capitale che in conto interessi, nonché quelle connesse alla devoluzione di tributi erariali alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano». Il comma 1 dell’art. 8 del d.lgs. n. 268 del 1992, evocato a parametro del giudizio di legittimità costituzionale, stabilisce – al fine di garantire l’autonomia finanziaria provinciale – che «il versamento alla regione Trentino-Alto Adige e alle province autonome di Trento e di Bolzano di quanto loro spettante a norma degli articoli 2, 4, 5 e 6 è disposto dal Ministero del tesoro mediante mandato diretto da estinguersi con accreditamento ai conti correnti accesi presso la Tesoreria centrale a favore degli enti suddetti».Ad avviso della ricorrente, la disposizione censurata víola detto parametro perché prevede che i versamenti a favore delle province autonome – comprensivi di quelli a titolo di devoluzione del gettito di tributi erariali – devono avvenire nelle contabilità speciali infruttifere ad esse intestate presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato anziché con accredito presso la Tesoreria centrale dello Stato.

 2. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata «inammissibile e infondata».In punto di ammissibilità, la difesa erariale sostiene che: a) il riferimento al Titolo VI dello statuto, che regola l’autonomia finanziaria della Provincia, è «inconferente e generico» e non motivato; b) la ricorrente ha dedotto, del pari senza motivazione, la violazione dell’art. 2 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento); c) quanto al parametro dell’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 268 del 1992, la ricorrente si è limitata «a lamentare il mero formale discostarsi da parte del Legislatore nazionale dalla testuale previsione della norma attuativa dello Statuto, senza che sia in alcun modo chiarito quale lesione delle prerogative della Provincia ricorrente si sia in tal modo realizzata, e quindi quale concreto interesse sussista alla caducazione della norma impugnata».Nel merito, l’Avvocatura generale dello Stato rileva che la disposizione denunciata appare pienamente “compatibile” con la ratio dello statuto di autonomia, perché incide sulle modalità di attuazione del sistema di tesoreria unica, di pertinenza esclusiva della legislazione statale, e sulla concreta collocazione contabile delle entrate statali in vista della destinazione delle stesse agli enti territoriali. L’unica modifica riguarderebbe – cioè – «la destinazione dei fondi, che erano e rimangono nell’ambito delle strutture di Tesoreria dello Stato, ma si collocano (non piú nell’ambito della Tesoreria centrale, come in precedenza previsto, bensí) presso le sezioni di Tesoreria provinciale competente»; modifica che riguarderebbe, perciò, la riorganizzazione della tesoreria unica statale, senza portare alcun sostanziale mutamento in peius della finanza provinciale.

3. – Con ricorso notificato il 20 ottobre 2008 e depositato il 28 ottobre successivo, la Regione Siciliana ha impugnato, tra altre disposizioni del medesimo decreto-legge, gli artt. 77-quater, comma 7, e 83, commi 21 e 22, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, per violazione degli artt. 36 dello statuto regionale (r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, recante «Approvazione dello Statuto della Regione siciliana») e 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria).

La ricorrente premette che, in base alla citata norma statutaria: a) «Al fabbisogno finanziario della Regione si provvede con i redditi patrimoniali della Regione a mezzo di tributi, deliberati dalla medesima» (primo comma); b) «Sono però riservate allo Stato le imposte di produzione e le entrate dei monopoli dei tabacchi e del lotto» (secondo comma). La ricorrente premette altresí che, in base alla parimenti evocata norma di attuazione dello statuto regionale: a) «Ai sensi del primo comma dell’articolo 36 dello Statuto della Regione siciliana, spettano alla Regione siciliana, oltre le entrate tributarie da essa direttamente deliberate, tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione delle nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime» (primo comma); b) «Ai sensi del secondo comma dell’art. 36 dello Statuto competono allo Stato le entrate derivanti: a) dalle imposte di produzione; b) dal monopolio dei tabacchi; c) dal lotto e dalle lotterie a carattere nazionale» (secondo comma); c) «Le entrate previste nelle lettere precedenti sono indicate nelle annesse tabelle A), B) e C), che fanno parte integrante del presente decreto» (terzo comma).

