Sentenza n. 345 del 2005

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SENTENZA N. 345

ANNO 2005

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-  Piero Alberto CAPOTOSTI             Presidente

-  Fernanda        CONTRI                      Giudice

-  Guido            NEPPI MODONA                "

-  Annibale        MARINI                                "

-  Franco            BILE                                      "

-  Giovanni Maria FLICK                                "

-  Francesco       AMIRANTE                          "

-  Ugo                DE SIERVO                          "

-  Romano         VACCARELLA                   "

-  Paolo              MADDALENA                     "

-  Alfio              FINOCCHIARO                   "

-  Alfonso          QUARANTA                        "

-  Franco            GALLO                                 "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 8, del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63 (Disposizioni finanziarie e fiscali urgenti in materia di riscossione, razionalizzazione del sistema di formazione del costo dei prodotti farmaceutici, adempimenti ed adeguamenti comunitari, cartolarizzazioni, valorizzazione del patrimonio e finanziamento delle infrastrutture), convertito, con modificazioni, nella legge 15 giugno 2002, n. 112, promosso con ordinanza del 3 ottobre 2003 dalla Commissione dei ricorsi contro i provvedimenti dell'Ufficio italiano brevetti e marchi di Roma sul ricorso proposto da Schering Corporation contro il Ministero delle attività produttive – Direzione generale sviluppo produttivo e competività, iscritta al n. 1058 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell'anno 2003.

  Visto l'atto di costituzione di Schering Corporation, nonché gli atti di intervento

di Bristol Myers Squibb s.r.l., Pfizer Italia s.r.l., Pharmacia Italia s.p.a. e Merck Sharp & Dohme Italia s.p.a., di Menarini International Operations Luxembourg ed altri, di Sigma-Tau s.p.a., di F. Hoffmann La Roche A.G. ed altra, Eli Lilly & company e Sanofi-Synthelabo s.a., di Knoll-Ravizza Farmaceutici s.p.a., Taisho Pharmaceutical Co Ltd e GlaxoSmithKline s.p.a., ed altri e del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell'udienza pubblica del 21 giugno 2005 il Giudice relatore Romano Vaccarella;

  uditi gli avvocati Diego Vaiano per Schering Corporation e per Bristol Myers Squibb s.r.l., Pfizer Italia s.r.l., Pharmacia Italia s.p.a. e Merck Sharp & Dohme Italia s.p.a., Giuseppe Sena, Giancarlo Del Como e Stefano Grassi per Menarini International Operations Luxembourg ed altri, Antonio Baldassarre per Sigma-Tau s.p.a., Giuseppe Sena, Mario Alberto Quaglia e Giancarlo Del Corno per F. Hoffmann La Roche A.G. ed altra, Eli Lilly & company e Sanofi-Synthelabo s.a., Roberto A. Jacchia e Antonella Terranova per Knoll-Ravizza Farmaceutici s.p.a., Taisho Pharmaceutical Co Ltd e GlaxoSmithKline s.p.a. ed altri e l'avvocato dello Stato Danilo Del Gaizo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

  1.– Con ordinanza del 3 ottobre 2003 la Commissione dei ricorsi contro i provvedimenti dell'Ufficio italiano brevetti e marchi (UIBM) ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 8, del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63 (Disposizioni finanziarie e fiscali urgenti in materia di riscossione, razionalizzazione del sistema di formazione del costo dei prodotti farmaceutici, adempimenti ed adeguamenti comunitari, cartolarizzazioni, valorizzazione del patrimonio e finanziamento delle infrastrutture), convertito, con modificazioni, nella legge 15 giugno 2002, n. 112, per contrasto con il principio costituzionale dell'affidamento e, nei limiti di questo, di quello di retroattività, con i principî di cui agli artt. 41 e 42, in relazione all'art. 3 della Costituzione, nonché con i principî di cui agli artt. 24 e 113 della Costituzione.

