Sentenza n. 174 del 2009

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SENTENZA N. 174

ANNO 2009

 

Commento alla decisione di

Stefano Catalano e Lorenzo Platania

 

Verso le sentenze interpretative di rigetto anche nei conflitti fra poteri?

 

(per gentile concessione del Forum dei Quaderni costituzionali)

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Francesco           AMIRANTE                            Presidente

- Ugo                    DE SIERVO                              Giudice

- Paolo                  MADDALENA                      “

- Alfio                  FINOCCHIARO                    “

- Alfonso              QUARANTA                         “

- Franco                GALLO                                “

- Luigi                  MAZZELLA                                   “

- Gaetano              SILVESTRI                          “

- Sabino                      CASSESE                                     “

- Maria Rita          SAULLE                               “

- Giuseppe            TESAURO                            “

- Paolo Maria        NAPOLITANO                     “

- Giuseppe            FRIGO                                  “

- Alessandro          CRISCUOLO                        “

- Paolo                  GROSSI                                “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato sorto a seguito dell’approvazione della delibera del 14 maggio 2009 della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, recante: «Disposizioni in materia di comunicazione politica, messaggi autogestiti, informazione e tribune della concessionaria del servizio radiotelevisivo pubblico relativo alle campagne per i referendum popolari aventi ad oggetto l’abrogazione di alcune disposizioni del testo unico delle leggi sull’elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e del testo unico delle leggi sull’elezione del Senato della Repubblica, approvato con decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, indetti per i giorni 21 e 22 giugno 2009», promosso da Giovanni Guzzetta, Mariotto Giovanni Battista Segni e Natale Maria Alfonso D’Amico, nella loro qualità di promotori e presentatori di tre richieste di referendum popolare, con ricorso notificato il 3 giugno 2009, depositato in cancelleria il 4 giugno 2009 ed iscritto al n. 6 del registro conflitti tra poteri dello Stato 2009, fase di merito.

Udito nella udienza pubblica del 9 giugno 2009 il Giudice relatore Ugo De Siervo;

uditi l’avvocato Francesco Saverio Marini per Giovanni Guzzetta, Mariotto Giovanni Battista Segni e Natale Maria Alfonso D’Amico e l’avvocato dello Stato Massimo Giannuzzi per la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.

Ritenuto in fatto

1. – I signori Giovanni Guzzetta, Mariotto Giovanni Battista Segni e Natale Maria Alfonso D’Amico, nella loro qualità di promotori e presentatori delle tre richieste di referendum elettorali indetti per i giorni 21 e 22 giugno 2009, hanno presentato ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, per la dichiarazione che non spettava alla predetta Commissione adottare le disposizioni contenute negli artt. 5, commi 4 e 7, e 7, commi 1 e 3, della delibera del 14 maggio 2009 della medesima Commissione, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 115 del 20 maggio 2009, recante: «Disposizioni in materia di comunicazione politica, messaggi autogestiti, informazione e tribune della concessionaria del servizio radiotelevisivo pubblico relativo alle campagne per i referendum popolari aventi ad oggetto l’abrogazione di alcune disposizioni del testo unico delle leggi sull’elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e del testo unico delle leggi sull’elezione del Senato della Repubblica, approvato con decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, indetti per i giorni 21 e 22 giugno 2009», in quanto lesiva delle attribuzioni costituzionali di cui agli articoli 21, 48 e 75 della Costituzione, come attuati dall’art. 4, comma 2, lettera d), della legge 22 febbraio 2000, n. 28 (Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica) in combinato disposto con l’art. 52, secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo).

I ricorrenti, in particolare, affermano che l’art. 5, commi 4 e 7, riguardante la disciplina delle tribune referendarie e le ulteriori trasmissioni di comunicazione politica diverse dalle tribune «eventualmente disposte dalla RAI», non prevederebbe la partecipazione di rappresentanti del Comitato promotore dei referendum, assicurandone e garantendone la presenza «soltanto nella eventualità in cui alla trasmissione prenda parte più di una persona per ciascuna delle indicazioni di voto».

I rappresentanti del Comitato promotore lamentano poi che l’art. 7, commi 1 e 3, concernente i notiziari diffusi dalla RAI e tutti gli altri programmi a contenuto informativo o di approfondimento, pur stabilendo il criterio della «parità di trattamento fra i diversi soggetti» politici, non contemplerebbe tra i soggetti beneficiari di siffatta parità di trattamento il Comitato promotore, prevedendo invece che «sia assicurato l’equilibrio e il contradditorio fra i soggetti favorevoli o contrari alla consultazione».

