Sentenza n.49/98

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SENTENZA N.49

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof.    Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio promosso con ricorso di Rita Bernardini, Raffaella Fiori, Mauro Sabatano, nella qualità di promotori e presentatori dei referendum abrogativi in tema di Ordine dei giornalisti, incarichi extragiudiziari dei magistrati, carriera dei magistrati, esercizio della caccia, obiezione di coscienza e "golden share", notificato il 9 giugno 1997, depositato in cancelleria il 17 successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito della delibera adottata il 20 maggio 1997 dalla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi con la quale é stata disciplinata la trasmissione di Tribune da parte della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo in occasione delle consultazioni referendarie del 15 giugno 1997, iscritto al n. 35 del registro conflitti 1997.

Visto l'atto di costituzione della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi;

udito nell'udienza pubblica del 30 settembre 1997 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;

uditi l'avvocato Achille Chiappetti per Rita Bernardini, Raffaella Fiori e Mauro Sabatano e l'avvocato Giuseppe Abbamonte per la Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi.

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ricorso depositato il 24 maggio 1997, Rita Bernardini, Raffaella Fiori e Mauro Sabatano, nella loro qualità di promotori dei referendum abrogativi in tema di Ordine dei giornalisti, incarichi extragiudiziari dei magistrati, carriera dei magistrati, esercizio della caccia, obiezione di coscienza e "golden share", dichiarati ammissibili da questa Corte e indetti, per il 15 giugno 1997, con altrettanti decreti del Presidente della Repubblica in data 15 aprile 1997, pubblicati nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 90 del 18 aprile 1997, hanno sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, del Parlamento, della Camera dei deputati, del Senato della Repubblica e del Governo, in ordine al regolamento (recte: delibera) del 20 maggio 1997 con il quale la Commissione di vigilanza, nell’esercizio dei poteri ad essa conferiti dall’art. 4, primo comma, della legge 14 aprile 1975, n. 103 (Nuove norme in materia di diffusione radiofonica e televisiva), ha stabilito i criteri e le modalità per lo svolgimento delle Tribune referendarie da parte della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo.

Quanto alla sussistenza del requisito soggettivo di ammissibilità del conflitto, i ricorrenti ricordano come questa Corte abbia più volte riconosciuto la legittimazione del comitato promotore a proporre conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, e come, in particolare, secondo quanto affermato nella sentenza n. 161 del 1995, il comitato stesso sia stato legittimato a dolersi delle eventuali restrizioni apportate alla campagna referendaria in quanto suscettibili di incidere sulla formazione della volontà di coloro che esprimono il voto.

Ciò detto, i ricorrenti osservano che la delibera impugnata richiama, in premessa, sia la disposizione dell’art. 52 della legge 25 maggio 1970, n. 352 (Norme sui referendum previsti dalla Costituzione e sulla iniziativa legislativa del popolo), che in materia di propaganda attribuisce ai partiti o gruppi politici rappresentati in Parlamento nonchè ai promotori del referendum le medesime facoltà riconosciute ai partiti o gruppi politici che partecipano alle competizioni elettorali, sia le precedenti deliberazioni della stessa Commissione. Nel diversificare i soggetti legittimati a partecipare ai differenti cicli di Tribune in essa previsti, la delibera non si sarebbe però attenuta alla sua premessa: l’art. 1 dispone che siano trasmessi, per ciascuno dei quesiti referendari, un ciclo di confronti e un ciclo di appelli ai votanti, riservati entrambi ai comitati promotori e ai comitati per il NO; l’art. 2, alle lettere a) e b), prevede un ulteriore ciclo di quattro dibattiti, nei quali il tempo, come per gli altri cicli, "é ripartito ugualmente tra le opposte indicazioni di voto" e ai quali possono partecipare i gruppi parlamentari ma non i comitati promotori dei referendum; ad avviso dei ricorrenti, la previsione di quest’ultimo ciclo di quattro dibattiti sarebbe lesiva delle attribuzioni dei comitati. Risulterebbe infatti attribuita ai soli gruppi parlamentari, in dibattiti previsti per di più nell’ultima settimana prima del voto, la rappresentanza delle posizioni referendarie. L'art. 52 della legge n. 352 del 1970, pur formalmente richiamato, sarebbe stato quindi nella sostanza disatteso nel suo prevedere che le facoltà in materia di propaganda referendaria siano riconosciute ai partiti o gruppi politici rappresentati in Parlamento nonchè ai promotori del referendum, considerati come gruppo unico. Il presupposto dal quale la Commissione bicamerale procederebbe, che cioé i gruppi parlamentari si ripartiscano equamente tra i SI e i NO, sarebbe oltretutto indimostrato, e sarebbe stato trascurato il fatto che il Parlamento, in quanto titolare della potestà legislativa, si porrebbe, nel sistema costituzionale, in posizione antitetica a quella dei comitati promotori, la partecipazione dei quali dovrebbe essere pertanto assicurata anche nei dibattiti destinati ai gruppi politici.

