Ordinanza n. 432 del 2006

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ORDINANZA N. 432

ANNO 2006

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME  DEL  POPOLO  ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-    Franco                    BILE                                                   Presidente

-    Giovanni Maria      FLICK                                                  Giudice

-    Francesco               AMIRANTE                                              ”

-    Ugo                        DE SIERVO                                              ”

-    Romano                 VACCARELLA                                        ”

-    Paolo                      MADDALENA                                         ”

-    Alfio                      FINOCCHIARO                                       ”

-    Alfonso                  QUARANTA                                             ”

-    Franco                    GALLO                                                      ”

-    Luigi                      MAZZELLA                                              ”

-    Gaetano                 SILVESTRI                                               ”

-    Sabino                    CASSESE                                                  ”

-    Maria Rita              SAULLE                                                    ”

-    Giuseppe                TESAURO                                                 ”

-    Paolo Maria            NAPOLITANO                                         ”

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 10 del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199 (Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi), promosso con ordinanza del 2 novembre 2005 dal Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna, sul ricorso proposto da Paola Martinelli contro il Ministero dell’istruzione ed altri, iscritta al n. 37 del registro ordinanze 2006 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell’anno 2006.

Udito nella camera di consiglio dell’8 novembre 2006 il Giudice relatore Alfonso Quaranta.

Ritenuto che con ordinanza del 2 novembre 2005 il Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 10 del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199 (Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi), per assunta violazione degli articoli 3, 24, 97, 98 e 113 della Costituzione;

che il giudice rimettente premette che, con decreto ministeriale 27 marzo 2000, n. 123, veniva adottato il regolamento recante le norme sulle modalità di aggiornamento ed integrazione delle graduatorie permanenti degli insegnanti delle scuole medie e superiori;

che, con successivo decreto ministeriale 18 maggio 2000, n. 146, veniva dettata la disciplina di definizione dei termini e delle modalità per la presentazione delle domande di inclusione nelle graduatorie permanenti;

che la ricorrente nel giudizio a quo, osserva il Tribunale rimettente, ha chiesto «l’inserimento nelle graduatorie permanenti delle classi di concorso A345 Lingua straniera (inglese), Media, della Provincia di Modena, e A346 Lingua e civiltà straniera (inglese), Superiori, sempre della Provincia di Modena, classificandosi rispettivamente al 27° ed al 26° posto, senza aver visto valutare il servizio svolto nelle scuole medie per la graduatoria nelle scuole superiori, nonché quello nella diversa lingua straniera insegnata, lamentandosi, quindi, di una mancata attribuzione di punteggio per il servizio svolto»;

che la ricorrente ha impugnato, con ricorso straordinario al Capo dello Stato «spedito in data 13 settembre 2000», entrambi i decreti ministeriali n. 123 e n. 146 del 2000, deducendone la illegittimità perché gli stessi, nel disciplinare le modalità di attribuzione del punteggio da assegnare per il servizio svolto, non consentirebbero di valutare anche il servizio svolto nelle scuole medie per gli aspiranti all’insegnamento nelle scuole superiori, «viceversa, prevedendo (…) una separazione del servizio, ai fini dell’attribuzione del punteggio, tra le materie inglese e francese»;

che, con il ricorso giurisdizionale al Tribunale rimettente, la stessa ricorrente, che aveva proposto ricorso straordinario, ha impugnato le citate graduatorie permanenti A345 e A346, deducendone la illegittimità derivata dalla invalidità dei predetti decreti ministeriali e prospettando, conseguentemente, le medesime censure sopra riportate;

che, dopo avere sottolineato che nel giudizio a quo non si sono costituite né le Amministrazioni né le parti controinteressate intimate, il Tribunale rileva come la definizione del giudizio innanzi allo stesso pendente dipenderebbe dall’esito dell’impugnativa proposta con ricorso straordinario;

