Sentenza n. 2 del 2006

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SENTENZA N. 2

ANNO 2006

 

Commenti alla decisione di

 

I. Matteo Barbero, Progressività del sistema tributario, uguaglianza ed autonomia impositiva regionale (per gentile concessione del Forum dei Quaderni Costituzionali)

 

II. Fabrizia Covino, La Corte ammette  la progressività nella determinazione delle aliquote all’addizionale irpef. Al via il «voto con i piedi»?  (per gentile concessione della Rivista telematica Federalismi.it)

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Annibale                                                     MARINI                    Presidente

-  Franco                                                        BILE                            Giudice

-  Giovanni Maria                                          FLICK                               “

-  Francesco                                                   AMIRANTE                      “

-  Ugo                                                            DE SIERVO                      “

-  Romano                                                      VACCARELLA                “

-  Paolo                                                          MADDALENA                 “

-  Alfio                                                           FINOCCHIARO               “

-  Alfonso                                                      QUARANTA                     “

-  Franco                                                        GALLO                              “

-  Luigi                                                           MAZZELLA                      “

-  Gaetano                                                      SILVESTRI                        “

-  Sabino                                                        CASSESE                            “

-  Maria Rita                                                 SAULLE                              “

-  Giuseppe                                                   TESAURO                           “

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 7, della legge della Regione Marche 19 dicembre 2001, n. 35 (Provvedimenti tributari in materia di addizionale regionale all’IRPEF e di tasse automobilistiche e di imposta regionale sulle attività produttive), e dell’annessa tabella A, promosso con ordinanza depositata il 18 marzo 2005 dalla Commissione tributaria provinciale di Ascoli Piceno, nella controversia vertente tra Amilcare Brugni, l’Ufficio di Ascoli Piceno dell’Agenzia delle Entrate e la Regione Marche, iscritta al n. 270 del registro ordinanze 2005 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 21, prima serie speciale, dell’anno 2005.

            Visti gli atti di costituzione di Amilcare Brugni e della Regione Marche;

            udito nell’udienza pubblica del 15 novembre 2005 il Giudice relatore Franco Gallo;

            uditi gli avvocati Giuseppe Pizzonia per Amilcare Brugni e Augusto Fantozzi per la Regione Marche.

Ritenuto in fatto

1. – Nel corso di un giudizio promosso dal contribuente Amilcare Brugni nei confronti della Regione Marche e dell’ufficio locale dell’Agenzia delle entrate avverso il silenzio-rifiuto formatosi sulla richiesta di rimborso di quanto versato a titolo di addizionale regionale all’IRPEF per l’anno 2003, la Commissione tributaria provinciale di Ascoli Piceno, con ordinanza datata 3 marzo 2005 e depositata il 18 successivo, ha sollevato – in riferimento agli artt. 3, 16, 41, 53, 117, secondo comma, lettera e), 119, secondo comma, e 120 della Costituzione – due questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 1, comma 7, della legge della Regione Marche 19 dicembre 2001, n. 35 (Provvedimenti tributari in materia di addizionale regionale all’IRPEF e di tasse automobilistiche e di imposta regionale sulle attività produttive) e dell’annessa tabella A.

 Il giudice rimettente premette che l’addizionale regionale all’IRPEF – in quanto istituita e disciplinata da norme di legge statali, con attribuzione alle Regioni di competenze di carattere meramente attuativo – non costituisce tributo “proprio” della Regione (cioè da questa istituito e regolato), secondo l’accezione utilizzata  dall’art. 119, secondo comma, della Costituzione, nel testo risultante dalla riforma apportata al Titolo V della Parte II della Costituzione, ma un tributo statale, rientrante nella competenza esclusiva dello Stato. Da tale premessa la Commissione tributaria trae la conseguenza che la normativa regionale in tema di addizionale all’IRPEF deve rispettare le disposizioni autorizzatrici della legge statale in materia e dubita pertanto della legittimità costituzionale delle censurate disposizioni della legge regionale, in riferimento a due diverse ipotesi di violazione della legge statale: la prima, concernente l’applicabilità ai periodi d’imposta successivi al 2002 di un’addizionale regionale superiore all’1,4 % del reddito imponibile ai fini IRPEF; l’altra, concernente la previsione di aliquote progressive per tale addizionale.