  1.1.– Espone il rimettente di essere stato adìto da Schering Corporation con domanda, proposta nei confronti del Ministero delle attività produttive – Ufficio italiano brevetti e marchi e volta ad ottenere l'annullamento dei provvedimenti adottati da detto Ufficio, in data 24 gennaio 2003 e 25 febbraio 2003, di ricalcolo della durata di due certificati complementari di protezione appartenenti all'attrice, ottenuti, rispettivamente, in data 13 novembre 1992 e 25 settembre 1996; ricalcolo operato al dichiarato fine di adeguare la durata dei predetti titoli a quella prevista dall'art. 3, comma 8, del decreto-legge n. 63 del 2002, convertito, con modificazioni, nella legge n. 112 dello stesso anno.

  La domanda – precisa il giudice a quo – è volta a sentir emettere una pronuncia ablativa del provvedimento impugnato, previa proposizione di incidente di costituzionalità in ordine alla citata norma, o, in subordine, per violazione della stessa. 

  1.2.– Ricorda la Commissione che il regolamento comunitario n. 1768/92/CEE del 18 giugno 1992, che disciplinava il certificato complementare di protezione per i prodotti medicinali, tenne conto della circostanza che, al momento della sua entrata in vigore (2 gennaio 1993), la Francia e l'Italia avevano da poco promulgato una propria legge nazionale al riguardo: in particolare l'Italia, con la legge n. 349 del 19 ottobre 1991 (Disposizioni per il rilascio di un certificato complementare di protezione per i medicamenti o i relativi componenti, oggetto di brevetto), entrata in vigore il 19 del mese successivo, aveva previsto una disciplina assai più favorevole rispetto a quella applicabile ai certificati complementari comunitari.

  Sottolinea la Commissione rimettente che tale disciplina, fortemente voluta dalle industrie produttrici di specialità medicinali brevettate (e avversata invece da quelle produttrici di materie prime farmaceutiche), aveva previsto una durata del certificato complementare pari al periodo intercorso tra la data del deposito della domanda di brevetto e quella del decreto di autorizzazione all'immissione in commercio e comunque non superiore a 18 anni a partire dal momento in cui il certificato aveva acquistato efficacia; laddove la normativa comunitaria prevedeva una durata pari al lasso di tempo intercorso tra la data del deposito della domanda di brevetto e quella della domanda di prima autorizzazione all'immissione in commercio nella Comunità, ridotta di cinque anni e comunque non superiore a cinque anni a partire dal momento in cui il certificato aveva acquistato efficacia. Aggiunge ancora il rimettente che, da un lato, la legge n. 349 del 1991, con apposita disposizione transitoria, consentiva alle industrie produttrici di specialità brevettate di presentare domanda di rilascio di certificato complementare di protezione entro i 180 giorni successivi all'entrata in vigore della legge stessa; e che, dall'altro, il regime privilegiato assicurato dalla normativa nazionale – regime che, promulgato il regolamento, sarebbe dovuto venir meno – venne conservato grazie all'inserimento nella normativa comunitaria di una disposizione, l'art. 20, che espressamente faceva salva la validità dei certificati concessi in base alle leggi nazionali.

  Il decreto-legge n. 63 del 2002 ha introdotto una serie di misure volte alla riduzione della spesa pubblica sanitaria, prevedendo in particolare (art. 3) la riduzione della durata dei certificati complementari di protezione (CCP), concessi in base alla legge n. 349 del 1991 (comma 8), secondo una procedura volta ad operare il riallineamento graduale della loro durata con quella risultante dall'applicazione del regolamento comunitario, attraverso il riassorbimento di un anno nel 2002, e di due anni in ciascuno degli anni successivi.

  Questa disciplina, ricorda il rimettente, è stata modificata dalla legge di conversione la quale – mediando tra gli interessi delle multinazionali produttrici di specialità medicinali, favorite dal mantenimento del regime anteriormente vigente, e gli interessi delle imprese produttrici di principi attivi e materie prime farmaceutiche, favorite dallo sviluppo dei farmaci generici, meno costosi e quindi meno onerosi per il servizio sanitario nazionale – ha attenuato il sistema incidente sulla durata dei certificati complementari nazionali, riducendo di sei mesi per ogni anno la loro durata e spostando il  dies a quo della procedura di ridefinizione al 1° gennaio del 2004. 

