Ordinanza n. 143 del 2007

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ORDINANZA N. 143

ANNO 2007

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-      Franco                             BILE                                      Presidente

-      Giovanni Maria               FLICK                                      Giudice

-      Francesco                        AMIRANTE                                 "

-      Ugo                                 DE SIERVO                                 "

-      Romano                           VACCARELLA                           "

-      Paolo                               MADDALENA                            "

-      Alfio                                FINOCCHIARO                          "

-      Alfonso                           QUARANTA                               "

-      Franco                             GALLO                                        "

-      Luigi                                MAZZELLA                                "

-      Gaetano                           SILVESTRI                                  "

-      Sabino                             CASSESE                                     "

-      Giuseppe                         TESAURO                                    "

-      Paolo Maria                     NAPOLITANO                            "

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 4, comma 3, e dell’art. 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nel testo risultante a seguito delle modifiche di cui alla legge 30 luglio 2002, n. 189, promosso dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, sul ricorso proposto da A. E. L. contro il Ministero dell’interno, con ordinanza del 21 febbraio 2006, iscritta al n. 214 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 28, prima serie speciale, dell’anno 2006.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 marzo 2007 il Giudice relatore Francesco Amirante.

Ritenuto che, nel corso di un giudizio avente ad oggetto l’annullamento di un provvedimento del Questore di Mantova dell’11 gennaio 2005, con il quale è stato rifiutato il rinnovo del permesso di soggiorno ad un cittadino marocchino regolarmente soggiornante in Italia con la famiglia di origine dal maggio 1992, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, ha sollevato, in riferimento agli artt. 2, 3, 11, 13, 24, 27, 29, 30, 35, 36, 41 e 117, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 4, comma 3, e dell’art. 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nel testo risultante a seguito delle modifiche di cui alla legge 30 luglio 2002, n. 189;

che – riferisce il remittente – il ricorrente aveva presentato domanda per il rinnovo del permesso di soggiorno e il Questore di Mantova, con il provvedimento impugnato, l’aveva respinta in quanto a carico dell’istante risultava una condanna penale irrogata, con sentenza del 29 settembre 2004, a seguito di patteggiamento e con sospensione condizionale della pena, per il reato in materia di stupefacenti di cui agli artt. 81, secondo comma, del codice penale e 73, comma 4, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309;

che l’amministrazione resistente ha chiesto il rigetto del ricorso, depositando una relazione della Questura nella quale veniva riportato il giudizio, espresso dai Carabinieri, di «scarsa condotta morale e civile» del ricorrente in considerazione di due precedenti condanne subite: la prima, per i reati di resistenza a pubblico ufficiale, lesione personale continuata e rifiuto di indicazioni sulla propria identità personale, e, la seconda, per il reato di guida in stato di ebbrezza;

che dopo la sospensione, in via cautelare, del provvedimento impugnato e il successivo annullamento della relativa ordinanza da parte del Consiglio di Stato, la Questura di Mantova, con provvedimento del 27 ottobre 2005, ha revocato il permesso di soggiorno provvisorio rilasciato al ricorrente a seguito dell’ordinanza di sospensiva;

che, conseguentemente, con motivi aggiunti, anche tale provvedimento è stato impugnato e, con successivo decreto, è stata accolta, in via provvisoria, la relativa istanza incidentale di sospensione;

che, con ulteriore provvedimento, è stato, poi, rinviato al merito l’esame della domanda cautelare;

che il TAR remittente richiama il contenuto delle disposizioni censurate sottolineando, in particolare, come, in base all’art. 4, comma 3, del d.lgs. n. 286 del 1998, non è ammesso in Italia lo straniero condannato, anche a seguito di patteggiamento della pena, per una serie di reati, fra i quali quelli inerenti agli stupefacenti, e come il successivo art. 5, comma 5, dispone che il permesso di soggiorno o il suo rinnovo vengono rifiutati quando mancano o vengono a mancare i requisiti per l’ingresso in Italia, con la conseguenza che, in presenza di una condanna per uno dei reati di cui al citato art. 4, comma 3, il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno (o la sua revoca) rappresenta un epilogo automatico, non essendo consentita all’autorità amministrativa alcuna concorrente valutazione della pericolosità sociale in concreto dello straniero;

