Sentenza n. 139 del 2007

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SENTENZA N. 139

ANNO 2007

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Franco                      BILE                                       Presidente

- Giovanni Maria         FLICK                                     Giudice

- Francesco                 AMIRANTE                                 "

- Ugo                          DE SIERVO                                 "

- Romano                    VACCARELLA                            "

- Paolo                        MADDALENA                             "

- Alfio                        FINOCCHIARO                           "

- Alfonso                    QUARANTA                                "

- Franco                      GALLO                                        "

- Luigi                        MAZZELLA                                 "

- Gaetano                    SILVESTRI                                  "

- Sabino                      CASSESE                                     "

- Maria Rita                SAULLE                                      "

- Giuseppe                  TESAURO                                    "

- Paolo Maria              NAPOLITANO                              "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato, sorto a seguito della nota di trasmissione del Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato n. 2002/0000136/SG-CIV del 19 febbraio 2002 con la quale, richiamando l’art. 11 della legge 24 ottobre 1977, n. 801, il Comitato parlamentare ha opposto il vincolo del segreto alla esibizione di atti in suo possesso, promosso con ricorso della Corte d’Assise d’Appello di Roma, notificato il 25 giugno 2003, depositato in cancelleria il 9 luglio 2003 ed iscritto al n. 26 del registro conflitti 2003.

Visto l’atto di costituzione del Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato;

udito nell’udienza pubblica del 6 marzo 2007 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick;

udito l’avv. Massimo Luciani per il Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato.

Ritenuto in fatto

1. – Nel corso di un procedimento penale a carico di un ex operatore amministrativo del SISDe − per il reato di sottrazione di atti o documenti concernenti la sicurezza dello Stato − la Corte di assise di appello di Roma, con provvedimento del 21 febbraio 2002, ha sollevato conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato «in ordine al corretto uso del potere di decidere sulla sussistenza dei presupposti di applicabilità dell’art. 11 della legge 24 ottobre 1977 n. 811 [recte: 801] come esercitato dal Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza per il segreto di Stato comunicato con la nota n. 2002/0000136/SG-CV del 19 febbraio 2002».

La Corte ricorrente riferisce, in fatto, che nel giudizio di primo grado l’imputato − al quale si contestava di aver sottratto documenti relativi a dipendenti del Servizio e contenenti informative su questi − ha dichiarato di aver ricevuto da uno sconosciuto fogli dal contenuto analogo a quello in questione, e di averli consegnati al Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato; che il giudice di primo grado ha assolto l’imputato per non aver commesso il fatto; che all’esito del dibattimento d’appello è stata disposta l’audizione del Presidente del Comitato parlamentare per l’esibizione della documentazione indicata dall’imputato, al fine di esperire un confronto con quella già agli atti. Tuttavia, ha soggiunto la ricorrente, «L’on. BIANCO, nella sua qualità di presidente, con nota del 19 febbraio 2002 prot. 2002/0000136/SG-CIV ha opposto il vincolo del segreto, precisando che “Il Comitato, in particolare, ha inteso confermare il principio della non ostensibilità all’esterno di propri atti, verbali e resoconti secondo quanto disposto dall’art. 11 della legge n. 801/1977. Tale norma, nella prassi formatasi fin dalla istituzione del Comitato, è stata sempre interpretata in modo rigoroso attribuendo al vincolo del segreto un carattere strettamente funzionale all’esercizio dell’attività conferita dalla Legge al Comitato.” e ritenendo superata, in tal modo, la necessità della sua presenza, o di un suo delegato, al dibattimento perchè non avrebbe potuto far altro che ribadire quanto sostenuto nella nota in riferimento».