  1.3.– Osserva la Commissione rimettente che il provvedimento di ricalcolo della scadenza dei  certificati complementari nazionali, emesso dall'Ufficio italiano brevetti e marchi, ha pacificamente natura non costitutiva, ma meramente ricognitiva, e pertanto è inidoneo ad incidere direttamente nei rapporti tra privati: dal che discende la giustiziabilità innanzi al giudice ordinario della pretesa del titolare di un certificato complementare, asseritamente non ancora scaduto, ad opporsi con azione di contraffazione all'iniziativa imprenditoriale intrapresa da un terzo e, reciprocamente, la giustiziabilità della pretesa del terzo a far accertare l'avvenuta scadenza della durata di un certificato appartenente ad altri. Ciò non impedisce, afferma la Commissione, di ritenere sussistente, in capo ai titolari di certificati complementari, un interesse legittimo differenziato ad opporsi ad una rideterminazione della durata che, pubblicizzando la nuova scadenza, li espone alla libera utilizzazione, da parte dei terzi, di un'invenzione farmaceutica di cui essi assumono invece di essere ancora riservatari. Conseguentemente, ad avviso del rimettente, «il provvedimento è stato legittimamente impugnato da Schering sul presupposto, positivamente valutabile sotto il profilo della legittimazione, che si tratti di un provvedimento idoneo a ledere un proprio interesse legittimo compromesso dal contenuto del provvedimento stesso».

  1.4.– In punto di rilevanza, osserva la Commissione che le contestazioni avanzate dalla ricorrente in ordine ai criteri di ricalcolo seguiti dall'Ufficio  appaiono destituite di fondamento, dovendo quei criteri ritenersi del tutto conformi a quanto previsto dalla legge n. 112 del 2002: sicché la decisione sulla domanda di annullamento dei provvedimenti impugnati dipende dalla legittimità costituzionale della legge stessa.

  1.5.– Passando all'esame delle eccezioni di illegittimità costituzionale sollevate dalla ricorrente Schering, osserva il rimettente che manifestamente infondata è quella secondo la quale la legge n. 112 del 2002 contrasterebbe con l'art. 20 del regolamento n. 1768/92, e violerebbe pertanto gli artt. 10 e 11 della Costituzione nonché il principio del primato del diritto comunitario: la norma comunitaria invocata, infatti, lungi dal recepire e cristallizzare la disciplina relativa alla durata dei certificati di protezione disposta dalla legge italiana, si è limitata a consentire in via transitoria che i certificati di protezione italiani conservassero una durata enormemente maggiore di quella (comunitaria) prevista per i certificati degli altri paesi.

  1.6.– Manifestamente infondata, a giudizio della  Commissione, è anche la questione sollevata, in riferimento agli artt. 24 e 113 della Costituzione, sulla base del rilievo che la disposizione censurata, in quanto produttiva di effetti perfettamente sovrapponibili a quelli di un atto amministrativo di espropriazione dei diritti di brevetto, avrebbe la consistenza di una cosiddetta legge-provvedimento: di modo che essa, come norma autoapplicativa, da un lato, avrebbe determinato la degradazione di un diritto soggettivo a interesse legittimo così precludendo ogni sindacato giurisdizionale sul relativo fenomeno di affievolimento, e, dall'altro lato, avrebbe impedito ai titolari dei certificati complementari di partecipare all'adozione della misura assunta nei loro confronti, con le garanzie del giusto procedimento, in contrasto col canone di razionalità normativa nonché col principio di buon andamento dell'amministrazione.

  A giudizio del rimettente, la norma impugnata non ha affatto la natura di legge-provvedimento  perché essa, modificando la regola della legge n. 349 del 1991, pone una disciplina generale ed astratta, valida per tutti i certificati complementari, a nulla rilevando il fatto che nella specie i titoli concretamente incisi, in virtù dell'entrata in vigore del regolamento comunitario (e della conseguente cessazione di operatività della legge n. 349 del 1991), siano individuabili e costituiscano un numerus clausus.

