Sentenza n. 140 del 1982
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SENTENZA N. 140

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv. Alberto MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 102 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 26 gennaio 1978 dal magistrato di sorveglianza del Tribunale di Bologna, negli atti relativi ad applicazione ed esecuzione di misure di sicurezza a carico di Celeghini Franco, iscritta al n. 214 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 186 del 5 luglio 1978.

Udito nell'udienza pubblica del 10 febbraio 1982 il Giudice relatore Alberto Malagugini.

 

Ritenuto in fatto

 

Con ordinanza in data 26 - 1 - 1978 il magistrato di sorveglianza del Tribunale di Bologna, in sede di decisione sulla richiesta del Procuratore della Repubblica di Ferrara di dichiarare Celeghini Franco - ricorrendone i presupposti - delinquente e contravventore abituale, sollevava d'ufficio questione di legittimità costituzionale dell'art. 102 c.p., assumendone il contrasto con l'art. 25 Cost.

Premessa la "assoluta rilevanza" della questione, si osservava nell'ordinanza che nel vigente codice penale il legislatore aveva inteso risolvere la contraddizione conseguente al fatto di far derivare "da un solo comportamento antigiuridico due conseguenze sostanzialmente punitive" (pena e misure di sicurezza) assegnando a quest'ultime un contenuto "educativo e risocializzante attraverso il lavoro inteso come ergoterapia". "La chiave di volta di tutto il sistema" delle misure di sicurezza - prosegue l'ordinanza - é costituita dalla "pericolosità sociale" (categoria definita come "assolutamente metagiuridica"), e ad essa, "per il combinato disposto degli artt. 199 c.p. e 25 Cost., va esteso il principio distretta legalità": sicché nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non ritenuto socialmente pericoloso, e ciò non può avvenire se non nei casi previsti dalla legge (arg. Ex art. 207 c.p.), in taluni dei quali si richiede l'accertamento di detta qualità (art. 204 cpv ). Questa, "secondo lo stesso sistema previsto dal codice, non può essere ricavata prescindendo dal dato soggettivo" e dall'accertamento della pericolosità in concreto da parte del giudice: accertamento che l'art. 203c.p. ancora ai criteri contenuti nell'art. 133 c.p.

Al di fuori di tale sistema si porrebbe invece, secondo il giudice a quo, la norma di cui all'art. 102 c.p. "Parlare infatti - si legge testualmente nell'ordinanza - di una abitualità presunta, quindi di una pericolosità presunta per legge, più che una contraddizione é una tautologia"; e "presumere per legge che un individuo sia socialmente pericoloso vuol dire in sostanza sottoporlo a misura di sicurezza, prescindendo dall'accertamento della pericolosità sociale, qualità da individuare di volta in volta ed in relazione al singolo soggetto, al di fuori dei casi previsti dalla legge e quindi in contrasto con quanto dispone in materia l'art. 25 Cost.".

L'ordinanza, notificata e comunicata come per legge, veniva pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 186 del 5 luglio1978.

Nel giudizio così instaurato non sono intervenuti né il Presidente del Consiglio dei Ministri, né la parte privata.

 

Considerato in diritto

 

1. - L'art. 102 cod. pen. stabilisce che "é dichiarato delinquente abituale chi, dopo essere stato condannato alla reclusione in misura superiore complessivamente a cinque anni per tre delitti non colposi, della stessa indole, commessi entro dieci anni, e non contestualmente, riporta un'altra condanna per un delitto non colposo, della stessa indole, e commesso entro i dieci anni" (computati nei modi stabiliti dal secondo comma) "successivi all'ultimo dei delitti precedenti". La dichiarazione di abitualità importa (art. 109 c.p.) l'applicazione di una misura di sicurezza - assegnazione ad una colonia agricola o a una casa di lavoro per un periodo non inferiore a 2 anni (artt. 216 e 217 c.p.); ricovero in un riformatorio giudiziario di durata non inferiore a tre anni, se si tratta di minore degli anni 18 (art. 226 c.p.) - nonché altri effetti previsti da particolari disposizioni di legge.

Ove non ricorrano le condizioni stabilite dall'art. 102, il codice penale prevede (art. 103) che possa essere dichiarato delinquente abituale anche chi, ricorrendo determinati presupposti (condanna per due delitti non colposi, seguita da altra condanna per delitto, pure non colposo), sia ritenuto dal giudice dedito al delitto, in base alla valutazione di una serie di circostanze indicate nell'art. 133 del codice penale.

2. - Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale del sopra riportato art. 102 del codice penale, in riferimento all'art. 25 Cost. Ciò perché "presumere per legge che un individuo sia socialmente pericoloso" "prescindendo dall'accertamento" in concreto, caso per caso, "della pericolosità sociale", alla stregua dei criteri dettati dall'art. 203 del codice penale, significherebbe "sottoporlo a misura di sicurezza" "al di fuori dei casi previsti dalla legge e quindi in contrasto con quanto dispone in materia l'art. 25 Cost.".