Tutto ciò premesso, la Corte − ritenendo indispensabile, ai fini della decisione, la verifica della documentazione in possesso del Comitato − afferma che l’opposizione del segreto di Stato alla richiesta di esibizione dei documenti appare infondata, per difetto dei necessari presupposti. Infatti, l’art. 11 della legge n. 801 del 1977, richiamato dal presidente del Comitato, prevede che i componenti dello stesso sono vincolati al segreto relativamente alle informazioni acquisite, alle proposte ed ai rilievi inerenti  alle linee essenziali delle strutture e dell’attività dei servizi; ma non pone il vincolo per ogni documentazione che provenga per vie non istituzionali.

L’autorità ricorrente − dopo aver sottolineato che il conflitto di attribuzione è lo strumento attraverso il quale è consentito il controllo di legittimità in concreto del potere valutativo delle Camere, come precisato da questa Corte nella sentenza n. 1150 del 1988 − richiama la giurisprudenza costituzionale in tema di segreto di Stato ed in particolare le sentenze n. 86 del 1977, n. 82 del 1976 e 110 del 1998. In esse si è affermato che il segreto può trovare legittimazione solo in quanto strumento necessario al fine della sicurezza dello Stato, la quale costituisce interesse essenziale e insopprimibile della collettività; al tempo stesso, si è ritenuto che la potestà dell’esecutivo non è illimitata e va fatta salva l’esigenza di assicurare in ogni singolo caso un ragionevole rapporto di mezzo a fine, non potendosi allegare il segreto di Stato per impedire l’accertamento di fatti eversivi dell’ordine costituzionale.

La Corte ricorrente precisa di aver chiesto non già la produzione di atti coperti da segreto, ma la sola esibizione dei documenti a suo tempo consegnati dall’imputato al Comitato, per confrontarli con quelli in sequestro; e sottolinea di non poter procedere ulteriormente, poiché l’opposizione del segreto impedisce l’adozione di ogni decisione fondata su prova generica.

La ricorrente chiede, in conclusione, che sia valutato il corretto uso del potere di decidere sulla sussistenza dei presupposti di applicabilità dell’art. 11 della legge n. 801 del 1977, così come esercitato dal Comitato parlamentare con la citata nota del 19 febbraio 2002.

2. – Il conflitto è stato dichiarato ammissibile con ordinanza n. 209 del 2003, la quale, unitamente al ricorso introduttivo, è stata notificata il 23 giugno 2003 e successivamente depositata il 9 luglio 2003.

3. – A seguito di delibera di resistere nel giudizio per conflitto, adottata nella seduta del 3 luglio 2003, il Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato, rappresentato e difeso come in atti, ha spiegato atto di costituzione in giudizio e svolto le proprie deduzioni, a conclusione delle quali ha chiesto dichiararsi il conflitto stesso inammissibile e irricevibile; in subordine, ha sollecitato una pronuncia di rigetto del ricorso, «dichiarando che spetta al Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato opporre alla Corte di assise di appello di Roma, così come comunicato con nota 19 febbraio 2002, prot. 2002/0000136/SG-CIV, il vincolo del segreto all’esibizione degli atti in suo possesso richiesti dall’autorità giudiziaria».

In linea preliminare, la difesa del Comitato eccepisce la inammissibilità del conflitto sotto un duplice profilo. Anzitutto, il ricorso sarebbe privo di uno specifico  petitum: l’autorità giudiziaria si sarebbe limitata a sollevare il conflitto senza domandare l’annullamento della nota oggetto del contrasto; né precisazioni di sorta sarebbero offerte dalle «generiche argomentazioni» che precedono il dispositivo, giacché anche in tale parte non si richiede una pronuncia di non spettanza che avrebbe delimitato l’oggetto della domanda. Sotto altro profilo, l’atto introduttivo del giudizio non conterrebbe alcuna reale indicazione delle ragioni del conflitto, essendosi il ricorso limitato ad enunciare citazioni di giurisprudenza, senza dimostrarne la riferibilità al caso concreto. In ogni caso, «il conflitto è inammissibile anche e forse soprattutto perchè la ricorrente non chiarisce minimamente i confini e la direzione della sua pretesa, omettendo di richiedere la declaratoria della spettanza (a sé medesima) del potere (ovvero della non spettanza al resistente), nonché l’annullamento dell’atto censurato».