  1.7.– Riferisce il rimettente che, ad avviso della Schering, la ridefinizione della durata dei certificati nazionali contrasterebbe con la tutela dell'affidamento – elevato dalla Corte costituzionale in numerose pronunce a elemento fondamentale dello Stato di diritto e ricondotto alla clausola generale della ragionevolezza di cui all'art. 3 (sentenza n. 229 del 1999) – in quanto il ricalcolo del periodo di copertura assicurato dai CCP lederebbe la libertà di iniziativa economica privata di cui all'art. 41 della Costituzione: iniziativa economica che, proiettata per sua stessa natura in una prospettiva dinamica, non tollererebbe che, nel corso dell'intero arco temporale in cui è destinata a svolgersi, vengano modificati i presupposti considerati essenziali nel momento in cui fu intrapresa, soprattutto ove si consideri che la produzione e la commercializzazione dei farmaci è fortemente condizionata dalla possibilità di beneficiare della tutela brevettuale, e quindi anche del prolungamento di essa ottenuto mediante il certificato complementare.

  Nel ritenere la questione così proposta non manifestamente infondata, la Commissione non manca di evidenziare che, in verità, «vi sono interessi della collettività, essi pure costituzionalmente garantiti, che giustificano interventi legislativi diretti a comprimere la libertà di iniziativa economica privata», come del resto riconosciuto dallo stesso giudice delle leggi: il che, argomenta,  dovrebbe essere tanto più vero laddove, come nella fattispecie, le scelte legislative siano state determinate dall'obiettivo di limitare il progressivo aumento della spesa pubblica sanitaria, in quella sua componente essenziale che è il rimborso dei farmaci.

  E tuttavia in un settore in cui le valutazioni giuridiche sono così fortemente connesse a profili di opportunità e in cui il giudizio di legittimità costituzionale è destinato a risolversi in un sindacato sulla razionalità «molto prossimo al merito delle scelte legislative», acquista, ad avviso del rimettente, piena visibilità la distinzione tra infondatezza e manifesta infondatezza di una questione: l'eccezione, sicuramente non manifestamente infondata, in mancanza di una ragionevole certezza sulla sua reiezione, va  rimessa alla Corte cui spetta dire la parola ultima e definitiva al riguardo. 

  1.8.– A identico risultato approda la valutazione dell'eccezione di violazione degli artt. 41 e 42, in relazione all'art. 3 della Costituzione, sollevata dalla Schering sotto il profilo che se la proprietà intellettuale è una vera e propria proprietà – soggetta in quanto tale all'apposizione di restrizioni che ne assicurino la funzione sociale – la riduzione della durata dei certificati complementari nazionali non potrebbe essere qualificata come limite legittimamente opponibile ai sensi dell'art. 42 Cost., perché il contenimento della spesa sanitaria non può definirsi interesse di rango costituzionale, pari o superiore al diritto di proprietà, e perché la norma censurata espressamente dichiara di perseguire l'obbiettivo di adeguare quella nazionale alla normativa comunitaria. In ogni caso, quand'anche la riduzione della durata fosse una forma, in sé consentita, di espropriazione, essa sarebbe comunque illegittima, perché disposta senza indennizzo, e per giunta in contrasto sia con le disposizioni di cui agli artt. 60 e segg. del regio decreto 29 giugno 1939, n. 1127 (Testo delle disposizioni legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali), sia nell'Accordo TRIPs (Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights, firmato a Marrakech il 15 aprile 1994 nel quadro dei negoziati GATT), ratificato con legge 29 dicembre 1994 n. 747 (Ratifica ed esecuzione degli atti concernenti i risultati dei negoziati dell'Uruguay Round, adottati a Marrakech il 15 aprile 1994).

  Anche a questo proposito il rimettente rileva che le argomentazioni della ricorrente appaiono «resistibili» con argomenti contrari che non sono prima facie destituiti di fondamento: e invero, mentre non par dubbio che la ratio dell'art. 3, comma 8, del decreto legge n. 63 del 2002 sia da individuare nel contenimento della spesa farmaceutica, il cui perseguimento deve evidentemente avvenire contemperando l'interesse alla tutela della salute della collettività con costi a carico dello Stato, e quello all'incentivazione della ricerca da parte delle imprese farmaceutiche, la qualificazione come fenomeno espropriativo della riduzione della durata dei certificati complementari nazionali postula che, contro l'evoluzione normativa innanzi descritta, venga considerato come un diritto irreversibilmente quesito l'allungamento disposto dalla legge n. 349 del 1991. E tuttavia, considerato, ancora una volta, che solo la questione manifestamente infondata non deve essere rimessa alla Corte, ritiene la Commissione di non potersi esimere dal sollevare incidente anche per quest'ulteriore profilo di sospetta illegittimità. 

