Sentenza n. 271 del 2007

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SENTENZA N. 271

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Franco                             BILE                                      Presidente

-      Giovanni Maria               FLICK                                      Giudice

-      Francesco                        AMIRANTE                                 "

-      Ugo                                 DE SIERVO                                 "

-      Alfio                                FINOCCHIARO                          "

-      Alfonso                           QUARANTA                               "

-      Franco                             GALLO                                        "

-      Luigi                                MAZZELLA                                "

-      Gaetano                           SILVESTRI                                  "

-      Sabino                             CASSESE                                     "

-      Maria Rita                       SAULLE                                       "

-      Giuseppe                         TESAURO                                    "

-      Paolo Maria                     NAPOLITANO                            "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sorto a seguito della deliberazione della Camera dei deputati del 4 febbraio 2004 (doc. IV-quater, n. 85) relativa alla insindacabilità, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione, delle opinioni espresse dall’on. Umberto Bossi nei confronti del dott. Vittorio Feltri, promosso dal Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio, con ricorso notificato il 18 febbraio 2005, depositato in cancelleria il 26 febbraio 2005 ed iscritto al n. 13 del registro conflitti 2005.

Visto l’atto di costituzione della Camera dei deputati;

udito nell’udienza pubblica del 22 maggio 2007 il Giudice relatore Francesco Amirante;

udito l’avvocato Roberto Nania per la Camera dei deputati.

Ritenuto in fatto

1.–– Il Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio, con ordinanza del 13 luglio 2004, ha promosso conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti della Camera dei deputati in relazione alla delibera adottata il 4 febbraio 2004 (doc. IV-quater, n. 85), con la quale è stato dichiarato che i fatti per i quali è stato instaurato «procedimento penale» a carico del deputato Umberto Bossi (recte: i fatti per i quali Vittorio Feltri ed altra hanno instaurato un procedimento civile nei confronti del deputato Umberto Bossi) riguardano opinioni espresse da quest’ultimo nell’esercizio delle sue funzioni parlamentari e sono, quindi, insindacabili ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Premette in fatto il Tribunale che il giornalista Vittorio Feltri e la Cooperativa editoriale Libero hanno convenuto in giudizio il suddetto deputato ed altri lamentando che sul numero del quotidiano “La Padania” del 16 febbraio 2002 era stata pubblicata un’intervista rilasciata dall’onorevole Bossi contenente svariate affermazioni, ad avviso degli attori, diffamatorie. Il Tribunale, dopo aver deciso e definito, con sentenza del 19 novembre 2003, la controversia tra gli attori e i convenuti diversi dal parlamentare, ha disposto, in relazione a quest’ultimo, la prosecuzione e la contestuale sospensione del giudizio rimettendo gli atti alla Camera dei deputati che ha, poi, adottato la delibera cui si riferisce il presente conflitto.

Il Tribunale ricorda, in primo luogo, che in più occasioni questa Corte ha escluso l’esistenza del nesso funzionale tra le dichiarazioni del parlamentare e le funzioni da questo svolte per le affermazioni proferite nel corso di interviste, in assenza di riscontro in opinioni espresse nel corso di regolari interventi durante le sedute parlamentari. Inoltre, nella sentenza n. 120 del 2004 − nella quale l’intera materia dell’insindacabilità è stata riesaminata alla luce dell’entrata in vigore della legge 20 giugno 2003, n. 140 − è stato, conclusivamente, affermato che, anche dopo l’emanazione della suddetta legge, permane l’esigenza che vi sia un collegamento necessario tra il comportamento del parlamentare e l’ambito funzionale nel quale esso va inserito, nel senso che in ogni caso si deve trattare di esercizio in concreto delle funzioni proprie dei membri delle Camere.

Nel caso di specie, mentre alcune delle risposte del parlamentare all’intervistatore, «ancorché caratterizzate da connotazioni forti» costituiscono senz’altro, ad avviso del Tribunale, «opinioni di un politico e rientrano anche nell’esimente del diritto di critica», due dichiarazioni, entrambe relative a Vittorio Feltri, «travalicano il limite della continenza verbale e trasmodano nell’espressione ingiuriosa, priva di finalità diversa da quella di svilire e indicare a disprezzo pubblico la persona oggetto della critica medesima, mera denigrazione fine a sé medesima». Tali ultime dichiarazioni, oltre a non rientrare nel diritto di critica, sembrano esulare anche dalla garanzia di cui all’art. 68, primo comma, Cost., perché pronunciate extra moenia e del tutto estranee all’attività parlamentare, non potendosi ricollegare al dibattito parlamentare sul cosiddetto caso Telekom-Serbia, dato il loro carattere di valutazioni personali e offensive del tutto svincolate dai fatti in questione.