Un’ulteriore lesione delle proprie attribuzioni é individuata dai ricorrenti nel ritardo con il quale la Commissione avrebbe provveduto ad approvare la regolamentazione delle Tribune referendarie. Tale ritardo, infatti, avrebbe posto la concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo nella impossibilità di iniziare la programmazione prima del 26 maggio, mentre, essendo stati indetti i referendum per il 15 giugno, la campagna referendaria avrebbe avuto inizio il 15 maggio. La restrizione dei tempi della campagna referendaria, osservano i ricorrenti, si ripercuoterebbe sulla formazione della volontà di coloro che sono chiamati ad esprimere il proprio voto e, di conseguenza, sulle attribuzioni garantite al comitato promotore dall’art. 75 della Costituzione.

In conclusione, i ricorrenti chiedono l’annullamento, previa sospensiva, dell’art. 2, lettere a) e b), della delibera in questione.

2. - Questa Corte, con ordinanza n. 171 del 5 giugno 1997, ha respinto la richiesta di provvedimento cautelare ed ha dichiarato l’ammissibilità del ricorso per conflitto di attribuzione nei soli confronti della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, fissando ai ricorrenti il termine di dieci giorni per la notifica del ricorso e dell’ordinanza.

3. - Nel giudizio si é costituita, il 16 settembre 1997, la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, chiedendo che il proposto conflitto sia dichiarato inammissibile o, subordinatamente, sia rigettato.

Preliminarmente la Commissione eccepisce che, in considerazione dell’esito dei referendum proposti dai comitati promotori, sarebbe venuto meno l'interesse dei ricorrenti, poichè dall'eventuale accoglimento del ricorso non potrebbe discendere alcun effetto giuridico sulle procedure svoltesi e sui relativi esiti, che sarebbero derivati unicamente dalla astensione massiccia degli elettori, in nessun modo riferibile ad un preteso difetto di propaganda.

In merito alla censura relativa all’esclusione dei comitati promotori dai quattro dibattiti ai quali hanno partecipato i rappresentanti dei gruppi parlamentari, la Commissione rileva che la dialettica e il pluralismo degli indirizzi sarebbero stati assicurati dalla ripartizione degli interventi secondo le opposte indicazioni di voto e dalla diversa estrazione politica dei singoli gruppi.

La Commissione contesta poi l’affermazione dei ricorrenti secondo cui i gruppi avrebbero monopolizzato la rappresentanza delle posizioni referendarie, in quanto sarebbe stata, invece, "prevista sia la partecipazione dei comitati per il sì e per il no, sia dei gruppi parlamentari, sia la pubblicità con spot, sia la trasmissione, anche per radio, dei dibattiti televisivi".

L’art. 52 della legge n. 352 del 25 maggio 1970 avrebbe, d’altronde, trovato piena applicazione ed esatta corrispondenza nella delibera adottata, nel suo riferirsi da un lato alle formazioni parlamentari e dall’altro ai comitati promotori, contrapponendo a questi ultimi i comitati per il no, ove esistenti.

Ancora, il dibattito fra i gruppi parlamentari sarebbe stato necessario per esprimere "la politica nazionale quale essa si presenta in Parlamento in occasione del voto referendario", mentre l’unanimità dei gruppi su singole posizioni referendarie sarebbe "eventualità storicamente trascurabile".

In riferimento alla tardività della delibera rispetto alla campagna referendaria, la Commissione parlamentare sostiene che "non é il conflitto un rimedio contro il ritardo". La sfera di potestà del comitato promotore, secondo la Commissione, consisterebbe nella garanzia delle attività necessarie a promuovere il referendum, mentre la propaganda porrebbe il diverso problema dell’accesso al mezzo radiotelevisivo, che, ove negato, potrebbe eventualmente determinare un illegittimo esercizio della funzione parlamentare, contro il quale vi sarebbero rimedi diversi da quelli diretti a reprimere l’invasione della sfera di potestà altrui. Nè potrebbe costituire invasione di potestà la asserita restrizione della campagna referendaria, poichè questa non si configurerebbe come autonoma sfera di potestà costituzionalmente tutelata ai sensi dell’art. 134 della Costituzione.

