Ordinanza n. 68 del 2009

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ORDINANZA N. 68

ANNO 2009

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

-    Francesco                  AMIRANTE                          Presidente

-    Ugo                          DE SIERVO                             Giudice

-    Paolo                        MADDALENA                             "

-    Alfio                         FINOCCHIARO                          "

-    Alfonso                     QUARANTA                               "

-    Franco                      GALLO                                       "

-    Luigi                         MAZZELLA                                "

-    Gaetano                     SILVESTRI                                 "

-    Sabino                       CASSESE                                   "

-    Maria Rita                 SAULLE                                     "

-    Giuseppe                   TESAURO                                   "

-    Paolo Maria               NAPOLITANO                            "

-    Giuseppe                   FRIGO                                        "

-    Alessandro                 CRISCUOLO                              "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), promosso con ordinanza del 22 gennaio 2008 dal Giudice di pace di Viterbo nel procedimento penale a carico di L.P., iscritta al n. 123 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 18, prima serie speciale, dell’anno 2008.

         Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

         udito nella camera di consiglio dell’11 febbraio 2009 il Giudice relatore Giuseppe Frigo.

Ritenuto che, con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Giudice di pace di Viterbo ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 25 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), nella parte in cui non prevede, fra le ipotesi di connessione tra procedimenti di competenza del giudice di pace e procedimenti di competenza di altro giudice, quella dei reati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre;

         che il giudice a quo premette che, a seguito di una colluttazione avvenuta all’uscita da una discoteca, due persone si erano procurate reciprocamente lesioni personali, giudicate guaribili in cinque giorni, quanto ad uno dei contendenti, e in trenta giorni, quanto all’altro;

che dal fatto erano quindi scaturiti due procedimenti penali: il primo davanti al rimettente Giudice di pace, competente per il reato di lesioni personali di durata inferiore ai venti giorni; il secondo davanti al Tribunale di Viterbo, competente per le lesioni di durata superiore;

         che il rimettente riferisce, altresì, di aver preliminarmente respinto l’istanza del difensore dell’imputato di riunione del processo con quello pendente davanti al Tribunale di Viterbo, sul rilievo che l’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 274 del 2000 non contempla tra le ipotesi di «riunione per connessione» quella dei reati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre; e che, a fronte di ciò, il difensore aveva eccepito l’illegittimità costituzionale della norma per contrasto con gli artt. 3, 25, primo comma, e 111, primo comma, Cost.;

         che la questione – a parere del rimettente – sarebbe rilevante, in quanto, nel caso di suo accoglimento, la competenza per il reato oggetto del giudizio a quo si sposterebbe presso il giudice superiore;

         che quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, il rimettente assume che la norma censurata, escludendo che nell’ipotesi de qua si abbia connessione tra procedimenti di competenza del giudice di pace e procedimenti di competenza di altro giudice, violi l’art. 3 Cost., determinando una ingiustificata disparità di trattamento sia in rapporto ad altre previsioni dello stesso d.lgs. n. 274 del 2000, sia in relazione a corrispondenti previsioni generali contenute nel codice di rito;

         che la commissione dei reati da più persone in danno reciproco – a dimostrazione dell’importanza di un accertamento «unitario e contestuale» – è presa, difatti, in considerazione dall’art. 9, comma 2, del d.lgs. n. 274 del 2000, che consente, in tale caso, la riunione dei processi per i diversi reati che pendano tutti davanti al giudice di pace;

che, a sua volta, l’art. 17, comma 1, lettera c), in riferimento all’art. 371, comma 2, lettera b), del codice di procedura penale, prevede, nella stessa situazione – con disposizione a carattere generale – la riunione dei processi che pendano nello stesso stato e grado davanti al medesimo giudice;

         che ne deriverebbe, quindi, che lo stesso imputato, a seconda che sia giudicato dal tribunale o dalla corte d’assise, ovvero dal giudice di pace, si troverebbe soggetto ad un regime processuale irragionevolmente differenziato;

che la scelta operata dal legislatore con la norma impugnata risulterebbe priva, infatti, di valida giustificazione, giacché la celebrazione separata, davanti al tribunale e al giudice di pace, dei processi per i reati commessi da più persone in danno reciproco potrebbe condurre a ricostruzioni diverse del medesimo episodio e, dunque, ad un contrasto di giudicati: contrasto non emendabile con gli ordinari mezzi di impugnazione, giacché gli stessi seguirebbero percorsi distinti (la corte d’appello giudicherebbe sull’appello avverso la sentenza del tribunale, il tribunale monocratico sull’appello avverso la sentenza del giudice di pace);

         che la disposizione denunciata violerebbe, altresì, l’art. 111, primo (recte: secondo) comma, Cost., in quanto non assicurerebbe, per le ragioni dianzi esposte, che il processo si svolga «in condizioni di parità»; nonché l’art. 25 Cost., in quanto distoglierebbe l’imputato dal giudice naturale precostituito per legge, il quale – nel caso di lesioni reciproche – andrebbe individuato nel giudice superiore, alla luce dei citati artt. 17, comma 1, lettera c), e 371, comma 2, lettera b), cod. proc. pen.;

         che nel giudizio di costituzionalità è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