1.1. – La prima questione muove dal preliminare rilievo che l’art. 50 del decreto legislativo 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali) – istitutivo dell’addizionale regionale all’IRPEF per un’aliquota pari allo 0,50 % del reddito imponibile – è stato modificato dall’art. 3 del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell’art. 10 della legge 13 maggio 1999, n. 133), che, a decorrere dall’anno 2000, ha elevato tale aliquota allo 0,90 %, autorizzando altresí le Regioni ad aumentarla fino ad un massimo di un ulteriore 0,50 % sul reddito imponibile, e, pertanto, fino ad un’aliquota massima complessiva dell’1,40 % (cioè  0,90 % + 0,50 %). Tuttavia, osserva la Commissione tributaria provinciale, l’art. 4, comma 3-bis, «della legge 16 novembre 2001, n. 405» (recte: del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, recante «Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria», convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 16 novembre 2001, n. 405), ha successivamente stabilito che le Regioni, «limitatamente all’anno 2002» e «in deroga ai termini e alle modalità previste dall’art. 50, comma 3, secondo periodo, del citato decreto legislativo n. 446 del 1997», possono maggiorare l’aliquota dell’addizionale regionale all’IRPEF «con propri provvedimenti da pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale entro il 31 dicembre 2001» ovvero, nel caso di fissazione di un’aliquota superiore allo 0,5 %, «con legge regionale». Per il rimettente, la denunciata legge della Regione Marche, nello stabilire che l’addizionale regionale all’IRPEF è determinata – secondo aliquote fissate in deroga a quanto disposto dall’indicato art. 50 del d.lgs. n. 446 del 1997, quale modificato dall’art. 3 del d.lgs. n. 56 del 2000 – «a decorrere dall’anno 2002» (e non «limitatamente all’anno 2002», come invece previsto dal citato art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge n. 347 del 2001), avrebbe illegittimamente esteso agli anni 2003 e seguenti l’operatività di tali maggiorazioni derogatorie. Né potrebbe ritenersi – prosegue il giudice a quo – che l’art. 3, comma 1, lettera a), della legge statale 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), abbia legittimato la Regione a determinare le suddette maggiorazioni derogatorie anche per gli anni successivi al 2002, perché tale norma si limita a disporre la temporanea sospensione degli aumenti dell’addizionale regionale all’IRPEF non confermativi delle aliquote in vigore nel 2002 e deliberati dopo il 29 settembre 2002 e, pertanto, da un lato, non sarebbe applicabile alla fattispecie, non avendo la Regione Marche assunto, nel corso del 2002, alcuna determinazione in materia di addizionale regionale all’IRPEF e, d’altro lato, non potrebbe comunque interpretarsi nel senso di consentire di protrarre oltre l’anno 2002 gli effetti “espansivi” dei poteri di imposizione tributaria, che l’indicato art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge n. 347 del 2001, convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge n. 405 del 2001, ha eccezionalmente accordato alle Regioni al solo fine di contenere i livelli tributari di derivazione locale e regionale sino al completamento dell’iter propedeutico alla definizione dei meccanismi strutturali del federalismo fiscale. Di qui la denunciata violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 119, secondo comma, Cost.

1.2.– La seconda questione poggia sulla constatazione che il citato art. 50 del decreto legislativo n. 446 del 1997 consente alle Regioni di determinare l’addizionale regionale all’IRPEF «applicando l’aliquota, fissata dalla regione in cui il contribuente ha la residenza». Per il rimettente, il testuale riferimento all’«aliquota» (al singolare) e la natura meramente attuativa delle competenze regionali in materia escluderebbero la possibilità per le Regioni di incidere sulla disciplina sostanziale del tributo, articolandone l’applicazione in modo differenziato per tipologie di reddito o per scaglioni. Nella specie, la tabella A annessa alla denunciata legge regionale, secondo il testo applicabile ratione temporis alla fattispecie, determina la misura dell’addizionale regionale all’IRPEF non già in ragione di un’aliquota unica, ma di quattro aliquote, sulla base di una modulazione diversa e crescente per scaglioni di reddito, e pertanto, secondo la Commissione tributaria provinciale, si porrebbe in contrasto non solo con gli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 119, secondo comma, Cost., ma anche con l’art. 3 Cost., perché, senza alcun coordinamento con i princípi della finanza pubblica e del sistema tributario, aggiungerebbe ulteriori elementi di progressività ad un tributo (l’IRPEF) dotato di una struttura già di per sé fortemente progressiva, pregiudicando i princípi di equità e ragionevolezza che debbono improntare il sistema tributario ed in particolare creando una grave disparità di trattamento tributario a danno dei cittadini residenti nella Regione Marche, cosí da ostacolare sia la libertà di ogni cittadino di fissare la residenza, il domicilio (art. 16 Cost.) o l’impresa (art. 41 Cost.) in qualsiasi parte del territorio nazionale, sia la correlativa libertà di circolazione delle persone e cose tra le Regioni (art. 120 Cost.).

1.3.– Il rimettente, infine, esclude la possibilità di una interpretazione adeguatrice delle disposizioni denunciate ed afferma la rilevanza delle sollevate questioni.

2. – Si è tempestivamente costituita la Regione Marche, chiedendo il rigetto, per manifesta infondatezza, delle sollevate questioni.