D’altra parte, ad avviso della Commissione parlamentare, nessuna norma stabilirebbe il termine entro il quale devono avere inizio le operazioni di propaganda per le consultazioni referendarie e, nella materia delle elezioni politiche e amministrative, i trenta giorni precedenti il voto verrebbero in rilievo piuttosto come termine per la presentazione delle candidature, così che la stessa fattispecie "campagna elettorale" sarebbe giuridicamente individuabile con difficoltà.

Nelle leggi in vigore non si rinverrebbero poi specifiche previsioni di comportamento in materia per la Commissione parlamentare per i servizi radiotelevisivi, poichè l’art. 4 della legge n. 103 del 14 aprile 1975 si limiterebbe a delimitare le competenze della Commissione, l’art. 52 della legge n. 352 del 25 maggio 1970 attribuirebbe ai promotori dei referendum i poteri riconosciuti ai partiti e ai gruppi politici organizzati e la legge n. 515 del 1993 (Disciplina delle campagne elettorali per l'elezione alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica) non si riferirebbe alle procedure referendarie.

4. - In prossimità dell’udienza sia la Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi che i comitati promotori ricorrenti hanno depositato memorie e documentazione relativa, rispettivamente, alla formazione dell’atto oggetto del conflitto e ai regolamenti di precedenti campagne radiotelevisive referendarie.

5. - Nella propria memoria la Commissione parlamentare insiste innanzitutto sull’assoluto difetto di interesse attuale, e chiede che venga dichiarata la cessazione della materia del contendere.

Nel merito, l’ordinanza di questa Corte di ammissibilità del conflitto in oggetto darebbe per acquisiti due dati: l’eguale ripartizione del tempo radiotelevisivo tra le opposte indicazioni di voto e la complessiva presenza dei comitati promotori nelle varie fasi delle trasmissioni di propaganda. L’aver assicurato separati spazi alle rappresentanze parlamentari andrebbe dunque interpretato solo come sforzo di chiarificazione di distinte responsabilità innanzi al corpo elettorale: che non sarebbero tanto quelle dei sostenitori del sì o del no, quanto, da una parte, quella dei rappresentanti istituzionali titolari del mandato politico, e, dall’altra, quella di coloro i quali assumono iniziative di democrazia diretta; e tale separazione escluderebbe in radice l’invasione dell’altrui competenza.

Quanto alla denunciata restrizione dei tempi della propaganda per la ritardata approvazione della delibera impugnata, la Commissione parlamentare osserva che la normativa dell’art. 52 della legge n. 352 del 1970 é stata da essa ritenuta applicabile alla propaganda radiotelevisiva solo per analogia e, quindi, con tutti i necessari adattamenti derivanti soprattutto dalla specificità dei tempi dell’attività di decisione parlamentare, che é attività politica.

L’iter formativo della delibera impugnata dimostrerebbe come si sia trattato di un procedimento tutt’altro che agevole, segnato, dall’8 maggio al 20 maggio 1997, da numerose tappe di confronto e riflessione, che escluderebbero qualsiasi invasione di potestà altrui da parte della Commissione.

Anche la prassi, d’altra parte, disconoscerebbe l’esistenza di vincoli di data, nell’attività parlamentare in genere, e nell’attività della Commissione resistente; anzi, ad avviso di quest'ultima, sarebbe sufficiente rilevare – a dimostrazione anche dell’impossibile equiparazione rigida tra la ripartizione degli spazi destinati all’affissione, prevista dalla legge n. 352 del 1970, e la regolamentazione per analogia dell’accesso alla televisione pubblica, – che spesso, per le campagne referendarie, le delibere di regolamentazione sarebbero state assunte in date successive al trentesimo giorno antecedente allo svolgimento dei referendum stessi.

6. - I comitati promotori ricorrenti chiedono che la Corte, nonostante l’avvenuta effettuazione dei referendum, si pronunci sui principî costituzionali ai quali hanno fatto appello in sede di ricorso.