         Considerato che il Giudice di pace di Viterbo dubita della legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3, 25 e 111 della Costituzione, dell’art. 6, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), nella parte in cui non annovera, fra le ipotesi di connessione tra procedimenti di competenza del giudice di pace e procedimenti di competenza di altro giudice, quella dei reati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre;

         che, nel formulare le censure di costituzionalità, il giudice rimettente opera una impropria commistione tra l’istituto della competenza per connessione e quello della riunione dei processi (si veda, con riferimento ad analoga questione relativa all’art. 17 del codice di procedura penale, l’ordinanza n. 247 del 1998);

         che il primo istituto è un meccanismo che comporta lo spostamento della competenza, rispetto alle ordinarie regole sulla competenza per materia o per territorio; il secondo è, invece, uno strumento destinato ad operare, a fini di migliore organizzazione del lavoro, solo quando i processi siano già pendenti davanti allo stesso giudice: e ciò sul presupposto che essi rientrino tutti nella sua competenza (vuoi in base alle regole in tema di competenza per materia o per territorio, vuoi per effetto della disciplina derogatoria dettata in tema di connessione);

         che l’ipotesi dei reati commessi da più persone in danno reciproco non rientra tra i casi di connessione previsti, in via generale, dall’art. 12 cod. proc. pen.: essa è annoverata, invece – tanto dal codice di rito (art. 17, comma 1, lettera c, in riferimento all’art. 371, comma 2, lettera b) che dal d.lgs. n. 274 del 2000 (art. 9, comma 2) – tra le fattispecie che legittimano la riunione dei processi pendenti nello stesso stato e grado davanti al medesimo giudice, sempre che ricorrano le ulteriori condizioni ivi stabilite (rispettivamente: che la riunione «non determini un ritardo nella definizione del processo», e che «giovi alla celerità e completezza dell’accertamento»);

         che il giudice a quo vorrebbe, per converso, trasformare la fattispecie in questione in una ipotesi di connessione cosiddetta eterogenea (atta a determinare, cioè, uno spostamento della competenza per materia dal giudice di pace al giudice superiore): operazione che non può ritenersi in alcun modo imposta dai parametri costituzionali evocati;

         che del tutto insussistente risulta, così, la dedotta violazione dell’art. 3 Cost., sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento fra gli imputati;

         che, infatti, né davanti al giudice di pace, né davanti ai giudici superiori è prevista la possibilità di procedere alla riunione di processi relativi a reati commessi da più persone in danno reciproco, in deroga alle ordinarie regole sulla competenza per materia o per territorio;

         che inconferente si presenta, poi, il richiamo al principio di parità delle parti processuali, sancito dall’art. 111 Cost.: parità che non risulta in alcun modo alterata dalla norma censurata, la quale spiega i suoi effetti, alla stessa maniera, nei confronti di ognuna delle parti;

         che priva di consistenza si rivela, infine, la censura di violazione del principio del giudice naturale precostituito per legge (art. 25 Cost.): principio che, parimenti, non è affatto inciso dalla mancata configurazione della fattispecie considerata come ipotesi di competenza per connessione;

         che per costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, la garanzia del giudice naturale è rispettata quando la regola di competenza sia prefissata rispetto all’insorgere della controversia, e non è invece utilizzabile per sindacare la scelta del legislatore che si esprime nella fissazione di quella regola (ex plurimis, ordinanze n. 138 del 2008, n. 193 del 2003 e n. 417 del 2002);

         che la questione va dichiarata, pertanto, manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 6, comma 1, del decreto legislativo 28 agosto 2000, n. 274 (Disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace, a norma dell’articolo 14 della legge 24 novembre 1999, n. 468), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 25 e 111 della Costituzione, dal Giudice di pace di Viterbo con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25 febbraio 2009.

F.to:

Francesco AMIRANTE, Presidente

Giuseppe FRIGO, Redattore

Maria Rosaria FRUSCELLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 5 marzo 2009.