che, in applicazione di tale normativa – il cui tenore letterale non consente, ad avviso del remittente, alcuna interpretazione adeguatrice – nel caso di specie il provvedimento impugnato è stato emanato in via automatica, nell’esercizio di un’attività vincolata della Questura, in conseguenza dell’intervenuta condanna con pena patteggiata, senza alcun vaglio della pericolosità sociale del ricorrente e senza alcuna possibilità di dare rilievo a quegli elementi che hanno determinato la concessione della sospensione condizionale della pena;

che da tanto deriva, secondo il giudice a quo, la rilevanza della questione, in quanto solo l’accoglimento della medesima potrebbe comportare l’accoglimento del ricorso;

che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il TAR remittente sottolinea il contrasto tra gli invocati parametri e le due suddette disposizioni, applicate in combinato disposto, nella parte in cui pongono come «automatico, inderogabile ed assoluto elemento ostativo al rinnovo del permesso di soggiorno [...] un’unica isolata condanna per determinati reati, anche di lieve o lievissima entità; senza che possa assumere alcun rilievo l’esame dell’eventuale pericolosità sociale dell’istante, compiuto in concreto dall’autorità amministrativa»;

che, in primo luogo, la normativa in oggetto violerebbe l’art. 3 Cost., inteso come principio di ragionevolezza e coerenza interna della legge, nonché i diritti fondamentali dello straniero regolarmente soggiornante in Italia, in quanto, pur essendo pacifico che la disciplina della permanenza degli stranieri è affidata alla discrezionalità del legislatore, tale discrezionalità incontra il limite della ragionevolezza da ritenere, nel caso in esame, superato a causa dell’assoggettamento al medesimo trattamento sia dello straniero che per la prima volta chieda di fare ingresso in Italia, sia di quello che, soggiornandovi già da lungo tempo, è, quindi, stabilmente radicato nel territorio nazionale ed ha maturato la ragionevole aspettativa di fermarvisi;

che, sotto tale profilo, viene altresì in considerazione – anche in riferimento all’art. 117, primo comma, Cost. – la direttiva n. 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo e, in particolare, il suo ottavo «considerando» (ove si precisa che nella nozione di ordine pubblico può rientrare anche una sola condanna penale, ma si specifica che tale provvedimento deve riferirsi ad un reato grave), nonché gli artt. 6 e 12 ove si prevedono, rispettivamente, il diniego dello status di soggiornante di lungo periodo e l’allontanamento del titolare di tale status derivanti da ragioni di ordine pubblico o sicurezza pubblica, ma si richiede espressamente che vengano prese in considerazione anche la durata del soggiorno e i legami instaurati con il paese di soggiorno;

che dall’insieme delle disposizioni della direttiva è possibile ricavare, secondo il giudice a quo, un nucleo minimo di diritti dello straniero regolarmente soggiornante in uno dei Paesi dell’Unione europea, riconducibile all’obbligo di dare rilievo al pregresso soggiorno regolare di lungo periodo, come indice di una rafforzata aspettativa alla permanenza nello Stato di soggiorno;

che, per il TAR remittente, analoghi parametri di riferimento si rinvengono nelle Convenzioni OIL n. 97 del 1949 e n. 143 del 1975, nonché nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali;

che tali principi trovano corrispondenza nella nostra Costituzione negli artt. 2 (che tutela i diritti inviolabili dell’uomo come singolo e nelle formazioni sociali), 13 (che garantisce la libertà personale, che potrebbe essere arbitrariamente incisa dall’espulsione amministrativa), 24 (secondo cui tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi), 27 (alla cui stregua la pena deve tendere alla rieducazione del condannato), 29 (che tutela la famiglia come società naturale fondata sul matrimonio), 30 (secondo cui è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli), 35 (che fa obbligo alla Repubblica di garantire il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni), 36 (secondo cui il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del lavoro prestato) e 41 (avuto riguardo alla lesione alla libertà di iniziativa economica dell’imprenditore, che deve privarsi dell’apporto collaborativo dello straniero);