Dall’ordinanza di ammissibilità del conflitto, infatti, sembrerebbero emergere due contrastanti criteri interpretativi dell’atto impugnato (eguale ripartizione del tempo ¾ complessiva presenza dei comitati promotori). Non sarebbe cioé condivisibile la tesi secondo cui l’eguale ripartizione del tempo tra le opposte indicazioni di voto consentirebbe di escludere la partecipazione dei promotori alle tribune serali tra tutti i partiti politici, che sarebbero, da una parte, le più seguite e, dall’altra, l’espressione di un dibattito che si svolgerebbe tutto all’interno dell’organo che ha emanato la legge di cui si chiede l’abrogazione o che non ha provveduto ad abrogarla.

Nessun partito o gruppo parlamentare, per quanto favorevole ai referendum, potrebbe considerarsi abilitato a sostenere le ragioni che hanno indotto i promotori a richiederli. La stessa lettera dell’art. 52 della legge n. 352 del 1970, chiedendo che i promotori del referendum siano considerati, ai fini della propaganda, "come gruppo unico", garantirebbe la partecipazione dei promotori alla tribune riservate, e ciò sarebbe stato attuato nel passato.

7. - Nel corso dell’udienza pubblica, la difesa della Commissione parlamentare resistente ha depositato ulteriore documentazione.

Considerato in diritto

 

1. - Rita Bernardini, Raffaella Fiori e Mauro Sabatano, quali promotori e presentatori dei referendum abrogativi in tema di Ordine dei giornalisti, incarichi extragiudiziari dei magistrati, carriera dei magistrati, esercizio della caccia, obiezione di coscienza e "golden share", indetti per la tornata del 15 giugno 1997, sollevano conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato al fine di ottenere l'annullamento dell'art. 2, comma 1, lettere a) e b), della delibera della Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi, adottata in data 20 maggio 1997, con cui viene disciplinata la trasmissione di Tribune da parte della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo in occasione delle consultazioni referendarie del 15 giugno 1997.

I ricorrenti si dolgono della menomazione delle proprie attribuzioni, garantite dall'art. 75 della Costituzione, che discenderebbe dall'essere previsto nella delibera della Commissione parlamentare un ciclo di quattro dibattiti riservato esclusivamente ai gruppi parlamentari, anche se costituiti in un solo ramo del Parlamento, e dall'essere stata la stessa delibera approvata in ritardo con una conseguente, illegittima restrizione della campagna radiotelevisiva referendaria.

2. - Deve essere confermata la ammissibilità del conflitto di attribuzione ai sensi dell’art. 37 della legge 11 marzo 1953, n. 87, già ritenuta, in via delibativa, nella ordinanza n. 171 del 1997.

Sussistono infatti i requisiti soggettivi, essendo indubitabili anche in relazione alle attività preordinate all’esercizio del voto referendario, sia la competenza dei promotori della richiesta di referendum abrogativo a dichiarare definitivamente la volontà della frazione del corpo elettorale titolare del potere di iniziativa referendaria ex art. 75 Cost., sia la competenza della Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi a dichiarare definitivamente, in materia che attiene agli indirizzi per l'informazione e la propaganda attraverso il servizio pubblico radiotelevisivo, la volontà della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica.

Quanto al requisito oggettivo, si deve poi ribadire che gli atti di indirizzo delle Camere nei confronti del servizio pubblico radiotelevisivo sono intesi ad assicurare, in tale servizio, la realizzazione del principio del pluralismo (sentenze n. 420 del 1994 e n. 112 del 1993) e sono pertanto espressione di una attribuzione costituzionale, sì che ogni limitazione della facoltà di partecipare ai dibattiti televisivi sui referendum, che dovesse risultarne, potrebbe, in astratto, ledere l’integrità delle attribuzioni che spetta ai comitati promotori tutelare.

3. - Non può essere accolta l’eccezione della difesa della Commissione secondo la quale, a seguito dell’espletamento dei referendum proposti dal comitato ricorrente e in considerazione dell’esito degli stessi - mancato raggiungimento del quorum di validità delle consultazioni a causa della massiccia astensione degli aventi diritto al voto, non imputabile, secondo la Commissione, ad un difetto di propaganda ma conseguente alla libera scelta del corpo elettorale - sarebbe venuto meno l’interesse dei ricorrenti, poichè all’eventuale sentenza della Corte non potrebbe seguire alcun effetto giuridico sulle procedure già svoltesi.