2.1. – In ordine alla prima questione, la parte pubblica osserva che originariamente il legislatore, conferendo alle Regioni, con l’art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge n. 347 del 2001, la facoltà di disporre – per il solo anno 2002 – aumenti dell’addizionale regionale all’IRPEF superiori al limite massimo fissato dalla precedente normativa statale, aveva inteso fornire alle Regioni medesime un ulteriore mezzo per provvedere alla copertura dell’eventuale disavanzo di gestione. Successivamente, però, lo stesso legislatore – prosegue la Regione Marche – avrebbe perseguíto, nella sua discrezionalità, il diverso obiettivo di salvaguardare le misure di copertura del disavanzo già adottate dalle Regioni nel 2002, consentendo il mantenimento per gli anni successivi delle stesse aliquote relative all’addizionale regionale all’IRPEF fissate per quell’anno, anche se superiori all’1,40 % dell’imponibile ai fini IRPEF, ed escludendo ulteriori aumenti di tale addizionale. Per la Regione, infatti, l’art. 3, comma 1, lettera a), della citata legge statale n. 289 del 2002, conterrebbe due distinte norme: una – esplicita – secondo cui sono temporaneamente sospesi (sino alla definizione di un quadro generale di coordinamento tra finanza statale e finanza regionale) gli aumenti dell’addizionale regionale all’IRPEF deliberati successivamente al 29 settembre 2002 ed ulteriori rispetto a quelli già disposti per il 2002; l’altra – implicita, perché logicamente e necessariamente desumibile dalla precedente – secondo cui è legittima ed efficace la conferma delle aliquote dell’addizionale regionale all’IRPEF del 2002 anche per l’anno 2003. La parte sottolinea, inoltre, che la denunciata legge regionale dispone legittimamente un aumento dell’addizionale regionale «valevole per la pluralità degli anni a venire», perché la legge statale, nel prevedere che i provvedimenti di aumento dell’addizionale regionale siano pubblicati entro una certa data «dell’anno precedente a quello cui l’addizionale si riferisce», non impone affatto una cadenza annuale delle deliberazioni, ma fissa solo il termine massimo entro il quale il provvedimento può intervenire. Da queste premesse la Regione Marche trae la conseguenza che la censurata legge regionale, in quanto «deliberazione anteriore al 29 settembre 2002 confermativa delle aliquote in vigore per l’anno 2002», è stata resa legittima dal ius superveniens costituito dal citato art. 3, comma 1, lettera a), della legge statale n. 289 del 2002.

2.2. – La stessa Regione, in ordine alla seconda questione, osserva che, contrariamente a quanto affermato dal rimettente, la progressività (o la maggiore progressività) di un tributo non víola il principio di uguaglianza, perché, al contrario, valorizzando la differenza di capacità contributiva del soggetto passivo d’imposta, comporta soltanto una disciplina diseguale di situazioni diseguali, maggiormente aderente al dettato costituzionale. Inoltre – sempre secondo la parte pubblica – le aliquote della denunciata tabella A della legge regionale riprodurrebbero, nella sostanza, quelle dell’IRPEF (con l’accorpamento del 3° e del 4° scaglione) e rifletterebbero pertanto, senza incrementarla, la progressività del tributo di base. Quanto, poi, alla lamentata discriminazione tra i contribuenti residenti nella Regione Marche, assoggettati all’addizionale regionale all’IRPEF secondo le aliquote censurate, rispetto ai contribuenti residenti in altre Regioni, assoggettati ad addizionali regionali di minore importo e comunque sulla base di una sola aliquota, l’ente territoriale oppone che l’eccepita differenza di prelievo tra contribuenti residenti in diverse regioni non discende dalla legge regionale impugnata, ma dalla previsione della legge statale di una diversa determinazione dell’aliquota rimessa alle Regioni, ed è comunque legittimata dai princípi di coordinamento della  finanza nazionale e locale di cui agli artt. 117, 118 e 119 Cost., senza alcuna violazione del principio di uguaglianza, «posto che la diversa misura di un gettito regionale corrisponde alle diverse scelte delle regioni in materia di finanza pubblica (e quindi di spesa), talché riguarda residenti diversamente serviti, assistiti e tutelati e quindi in situazioni diseguali». Per le stesse ragioni non sussisterebbe alcuna violazione degli evocati princípi costituzionali della libertà di circolazione e di soggiorno e della libertà di iniziativa economica, perché l’eventuale ostacolo alla libertà di circolazione o di iniziativa economica derivante da un’addizionale regionale all’IRPEF comparativamente maggiore rispetto a quella di altre regioni deriverebbe non già dalla progressività delle aliquote previste dalla tabella A annessa alla denunciata legge regionale, ma dalla differenziabilità delle aliquote fra le diverse regioni e perciò, in primo luogo, «dalla legge statale» e, in secondo luogo, dalle concrete «scelte di politica economica regionale (livello di spesa e quindi di servizio, assistenza e tutela da parte dell’ente pubblico regionale), costituenti anch’esse fattori incentivanti o disincentivanti dell’insediamento in un territorio». L’ente territoriale, inoltre, rileva che «la progressività dell’addizionale comporta l’applicazione dell’aliquota massima soltanto sull’ultimo scaglione di reddito e che la proporzionalità dell’addizionale, al contrario, comporta l’applicazione dell’unica aliquota sull’intero reddito», con la conseguenza che «la progressività rispetto alla proporzionalità non conduce ad un’imposizione maggiore, bensí ad un’imposizione maggiore sui redditi più elevati e ad una inferiore sui redditi più contenuti». Lo stesso ente, infine, sostiene che – contrariamente all’assunto del rimettente – il termine «aliquota», al singolare, utilizzato dal legislatore nell’art. 50, comma 3, del d.lgs. n. 446 del 1997, non esclude la facoltà per le Regioni di fissare una pluralità di aliquote per l’addizionale regionale all’IRPEF, sia perché l’uso del singolare si spiega con la tecnica espositiva adottata dal legislatore, il quale, nel primo periodo del comma, fissa una «aliquota» di compartecipazione valida in assenza di diversa determinazione regionale (necessariamente unica) e, nel secondo periodo, ne consente la maggiorazione; sia perché l’attribuzione del potere di maggiorazione dell’addizionale, in assenza di specificazioni, implica la discrezionalità dell’esercizio di tale potere e, quindi, consente anche di stabilire maggiorazioni diverse per casi diversi, ad esempio secondo aliquote progressive per scaglioni di reddito; sia perché altre volte il legislatore utilizza, in materia, il termine «aliquote», al plurale (come nell’art. 3, comma 1, lettera a), della legge statale n. 289 del 2002).