Secondo la difesa del Comitato, inoltre, la ricorrente non menziona i parametri costituzionali sui quali si radicherebbero le proprie attribuzioni, né spiega in cosa consisterebbe il  vulnus lamentato: il ricorso non conterrebbe le norme costituzionali che regolano la materia, come prescritto dall’art. 26, comma 1, delle norme integrative per i giudizi davanti a questa Corte. Altro profilo di inammissibilità viene dedotto in riferimento alla mancata dimostrazione dell’impedimento all’esercizio della funzione giurisdizionale che sarebbe derivato dalla opposizione del segreto, così come invece postulato dalla giurisprudenza costituzionale. La ricorrente, infatti, non avrebbe chiarito né se il problema della acquisizione della documentazione presso il Comitato si fosse o meno posto in primo grado, né le ragioni «della sopravvenuta necessità di acquisizione in grado di appello».

Nel merito, il ricorso dovrebbe essere rigettato. Già da tempo, infatti, è stato chiarito che la posizione di indipendenza delle Camere e dei loro organi comporta la opponibilità alla autorità giudiziaria del cosiddetto segreto funzionale: vale a dire un segreto destinato ad impedire che dalla sua violazione «possano derivarne conseguenze tali da impedire o intralciare gravemente l’assolvimento del loro compito». E ciò riguarda anche i documenti che siano, come nella specie, direttamente pervenuti a quegli organi.

Dopo aver rievocato le pronunce di questa Corte antecedenti e successive alla entrata in vigore della legge n. 801 del 1977, ed aver sottolineato la centralità del controllo parlamentare nella materia del segreto di Stato e lo specifico e rilevante compito demandato al Comitato resistente, la difesa di quest’ultimo contesta la tesi – adombrata nel ricorso – secondo cui il segreto opponibile dal Comitato coprirebbe unicamente quanto attiene alle «linee essenziali delle strutture e dell’attività dei Servizi», ma «non ogni documentazione che non istituzionalmente pervenga al Comitato»; con la conseguenza che – nella specie – non vi sarebbero i presupposti per opporre il segreto. Infatti − osserva la difesa − a norma dell’art. 11, sesto comma, della legge n. 801 del 1977, sono sempre segreti gli atti del Comitato: «sicché anche il segreto sulla documentazione comunque acquisita è funzionale all’assolvimento della funzione (“centrale”, è bene ripetere) di controllo parlamentare sulla materia». In secondo luogo, sarebbe «indimostrato e indimostrabile che la documentazione richiesta dalla Corte di assise di appello di Roma non abbia attinenza al controllo delle strutture e sulle attività dei Servizi». D’altra parte − conclude la difesa del Comitato − la stessa funzione di controllo sull’istituto della opposizione del segreto di Stato, sarebbe pregiudicata dalla possibilità, per l’autorità giudiziaria, di accedere a qualunque documento in possesso dell’organo parlamentare. Donde, la infondatezza dei rilievi svolti dalla autorità giudiziaria ricorrente.

4. – In prossimità della udienza, la difesa del Comitato parlamentare resistente ha depositato memoria, nella quale ha ulteriormente articolato le già rassegnate eccezioni di inammissibilità, ribadendo le conclusioni di infondatezza nel merito delle ragioni poste a base dell’atto di conflitto.