che, in via preliminare, il giudice rimettente osserva come l’istituto della sospensione necessaria del giudizio ex art. 295 del codice di procedura civile trovi applicazione, per giurisprudenza costante, anche nel processo amministrativo;

che tale sospensione presuppone che i giudizi pendenti innanzi a giudici diversi siano legati da un nesso di pregiudizialità tecnico-giuridica, nel senso che la definizione della controversia pregiudiziale deve assumere valenza determinante per la decisione della causa pregiudicata;

che il Tribunale osserva, però, come questo istituto non possa essere utilizzato per la soluzione della questione ad esso sottoposta, attesa la natura amministrativa del ricorso straordinario (si citano la sentenza n. 254 del 2004 e l’ordinanza n. 357 del 2004 di questa Corte): si osserva, infatti, come la sospensione ex art. 295 c.p.c., per potere operare, presuppone la pendenza di due procedimenti giurisdizionali;

che non sarebbe neanche possibile postulare l’applicazione analogica della predetta norma processuale, in quanto ciò comporterebbe l’introduzione «di una sorta di pregiudizialità di un ricorso amministrativo, sia pure di natura straordinaria davanti al Capo dello Stato, rispetto a quello giurisdizionale, più volte ritenuta incostituzionale dalla Corte costituzionale» (si cita la sentenza n. 42 del 1991);

che, inoltre, si aggiunge, applicando l’istituto della sospensione si determinerebbe una «preferenza del ricorso amministrativo su quello giurisdizionale», mentre, allo stato, è vigente il principio generale dell’alternatività «temperato dal principio della preferenza della sede giurisdizionale ove optino per quest’ultima sede le amministrazioni o i controinteressati intimati»;

che il giudice a quo osserva, altresì, come «la situazione si complica ulteriormente», allorquando la tutela cautelare sia chiesta soltanto innanzi al giudice amministrativo, «come è naturale in quanto spesso il pregiudizio per i destinatari dell’attività amministrativa diventa grave ed irreparabile nel momento in cui vengono posti in essere atti conclusivi del procedimento amministrativo»;

che in questo caso non sarebbe possibile svolgere un giudizio sulla sussistenza del fumus boni iuris, atteso che «la illegittimità concerne l’atto presupposto impugnato in sede di ricorso straordinario al Capo dello Stato da cui deriverebbe l’illegittimità derivata dei successivi atti consequenziali impugnati davanti al TAR»;

che, svolta questa premessa, il Tribunale ritiene «che l’unica strada, conforme ai principi costituzionali, coerente con la necessità di una rapida definizione dei giudizi e con il principio della preferenza della sede giurisdizionale, sia quella di prevedere la trasposizione d’ufficio, davanti al giudice amministrativo, del ricorso straordinario al Capo dello Stato già pendente avverso gli atti presupposti, come nel caso in esame, quando siano proposte censure d’illegittimità derivata per gli atti consequenziali impugnati davanti al TAR»;

che, per queste ragioni, il rimettente prospetta questione di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971, nella parte in cui non prevederebbero tale trasposizione, per contrasto con gli articoli 3, 24, 97, 98 e 113 della Costituzione;

che la questione sarebbe, secondo il giudice a quo, rilevante, in quanto al TAR adito sarebbe impedita ogni decisione in ordine alla legittimità degli atti presupposti impugnati con ricorso straordinario «se non si ha una rimozione (ovvero un’integrazione) delle norme attualmente in vigore»;

che, in relazione alla non manifesta infondatezza della questione, il rimettente deduce, innanzitutto, la violazione dell’art. 3 della Costituzione;

che, in particolare, si premette che l’art. 10 del d.P.R. n. 1199 del 1971 consente ai controinteressati di chiedere la trasposizione del ricorso in sede giurisdizionale, mentre l’art. 8 dello stesso decreto stabilisce che «quando l’atto sia stato impugnato con ricorso giurisdizionale, non è ammesso il ricorso straordinario da parte dello stesso interessato»;