3. – Si è costituito anche il contribuente Amilcare Brugni, chiedendo l’accoglimento della sollevata questione e sostanzialmente riproponendo, a sostegno di tale conclusione, le stesse argomentazioni prospettate dal giudice rimettente.

4.– Con memoria depositata nell’imminenza della pubblica udienza, la Regione Marche eccepisce l’inammissibilità delle deduzioni del contribuente, perché in queste «è […] stata omessa la pagina 9, nella quale […] dovrebbero essere esposte le ragioni a sostegno» della avversata tesi dell’illegittimità costituzionale delle disposizioni denunciate. Tale omissione, comportando la violazione dei princípi del contraddittorio concernenti la posizione di parità delle parti di fronte al giudice (ai sensi dell’art. 111 Cost.), si risolverebbe in una ragione di inammissibilità, come sarebbe desumibile, secondo la Regione, dalle numerose pronunce della Corte di cassazione in merito all’inammissibilità di atti processuali privi di una o più pagine.

Nel merito, l’ente territoriale ribadisce le proprie precedenti osservazioni e rileva che «la questione che ci occupa è comunque venuta meno a partire dal 1° gennaio 2005», perché l’art. 17 della legge della Regione Marche «approvata il 4 ottobre 2005» (rectius: legge della Regione Marche 11 ottobre 2005, n. 24, recante «Assestamento del bilancio 2005», pubblicata nel Bollettino Ufficiale della Regione Marche del 14 ottobre 2005, n. 89), ha sostituito l’art. 39 della legge regionale n. 29 del 2004 con un nuovo testo, per effetto del quale l’addizionale regionale all’IRPEF è rideterminata, «a decorrere dall’anno 2005», nella seguente misura: aliquota dello 0,9 %, per un reddito fino ad € 15.500,00; dell’1,2 %, per un reddito superiore a tale importo e fino ad € 31.000,00; dell’1,4 %, per un reddito superiore a tale importo.

5.– Anche il contribuente ha depositato, in prossimità dell’udienza, una memoria, con la quale ribadisce ed argomenta ulteriormente le già formulate conclusioni.

5.1.– In relazione alla prima questione, la parte privata  insiste nell’affermare l’illegittimità dell’addizionale all’IRPEF, in quanto determinata dalla Regione Marche, per l’anno 2003, in misura eccedente i limiti fissati dall’art. 50, comma 3, secondo periodo, del decreto legislativo  n. 446 del 1997. Al riguardo osserva: a) che la denunciata legge regionale, approvata nel 2001, poteva superare i suddetti limiti solo per l’anno 2002, sulla base della legge statale che consentiva tale deroga esclusivamente per quell’anno e non per gli anni successivi (art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge n. 347 del 2001, convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge n. 405 del 2001); b) che l’art. 3, comma 1, lettera a), della legge statale n. 289 del 2002 non vale a sanare la norma denunciata, perché stabilisce soltanto la sospensione degli aumenti delle addizionali regionali disposti per il 2003, facendo salvi quelli deliberati prima della presentazione della legge finanziaria statale per il 2003 (avvenuta il 30 settembre 2002), nonché quelli deliberati successivamente al 29 settembre 2002, ma meramente confermativi dell’aliquota prevista per il 2002, e pertanto, poiché detta norma si limita ad anticipare al 29 settembre 2002 il termine ordinario per la determinazione dell’aliquota applicabile nel 2003, che sarebbe scaduto il 30 novembre 2002, non consente – nella specie – alcuna deroga alla sospensione degli aumenti di aliquota, non ricorrendo, in riferimento alla Regione Marche, né l’ipotesi di una delibera di aumento dell’aliquota per il 2003, anteriore o successiva al 30 settembre 2002, né l’ipotesi di un provvedimento, anteriore o successivo alla stessa data, confermativo per il 2003 delle aliquote 2002; c) che, comunque, il citato art. 3, comma 1, lettera a), della legge statale n. 289 del 2002 prevede la possibilità di conferma per il 2003 dei soli aumenti «deliberati», e cioè (secondo la terminologia impiegata dall’art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge n. 347 del 2001, convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge n. 405 del 2001) dei soli aumenti «disposti […] con provvedimenti» entro la misura dello 0,5 %, e non anche degli aumenti superiori a tale aliquota, da “determinarsi”, invece, «con legge regionale», con la conseguenza che, nella specie, gli aumenti “determinati” con la legge regionale denunciata (“approvata e promulgata”, ma non “deliberata”) non potrebbero mai rientrare nell’àmbito di applicazione del suddetto art. 3, comma 1, lettera a), della legge statale n. 289 del 2002.   