  2.– Si è costituita la Schering Corporation Ltd che ha insistito per l'accoglimento delle prospettate questioni, espressamente segnalando anche l'enucleabilità di altre ragioni di incostituzionalità, «eventualmente sollevabili ex officio davanti a sé da codesta Ecc.ma Corte».

  2.1.– Nel ricapitolare i fatti salienti che hanno determinato l'impugnativa del provvedimento dell'Ufficio brevetti innanzi alla Commissione dei ricorsi, l'esponente evidenzia che, in attuazione dell'art. 3, comma 8, del decreto-legge n. 63 del 2002, convertito, con modificazioni, nella legge 15 giugno 2002, n. 112, il predetto Ufficio, con un primo provvedimento adottato in data 7 ottobre 2002, aveva operato il ricalcolo della durata della protezione nello sfruttamento commerciale dell'invenzione, assicurata dai CCP vigenti, indicando in un apposito tabulato le nuove date di scadenza, che, per le specialità medicinali oggetto del giudizio a quo, erano, quanto al Clarityn (Loratadina), il 1° settembre 2007, e, quanto all'Ecolon (Mometasone Furoato),  il 31 dicembre 2009; che detta scadenza era stata poi confermata, previa rideterminazione dei criteri di calcolo, con provvedimento del 24 gennaio 2003, precisandosi nell'occasione che eventuali obiezioni avrebbero dovuto essere formulate entro sessanta giorni dal ricevimento dell'atto ministeriale; che, eccepita con nota del 24 febbraio 2003 l'erroneità e l'illegittimità dei criteri di ricalcolo applicati, l'Ufficio brevetti, in data 25 febbraio 2003, aveva confermato la precedente determinazione, con l'avvertenza che contro il provvedimento era ammesso ricorso innanzi alla Commissione «entro il termine perentorio di trenta giorni dalla data di ricevimento della presente».

  Tanto premesso, la Schering evidenzia come, correttamente, il giudice a quo abbia individuato l'interesse all'impugnazione dell'atto – e pertanto la rilevanza della prospettata questione – negli «effetti giuridici propriamente riconducibili alla pubblicazione della modifica temporale» della durata della protezione, effetti concretamente apprezzabili, in termini favorevoli o lesivi, tanto da parte dei titolari dei relativi diritti, quanto da parte dei soggetti interessati alla produzione e commercializzazione di farmaci identici nella composizione, una volta venuta meno la copertura  brevettuale. D'altra parte, indipendentemente dalla qualificazione come veri e propri interessi legittimi delle posizioni giuridiche soggettive incise dai provvedimenti amministrativi in questione, è pacifico che la Commissione ha giurisdizione in tutte le ipotesi in cui il r.d. 29 giugno 1939, n. 1127 riconosce la possibilità di impugnare un atto dell'Ufficio brevetti e marchi: e allora, posto che la rideterminazione della durata della protezione si risolve in un diniego sopravvenuto di concessione, per quella parte della originaria domanda che, all'esito della valutazione dell'Ufficio, risulta rigettata, la sua impugnativa va correttamente ricondotta nell'ambito della giurisdizione della Commissione ricorsi. 