Quanto alla prima delle disposizioni censurate, la Regione lamenta che essa víola gli evocati parametri, perché attrae nel sistema di Tesoreria statale anche le entrate «connesse alla devoluzione di tributi erariali alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano», che prima affluivano direttamente alla Regione stessa, «nella quale sono state gestite con il sistema di Tesoreria regionale di cui alla legge regionale 7 marzo 1997, n. 6». L’effetto della norma censurata sarebbe, cioè, quello di far affluire tutte le somme costituenti entrate della Regione Siciliana, comprese quelle tributarie, in un conto corrente infruttifero aperto presso la Tesoreria dello Stato, cosí che i relativi prelevamenti resterebbero «disciplinati dalle regole imposte dallo Stato e subordinati alla sufficiente liquidità statale», con conseguenze negative «sul sistema delle delegazioni di pagamento che la Regione Siciliana ha concesso a garanzia dei propri debiti finanziari». La lesione delle prerogative della ricorrente consisterebbe nel fatto che la norma censurata: a) non si limita a porre «una mera modalità tecnico-contabile in relazione a nuove entrate, e per particolari ragioni di ripartizione interna delle stesse (cosí come venne disposto con l’art. 40 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 che codesta […] Corte ha ritenuto costituzionalmente e statutariamente compatibile con la sent. n. 138 del 1999)»; b) non è «collegata alla necessità di una temporanea impostazione di operazioni tecnico-contabili necessitate da un nuovo sistema di contabilizzazione di imposte» che dia luogo «solo ad una non rilevante difformità temporale delle operazioni di riversamento»; c) «sottrae liquidità al sistema regionale, disattendendo la competenza riconosciuta alla regione, in materia di riscossione delle entrate tributarie di spettanza regionale». Quanto, poi, al censurato comma 21 dell’art. 83 del suddetto decreto-legge n. 112 del 2008, la ricorrente osserva che esso inserisce, nell’art. 22 del d.lgs. 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), i commi 1-bis, 1-ter e 1-quater, i quali prevedono che: a) «In caso di versamento di somme eccedenti almeno cinquanta euro rispetto a quelle complessivamente richieste dall’agente della riscossione, quest’ultimo ne offre la restituzione all’avente diritto notificandogli una comunicazione delle modalità di restituzione dell’eccedenza. Decorsi tre mesi dalla notificazione senza che l’avente diritto abbia accettato la restituzione, ovvero, per le eccedenze inferiori a cinquanta euro, decorsi tre mesi dalla data del pagamento, l’agente della riscossione riversa le somme eccedenti all’ente creditore ovvero, se tale ente non è identificato né facilmente identificabile, all’entrata del bilancio dello Stato, ad esclusione di una quota pari al 15 per cento, che affluisce ad apposita contabilità speciale. Il riversamento è effettuato il giorno 20 dei mesi di giugno e dicembre di ciascun anno» (comma 1-bis); b) «La restituzione ovvero il riversamento sono effettuati al netto dell’importo delle spese di notificazione, determinate ai sensi dell’articolo 17, comma 7-ter, trattenute dall’agente della riscossione a titolo di rimborso delle spese sostenute per la notificazione» (comma 1-ter); c) «Resta fermo il diritto di chiedere, entro l’ordinario termine di prescrizione, la restituzione delle somme eccedenti di cui al comma 1-bis all’ente creditore ovvero allo Stato. In caso di richiesta allo Stato, le somme occorrenti per la restituzione sono prelevate dalla contabilità speciale prevista dal comma 1-bis e riversate all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate ad apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze» (comma 1-quater). Sempre secondo la ricorrente, l’impugnato comma 21 del citato art. 83 prevede, in sostanza, che gli Agenti della riscossione riversino le somme eccedenti di almeno cinquanta euro quelle complessivamente richieste e per le quali non è stata reclamata la restituzione, nonché le eccedenze inferiori a cinquanta euro all’ente creditore ovvero, se tale ente non è identificato né facilmente identificabile, all’entrata del bilancio dello Stato, ad esclusione di una quota pari al 15 per cento, che affluisce ad apposita contabilità speciale. Il successivo comma 22 dell’art. 83, anch’esso censurato, stabilisce inoltre che «Le somme eccedenti di cui all’articolo 22, comma 1-bis, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, incassate anteriormente al quinto anno precedente la data di entrata in vigore del presente decreto, sono versate entro il 20 dicembre 2008 ed affluiscono all’entrata del bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione al Fondo speciale istituito con l’articolo 81, comma 29, del presente decreto».La Regione lamenta che tali commi violano gli evocati parametri, determinando la sottrazione di entrate già di pertinenza regionale, perché, secondo il testo previgente del comma 1 dell’art. 22 del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112 (in forza del quale «Il concessionario riversa all’ente creditore le somme riscosse entro il decimo giorno successivo alla riscossione. Per le somme riscosse attraverso le agenzie postali e le banche il termine di riversamento decorre, dal giorno individuato con decreto del Ministero delle finanze, di concerto con il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica. Per gli enti diversi dallo Stato e da quelli previdenziali il termine di riversamento decorre dal giorno successivo allo scadere di ogni decade di ciascun mese»), la stessa Regione – e non lo Stato – acquisiva le imposte versate in eccedenza, nell’àmbito delle somme riscosse dal concessionario. Ad avviso della ricorrente, «la distinzione operata dai commi inseriti dal comma 21 qui in esame determina una diversa lettura – e una diversa portata operativa − del comma 1 in ordine alle somme eccedentarie, con la conseguenza che vengono riversate esclusivamente all’erario statale tutti quegli importi di consistenza inferiore a cinquanta euro nonché quegli altri – superiori – laddove il concessionario non individui facilmente l’ente creditore che […] può anche esser la regione». Le somme eccedenti incassate nei cinque anni trascorsi – prosegue la ricorrente – avrebbero dovuto essere già riversate alla Regione e non, come disposto dal censurato comma 22, acquisite all’erario statale. Sarebbe poi evidente che «la particolare destinazione che il legislatore nazionale ritiene di imprimere alle risorse derivanti dal comma 22 (fondo speciale istituito con l’art. 81, comma 29, del decreto stesso) non può determinare una “riserva” a termini dell’art. 2, comma primo, ultima parte, del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074, dal momento che le “riserve” all’erario statale previste da tale disposizione di attuazione statutaria riguardano “nuove entrate” istituite dallo Stato e non già la destinazione di entrate già proprie della regione, il cui diritto all’esazione è peraltro già maturato».

4. – Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le questioni siano dichiarate «inammissibili e, comunque, infondate».

La difesa erariale sostiene che il nuovo sistema di tesoreria, introdotto dal censurato art. 77-quater a decorrere dal 10 gennaio 2009, prevede che «sulla contabilità speciale aperta presso la Tesoreria statale debbano affluire, contrariamente a quanto affermato dalla Regione, solamente le somme provenienti direttamente dal bilancio dello Stato, incluse le somme connesse alla devoluzione di tributi erariali alle Autonomie speciali, riconosciute a valere sugli stanziamenti di specifici capitoli del bilancio statale. Conseguentemente, le entrate tributarie che la Regione Siciliana riscuote direttamente non affluiranno alla Tesoreria statale, ma sul conto del tesoriere regionale». Da ciò conseguirebbe che le disposizioni impugnate «non possono essere considerate lesive dell’autonomia finanziaria e delle prerogative della Regione siciliana», perché «il nuovo sistema, rispetto a quello ancora in vigore, consentirà alla medesima di detenere una maggior liquidità, considerando inoltre, che le manovre fiscali regionali relative all’IRAP e all’addizionale regionale IRPEF saranno accreditate in maniera piú puntuale, ovvero all’inizio dell’esercizio successivo a quello cui si riferiscono».

Rileva, infine, la stessa difesa erariale che, «nel rispetto dell’autonomia statutariamente riconosciuta alla Regione siciliana», non vi sarà alcuna limitazione nell’utilizzazione delle somme depositate in tesoreria statale, perché la Regione, «per il tramite del proprio tesoriere, potrà liberamente attingere alle disponibilità presso la Tesoreria statale una volta esaurite le giacenze della cassa regionale».

5. – In prossimità dell’udienza, la Regione Siciliana ha depositato memoria, insistendo in quanto già richiesto nel ricorso.