che, nel caso in esame, invece, né l’amministrazione né i controinteressati potrebbero esercitare l’opzione per la sede giurisdizionale per quanto concerne gli atti presupposti impugnati con ricorso straordinario al Capo dello Stato, essendo per loro scaduto il termine previsto dalla legge;

che ciò creerebbe «un regime differenziato che non appare giustificato dalla mera circostanza che gli atti presupposti siano stati impugnati in sede giurisdizionale o con ricorso straordinario al Capo dello Stato»;

che «ciò non può neanche giustificarsi con la scelta originaria della parte di utilizzare il rimedio alternativo del ricorso straordinario al Capo dello Stato in quanto, al momento dell’impugnativa dell’atto presupposto, non è sempre ipotizzabile la futura attività amministrativa e, quindi, la necessità di ulteriori future impugnative»;

che il Tribunale rimettente assume anche la violazione degli articoli  24, 97, 98 e 113 della Costituzione;

che, in particolare, si ritiene che l’attuale normativa, impedendo al giudice amministrativo di conoscere pienamente degli atti presupposti in sede amministrativa, non consentirebbe allo stesso di «decidere cognita causa»;

che, sul piano della tutela cautelare, ciò comporterebbe o che la stessa venga negata «determinando una carenza di tutela giurisdizionale, in violazione degli articoli 24 e 113 della Costituzione», ovvero che la stessa venga «automaticamente concessa rischiando di determinare il blocco dell’attività amministrativa in violazione del principio del buon andamento e dell’efficacia dell’azione amministrativa, in violazione degli articoli 97 e 98 della Costituzione»;

che la normativa impugnata, oltre ad essere «irrazionale ed illogica in violazione del canone costituzionale di cui all’art. 3 della Costituzione», violerebbe anche gli articoli 24 e 113, in quanto determinerebbe la possibilità che nelle due differenti sedi giustiziali il giudizio possa avere esiti diversi o addirittura contrastanti, «nel senso che in una sede possono essere ritenuti fondati i vizi di legittimità dedotti avverso gli atti presupposti e nell’altra sede (…) ritenuti infondati nel momento in cui sugli stessi vizi il TAR si pronunci, sia pure con palese forzatura dell’attuale sistema, a seguito delle censure di illegittimità derivata»;

che, infine, si osserva come il fatto di non assicurare la concentrazione dei giudizi presenterebbe anche profili di illogicità ed irrazionalità, a ulteriore violazione dell’art. 3 della Costituzione, «in quanto il sistema attuale, il quale consente che si possa pervenire a giudizi opposti o diversi sulla stessa questione nelle due differenti sedi, amministrativa e giurisdizionale, non appare perseguire alcuna utile finalità», essendo la stessa «il frutto soltanto di un mancato coordinamento del sistema e di una mancata previsione, non voluta, da parte del legislatore».

Considerato che il Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna solleva questione di legittimità costituzionale degli articoli 8 e 10 del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199 (Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi), per violazione degli artt. 3, 24, 97, 98 e 113 della Costituzione;

che il Tribunale rimettente ritiene, in particolare, che le norme impugnate violerebbero gli evocati parametri costituzionali, in quanto non contemplerebbero la possibilità per il giudice amministrativo di poter disporre d’ufficio il trasferimento in sede giurisdizionale dei ricorsi proposti al Capo dello Stato nei casi in cui, con il ricorso straordinario, sia stato impugnato un atto presupposto, connesso o collegato rispetto a quello censurato in sede giurisdizionale;

che, in via preliminare, occorre ricordare come il rapporto tra ricorso straordinario e ricorso giurisdizionale si caratterizzi per la sussistenza del cosiddetto principio dell’alternatività (art. 8 del d.P.R. n. 1199 del 1971);