5.2.– In relazione alla seconda questione, il contribuente ribadisce l’illegittimità della previsione, nella disposizione censurata, di un’addizionale regionale all’IRPEF modulata in base a quattro diverse aliquote progressive: in primo luogo, perché la legge statale istitutiva di tale addizionale, facendo sempre riferimento all’«aliquota» del tributo, stabilisce il principio della riserva allo Stato degli aspetti redistributivi del tributo, ivi compreso il carattere della progressività, con conseguente necessaria proporzionalità – con applicazione, cioè, di un’unica aliquota – dell’addizionale medesima (come risulterebbe anche dalla Relazione di accompagnamento al d.lgs. n. 446 del 1997: «l’istituzione dell’addizionale […] risponde alla logica, contenuta nella delega, di mantenere allo Stato la determinazione dell’imponibile e la funzione redistributiva (progressività […]), lasciando alle regioni solo il potere di manovrare, entro la forcella stabilita, l’aliquota di un’addizionale che è proporzionale rispetto alla base imponibile dell’imposta principale»); in secondo luogo, perché il riferimento alle «aliquote» contenuto nell’art. 3, comma 1, lettera a), della legge statale n. 289 del 2002 (citato dalla difesa della Regione Marche) si spiega non già con una possibile pluralità di aliquote della stessa addizionale, ma con la pluralità delle diverse addizionali, regionali e comunali, previste dalla citata disposizione; in terzo luogo, perché la sovrapposizione di un’addizionale progressiva ad un’imposta a sua volta progressiva, come l’IRPEF, distorce la forma della curva di prelievo, accentuandone la progressività, al di fuori di un coerente e razionale disegno redistributivo, che compete unicamente allo Stato; in quarto luogo, perché alla legge regionale non è consentito creare tributi progressivi, perché il tema della progressività (afferente al sistema tributario nel suo complesso, in base all’art. 53 Cost.) è riservato dalla Costituzione in via esclusiva allo Stato – ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost. – lasciando alla legislazione concorrente il coordinamento ed alle leggi statali l’istituzione dei singoli tributi progressivi; in quinto luogo, infine, perché l’istituzione di tributi regionali progressivi è in contrasto con i princípi di uguaglianza e di capacità contributiva tra cittadini di Regioni diverse.

Considerato in diritto

1. –  La Commissione tributaria provinciale di Ascoli Piceno ha sollevato due questioni di legittimità costituzionale del combinato disposto dell’art. 1, comma 7, della legge della Regione Marche 19 dicembre 2001, n. 35 (Provvedimenti tributari in materia di addizionale regionale all’IRPEF e di tasse automobilistiche e di imposta regionale sulle attività produttive) e dell’annessa tabella A: la prima, in riferimento ai soli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 119, secondo comma, della Costituzione; la seconda, in riferimento anche agli artt. 3, 16, 41, 53 e 120 della Costituzione.

1.1.– La prima questione concerne le censurate disposizioni nella parte in cui prevedono, per l’anno 2003, la stessa addizionale regionale all’IRPEF determinata per l’anno 2002 in un importo superiore all’1,4 % del reddito imponibile. Secondo il giudice rimettente, la previsione di un’addizionale di tale importo per gli anni successivi e, quindi, anche per l’anno 2003  (e non solo per il 2002, come consentito in via eccezionale dall’art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge 18 settembre 2001, n. 347, recante «Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria», convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge 16 novembre 2001, n. 405) violerebbe gli evocati parametri costituzionali (artt. 117, secondo comma, lettera e, e 119, secondo comma, Cost.), perché contrasterebbe con la norma statale interposta di cui all’art. 50, comma 3, secondo periodo, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali) – quale modificato (con effetto a partire dall’anno 2000) dall’art. 3, comma 1, del decreto legislativo 18 febbraio 2000, n. 56 (Disposizioni in materia di federalismo fiscale, a norma dell’art. 10 della legge 13 maggio 1999, n. 133) – che pone il divieto di superare, nella determinazione dell’addizionale, l’indicato limite dell’1,4 % del reddito imponibile. Né, sempre ad avviso del giudice a quo, la denunciata violazione di questo limite potrebbe ritenersi sanata dal sopravvenuto art. 3, comma 1, lettera a), della legge statale 27 dicembre 2002, n. 289 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2003), perché questa disposizione – al fine di contenere la pressione fiscale regionale e locale sino al completamento dell’iter propedeutico alla definizione dei meccanismi strutturali del federalismo fiscale – si sarebbe limitata a sospendere temporaneamente gli aumenti dell’addizionale regionale all’IRPEF non confermativi delle aliquote in vigore nel 2002 e deliberati dopo il 29 settembre 2002, con la conseguenza della sua inapplicabilità alla fattispecie, non avendo la Regione Marche assunto, nel corso del 2002, alcuna determinazione in materia di addizionale regionale all’IRPEF.