che la lesione dei suddetti principi appare, al remittente, indubitabile, ove si consideri che il mancato rinnovo del permesso di soggiorno ha molteplici e «devastanti» effetti per l’interessato, in quanto questo viene a trovarsi nell’impossibilità di svolgere un lavoro regolare essendo, di fatto, condannato ad una condizione di clandestinità e, con l’espulsione amministrativa, subisce la cesura di ogni legame con la comunità nella quale si è inserito – nella specie con la famiglia – il tutto senza alcuna considerazione in merito all’eventuale assenza di persistenti legami con il paese di origine;

che l’irragionevolezza della previsione risulterebbe anche dalla parificazione – una volta che sia stato commesso un certo reato – tra straniero socialmente pericoloso e straniero non socialmente pericoloso, tanto più che la condanna per un solo reato non può, da sola, essere considerata sintomo di pericolosità sociale, secondo quanto affermato anche da questa Corte (v. sentenza n. 140 del 1982);

che, infine, secondo il remittente, un ulteriore profilo di irragionevolezza e contrarietà con l’art. 3 Cost. della normativa censurata è rappresentato dal collegamento automatico tra l’impossibilità di ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno e l’espulsione amministrativa, così pervenendosi ad un risultato uguale a quello censurato da questa Corte con la sentenza n. 58 del 1995, dichiarativa dell’illegittimità costituzionale della norma che obbliga il giudice penale, in caso di reati in materia di stupefacenti, a pronunciare, contestualmente alla condanna, l’ordine di espulsione dello straniero;

che, infatti, pur essendo diversi i due procedimenti – l’uno di carattere amministrativo e l’altro di carattere giurisdizionale – l’epilogo risulta il medesimo, cioè l’allontanamento automatico dal territorio dello Stato, con conseguente impossibilità di godere delle libertà e di esercitare i diritti riconosciuti sia dall’art. 13, sia dagli artt. 2, 4, 16 e 29 della Costituzione;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la declaratoria di infondatezza della questione.

Considerato che il Tribunale amministrativo per la Lombardia, sezione staccata di Brescia, dubita, in riferimento agli articoli 2, 3, 11, 13, 24, 27, 29, 30, 35, 36, 41 e 117, primo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 4, comma 3, e 5, comma 5, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), nel testo previgente il decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 5;

che la questione è stata sollevata in un giudizio avente ad oggetto l’impugnazione del provvedimento del Questore di Mantova di rifiuto del rinnovo del permesso di soggiorno ad un cittadino marocchino (regolarmente soggiornante in Italia con tutta la famiglia di origine dal maggio 1992 e titolare di un proprio permesso di soggiorno dal marzo 1994), per aver questi riportato condanna, il 29 settembre 2004 – con pena patteggiata e con sospensione condizionale della medesima – a un anno e otto mesi di reclusione e ad euro 3.445,00 di multa, per il reato di cessione in vendita continuata di sostanza stupefacente (hashish);

che il remittente premette che la formulazione delle denunciate disposizioni è tale da non consentire alcuna valutazione della concreta situazione con riguardo all’effettiva pericolosità della persona richiedente il rinnovo del permesso di soggiorno, e sostiene l’irragionevolezza dell’automatismo stabilito tra condanna e diniego del rinnovo stesso;

che, più in particolare, il TAR per la Lombardia censura, anzitutto, l’equiparazione fatta dalla legge tra ammissione al primo ingresso e rinnovo del permesso di soggiorno, senza tenere conto della durata della permanenza in Italia dello straniero, e ciò in violazione della direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status di cittadini dei Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo;

che, a parere del giudice a quo, anche senza voler «approfondire il problema» delle conseguenze, sulla legittimità costituzionale delle disposizioni della legge nazionale, del contrasto tra queste e le norme comunitarie, ai sensi dell’art. 117, primo comma, Cost., tuttavia da queste ultime possono trarsi utili criteri per valutare la soglia anche minima di ragionevolezza della legge nazionale;