che questa Corte ha già avuto modo di ritenere non lesiva delle regole costituzionali, che presiedono alla tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi lesi da un atto amministrativo, la facoltà per il ricorrente di optare per il rimedio di natura non giurisdizionale, atteso che l’esercizio di questa  facoltà costituisce il risultato di una libera scelta, effettuata sulla base di una valutazione di convenienza con cui l’interessato decide di prescindere dalla garanzia della tutela giurisdizionale (sentenze n. 148 del 1982 e n. 78 del 1966);

che la medesima facoltà di scelta è assicurata dal sistema ai controinteressati e all’amministrazione non statale che ha emanato l’atto impugnato, i quali possono, attraverso una formale opposizione, optare per il trasferimento del ricorso straordinario nella sede giurisdizionale ovvero restare nella sede straordinaria prescelta dal ricorrente (art. 10 del d. P.R. n. 1199 del 1971), con ciò rinunciando alla stessa tutela giurisdizionale (sentenza n. 148 del 1982

);

che, in definitiva, il rapporto tra ricorso straordinario e ricorso giurisdizionale si caratterizza per la sussistenza di una facoltà di opzione attribuita dal legislatore alla libera determinazione di tutte le parti interessate e non del solo ricorrente;

che il giudice a quo, in sostanza, chiede che questa Corte introduca in via additiva, nel sistema, una nuova “norma”, la quale dovrebbe  consentire al giudice amministrativo, d’ufficio, di trasferire nella sede giurisdizionale il ricorso straordinario, nel caso in cui innanzi a sé sia stato impugnato un atto consequenziale rispetto a quello oggetto del ricorso straordinario al Capo dello Stato;

che la questione così come prospettata è manifestamente inammissibile, in quanto l’intervento additivo sollecitato dal Tribunale remittente è sostanzialmente volto – senza, peraltro, indicare lo strumento processuale idoneo allo scopo – alla introduzione nel sistema di giustizia amministrativa di forme di coordinamento tra i due rimedi in esame, quello straordinario proposto avverso l’atto presupposto e quello giurisdizionale mosso nei confronti dell’atto applicativo, nei casi in cui vengano in rilievo atti legati da nesso di presupposizione, connessione o collegamento, attivabili, tra l’altro, mediante l’esercizio di poteri d’ufficio da parte del giudice;

che le concrete modalità di coordinamento tra i due rimedi potrebbero essere plurime e rispondere a finalità divergenti, così come diversi potrebbero essere i presupposti e le condizioni in grado di giustificare il trasferimento ipotizzato dal giudice a quo, senza che nessuna di esse possa considerarsi costituzionalmente obbligata;

che la stessa previsione di poteri da esercitarsi d’ufficio, essendo fondata sul convincimento che dovrebbe essere comunque attribuita al rimedio giurisdizionale una preferenza sul ricorso straordinario, comporterebbe una incidenza sul sistema complessivo di disciplina dei rapporti tra i due rimedi;

che, pertanto, la soluzione, come prospettata dal giudice rimettente, richiederebbe  per i motivi ora esposti, il necessario intervento del legislatore, il quale, nell’esercizio della sua discrezionalità, dovrebbe optare eventualmente per una piuttosto che per un’altra forma di coordinamento, identificandone condizioni e presupposti, mediante una disciplina che può spingersi sino ad una completa rivisitazione del ricorso straordinario e dei suoi rapporti con il rimedio giurisdizionale (cfr. sentenza n. 298 del 1986);

che, in definitiva, dovendosi necessariamente riconoscere la sussistenza di spazi di valutazione normativa caratterizzati da una elevata discrezionalità legislativa, la questione sollevata si risolverebbe nella richiesta di un adeguamento a Costituzione che si presenta non a rime obbligate, con conseguente manifesta inammissibilità della stessa.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 10 del decreto del Presidente della Repubblica 24 novembre 1971, n. 1199 (Semplificazione dei procedimenti in materia di ricorsi amministrativi), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, 98 e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia-Romagna con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 dicembre 2006.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfonso QUARANTA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 19 dicembre 2006.