Per il Tribunale, tali considerazioni, ancorché ampiamente illustrate nell’ordinanza di richiesta di deliberazione, non sembra siano state esaminate né dalla Giunta per le autorizzazioni né dalla Camera dei deputati, visto che dai resoconti delle rispettive sedute risulta che la valutazione di insindacabilità è stata adottata in riferimento a dichiarazioni diverse da quelle indicate dallo stesso Tribunale come diffamatorie, senza alcuna considerazione di queste ultime, le quali anzi, in particolare negli interventi in Assemblea, non sono state neppure menzionate.

Ciò induce a ritenere che la suddetta valutazione sia stata effettuata violando le prerogative del potere giurisdizionale perché, in contrasto con l’orientamento più volte espresso da questa Corte, essa è stata assunta sulla premessa che sia da considerare insindacabile «qualsiasi espressione proferita da un parlamentare, in virtù della mera veste di quest’ultimo, così esponendo qualunque cittadino alla possibilità di essere diffamato senza poter neppure tutelare i propri diritti in base all’art. 24 Cost.».

Il Tribunale ritiene, pertanto, necessario promuovere il presente conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato – che considera ammissibile sia sotto il profilo soggettivo sia sotto il profilo oggettivo – e chiede che questa Corte dichiari che non spettava alla Camera dei deputati il potere di qualificare come insindacabili le dichiarazioni di cui si tratta, annullando la relativa delibera della Camera.

2.— Il conflitto così proposto è stato dichiarato ammissibile da questa Corte con ordinanza n. 5 del 2005, depositata in data 11 gennaio 2005. Tale provvedimento, comunicato al ricorrente, è stato a cura di questi notificato alla Camera dei deputati, unitamente al ricorso, il 18 febbraio 2005, ed il successivo deposito presso la cancelleria di questa Corte è avvenuto, a mezzo posta, il 26 febbraio 2005.

3.— Si è costituita in giudizio la Camera dei deputati, chiedendo che il conflitto venga preliminarmente dichiarato irricevibile, inammissibile e/o improcedibile e che, nel merito, si affermi la spettanza alla medesima del potere di dichiarare l’insindacabilità in relazione alle espressioni usate dal parlamentare oggetto del giudizio civile pendente davanti al Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio.

La Camera afferma, innanzitutto, che il giudice ricorrente ha prospettato l’inidoneità della delibera impugnata a ledere le proprie attribuzioni, il che dovrebbe determinare l’inammissibilità e/o improcedibilità del conflitto. Premesso che le frasi del deputato riportate nell’atto introduttivo sono state arbitrariamente estrapolate dal contesto nel quale si inseriscono, la Camera rileva che non si può sollevare conflitto nei confronti di una delibera «di insindacabilità della cui idoneità lesiva, ancorché infondatamente, si mostri di dubitare». Lo stesso Tribunale, del resto, riconosce che alcuni passi dell’intervista di cui si tratta sono da ritenere legittimamente insindacabili, in quanto manifestazione tipica dell’attività parlamentare; tali frasi, secondo la parte costituita, sarebbero di contenuto critico pressoché analogo, se non di maggiore intensità, rispetto a quelle impugnate.

Il conflitto, inoltre, sarebbe inammissibile in quanto l’atto introduttivo è ritenuto carente per ciò che riguarda l’individuazione del thema decidendum, poiché aver riportato solo in parte il contenuto dell’intervista contestata renderebbe il conflitto stesso privo dei necessari connotati di oggettività. Analogamente inammissibili, poi, sarebbero le censure contenute nel ricorso, secondo cui la Giunta per le autorizzazioni e la Camera dei deputati non avrebbero tenuto conto delle considerazioni espresse dal Tribunale nell’ordinanza emessa ai sensi dell’art. 3 della legge n. 140 del 2003, in occasione dei loro pronunciamenti sul contenuto delle dichiarazioni: il giudizio per conflitto di attribuzione, infatti, ha per oggetto la sussistenza o meno dei presupposti di cui all’art. 68, primo comma, Cost., e non l’adeguatezza e la congruità della motivazione fornita dalla Camera di appartenenza.

