Ordinanza n. 247/98

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ORDINANZA N.247

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof.    Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof.    Francesco GUIZZI   

- Prof.    Cesare MIRABELLI            

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO  

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Prof.    Carlo MEZZANOTTE         

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Guido NEPPI MODONA    

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 17 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa l’11 giugno 1997 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rimini nel procedimento penale a carico di P. F. ed altro, iscritta al n. 834 del registro ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 49, prima serie speciale, dell’anno 1997.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 3 giugno 1998 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

  Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rimini ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 del codice di procedura penale, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, nella parte in cui non consente la riunione di processi pendenti nello stesso stato e grado davanti a giudici diversi, nel caso in cui <<agli imputati siano ascritti reati commessi nelle stesse circostanze di tempo e di luogo in danno reciproco>>;

  che il giudice rimettente espone di procedere nei confronti di un imputato per il delitto di lesioni personali gravissime, commesso in danno della medesima persona nei cui confronti é pendente avanti al Pretore di Rimini procedimento per lesioni personali non aggravate, commesse nelle stesse circostanze di tempo e di luogo in danno dell’attuale imputato;

  che, ad avviso del rimettente, appare evidente la connessione tra i due processi, a norma degli artt. 12, comma 1, lettera c) e 17, comma 1, lettere c) e d), cod. proc. pen., così come é evidente l’interesse della giustizia, e dello stesso imputato, ad una trattazione unitaria dell’intera vicenda, caratterizzata da condotte poste in essere in <<danno reciproco>> e comunque <<in occasione del medesimo conflitto interpersonale>>;

  che la riunione dei due processi sarebbe peraltro resa impossibile da quanto disposto dall’art. 17 cod. proc. pen., che consente la riunione di processi connessi solo se i medesimi sono pendenti davanti allo stesso giudice;

  che l’impossibilità di disporre la riunione sarebbe stata determinata, ad avviso del giudice rimettente, da circostanze puramente casuali, in quanto i due procedimenti, originariamente iscritti nel registro delle notizie di reato dell’ufficio del pubblico ministero presso la Pretura circondariale di Rimini (facente parte dell’unica Procura della Repubblica promiscua esistente a Rimini), non furono riuniti, e quello per il reato di competenza superiore fu trasmesso all’ufficio del pubblico ministero presso il Tribunale;

  che la norma impugnata si porrebbe in contrasto sia con il principio di eguaglianza tra gli imputati e comunque tra le parti private, sia con il diritto di difesa, in quanto l’impossibilità di riunire i processi deriverebbe da ragioni del tutto casuali, e comprometterebbe inoltre il diritto degli imputati a chiedere l’ammissione ai riti alternativi, essendo il materiale probatorio frazionato tra più processi, la cui definizione non consentirebbe mai quella <<definizione globale>> alla quale ciascun imputato ha interesse quando chiede un rito alternativo;

  che é intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata;

  che l’Avvocatura rileva, in particolare, che estendere la possibilità di riunione anche quando i processi pendono davanti a giudici diversi significherebbe trasformare l’istituto della riunione da criterio di mera organizzazione dei processi in strumento attributivo di competenza, in contrasto con l’art. 12 cod. proc. pen., che non prevede tra i casi di competenza per connessione l’ipotesi, compresa tra i casi di riunione, a cui si richiama il giudice rimettente.

  Considerato che, come é stato messo in rilievo dall’Avvocatura dello Stato, il giudice rimettente sovrappone i due istituti della competenza per connessione e della riunione dei processi: il primo é strumento attributivo in via originaria della competenza, operante nelle ipotesi tassativamente descritte dall’art. 12 cod. proc. pen.; il secondo, previsto nei casi indicati dall’art. 17 cod. proc. pen. (tra cui rientrano le ipotesi di connessione, nonchè quelle dei reati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre e del collegamento probatorio tra i vari reati), é invece destinato ad operare solo quando i processi sono già pendenti davanti allo stesso giudice, essendo criterio di mera organizzazione del lavoro giudiziario, subordinato alla condizione che la celebrazione cumulativa dei processi non ne pregiudichi la rapida definizione;

  che, in conseguenza di tale impropria sovrapposizione di istituti, il giudice rimettente, nell’impugnare la disciplina che limita la riunione ai processi già pendenti davanti al medesimo giudice, chiede alla Corte una pronuncia che gli consenta di utilizzare detto istituto alla stregua delle ipotesi che, a norma dell’art. 12 cod. proc. pen., determinano la competenza per connessione;

  che, per contro, il giudice a quo - il quale espressamente assume essere sussistente la connessione fra i reati per cui procede e quelli per i quali é pendente il processo davanti al pretore - avrebbe dovuto verificare in via preliminare se e quali strumenti l’ordinamento prevede per fare dichiarare l’incompetenza – per ragioni di connessione – dell’altro giudice, e solo quando fosse stata riconosciuta la propria competenza avrebbe potuto eventualmente accertare l’esistenza dei presupposti per la riunione dei processi;

  che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata, in quanto basata su un erroneo presupposto interpretativo.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 17 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rimini, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 30 giugno 1998.

Presidente: Giuliano VASSALLI

Redattore: Guido NEPPI MODONA

Depositata in cancelleria il 3 luglio 1998.