1.2.– La seconda  questione concerne le medesime disposizioni della suddetta legge regionale, nella parte in cui determinano la misura dell’addizionale all’IRPEF in ragione di quattro aliquote, sulla base di una «modulazione diversa e crescente per scaglioni di reddito». Per il rimettente, tale previsione di aliquote progressive sarebbe illegittima (in relazione agli artt. 3, 16, 41, 53, 117, secondo comma, lettera e, 119, secondo comma, e 120 Cost.), perché contrasterebbe con il testuale riferimento ad un’unica «aliquota» contenuto nell’art. 50 del decreto legislativo n. 446 del 1997 e perché, conseguentemente, senza alcun coordinamento con i princípi della finanza pubblica e del sistema tributario, aggiungerebbe ulteriori elementi di progressività ad un tributo (l’IRPEF) a struttura già di per sé fortemente progressiva, pregiudicando i princípi di equità e ragionevolezza che debbono improntare il sistema tributario e creando, in particolare, una grave disparità di trattamento tributario tra i cittadini residenti nella Regione Marche e quelli residenti in altre Regioni, cosí da ostacolare sia la libertà di fissare la residenza, il domicilio (art. 16 Cost.) o l’impresa (art. 41 Cost.) in qualsiasi parte del territorio nazionale, sia la correlativa libertà di circolazione di persone e cose tra le Regioni (art. 120 Cost.).

2.– La difesa della Regione Marche ha espressamente dichiarato, in udienza, di «rinunciare all’eccezione di inammissibilità o irricevibilità» delle deduzioni del contribuente, sollevata nella propria memoria illustrativa e basata sull’affermata mancanza della pagina 9 di tali deduzioni nella copia depositata dalla parte privata e ritirata dalla Regione.

3.– Deve preliminarmente escludersi quanto affermato nella memoria illustrativa della Regione, e cioè che «la questione che ci occupa è comunque venuta meno» per effetto dell’art. 17 della legge della Regione Marche 11 ottobre 2005, n. 24 (Assestamento del bilancio 2005), il quale ha rideterminato l’ammontare delle aliquote dell’addizionale regionale all’IRPEF. Tale articolo, infatti, espressamente stabilisce che detta rideterminazione ha efficacia solo «a decorrere dall’anno 2005» e, pertanto, non può essere invocato per sostenere la cessazione della materia del contendere riguardo a questioni che, invece, concernono il periodo d’imposta relativo all’anno 2003.

4.– Nel merito, entrambe le questioni non sono fondate.

Il rimettente muove dall’esatta premessa che l’addizionale regionale in questione, in quanto istituita e disciplinata dalla legislazione statale (art. 50 del decreto legislativo n. 446 del 1997), è da considerarsi – secondo la costante giurisprudenza costituzionale – tributo statale e non «proprio» della Regione (nel senso di cui al vigente art. 119 Cost.), senza che in contrario rilevino né l’attribuzione del gettito alle Regioni ed alle Province, né le determinazioni espressamente attribuite alla legge regionale dal citato decreto legislativo (v., ex plurimis, sentenze n. 37 e n. 381 del 2004); con la conseguenza che la disciplina della misura di tale addizionale rientra nella competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., e che è precluso alle Regioni integrare detta disciplina, se non nei limiti stabiliti dalla legislazione statale.

Tuttavia, lo stesso rimettente, nella specie, ricostruisce in modo inesatto la normativa statale di riferimento – cioè l’art. 3, comma 1, lettera a), della legge n. 289 del 2002, relativamente alla prima questione, e il citato art. 50 del decreto legislativo n. 446 del 1997, relativamente alla seconda questione – giungendo all’errata conclusione della violazione dei parametri evocati.