I rilievi della difesa della Commissione investono il merito del presente conflitto e non anche la sua ammissibilità. Una volta ricostruita come espressione di un dovere costituzionale che incombe sul Parlamento, e per esso sulla apposita Commissione parlamentare, la formulazione di indirizzi sulla propaganda referendaria rispettosi dei principî del pluralismo, ed una volta riconosciuto che a tale dovere fa riscontro una attribuzione dei comitati promotori, l'affermazione che una sentenza di questa Corte che accertasse la violazione di quel dovere e la lesione di quella attribuzione sarebbe inidonea a produrre effetti sul procedimento di referendum già concluso non può, nella sua assolutezza, essere condivisa, essendo in linea teorica valutabile l’incidenza dell’accertata menomazione sull’esito del referendum. Nè varrebbe disquisire intorno all’esaurimento degli effetti dell’atto impugnato, poichè, come già a suo tempo osservato in altra occasione, residuerebbe comunque "l’interesse del ricorrente ad ottenere quella decisione sulla spettanza delle attribuzioni in contestazione che rappresenta — specialmente nei conflitti tra poteri dello Stato — l’oggetto principale del giudizio di questa Corte, in base all’art. 38 della legge n. 87 del 1953" (sentenza n. 150 del 1981).

4. - Nel merito, il ricorso é infondato.

La delibera della Commissione parlamentare, approvata il 20 maggio 1997, stabiliva che, in occasione delle consultazioni referendarie del 15 giugno 1997, fossero trasmessi su rete nazionale, secondo un criterio di rigorosa equiparazione dei tempi tra le opposte indicazioni di voto, un ciclo di confronti per ciascuno dei quesiti referendari, riservato ai comitati promotori ed ai comitati per il no costituitisi anteriormente alla data del 23 maggio 1997, un ciclo di appelli ai votanti riservato ai medesimi soggetti, da trasmettere per televisione e per radio in orario serale nella giornata di venerdì 13 giugno, nonchè un ciclo di quattro dibattiti riservato ai gruppi parlamentari anche se costituiti in un solo ramo del Parlamento.

La circostanza che per questi ultimi dibattiti non fosse prevista la partecipazione dei comitati promotori non ha comportato alcuna vulnerazione della loro posizione giuridica nè alcuna menomazione della sfera di attribuzioni loro garantita. La scelta della Commissione di mantenere distinte le trasmissioni destinate ai comitati da quelle riservate ai gruppi parlamentari, anche se non imposta dalla Costituzione, rispecchia una non arbitraria visione del referendum tendente a valorizzare la complessa posizione che l’istituto assume nel sistema costituzionale: da un lato, manifestazione di sovranità popolare non mediata che, in quanto tale, postula un dibattito aperto nella società civile nel quale abbiano voce, oltre ai promotori, di norma favorevoli all’abrogazione, anche i soggetti che si organizzino per esprimere un orientamento contrario; dall’altro, deliberazione su una legge, che investe, cioé, un prodotto della rappresentanza politica e che non può pertanto vedere esclusi dal dibattito pubblico i gruppi parlamentari, riflesso istituzionale del pluralismo politico, che del sistema rappresentativo costituiscono struttura portante.

Da nessun principio costituzionale é desumibile un divieto a che, in tema di propaganda radiotelevisiva referendaria, i due piani - quello del libero e in qualche modo contingente aggregarsi delle idee, delle opinioni e degli interessi attorno ad un quesito specifico, sul quale si muovono i comitati, e quello delle più stabili aggregazioni politiche, proprio dei gruppi parlamentari - siano mantenuti distinti per una più chiara percezione da parte dell’elettore della complessiva consistenza del quesito e della molteplicità delle sue valenze.

E’ vero che il disegno costituzionale é sul punto sufficientemente elastico da permettere, nella propaganda attraverso il servizio pubblico radiotelevisivo, anche un'impostazione diversa e da consentire, in assenza di un’apposita disciplina legislativa, che nella delibera della Commissione bicamerale il processo politico referendario sia considerato unitariamente, con la previsione di programmi di confronto diretto tra rappresentanti dei gruppi e promotori, come avveniva nelle deliberazioni adottate dalla Commissione in occasione di precedenti tornate referendarie.

L’essenza del principio desumibile in materia dalla Costituzione, infatti, é la necessaria democraticità del processo politico referendario e l’esigenza che in esso sia offerta dal servizio pubblico televisivo la possibilità che i soggetti interessati, anche attraverso organizzazioni costituite in vista della consultazione referendaria, partecipino alla informazione e alla formazione dell’opinione pubblica; i modi e le forme in cui tale partecipazione deve svolgersi sono rimessi, però, in assenza di disposizioni di legge, alla discrezionalità della Commissione parlamentare che incontra i limiti, nella specie non oltrepassati, dell'idoneità e della congruità della scelta rispetto al fine da perseguire.