Considerato in diritto

1. - La Corte di assise di appello di Roma ha proposto conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato nei confronti del Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato, in relazione al rifiuto del Comitato di consegnare documenti da essa richiesti, con nota n. 2002/0000136/SG-CIV del 19 febbraio 2002. Con quest’ultima il presidente del Comitato – convocato per la esibizione di documentazione consegnata al Comitato dall’imputato e ritenuta necessaria ai fini del decidere − ha opposto il vincolo del segreto, richiamando sia la «non ostensibilità all’esterno dei propri atti, verbali e resoconti, secondo quanto disposto dall’art. 11 della legge n. 801/1977»; sia il «carattere strettamente funzionale all’esercizio dell’attività conferita dalla legge al Comitato», di tale vincolo.

La Corte ricorrente reputa «del tutto infondata l’opposizione del segreto di Stato all’esibizione di documenti consegnati a suo tempo dal M.  al Comitato – già in fotocopia e, quindi, non originali – in quanto il richiamato art. 11 della legge n. 801 del 1977 è del tutto inconferente»; infatti, oggetto della propria richiesta non era la «produzione di atti coperti dal segreto di Stato, come previsto dall’art. 12 della citata legge n. 801 del 1977, o di informazioni proposte o rilievi sulle struttura o sull’attività dei Servizi bensì la mera esibizione dei documenti consegnati a suo tempo dal M. al Comitato parlamentare che consistono – ed è noto – non in originali ma in fotocopie, di cui s’ignora perfino l’autenticità, per confrontarli con quelli in sequestro».

Da qui la pretesa vulnerazione delle attribuzioni giurisdizionali e la domanda di “accertamento”, «in ordine al corretto uso del potere di decidere sulla sussistenza dei presupposti di applicabilità dell’art. 11 della legge 24 ottobre 1977 n. 811 [recte: 801] come esercitato dal Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza per il segreto di Stato», attraverso la nota di cui innanzi si è detto.

2 . - Il Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato ha eccepito, in via preliminare, la inammissibilità del conflitto, sotto vari profili. In particolare, esso ha sottolineato la assoluta genericità ed astrattezza del petitum del ricorso: in difetto di una richiesta di « annullamento della Nota che, nella parte motiva, si pone apparentemente a base del conflitto», l’atto introduttivo del conflitto si risolverebbe «in una sorta di astratta richiesta di parere del Giudice costituzionale (cui si chiede di provvedere alla “risoluzione del conflitto di attribuzione”), in violazione delle più elementari norme di procedura». Nella specie, poi, non è stato opposto il segreto di Stato, ma il segreto funzionale, il che renderebbe il conflitto – per la erroneità della premessa da cui trae origine – evidentemente «inammissibile per assoluta inconferenza delle censure svolte». L’avere, inoltre, la Corte di assise di appello omesso di divulgare le esigenze processuali su cui si fondava la richiesta di esibizione, renderebbe carente la esplicitazione dei motivi della propria richiesta e delle connesse ragioni delle doglianze espresse attraverso l’atto di conflitto: con conseguente inammissibilità anche per un ulteriore profilo, rappresentato dal «difetto di (motivazione e prova) della causa petendi». Quest’ultimo profilo si collegherebbe alla eccezione di inammissibilità riguardante la carenza di descrizione dei fatti rilevanti per il conflitto, atteso che «la ricorrente: a) non ha riferito come il problema dell’utilità dell’acquisizione della documentazione in possesso del Comitato si fosse posto innanzi al giudice di primo grado; b) non ha descritto le ragioni della sopravvenuta necessità di un’acquisizione in grado di appello addirittura a mezzo di un conflitto di attribuzione».

3. – Il conflitto è inammissibile, anche se per ragioni solo in parte riconducibili alle eccezioni a tal proposito sollevate dalla difesa del Comitato resistente.