4.1.– In ordine alla prima questione, il rimettente prende atto che, ai sensi della denunciata legge regionale, l’addizionale in questione è determinata, «a decorrere dall’anno 2002», nella misura indicata dalla tabella A allegata alla stessa legge, mediante l’applicazione di quattro diverse aliquote, in relazione a distinti scaglioni di reddito imponibile (cioè dello 0,9 %, fino ad  € 15.493,71; dell’1,91 %, oltre tale importo e fino ad € 30.987,41; del 3,6 %, oltre tale importo e fino ad € 69.721,68; del 4,0 %, oltre tale importo). Da ciò deduce che il legislatore regionale ha previsto, per il 2003, un’addizionale di importo identico a quello già stabilito per il 2002 e quindi, in riferimento alle classi di reddito piú elevate, un’aliquota complessivamente superiore al limite massimo dell’1,4 % del reddito imponibile fissato dall’art. 50, comma 3, secondo periodo, del decreto legislativo n. 446 del 1997 (nel testo applicabile ratione temporis alla fattispecie). La stessa Commissione tributaria completa la sua argomentazione rilevando che l’art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge n. 347 del 2001, convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge n. 405 del 2001, ha consentito, in via eccezionale, il superamento del suddetto limite massimo dell’addizionale, ma solo per l’anno 2002 («Limitatamente all'anno 2002»). Conclude, pertanto, per l’illegittimità costituzionale della norma censurata, che ha invece fissato anche per l’anno 2003 un’addizionale superiore all’1,4 % del reddito imponibile.

Tale rilievo di illegittimità costituzionale tuttavia non è fondato, perché il rimettente non tiene conto che il legislatore statale, con il menzionato art. 3, comma 1, lettera a), della legge n. 289 del 2002, ha inteso perseguire l’obiettivo di politica economica di evitare – con decorrenza dal 30 settembre 2002 e fino al raggiungimento di un accordo sui meccanismi strutturali del federalismo fiscale in sede di Conferenza unificata tra Stato, Regioni ed enti locali, ai sensi del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali) – la maggiore pressione fiscale dell’IRPEF e dell’IRAP che potrebbe derivare dall’ulteriore incremento delle addizionali regionali e locali a tali tributi, e, nel contempo, di mantenere lo stesso livello delle addizionali legittimamente stabilite per l’anno 2002. In particolare, l’art. 3, comma 1, lettera a), stabilisce la sospensione, fino al raggiungimento del suddetto accordo, dei soli «aumenti delle addizionali all’imposta sul reddito delle persone fisiche per i comuni e le regioni, […] deliberati successivamente al 29 settembre 2002 e che non siano confermativi delle aliquote in vigore per l’anno 2002». L’aumento dell’addizionale all’IRPEF per l’anno 2003, disposto nel 2001 dalla Regione Marche per un importo identico a quello vigente nel 2002  –  anche se comportante l’applicazione di un’addizionale superiore all’1,4 % del reddito imponibile, come consentito per l’anno 2002 dall’art. 4, comma 3-bis, del decreto-legge n. 347 del 2001 –  non rientra, dunque, nella sfera di applicazione dell’indicata norma di sospensione e va ricompreso nell’àmbito di quei provvedimenti che il legislatore ha inteso confermare, in attuazione della indicata politica di tendenziale mantenimento della pressione fiscale. La legge regionale che lo ha stabilito non risponde, infatti, alle condizioni temporali e quantitative previste dal citato art. 3, comma 1, lettera a),  ai fini della sospensione, essendo essa confermativa delle aliquote in vigore nel 2002 ed essendo stata deliberata anteriormente al 30 settembre 2002 (perché promulgata il 19 dicembre 2001) .

Non può opporsi, in proposito, che la norma statale che ha disposto la sospensione riguarderebbe, per la sua formulazione letterale, soltanto gli «aumenti deliberati» dalla Giunta regionale e non anche quelli disposti da leggi regionali, “approvate” e “promulgate”, ma non “deliberate”. Contrariamente a quanto sostenuto dalla difesa del contribuente, la legge regionale viene “approvata” mediante “deliberazione” consiliare e, perciò, l’espressione «aumenti deliberati», di cui al citato art. 3, comma 1, lettera a), si riferisce agli aumenti stabiliti non solo mediante provvedimento amministrativo (nel caso – contemplato dall’ art. 4, comma 3-bis, primo periodo, del decreto-legge n. 347 del 2001, convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge n. 405 del 2001 –  di una maggiorazione dell’aliquota fino allo 0,5 %), ma anche mediante legge regionale (nel caso – contemplato dallo stesso art. 4, comma 3-bis, secondo periodo, del decreto-legge n. 347 del 2001, convertito, con modificazioni, dall’art. 1 della legge n. 405 del 2001 – di una maggiorazione dell’aliquota superiore allo 0,5 %).

Né, per escludere la legittimità dell’aumento dell’addizionale in questione, assume rilievo la circostanza che il legislatore regionale abbia deliberato, con la legge denunciata, tale aumento nel 2001, per una pluralità indefinita di anni, «a decorrere dall’anno 2002», e non con distinte leggi o provvedimenti annuali. Il citato art. 50, comma 3, secondo periodo, del decreto legislativo n. 446 del 1997 non prevede, infatti, alcun obbligo per le Regioni di determinare gli aumenti dell’addizionale singulatim, anno per anno, ma si limita a stabilire che i “provvedimenti” di aumento debbono essere pubblicati «nella Gazzetta Ufficiale non oltre il 30 novembre dell'anno precedente a quello cui l'addizionale si riferisce ».