6. – In prossimità dell’udienza, l’Avvocatura generale dello Stato, nel giudizio promosso dalla Regione Siciliana, ha depositato memoria, chiedendo che la questione avente ad oggetto l’art. 83, commi 21 e 22, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, sia dichiarata «inammissibile ed infondata».

Ad avviso della difesa erariale, le norme censurate non determinano un’indebita sottrazione di risorse finanziarie spettanti alla Regione ricorrente, ma sono dirette a predisporre un razionale meccanismo di utilizzazione di quelle risorse che si vengono a creare nel caso non infrequente che, in occasione dell’espletamento del servizio di riscossione dei tributi e delle entrate dello Stato e degli altri enti pubblici, il debitore iscritto a ruolo paghi all’agente della riscossione importi eccedenti quello intimatogli con la cartella e non si attivi per il recupero di quanto indebitamente pagato in piú. Si tratterebbe di un fenomeno economicamente rilevante, in particolare con riferimento agli ultimi cinque anni, perché «l’importo detenuto dalle società affidatarie della riscossione, che in base al comma 2 dell’articolo in esame dovrebbe essere versato allo Stato entro l’anno 2008, è stimabile in circa 60 milioni di euro». In tale quadro, le norme impugnate si limiterebbero a regolare il versamento nelle casse erariali di somme di cui sia impossibile disporre in concreto la restituzione agli aventi diritto, con «un mero meccanismo di effettuazione di partite contabili inidoneo ad incidere sul regime di cassa ed a configurare, quindi, i paventati effetti lesivi dell’autonomia finanziaria regionale». Le censure della ricorrente sarebbero, pertanto, in via pregiudiziale, «inammissibili per carenza di un pregiudizio attuale e concreto e, in subordine, infondate in relazione alle denunce di irragionevolezza e di contrasto con le norme costituzionali e statutarie invocate, in quanto le disposizioni impugnate delineano un sistema di garanzie del tutto conforme ai principi enucleati dalla giurisprudenza costituzionale in materia di modalità di riscossione e riversamento delle entrate tributarie».

7. – In prossimità dell’udienza, la Provincia autonoma di Trento ha depositato memoria, insistendo in quanto già richiesto nel ricorso e rilevando, in particolare, che, contrariamente a quanto sostenuto dall’Avvocatura generale dello Stato: a) l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 non è stato evocato quale parametro di legittimità costituzionale; b) il Titolo VI dello statuto di autonomia è stato menzionato nel ricorso non come parametro, ma al solo scopo di ricordare che esso è stato attuato con il d.lgs. n. 268 del 1992; c) la questione proposta non è inammissibile, perché, «per l’ammissibilità del ricorso in via principale, sono sufficienti l’esistenza della norma lesiva del riparto di competenze e la sua applicabilità, a prescindere dall’utilità concreta che il ricorrente possa ricevere dalla decisione»; d) in ogni caso, la norma censurata produce per la Provincia autonoma un danno concreto, perché «la contabilità speciale ad essa intestata presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato è espressamente definita “infruttifera”», mentre il parametro evocato «non presuppone né richiede il carattere infruttifero dei conti correnti accesi presso la tesoreria centrale»; e) la stessa norma censurata, infine, incide sull’utilizzabilità delle somme messe a disposizione della Provincia, «che possono essere prelevate solo una volta esaurite le disponibilità sul conto di tesoreria della Provincia», con la conseguenza del sostanziale azzeramento delle giacenze di cassa.

Considerato in diritto

1. – La Provincia autonoma di Trento (registro ricorsi n. 71 del 2008) e la Regione Siciliana (registro ricorsi n. 88 del 2008) censurano l’art. 77-quater, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133. La Regione Siciliana censura, inoltre, l’art. 83, commi 21 e 22, dello stesso decreto-legge.

La trattazione delle questioni di legittimità costituzionale relative alle suddette disposizioni viene qui separata da quella delle altre questioni, promosse con i medesimi ricorsi, per le quali è opportuno procedere ad un esame distinto. I giudizi, cosí separati e delimitati nell’oggetto, vanno riuniti per essere congiuntamente trattati e decisi in considerazione della parziale identità delle norme censurate.