E’ senz’altro corretto, anzitutto, il rilievo mosso dal Comitato a proposito dell’erroneo richiamo che l’atto di conflitto formula alla presunta opposizione «del segreto di Stato all’esibizione dei documenti consegnati a suo tempo dal M.»: e ciò perchè – come lo stesso ricorso subito dopo puntualizza – il segreto che viene qui in discorso è quello previsto dall’art. 11 della legge n. 801 del 1977, non riconducibile, in sé, alla nozione di segreto di Stato. D’altra parte, è del tutto evidente che, ove il Comitato avesse inteso sottrarsi al dovere di esibizione dei documenti richiesti deducendo – a norma dell’art. 256, comma 1, del codice di procedura penale − l’esistenza del segreto di Stato, l’autorità procedente avrebbe dovuto informarne il Presidente del Consiglio dei ministri per la relativa conferma: ciò che avrebbe determinato, in sede processuale,  l’attivazione dell’iter delineato dai commi 3 e 4 dello stesso art. 256 cod. proc. pen.; e, in sede parlamentare, l’insorgenza dell’onere di motivata informativa, da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, a norma dell’art. 16 della più volte richiamata legge n. 801 del 1977.

L’erroneo riferimento alla opposizione del segreto di Stato, enunciato soltanto in un passaggio – seppur significativo – dell’atto di elevazione del conflitto, è sintomatico di una evidente confusione di piani in cui è incorsa l’autorità giudiziaria confliggente; ma non induce, di per sé, alle conseguenze di inammissibilità nei termini dedotti dalla difesa del Comitato. Infatti, è vero che la mancata disamina della natura del segreto previsto dall’art. 11 della legge n. 801 del 1977 incrina non poco il fondamento logico della pretesa vulnerazione di attribuzioni dedotta a fondamento del conflitto, posto che la possibilità di radicare un conflitto di attribuzione sulla ritenuta illegittimità dell’eccezione di segretezza, deve necessariamente basarsi sulla previa disamina dei confini entro i quali quello specifico segreto può essere legittimamente opposto; ciò nondimeno, nel caso di specie, la Corte di assise di appello di Roma fonda l’essenza delle proprie doglianze sulla radicale negazione di qualsiasi profilo di segretezza. E ciò sul rilievo che, nella specie, gli atti della cui esibizione si tratta, sarebbero pervenuti al Comitato parlamentare attraverso la consegna effettuata ad opera dello stesso imputato.

Proprio su quest’ultimo aspetto – la carenza di una motivazione reputata adeguata, circa le ragioni poste a base della omessa consegna dei documenti − l’autorità giudiziaria sollecita, attraverso il conflitto, una verifica circa la correttezza dell’agere del Comitato. In tal modo, però, implicitamente si devolve a questa Corte non già un sindacato circa la esistenza di un indebito esercizio delle attribuzioni spettanti all’organismo parlamentare, secondo le prerogative ad esso riconosciute in forza dei principi costituzionali; bensì un controllo, in concreto, sulla legittimità del rifiuto alla esibizione. L’autorità giudiziaria, in altri termini, non evoca una situazione di fatto riconducibile allo schema del conflitto tra poteri dello Stato, ma si limita a contestare, nel merito, la validità giuridica delle ragioni del segreto (funzionale) opposto dal Comitato resistente. Ed in effetti, non potendo sollecitare alcun tipo di annullamento di atti in ipotesi invasivi, proprio perchè si discute di una condotta omissiva; e trovandosi nella impossibilità di articolare una richiesta di non spettanza – dal momento che è innegabile il fondamento normativo del segreto opposto – il ricorso dell’organo giurisdizionale non può far altro che devolvere impropriamente, a questa Corte, un giudizio di legittimità dell’atto (negatorio) – sub specie di congruità della relativa motivazione – che è invece tipico ed esclusivo delle attribuzioni spettanti proprio agli organi giurisdizionali.

Alla stregua di tali rilievi, il conflitto deve pertanto essere dichiarato inammissibile per carenza dei relativi presupposti oggettivi.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile il conflitto di attribuzione proposto dalla Corte di assise di appello di Roma nei confronti del Comitato parlamentare per i servizi di informazione e sicurezza e per il segreto di Stato, con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 aprile 2007.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 aprile 2007.