In particolare, i ricorrenti lamentano che i predetti articoli 5, commi 4 e 7, e 7, commi 1 e 3, violerebbero le attribuzioni costituzionali loro spettanti in base agli articoli 21, 48 e 75 Cost. e alle loro norme attuative, ovvero l’art. 4, comma 2, lettera d), della legge n. 28 del 2000 in combinato disposto con l’art. 52, secondo comma, della legge n. 352 del 1970.

La legge n. 28 del 2000 stabilisce, per quanto riguarda la comunicazione politica radiotelevisiva, che «per il referendum gli spazi sono ripartiti in misura uguale fra i favorevoli e i contrari al quesito referendario», mentre l’art. 52, secondo comma, legge n. 352 del 1970 prevederebbe, per la medesima comunicazione radiotelevisiva, che ai promotori del referendum debba essere riconosciuta una posizione pari a quella attribuita «ai partiti o gruppi politici rappresentati in Parlamento».

Le due norme attuative del principio del pluralismo dell’informazione determinerebbero una «indubbia posizione di garanzia» dei promotori del referendum nell’attività di comunicazione politico-referendaria. In particolare, l’art. 52, secondo comma, della legge n. 352 del 1970, secondo i rappresentanti del Comitato promotore, recherebbe una garanzia di accesso a spazi pari a quelli riservati ai rappresentanti dei gruppi parlamentari favorevoli al referendum, che non possono considerarsi idonei a sostituire i promotori dei referendum.

La delibera della Commissione parlamentare agli art. 5, commi 4 e 7 e 7, commi 1 e 3, sarebbe illegittima laddove non prevede che ai promotori del referendum debbano essere destinati spazi comunicativi e informativi uguali e della stessa importanza in termini di indici medi di ascolto rispetto a quelli che l’emittente attribuirà ad esponenti di gruppi politici favorevoli al referendum.

I ricorrenti non contestano la mancata previsione della contestualità della presenza dei rappresentanti dei gruppi e di quelli del Comitato promotore nell’ambito della stessa trasmissione, ma la mancanza nella delibera della Commissione della previsione di una concreta partecipazione dei rappresentanti del Comitato promotore che deve essere «almeno equivalente, sebbene non necessariamente contestuale, a quella dei rappresentanti dei gruppi politici parlamentari favorevoli al referendum».

La parità degli spazi da garantire ai rappresentanti del Comitato promotore rispetto agli esponenti politici deve essere intesa, secondo i ricorrenti e alla luce degli artt. 21, 48 e 75 Cost., in senso concreto e sostanziale e non già meramente formale; parità che non si raggiungerebbe con la previsione di un eguale numero di partecipazioni dei rappresentanti del Comitato promotore e di quelli dei gruppi politici favorevoli al referendum se gli spazi concessi fossero tutti «secondari», in termini di collocazione oraria nel palinsesto o di indici medi di ascolto. Parità di partecipazione che le disposizioni della delibera oggetto di conflitto non sarebbero in grado di garantire vista la mancanza di specifiche previsioni di dettaglio.

La parità di partecipazione e trattamento ai programmi televisivi di informazione e comunicazione politico-referendaria, nel senso sopra esposto, sarebbe da considerare, secondo i ricorrenti, puntuale attuazione dei principi di cui all’art. 75 Cost. che disciplina l’istituto referendario considerato «pressoché unanimamente» quale correttivo del sistema parlamentare.

I ricorrenti chiedono, quindi, che la Corte dichiari che non spettava alla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi adottare le disposizioni contenute negli artt. 5, commi 4 e 7, e 7, commi 1 e 3, della delibera adottata nella seduta del 14 maggio 2009 e che annulli conseguentemente le disposizioni impugnate, nella parte in cui esse non prevedono che ai promotori del referendum debbano essere complessivamente destinati i medesimi spazi comunicativi e informativi e della stessa importanza in termini di indici medi di ascolto, di quelli che l’emittente attribuirà ad esponenti di gruppi politici parlamentari favorevoli al referendum.

2. – Con ordinanza n. 172 del 2009 il conflitto è stato dichiarato ammissibile e l’udienza pubblica è stata fissata al 9 giugno 2009, previo riconoscimento della inapplicabilità dei termini processuali previsti dagli artt. 25 e 26 della legge 11 marzo 1953, n. 87, in quanto l’osservanza di essi avrebbe prodotto una irrimediabile lesione dei diritti costituzionali coinvolti.