2. – La Provincia autonoma di Trento censura l’art. 77-quater, comma 7, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, il quale prevede che «Le entrate costituite da assegnazioni, contributi e quanto altro proveniente direttamente dal bilancio dello Stato devono essere versate per le regioni, le province autonome e gli enti locali nelle contabilità speciali infruttifere ad essi intestate presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato. Tra le predette entrate sono comprese quelle provenienti da operazioni di indebitamento assistite, in tutto o in parte, da interventi finanziari dello Stato sia in conto capitale che in conto interessi, nonché quelle connesse alla devoluzione di tributi erariali alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano».

La ricorrente evoca quale parametro di costituzionalità l’art. 8, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 268 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige in materia di finanza regionale e provinciale), il quale, in attuazione del Titolo VI dello statuto speciale, stabilisce che «il versamento alla regione Trentino-Alto Adige e alle province autonome di Trento e di Bolzano di quanto loro spettante a norma degli articoli 2, 4, 5 e 6 è disposto dal Ministero del tesoro mediante mandato diretto da estinguersi con accreditamento ai conti correnti accesi presso la Tesoreria centrale a favore degli enti suddetti». Ad avviso della Provincia autonoma, la disposizione censurata si pone in contrasto con tale parametro, perché stabilisce che i versamenti a favore delle province autonome – comprensivi di quelli a titolo di devoluzione del gettito di tributi erariali – debbono avvenire nelle contabilità speciali infruttifere ad esse intestate presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato, anziché con accredito presso la Tesoreria centrale dello Stato, come invece dispone l’evocato parametro.

2.1. – L’Avvocatura generale dello Stato, per il Presidente del Consiglio dei ministri, ha eccepito l’inammissibilità della questione, sostenendo che la Provincia autonoma di Trento non avrebbe dedotto alcuna motivazione circa la violazione del Titolo VI dello statuto speciale e dell’art. 2 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (Norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, concernenti il rapporto tra atti legislativi statali e leggi regionali e provinciali, nonché la potestà statale di indirizzo e coordinamento). L’eccezione non è fondata. Contrariamente a quanto sostenuto dall’Avvocatura generale dello Stato, l’art. 2 del d.lgs. n. 266 del 1992 non è stato evocato dalla ricorrente quale parametro di legittimità costituzionale e il Titolo VI dello statuto di autonomia è stato menzionato nel ricorso non come parametro, ma al solo scopo di ricordare che ad esso è stata data attuazione proprio con l’evocato art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 268 del 1992.

Sempre in punto di ammissibilità, la difesa erariale ha eccepito che, quanto al parametro dell’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 268 del 1992, la ricorrente non ha chiarito quale concreta lesione delle sue prerogative si sarebbe verificata in conseguenza dell’entrata in vigore della disposizione censurata.

Anche tale eccezione non è fondata. Infatti, come piú volte affermato da questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 118 e n. 88 del 2006, nonché n. 407 del 2002), per l’ammissibilità del ricorso in via principale, è sufficiente l’esistenza della norma che si afferma lesiva del riparto di competenze, a prescindere dall’utilità concreta che il ricorrente possa ricevere dalla decisione.

2.2. – Nel merito, la Provincia autonoma di Trento lamenta – come si è visto – che, secondo la norma censurata «Le entrate costituite da assegnazioni, contributi e quanto altro proveniente direttamente dal bilancio dello Stato devono essere versate per le regioni, le province autonome e gli enti locali nelle contabilità speciali infruttifere ad essi intestate presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato», anziché essere accreditate, come espressamente previsto dall’art. 8, comma 1, del d.lgs. n. 268 del 1992, «ai conti correnti accesi presso la Tesoreria centrale a favore degli enti suddetti».

La questione è fondata.

Non v’è dubbio, infatti, che le contabilità speciali infruttifere intestate alle Province autonome presso le sezioni di tesoreria provinciale dello Stato, di cui alla norma censurata, sono diverse da quelle relative ai conti correnti accesi presso la Tesoreria centrale, di cui all’evocato parametro.

A tale conclusione non può opporsi – come fa l’Avvocatura generale dello Stato – che la disposizione denunciata si limita a realizzare una riorganizzazione della tesoreria unica statale, «senza portare alcun sostanziale mutamento in peius nella finanza provinciale». In realtà, tale riorganizzazione determina pur sempre un diverso assetto normativo e, pertanto, avrebbe potuto essere legittimamente realizzata, quanto al Trentino-Alto Adige, solo previa modifica della citata disposizione di attuazione statutaria.