Non depone nel senso dell’esistenza di uno schema di propaganda radiotelevisiva fisso ed infungibile l’art. 52 della legge n. 352 del 1970, invocato dai ricorrenti, il quale, nella ripartizione degli spazi destinati alle affissioni, tratta i promotori come un unico gruppo, sullo stesso piano, cioé, dei gruppi politici rappresentati in Parlamento. Questa disposizione pone la regola che ai promotori del referendum non possono essere destinati spazi di propaganda minori o meno importanti di quelli riconosciuti ai gruppi politici; non se ne desume l'ulteriore e diversa regola che gruppi e comitati debbano disporre contestualmente dei medesimi spazi.

Dalla disciplina delle affissioni non si argomenta dunque il diritto dei promotori di partecipare alle stesse trasmissioni riservate ai gruppi politici, tanto più che l’applicazione, nel significato preteso dai ricorrenti, dell’art. 52, il quale equipara gruppi politici e comitati senza dare alcun rilievo all’orientamento che i primi intendano manifestare in vista della consultazione referendaria, sarebbe stata difficilmente conciliabile con la scelta, non irragionevole e non preclusa alla Commissione bicamerale, di valorizzare il carattere binario del quesito e di adottare, nella ripartizione dei tempi di trasmissione, il criterio della rigorosa equiparazione tra le opposte indicazioni di voto, sia nei confronti tra comitati, sia nei dibattiti tra rappresentanti dei gruppi politici.

5. - Infondata é pure la censura dei ricorrenti secondo i quali la menomazione delle proprie attribuzioni deriverebbe dalla tardiva adozione della delibera, approvata dalla Commissione parlamentare il 20 maggio 1997 in relazione a referendum indetti per il 15 giugno 1997; ciò che avrebbe determinato, a loro avviso, una illegittima compressione del periodo di campagna referendaria.

Nessuna disposizione di legge stabilisce quanto tempo prima del giorno previsto per la consultazione popolare debba essere adottata la delibera relativa alla trasmissione delle tribune referendarie. L’art. 1 della legge 10 dicembre 1993, n. 515, che effettivamente dispone che tale deliberazione debba intervenire non oltre il quinto giorno successivo alla indizione dei comizi elettorali, riguarda le elezioni politiche della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica; e, mentre il successivo art. 20 estende la disciplina alle elezioni del Parlamento europeo, dei Consigli regionali, provinciali e comunali, del Sindaco e del Presidente della provincia, nessuna norma si riferisce espressamente al referendum. Anche a voler applicare in via analogica alle consultazioni referendarie il principio ricavabile dal citato articolo 1, tale applicazione non può che limitarsi, appunto, al principio e questo non é nel senso che l’intero periodo compreso tra la data di adozione della delibera e quella delle votazioni debba essere ininterrottamente coperto dalle trasmissioni del servizio pubblico; é infatti positivamente richiesto soltanto che gli spazi di propaganda siano "idonei", adeguati, cioé, a una corretta e completa informazione radiotelevisiva che é tutto quanto necessita all’espressione di un voto consapevole da parte degli elettori.

D’altronde, una lesione delle attribuzioni dei comitati promotori, in ordine alla propaganda referendaria, non potrebbe consistere nel mero dato formale del ritardo nell’adozione della delibera. Perchè la lesione sussista, occorre che essa sia sostanziale, che cioé il periodo di effettiva propaganda e gli spazi ad essa destinati risultino insufficienti ed inadeguati secondo un criterio di ragionevolezza. Ma l’applicazione di tale criterio porta a ritenere che nessuna irragionevole compressione delle attribuzioni dei promotori si é nella specie verificata, se si considera che l'atto impugnato prevedeva, in loro favore, per ciascuno dei quesiti referendari un ciclo di confronti suddivisi in più trasmissioni e un ciclo di appelli ai votanti nella giornata di venerdì 13 giugno 1997, in orario serale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che spetta alla Commissione parlamentare per l'indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi adottare la disciplina contenuta nell'art. 2, comma 1, lettere a) e b), della delibera in data 20 maggio 1997 concernente la trasmissione di Tribune da parte della concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo in occasione delle consultazioni referendarie del 15 giugno 1997.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 marzo 1998.

Presidente: Giuliano VASSALLI

Redattore: Carlo MEZZANOTTE

Depositata in cancelleria il 12 marzo 1998.