3. – Si è costituita in giudizio la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, chiedendo che il ricorso sia dichiarato improcedibile, quanto all’art. 5, commi 1 e 4, ed infondato, quanto all’art. 7, commi 1 e 3.

In ordine all’art. 5, la difesa della Commissione parlamentare osserva che il calendario delle tribune referendarie approvato dalla RAI assicura la presenza di un rappresentante del Comitato promotore a ciascuna di esse, sicché sarebbe venuto meno l’interesse dei ricorrenti a coltivare, per tale parte, il ricorso.

Quanto all’art. 7, la Commissione parlamentare ritiene che l’espressione «soggetti politici» che vi ricorre debba ritenersi riferita anche ai promotori del referendum, ai quali sarebbe perciò garantita parità di trattamento.

Infine, sarebbe priva di fondamento la pretesa dei ricorrenti di godere dei medesimi spazi assegnati ai gruppi parlamentari «anche nella programmazione destinata all’informazione e all’approfondimento dei temi cui si riferiscono i quesiti referendari».

L’art. 52 della legge n. 352 del 1970 avrebbe ad oggetto, infatti, i soli «spazi di propaganda», ovvero le tribune referendarie e i messaggi autogestiti, mentre i programmi disciplinati dall’art. 7 della delibera della Commissione parlamentare debbono uniformarsi al solo principio costituzionale inteso a realizzare il pluralismo delle fonti cui attingere conoscenze e notizie.

In assenza di disposizioni di legge, perciò, la Commissione parlamentare godrebbe di ampia discrezionalità in materia, nei limiti della idoneità e della congruità della scelta rispetto al fine da perseguire.

Considerato in diritto

1. – Giovanni Guzzetta, Mariotto Giovanni Battista Segni e Natale Maria Alfonso D’Amico, quali promotori e presentatori delle tre richieste di referendum abrogativi indetti per i giorni 21 e 22 giugno 2009, hanno sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, ai fini dell’annullamento degli artt. 5, commi 4 e 7, e 7, commi 1 e 3, della delibera del 14 maggio 2009, con cui la Commissione ha disciplinato forme e modi della programmazione radiotelevisiva della RAI dedicata alla campagna referendaria.

Tali disposizioni sono giudicate lesive delle attribuzioni costituzionali dei ricorrenti, di cui agli articoli 21, 48 e 75 della Costituzione, come attuati, a parere dei ricorrenti, dall’art. 4, comma 2, lettera d), della legge 22 febbraio 2000, n. 28 (Disposizioni per la parità di accesso ai mezzi di informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica), in combinato disposto con l’art. 52, secondo comma, della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), «nella parte in cui non prevedono che ai promotori del referendum debbano essere complessivamente destinati i medesimi spazi comunicativi e informativi e della stessa importanza in termini di indici medi di ascolto, di quelli che l’emittente attribuirà ad esponenti di gruppi politici parlamentari favorevoli al referendum».

2. – Preliminarmente va confermata l’ammissibilità del conflitto, già affermata in via di sommaria delibazione nell’ordinanza n. 172 del 2009.

Infatti, quanto al profilo soggettivo, va riconosciuta, anche in relazione alle attività preordinate all’esercizio del voto referendario, sia la competenza dei promotori della richiesta di referendum abrogativo a dichiarare definitivamente la volontà della frazione del corpo elettorale titolare del potere di iniziativa referendaria ex art. 75 Cost., sia la competenza della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi a dichiarare definitivamente, in materia che attiene agli indirizzi per l’informazione e la propaganda attraverso il servizio pubblico radiotelevisivo, la volontà della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica (sentenze n. 502 del 2000 e n. 49 del 1998).

Inoltre, deve ritenersi sussistente anche il profilo oggettivo del conflitto, poiché gli atti di indirizzo delle Camere nei confronti del servizio pubblico radiotelevisivo sono intesi ad assicurare, in tale servizio, la realizzazione del principio del pluralismo (sentenze n. 420 del 1994 e n. 112 del 1993) e sono pertanto espressione di una attribuzione costituzionale, sì che ogni limitazione della facoltà di partecipare ai programmi radiotelevisivi sui referendum che dovesse risultarne, potrebbe, in astratto, ledere l’integrità delle attribuzioni che spetta ai Comitati promotori tutelare.

3. – L’art. 5, comma 4, della delibera della Commissione parlamentare di cui si tratta stabilisce che «qualora alle tribune» referendarie «prenda parte più di una persona per ciascuna delle indicazioni di voto, una di quelle che sostengono l’indicazione di voto favorevole deve intervenire in rappresentanza di un Comitato promotore», mentre il comma 7 di tale disposizione estende quest’ultimo precetto alle «ulteriori trasmissioni di comunicazione politica».