La dichiarazione di illegittimità costituzionale, essendo basata sulla violazione del sistema statutario del Trentino-Alto Adige, deve estendere la sua efficacia anche alla Provincia autonoma di Bolzano.

3. – La Regione Siciliana censura il medesimo comma 7 dell’art. 77-quater, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, in riferimento al combinato disposto degli artt. 36 dello statuto regionale (r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, recante «Approvazione dello Statuto della Regione siciliana») e 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria). Il citato art. 36 dello statuto regionale stabilisce che: a) «Al fabbisogno finanziario della Regione si provvede con i redditi patrimoniali della Regione a mezzo di tributi, deliberati dalla medesima» (primo comma); b) «Sono però riservate allo Stato le imposte di produzione e le entrate dei monopoli dei tabacchi e del lotto» (secondo comma). Il parimenti evocato art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965 prevede che: a) «Ai sensi del primo comma dell’articolo 36 dello Statuto della Regione siciliana, spettano alla Regione siciliana, oltre le entrate tributarie da essa direttamente deliberate, tutte le entrate tributarie erariali riscosse nell’ambito del suo territorio, dirette o indirette, comunque denominate, ad eccezione delle nuove entrate tributarie il cui gettito sia destinato con apposite leggi alla copertura di oneri diretti a soddisfare particolari finalità contingenti o continuative dello Stato specificate nelle leggi medesime» (primo comma); b) «Ai sensi del secondo comma dell’art. 36 dello Statuto competono allo Stato le entrate derivanti: a) dalle imposte di produzione; b) dal monopolio dei tabacchi; c) dal lotto e dalle lotterie a carattere nazionale» (secondo comma); c) «Le entrate previste nelle lettere precedenti sono indicate nelle annesse tabelle A), B) e C), che fanno parte integrante del presente decreto» (terzo comma). Ad avviso della ricorrente, la norma censurata, attraendo nel sistema di Tesoreria statale anche le entrate «connesse alla devoluzione di tributi erariali alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di Trento e di Bolzano», sottrae liquidità al sistema regionale, perché non si limita a porre «una mera modalità tecnico-contabile in relazione a nuove entrate, e per particolari ragioni di ripartizione interna delle stesse».La questione non è fondata.

Come piú volte affermato da questa Corte, le norme che fissano mere modalità tecnico-contabili per il versamento di somme dovute dallo Stato alla Regione non contrastano con l’art. 36 dello statuto regionale siciliano né con l’art. 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, in quanto non incidono in alcun modo sull’ammontare delle somme stesse (ex plurimis, sentenze n. 334 del 2006; n. 73 e n. 72 del 2005; n. 288 del 2004).

È questo il caso della disposizione censurata, la quale – contrariamente a quanto sostenuto dalla ricorrente – si limita a prevedere, nell’àmbito della riorganizzazione del sistema di tesoreria dello Stato, una nuova modalità di accreditamento di somme spettanti alla Regione, senza pertanto recare alcun pregiudizio alla finanza regionale. Ne consegue che tale disposizione non si pone in contrasto con il sistema statutario siciliano, il quale, a differenza di quello del Trentino-Alto Adige, non contiene previsioni specifiche relative alle modalità di accreditamento delle somme dovute alla Regione.