Quanto al merito, la difesa della Camera dei deputati sostiene che il ricorrente fonda il proprio erroneo assunto sulla base di una valutazione parziale delle dichiarazioni rese dal parlamentare, dichiarazioni che vanno lette, invece, nella loro globalità. Esse si connotano per il tentativo di contrastare un attacco politico nei confronti del partito della Lega Nord che avrebbe visto nel quotidiano “Libero”, diretto appunto da Vittorio Feltri, uno dei protagonisti. Dopo aver riportato per intero le frasi pronunciate dal deputato nel corso dell’intervista, la parte costituita precisa trattarsi di «affermazioni polemiche che nulla hanno di gratuito», in quanto finalizzate a sostenere la linea politica del proprio partito in riferimento ad alcune tematiche di rilievo (il federalismo e la tutela della famiglia tradizionale). Di questo avrebbe dato atto la Giunta per le autorizzazioni dalla cui relazione risulta che il quotidiano “Libero” era ritenuto responsabile di una campagna di delegittimazione nei confronti della Lega Nord, svolta tramite articoli relativi anche alla vicenda della guerra nel Kosovo ed ai rapporti tra l’onorevole Bossi ed il presidente serbo Milosevic.

A sostegno della propria linea difensiva, la Camera dei deputati richiama una serie di atti di funzione tesi a dimostrare non solo l’impegno, da parte del parlamentare di cui si tratta, nel senso di una riforma federalista dello Stato, ma anche a rammentare le iniziative politiche assunte dalla Lega Nord contro la pedofilia e contro l’intervento militare dell’Italia nel Kosovo. Tali atti dovrebbero dare conto del fatto che le dichiarazioni oggetto della causa civile nel corso della quale è stato proposto il presente conflitto trovano, in realtà, pieno riscontro nell’attività parlamentare del deputato.

A tale scopo, la memoria cita alcune audizioni del deputato (17 gennaio, 20 febbraio e 26 giugno 2002) presso le Commissioni della Camera e del Senato, tenute nella sua qualità di Ministro per le riforme istituzionali, dalle quali emerge tutto il suo impegno per la riforma federalista. Quanto alle iniziative intraprese contro la prostituzione e la pedofilia, vengono richiamati numerosi atti, fra i quali la mozione dell’onorevole Francesca Martini, capogruppo del partito della Lega Nord nella Commissione parlamentare per l’infanzia, contro la pedofilia, nonché un’interrogazione del 5 ottobre 2000 nella quale veniva proprio criticato l’atteggiamento seguito in questa materia dal quotidiano “Libero”.

Quanto, poi, alla questione dell’intervento militare nel Kosovo, la difesa della Camera ricorda come anch’essa sia stata oggetto di specifico impegno parlamentare, da parte della Lega Nord e del deputato di cui si tratta. Si citano, a questo proposito, numerosi atti, a cominciare dall’intervento del medesimo alla Camera in data 26 marzo 1999, aggiungendo anche che tale vicenda si collega a quella oggetto dell’inchiesta parlamentare sull’affare Telekom-Serbia, in relazione al quale vengono pure richiamati numerosi atti di funzione, provenienti da vari deputati, sia della maggioranza che dell’opposizione (primo fra tutti, l’intervento in aula dell’onorevole Pagliarini, della Lega Nord, in data 28 febbraio 2001).

Considerato in diritto

1.–– La Corte è chiamata a pronunciarsi sul conflitto di attribuzione sollevato dal Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio, nei confronti della Camera dei deputati che, con deliberazione del 4 febbraio 2004 (doc. IV-quater, n. 85), ha approvato la proposta della Giunta per le autorizzazioni di dichiarare che i fatti per i quali è in corso il procedimento civile per risarcimento dei danni promosso dal giornalista Vittorio Feltri e dalla Cooperativa editoriale Libero nei confronti del deputato Umberto Bossi, per le dichiarazioni da questo rese alla stampa, concernono opinioni espresse dal parlamentare nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione.