Così argomentando, il giudice a quo, in realtà, pone in discussione il sistema normativo (artt. 102, 109, primo comma, 204, secondo comma, 216, primo comma, numero 1, 226 del codice penale) che presume la pericolosità sociale del delinquente abituale e lo assoggetta perciò a misura di sicurezza detentiva, mentre é evidente che il parametro invocato é costituito dal terzo ed ultimo comma dell'art. 25 Cost.

Invero, la presunzione legislativamente posta (art. 102 del codice penale) di abitualità nel delitto si identifica con la presunzione di pericolosità sociale del delinquente abituale (art. 204, secondo comma, c.p.) e comporta, obbligatoriamente ed automaticamente, l'applicazione della misura di sicurezza detentiva dell'assegnazione a una colonia agricola o ad una casa di lavoro o ad un riformatorio giudiziario (art. 109, primo comma, 216, primo comma n. 1, 226 del codice penale) per la durata minima legislativamente prevista (artt. 217 e 226 del codice penale).

Nel sollevare la questione peraltro, il giudice a quo sembra presupporre che il sistema delle misure di sicurezza contenuto nel vigente codice penale sia informato al principio dell'accertamento giudiziale, in concreto e caso per caso, della pericolosità sociale del soggetto cui le misure in questione vanno applicate; principio col quale contrasterebbe la presunzione ex lege della pericolosità del delinquente abituale. Un esame della normativa sulle misure di sicurezza porta invece, agevolmente e pacificamente a riconoscere che si tratta di un sistema "misto", fondato in parte sulla pericolosità accertata dal giudice ed in parte sulla pericolosità presunta dalla legge. Le disposizioni sopra richiamate in tema di abitualità nel delitto sono, dunque, perfettamente coerenti con tale sistema.

3. - Ciò posto, giova ricordare che questa Corte ha più volte, ed anche recentemente (sentenza n. 139/82) riconosciuto la legittimità in via di principio, nel campo delle misure di sicurezza, del ricorso a presunzioni legali di pericolosità, cioè a tecniche normative di tipizzazione di "fattispecie di pericolosità" cui collegare l'applicazione obbligatoria ed automatica di determinate misure, indipendentemente da ogni altra considerazione e da eventuali ulteriori accertamenti. Ha precisato inoltre, che qualora tali presunzioni siano razionalmente fondate su "comuni esperienze" (cioè sull'id quod plerumque accidit), esse, lungi dal contrastare col principio di legalità contenuto nell'art. 25, ultimo comma, Cost., ne costituiscono una diretta e naturale applicazione, essendo insita in tale principio "l'esigenza di una determinazione legale sufficientemente precisa dei presupposti delle misure di sicurezza" (sent. n. 139/82). La riserva di legge sancita nell'art. 25, ultimo comma, Cost., in altri termini, demanda alla competenza esclusiva del legislatore la determinazione degli elementi costitutivi delle fattispecie condizionanti l'applicazione delle misure: sicché rientra nella discrezionalità del legislatore stesso anche lo stabilire se e quali spazi sia opportuno riservare all'accertamento ed alla valutazione discrezionale del giudice in relazione al singolo caso concreto.

4. - Sulla base di tali considerazioni é agevole riconoscere il fondamento razionale della qualificata presunzione di pericolosità criminale che si esprime nell'abitualità nel delitto. In essa, il giudizio prognostico - e quindi fondato, anche testualmente (art. 203 del codice penale) su criteri probabilistici - circa la commissione di nuovi fatti di reato da parte del soggetto in esame é desunto non dalla semplice reiterazione di fatti delittuosi già giudizialmente accertati e ritenuti di una certa gravità (in ragione della pena complessiva irrogata), ma dal trovarsi, essi fatti, in un rapporto temporale significativo ai fini di tale giudizio e dall'essere, in quanto della stessa indole, rivelatori di un'identica, specifica capacità criminale.

É quindi ragionevole - come la Corte ha già avuto modo di rilevare (cfr. sentenze 168/62 e l9/74) - che a tale combinazione di elementi la legge attribuisca "generalizzata significazione - al fine della prevenzione criminale" - e che perciò ne tragga - così garantendo anche uguaglianza di trattamento - una regola di giudizio vincolante. Si tratta, invero, di valutazioni desunte dalla comune esperienza e corrispondenti ad indicazioni socio - criminologiche il cui apprezzamento é rimesso alla discrezionalità del legislatore: il quale é, perciò, libero di riconnettervi la regolamentazione giuridica ritenuta più appropriata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 102 cod. pen. sollevata in riferimento all'art. 25 Cost. dal giudice di sorveglianza presso il Tribunale di Bologna con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 luglio 1982.

 

Leopoldo ELIA - Michele ROSSANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giuseppe CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 27 luglio 1982.