4. – La Regione Siciliana censura anche l’art. 83, comma 21, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, che inserisce, nell’art. 22 del d.lgs. 13 aprile 1999, n. 112 (Riordino del servizio nazionale della riscossione, in attuazione della delega prevista dalla legge 28 settembre 1998, n. 337), i commi 1-bis, 1-ter e 1-quater, i quali prevedono che: a) «In caso di versamento di somme eccedenti almeno cinquanta euro rispetto a quelle complessivamente richieste dall’agente della riscossione, quest’ultimo ne offre la restituzione all’avente diritto notificandogli una comunicazione delle modalità di restituzione dell’eccedenza. Decorsi tre mesi dalla notificazione senza che l’avente diritto abbia accettato la restituzione, ovvero, per le eccedenze inferiori a cinquanta euro, decorsi tre mesi dalla data del pagamento, l’agente della riscossione riversa le somme eccedenti all’ente creditore ovvero, se tale ente non è identificato né facilmente identificabile, all’entrata del bilancio dello Stato, ad esclusione di una quota pari al 15 per cento, che affluisce ad apposita contabilità speciale. Il riversamento è effettuato il giorno 20 dei mesi di giugno e dicembre di ciascun anno» (comma 1-bis); b) «La restituzione ovvero il riversamento sono effettuati al netto dell’importo delle spese di notificazione, determinate ai sensi dell’articolo 17, comma 7-ter, trattenute dall’agente della riscossione a titolo di rimborso delle spese sostenute per la notificazione» (comma 1-ter); c) «Resta fermo il diritto di chiedere, entro l’ordinario termine di prescrizione, la restituzione delle somme eccedenti di cui al comma 1-bis all’ente creditore ovvero allo Stato. In caso di richiesta allo Stato, le somme occorrenti per la restituzione sono prelevate dalla contabilità speciale prevista dal comma 1-bis e riversate all’entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate ad apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero dell’economia e delle finanze» (comma 1-quater). Censura, altresí, il successivo comma 22 dello stesso articolo, il quale stabilisce che «Le somme eccedenti di cui all’articolo 22, comma 1-bis, del decreto legislativo 13 aprile 1999, n. 112, incassate anteriormente al quinto anno precedente la data di entrata in vigore del presente decreto, sono versate entro il 20 dicembre 2008 ed affluiscono all’entrata del bilancio dello Stato per la successiva riassegnazione al Fondo speciale istituito con l’articolo 81, comma 29, del presente decreto».Sostiene la ricorrente che dette disposizioni violano il combinato disposto dei richiamati artt. 36 dello statuto regionale e 2 del d.P.R. n. 1074 del 1965, perché determinano la sottrazione di entrate che erano di pertinenza regionale in base al previgente testo del comma 1 dell’art. 22 del citato d.lgs. n. 112 del 1999, il quale - sempre secondo la ricorrente - prevedeva che la Regione, e non lo Stato, acquisiva le imposte versate in eccedenza, nell’àmbito delle somme riscosse dal concessionario della riscossione («Il concessionario riversa all’ente creditore le somme riscosse entro il decimo giorno successivo alla riscossione. Per le somme riscosse attraverso le agenzie postali e le banche il termine di riversamento decorre dal giorno individuato con decreto del Ministero delle finanze, di concerto con il Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica. Per gli enti diversi dallo Stato e da quelli previdenziali il termine di riversamento decorre dal giorno successivo allo scadere di ogni decade di ciascun mese»). Neppure tale questione è fondata.

Contrariamente a quanto sostenuto dalla Regione e indipendentemente dall’interpretazione che possa darsi del sopra riportato comma 1 dell’art. 22 del d.lgs. n. 112 del 1999, gli evocati parametri non le riconoscono alcun diritto sulle somme riscosse in eccedenza rispetto ai tributi erariali. Essi si limitano, infatti, ad attribuire alla Regione le entrate tributarie erariali riscosse nell’àmbito del suo territorio, dovendosi intendere per tali entrate solo i tributi erariali effettivamente dovuti, e non certo le somme eccedenti tali tributi, indebitamente corrisposte dai contribuenti.

 

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

riservata a separate pronunce la decisione delle altre questioni di legittimità costituzionale promosse, nei confronti del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, dalla Provincia autonoma di Trento e dalla Regione Siciliana;

dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 77-quater, comma 7, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, nella parte in cui esso si applica alle Province autonome di Trento e Bolzano;

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 77-quater, comma 7, e dell’art. 83, commi 21 e 22, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 2008, promosse, in riferimento al combinato disposto degli artt. 36 dello statuto regionale (r.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, recante «Approvazione dello Statuto della Regione siciliana») e 2 del d.P.R. 26 luglio 1965, n. 1074 (Norme di attuazione dello Statuto della Regione siciliana in materia finanziaria), dalla Regione Siciliana, con il ricorso indicato in epigrafe.

Cosí deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 dicembre 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 18 dicembre 2009.