Il ricorrente espone che davanti a lui pende il suindicato processo avente ad oggetto la natura asseritamente diffamatoria di alcune frasi pronunciate dal deputato nel corso di un’intervista rilasciata al quotidiano “La Padania” il 16 febbraio 2002. In particolare, mentre per una parte i giudizi del deputato nei confronti del giornalista, nonostante l’asprezza dei toni, possono considerarsi espressione del diritto di critica, altre frasi, riportate testualmente, travalicano non solo il limite del diritto di critica, ma anche l’esercizio della funzione parlamentare. Il ricorrente attribuisce siffatte considerazioni alle seguenti frasi : «è soltanto un topolino con la barbetta bianca senza alcuno scrupolo»; «guardi, molti di noi non hanno dimenticato che pubblicò le foto orrende della pedofilia»; «con la scusa di condannarla, suscitava apposta la morbosità della gente. D’altra parte la divisione vera non è quella che si dice: è un’altra. C’è chi è convinto che il potere venga dall’alto, che ci sono i diritti artificiali, che va coltivata la “famiglia orizzontale” (compresa quella omosessuale) la dose minima di pedofilia e Feltri sta proprio da quella parte».

2.–– Il conflitto è ammissibile.

Si rileva, anzitutto, che il principio di completezza e autosufficienza del ricorso non comporta – in particolare per quanto concerne i ricorsi per conflitti insorti in tema di applicazione dell’art. 68, primo comma, Cost. – che debbano essere riportate tutte le dichiarazioni rese nella medesima occasione in cui furono espresse le opinioni addebitate al parlamentare come illecite e lesive. Il principio di autosufficienza esige, invece, che siano esposti tutti i fatti idonei a giustificare la proposizione del conflitto e richiede specificamente, per i conflitti del tipo di quello in esame, che l’esposizione del ricorrente sia tale da consentire alla Corte di raffrontare le dichiarazioni extra moenia con il contenuto di atti tipici della funzione parlamentare. Una volta soddisfatto tale requisito, il ricorso non può essere ritenuto viziato da insufficienza se la controparte adduce che le opinioni nel medesimo riportate, pur fedeli nel loro tenore letterale a quelle espresse dal parlamentare, valutate tuttavia in un più ampio contesto assumano un significato tale da poter essere ricondotte a specifici atti di esercizio della funzione parlamentare. Ciò, infatti, può dar luogo a una questione di merito e non di ammissibilità (sentenza n. 246 del 2004) ed è, comunque, ipotesi non ricorrente nel caso in esame, come si dirà in seguito.

Nel presente conflitto, l’atto introduttivo del procedimento riporta letteralmente le espressioni ritenute lesive oggetto del giudizio per risarcimento dei danni, con ciò delineando anche i termini del giudizio costituzionale.

Neppure decisiva ai fini dell’eccepita inammissibilità è l’osservazione secondo la quale il Tribunale di Monza, nell’affermare che altre espressioni contenute nell’intervista, pur aspre nei toni, non esorbitano dall’esercizio del diritto di critica, avrebbe anticipato il giudizio di merito. Infatti, le considerazioni svolte sul punto dall’Autorità giudiziaria sono funzionali alla individuazione dell’oggetto del conflitto e non si comprende sotto quale profilo dovrebbero negativamente incidere sull’ammissibilità del medesimo.

Infine, per concludere sull’ammissibilità, il Tribunale si duole che la Camera non abbia dato alcun rilievo alle motivazioni dallo stesso svolte, nel trasmetterle gli atti, circa l’estraneità delle espressioni sopra riportate alla funzione parlamentare, non per dedurre un vizio di motivazione della delibera di insindacabilità – certamente irrilevante ai fini del presente giudizio – quanto, piuttosto, per trarne conferma della propria valutazione di estraneità delle opinioni asseritamente diffamatorie alla funzione parlamentare.

3.–– Nel merito, il ricorso è fondato.

Non sono stati indicati, infatti, atti parlamentari tipici anteriori o contestuali alla intervista suddetta, compiuti dallo stesso deputato, ai quali per il loro contenuto possano essere riferite le opinioni oggetto del giudizio di merito. E, come questa Corte ha più volte affermato, è insufficiente la comunanza di temi politici tra tali opinioni e atti della funzione parlamentare.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara che non spettava alla Camera dei deputati affermare che le dichiarazioni rese dal deputato Umberto Bossi, per le quali è pendente davanti al Tribunale di Monza, sezione distaccata di Desio, il giudizio per il risarcimento dei danni indicato in epigrafe riguardano opinioni espresse da un membro del Parlamento nell’esercizio delle sue funzioni, ai sensi dell’art. 68, primo comma, della Costituzione;

annulla, per l’effetto, la delibera di insindacabilità adottata dalla Camera dei deputati nella seduta del 4 febbraio 2004 (doc. IV-quater, n. 85).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 13 luglio 2007.