che, secondo il remittente, il giudizio di pericolosità può, in ipotesi, fondarsi anche su una sola condanna penale, ma esso deve essere dato in concreto con riguardo alle specifiche condizioni della persona, e tenendo anche in considerazione la valutazione operata dal giudice nel concedere il beneficio della sospensione condizionale della pena;

che, sempre ad avviso del remittente, l’irragionevolezza delle disposizioni censurate sarebbe grave, in quanto il diniego del rinnovo del permesso di soggiorno si riflette sulla possibilità di lavorare e, quindi, sull’effettivo godimento dei diritti fondamentali, garantito dai parametri costituzionali invocati;

che appare opportuno precisare anzitutto che, nel caso in esame, la questione è posta con specifico riferimento al diniego del rinnovo del permesso di soggiorno e non, come in altri casi in passato sottoposti all’esame di questa Corte, con esclusivo riguardo al conseguente provvedimento di espulsione, di per sé estraneo all’oggetto del giudizio amministrativo (ordinanze n. 9 del 2005 e n. 431 del 2006);

che, in secondo luogo, si deve rilevare come la questione sollevata attualmente dal TAR per la Lombardia attenga all’efficacia ostativa di una condanna con pena patteggiata successiva alla modifica del d.lgs n. 286 del 1998 introdotta dalla legge n. 189 del 2002, che siffatta efficacia ha previsto, sicché, anche sotto tale profilo, la questione si presenta diversa rispetto a quella oggetto di altre pronunce di questa Corte (sentenza n. 414 del 2006);

che, in ordine all’interpretazione delle disposizioni censurate, alcune pronunce di giudici amministrativi hanno escluso – facendo riferimento principalmente all’ultima parte dell’art. 5, comma 5, nel testo vigente all’epoca dell’emissione dell’ordinanza di rimessione – il criticato automatismo tra condanna penale e diniego del rinnovo del permesso di soggiorno;

che, comunque, successivamente all’emissione dell’ordinanza di rimessione, con il decreto legislativo 8 gennaio 2007, n. 3, è stata data attuazione alla direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di Paesi terzi soggiornanti di lungo periodo ed, inoltre, con il coevo decreto legislativo n. 5 del 2007 è stata data attuazione anche alla direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al ricongiungimento familiare (del pari, già da lungo tempo approvata al momento dell’emissione dell’ordinanza di rimessione);

che per effetto, in particolare, di tale ultimo decreto è stato, fra l’altro, aggiunto un periodo finale al comma 5 dell’art. 5 in questione, ove si afferma che per il rifiuto del rilascio, ovvero per la revoca o il diniego di rinnovo del permesso di soggiorno, nel caso di straniero che abbia esercitato il diritto al ricongiungimento familiare o di familiare ricongiunto, «si tiene conto anche della natura e dell’effettività dei vincoli familiari dell’interessato, dell’esistenza di legami familiari e sociali con il Paese di origine, nonché, per lo straniero già presente sul territorio nazionale, anche della durata del soggiorno nel medesimo territorio nazionale» (e analoga modifica è stata apportata, per quel che riguarda il provvedimento di espulsione, all’art. 13 del d.lgs. n. 286 del 1998, con l’inserimento del comma 2-bis);

che, di conseguenza, appare opportuno restituire gli atti al TAR remittente affinché, alla luce delle suddette innovazioni legislative, esprima una nuova valutazione in merito alla rilevanza e alla non manifesta infondatezza della questione, tanto più che, nella giurisprudenza amministrativa, si va affermando un indirizzo in base al quale, pur non essendo da misconoscere il modello impugnatorio dei giudizi concernenti l’asserita illegittimità dei provvedimenti di diniego del permesso di soggiorno o del relativo rinnovo, si ritiene che il loro oggetto «non sia solo l’atto impugnato, ma si estenda alla pretesa sostanziale posta a base della impugnazione» (si veda, per tutte, la decisione del Consiglio di Stato 7 giugno 2006, n. 3412).

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

ordina la restituzione degli atti al Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia, sezione staccata di Brescia.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 aprile 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Francesco AMIRANTE, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2007.