4.2.– In ordine alla seconda questione, il giudice a quo, fondando la propria argomentazione  sulla parola «aliquota» al singolare, utilizzata dall’art. 50 del decreto legislativo n. 446 del 1997, muove dal presupposto interpretativo che la legge statale vieti al legislatore regionale di strutturare l’addizionale all’IRPEF secondo più aliquote crescenti per scaglioni di reddito. Dall’affermata violazione di tale divieto il rimettente fa discendere il contrasto delle censurate disposizioni, da un lato, con gli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 119, secondo comma, Cost. e, dall’altro, con gli artt. 3, 16, 41, 53 e 120 Cost.

L’ assunto interpretativo del rimettente è errato.

            Per quanto attiene al contrasto con gli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 119, secondo comma, Cost., va rilevato che né la norma statale istitutiva dell’addizionale (art. 50, commi 2 e 3, secondo periodo, del decreto legislativo n. 446 del 1997), né la relativa legge di delegazione (art. 3, comma 143, lettera a, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, recante «Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), nell’impiegare il termine «aliquota» al singolare per la determinazione degli aumenti dell’addizionale medesima, impediscono che tali aumenti siano improntati a criteri di progressività.   Infatti, la parola “aliquota”, usata al singolare e senza altra specificazione, ben può essere interpretata, secondo l’uso linguistico generale e specialistico del settore tributario, in senso  neutrale , e cioè sia nel senso di “aliquota proporzionale”, sia nel senso di “aliquota progressiva”. Ne consegue che l’uso di tale parola, da parte del legislatore statale, consente al legislatore regionale di realizzare la maggiorazione non solo attraverso un’unica aliquota proporzionale, ma –come avvenuto nel caso di specie – anche attraverso un’“aliquota progressiva”, articolata in più aliquote crescenti in funzione del reddito. 

Deve inoltre negarsi che la Costituzione stabilisca una riserva esclusiva di competenza legislativa dello Stato in tema di progressività dei tributi. Al contrario, ai sensi dell’art. 53, secondo comma, Cost., la progressività è principio che deve informare l’intero sistema tributario ed è, quindi, legittimo che anche le Regioni, nell’esercizio del loro autonomo potere di imposizione, improntino il prelievo a criteri di progressività in funzione delle politiche economiche e fiscali da esse perseguite. Nella specie, la scelta del legislatore regionale di articolare l’addizionale all’IRPEF secondo scaglioni crescenti di reddito non solo rispetta i limiti di imposizione posti dalla legge statale, ma sviluppa coerentemente, a livello regionale, la struttura tipicamente “progressiva”di detta imposta erariale. 

Anche per quanto attiene al denunciato vulnus degli artt. 3, 16, 41, 53 e 120 della Costituzione –  che il rimettente connette strettamente e consequenzialmente alla violazione degli artt. 117, secondo comma, lettera e), e 119, secondo comma, Cost. –  l’ordinanza di rimessione si fonda sul presupposto dell’esistenza del divieto della legge statale di introdurre addizionali all’IRPEF strutturate secondo un’aliquota progressiva. E dalla violazione di tale divieto da parte della legge regionale la medesima ordinanza fa conseguire la denuncia di una ingiustificata disparità di trattamento tributario tra i cittadini residenti nella Regione Marche e quelli residenti in altre Regioni, dipendente dal fatto che solo i primi sarebbero assoggettati ad un’addizionale all’IRPEF con aliquota progressiva. Va però rilevato che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo, detta diversità di trattamento tra  contribuenti aventi lo stesso reddito imponibile, costituirebbe la necessaria conseguenza non già della progressività dell’addizionale, ma dell’esercizio dell’autonomo potere degli enti territoriali di liberamente prevedere –  entro i limiti stabiliti dalla legge statale – aliquote anche non progressive della stessa addizionale che possono risultare tra loro diverse. E ciò a prescindere dal rilievo che dall’attribuzione di tale autonomo potere deriva che i lamentati effetti della diversità di carico fiscale sarebbero imputabili non già (come ritiene il rimettente) alla denunciata legge regionale, che costituisce atto di esercizio di tale potere, ma semmai alla non censurata norma statale di cui all’art. 50 del decreto legislativo n. 446 del 1997, che detto potere attribuisce.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 7, della legge della Regione Marche 19 dicembre 2001, n. 35 (Provvedimenti tributari in materia di addizionale regionale all’IRPEF e di tasse automobilistiche e di imposta regionale sulle attività produttive) e dell’annessa tabella A, sollevate – in riferimento agli artt. 3, 16, 41, 53, 117, secondo comma, lettera e), 119, secondo comma, e 120 della Costituzione – dalla Commissione tributaria provinciale di Ascoli Piceno, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 gennaio 2006.

Annibale MARINI, Presidente

Franco GALLO, Redattore

Depositata in Cancelleria il 13 gennaio 2006.