I ricorrenti lamentano che, per effetto di ciò, essi avrebbero la garanzia di intervenire «soltanto nella eventualità in cui alla trasmissione prenda parte più di una persona per ciascuna delle indicazioni di voto», mentre, in caso contrario, sarebbe consentito alla RAI escludere i rappresentanti del Comitato promotore, riservando interamente ai gruppi parlamentari lo spazio che spetta alla parte favorevole all’approvazione dei quesiti referendari.

Nel costituirsi in giudizio, la Commissione parlamentare ha chiesto che il ricorso, per tale parte, sia dichiarato improcedibile, poiché il timore paventato dai ricorrenti si sarebbe rivelato smentito dai fatti: il calendario delle tribune referendarie approvato dalla RAI ha, infatti, previsto la presenza di un rappresentante del Comitato promotore in tutte tali tribune.

All’udienza pubblica la difesa dei ricorrenti ha aderito espressamente a tale richiesta, dichiarando che non persiste più il proprio interesse a contestare l’adozione, da parte della Commissione parlamentare, dell’art. 5, commi 4 e 7.

Pertanto, essendo venuto meno nella pendenza del giudizio l’interesse alla doglianza, questa Corte deve dichiarare improcedibile il ricorso, per la parte ad essa relativo.

4. – L’art. 7, comma 1, della delibera della Commissione parlamentare stabilisce che «nel periodo di vigenza del presente provvedimento i notiziari diffusi dalla RAI e tutti gli altri programmi a contenuto informativo o di approfondimento si conformano con particolare rigore, per quanto riguarda i temi oggetto dei quesiti referendari, ai criteri di tutela del pluralismo, dell’imparzialità, dell’indipendenza, della completezza, dell’obiettività e della parità di trattamento fra i diversi soggetti politici».

I ricorrenti ritengono che le proprie attribuzioni siano menomate, poiché non vi sarebbe modo di ricomprendere i promotori del referendum tra i «soggetti politici» cui tale disposizione assicura «parità di trattamento».

Tale convincimento parrebbe basarsi sul testo dell’art. 3 della delibera in questione, che espressamente distingue il Comitato promotore dai «soggetti politici che costituiscano gruppo» parlamentare. Tuttavia, questa interpretazione è priva di fondamento ove si consideri il complessivo quadro normativo, essenzialmente caratterizzato dalla legge n. 28 del 2000.

Infatti, l’art. 1 di questa legge, che promuove e disciplina l’accesso ai mezzi di informazione garantendo parità di trattamento «a tutti i soggetti politici», anche con riguardo alle campagne referendarie (art. 1, comma 2, della legge n. 28 del 2000), si riferisce espressamente ai Comitati referendari come naturali protagonisti di esse (ciò è reso evidente nell’art. 4 della legge n. 28 del 2000).

Inoltre, questa Corte ha già affermato che «l’essenza del principio desumibile in materia dalla Costituzione, […] è la necessaria democraticità del processo politico referendario e l’esigenza che in esso sia offerta dal servizio pubblico televisivo la possibilità che i soggetti interessati, anche attraverso organizzazioni costituite in vista della consultazione referendaria, partecipino alla informazione e alla formazione dell’opinione pubblica» (sentenza n. 49 del 1998).

Pertanto, in difetto di un’espressa previsione contraria, non vi è modo per contestare la qualità politica dell’azione esercitata dai Comitati promotori, in quanto finalizzata alla promozione dei quesiti presso il corpo elettorale.

Si deve conseguentemente ritenere che la Commissione parlamentare all’art. 7, comma 1, della delibera si sia uniformata al linguaggio del legislatore, includendo i Comitati promotori del referendum tra i «soggetti politici», cui spetta parità di trattamento.

Così interpretato l’art. 7, comma 1, della delibera della Commissione non reca alcuna menomazione delle attribuzioni dei ricorrenti.

«Quanto poi all’art. 7, comma 3, questa disposizione prevede la possibilità anche  di programmi imperniati sull’esposizione di valutazioni ed opinioni»: in questo caso, si prescrive che vi «sia assicurato l’equilibrio ed il contradditorio fra i soggetti favorevoli o contrari alla consultazione, includendo fra questi ultimi anche coloro che si esprimono per l’astensione o per la non partecipazione al voto».

La scelta in tal modo operata dalla Commissione parlamentare non può peraltro consentire che tali programmi di “approfondimento” sfuggano alla applicazione delle regole ispirate al principio del pluralismo informativo, concernenti l’accesso alle trasmissioni anche dei diversi soggetti di cui all’art. 3 della delibera parlamentare, salva solo la possibile limitazione del numero dei partecipanti al dibattito (art. 7, parte finale del comma 3 della delibera).

Non solo il comma 3 dell’art. 7 deve interpretarsi, in accordo con quanto stabilito in via generale nel precedente comma 1, nel senso che tra i “soggetti” ivi indicati siano ricompresi i Comitati promotori del referendum, ma resta fermo, anche per tali programmi di approfondimento, che i Comitati non possono essere discriminati rispetto agli altri soggetti di cui all’art. 3 della delibera parlamentare.

Ove, pertanto, i particolari programmi disciplinati dall’art. 7, comma 3, della delibera siano caratterizzati dalle «esposizioni e valutazioni», i responsabili di tali programmi, devono operare in modo tale che i rappresentanti dei Comitati promotori non ne siano esclusi sistematicamente.

In questo senso, l’adozione da parte della Commissione parlamentare dell’art. 7, commi 1 e 3, non ha dato luogo ad alcuna lesione delle attribuzioni costituzionali dei promotori dei referendum.

5. – I ricorrenti hanno chiesto che questa Corte dichiari che non spettava alla Commissione adottare gli artt. 5, commi 4 e 7, e 7, commi 1 e 3, della delibera del 14 maggio 2009, «nella parte in cui non prevedono che ai promotori del referendum debbano essere complessivamente destinati i medesimi spazi comunicativi e informativi e della stessa importanza in termini di indici medi di ascolto, di quelli che l’emittente attribuirà ad esponenti di gruppi politici parlamentari favorevoli al referendum».

In altri termini, le attribuzioni dei promotori sarebbero state menomate, in quanto la Commissione parlamentare non avrebbe garantito loro che «la concreta partecipazione dei rappresentanti del Comitato promotore debba essere almeno equivalente, sebbene non necessariamente contestuale, a quella dei rappresentanti dei gruppi politici parlamentari favorevoli al referendum».

Questa Corte ha peraltro già sottolineato, quanto al referendum abrogativo, «la complessa posizione che l’istituto assume nel sistema costituzionale: da un lato, manifestazione di sovranità popolare non mediata che, in quanto tale, postula un dibattito aperto nella società civile nel quale abbiano voce, oltre ai promotori, di norma favorevoli all’abrogazione, anche i soggetti che si organizzino per esprimere un orientamento contrario; dall’altro, deliberazione su una legge, che investe, cioè, un prodotto della rappresentanza politica e che non può pertanto vedere esclusi dal dibattito pubblico i gruppi parlamentari, riflesso istituzionale del pluralismo politico, che del sistema rappresentativo costituiscono struttura portante» (sentenze n. 502 del 2000 e n. 49 del 1998).

In conclusione, le censure dei ricorrenti sono in parte palesemente infondate, là dove auspicano anche rigide predeterminazioni degli orari di trasmissione, ed in parte venute meno per sopravvenuta carenza di interesse con riguardo all’art. 5. Quanto, invece, all’art. 7 le censure si fondano su un erroneo presupposto interpretativo, da cui discenderebbe la pretesa difformità dell’art. 7, commi 1 e 3, della delibera della Commissione parlamentare dal disegno costituzionale in tema di pluralismo informativo.

Una volta dimostratasi infondata tale premessa, viene a mancare ogni motivazione idonea ad illustrare e comprovare la denunciata menomazione delle attribuzioni dei promotori.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara improcedibile per sopravvenuta carenza di interesse il ricorso di cui in epigrafe, nella parte relativa all’adozione, da parte della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, dell’art. 5, commi 4 e 7, della delibera approvata il 14 maggio 2009, recante: «Disposizioni in materia di comunicazione politica, messaggi autogestiti, informazione e tribune della concessionaria del servizio radiotelevisivo pubblico relativo alle campagne per i referendum popolari aventi ad oggetto l’abrogazione di alcune disposizioni del testo unico delle leggi sull’elezione della Camera dei deputati, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, e del testo unico delle leggi sull’elezione del Senato della Repubblica, approvato con decreto legislativo 20 dicembre 1993, n. 533, indetti per i giorni 21 e 22 giugno 2009 »;

dichiara che spettava alla Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi adottare la disciplina contenuta nell’art. 7, commi 1 e 3, della  medesima delibera approvata il 14 maggio 2009, in quanto da interpretare nei sensi di cui in motivazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10 giugno 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Ugo DE SIERVO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l'11 giugno 2009.