  2.2.– In ordine al prospettato dubbio di violazione del principio dell'affidamento (e, nei limiti di questo, di quello di retroattività) ex artt. 3 e 41 della Costituzione, rileva la Schering che esso è evocato in maniera tanto più pertinente in quanto l'evoluzione della giurisprudenza costituzionale ne ha fatto un parametro di valutazione della ragionevolezza del «regolamento … di situazioni fondate su leggi preesistenti», con riferimento non solo alle ipotesi in cui la norma, operando in deroga al canone tempus regit actum, spiega effetti che si riverberano negativamente su fattispecie già esauritesi (c.d. retroattività in senso proprio), ma anche a quelle in cui il legislatore si sia limitato a modificare per il futuro, in senso sfavorevole per i beneficiari, le condizioni di rapporti giuridici di durata in itinere (c.d.  retroattività in senso improprio). Del resto, così forte può essere l'impatto di improvvise e impreviste modifiche normative su aspettative generate dallo stesso legislatore, che si è sentita l'esigenza di trasporre nei rapporti di diritto pubblico il principio, di origine civilistica, della tutela della buona fede nei rapporti contrattuali, sotto forma di legittimo affidamento del cittadino nella coerenza della normazione legislativa.

  Posto allora che la giurisprudenza costituzionale ravvisa l'esistenza di un affidamento tutelabile basato sulla normazione previgente ogniqualvolta, in negativo, questa non abbia carattere provvisorio né sia legata a eventi contingenti né, ancora, ponga «irrisolti dubbi interpretativi sui suoi contenuti» e sia, in positivo, contrassegnata da un elevato livello di consolidamento non alterato da concreti mutamenti della situazione di fatto, non par dubbio, a giudizio della ricorrente, che tutte queste condizioni siano riscontrabili nella situazione di fatto e di diritto che ha dato origine al giudizio a quo.

  In particolare la Schering sottolinea che, proprio l'evoluzione del quadro normativo di riferimento – che, dall'originaria formulazione dell'art. 14, primo comma, del r.d. n. 1127 del 1939 (che precludeva la brevettabilità delle invenzioni farmaceutiche), approdò, attraverso la sentenza  20 marzo 1978 n. 20 (che detta brevettabilità riconobbe, in applicazione «del principio della parità di trattamento di tutti gli autori industriali … e della libertà costituzionalmente garantita di iniziativa economica privata»), alle scelte normative racchiuse nella legge n. 349 del 1991, confermate dal successivo regolamento CEE del 18 giugno 1992 n. 1768 – ha ingenerato, nei titolari degli oltre quattrocento certificati di protezione rilasciati in sede di prima applicazione della disciplina nazionale, il legittimo e motivato affidamento nel pieno sfruttamento commerciale, in esclusiva, delle invenzioni farmaceutiche: il che è tanto più vero se si considerano le caratteristiche proprie del settore,  nell'ambito del quale gli investimenti nella ricerca sono fortemente condizionati dalle aspettative dei ritorni economici garantiti dalla legislazione vigente e nel conseguente  affidamento a che la tutela permanga secondo la previsione iniziale. 

  In tale contesto, la verifica della ragionevolezza, o quanto meno della non arbitrarietà della lesione del principio in esame da parte di una norma che sacrifica posizioni individuali già acquisite (e perciò assistita da retroattività impropria), deve passare attraverso il riscontro dell'«adeguatezza e congruenza dell'esigenza di interesse pubblico» sotteso all'emanazione della nuova disciplina nonché attraverso il connesso giudizio di proporzionalità tra il suo perseguimento e il sacrificio delle aspettative maturate: e la giurisprudenza costituzionale ha costantemente escluso che tali requisiti possano ritenersi soddisfatti dall'esigenza, pur dotata di indubbio pregio costituzionale, di salvaguardare l'equilibrio del bilancio, ove ciò comporti sacrifici eccessivi a carico dei soggetti incisi dal ius superveniens.

  Premesso che la norma impugnata invoca espressamente la necessità di riallineare la disciplina interna a quella comunitaria (necessità esclusa proprio dall'art. 20 del regolamento CEE n. 1768/1992 nonché dai «Considerando» che lo accompagnano), è evidente che la vera causa giustificativa della nuova regolamentazione è, come esplicitato nella relazione tecnica al disegno di legge di conversione del decreto n. 63 del 2002, la salvaguardia di esigenze patrimoniali relative all'equilibrio del bilancio. E tuttavia le finalità di pubblico risparmio sono state perseguite senza contemperare adeguatamente gli interessi in gioco, tutti di rilevanza costituzionale, quali (secondo le indicazioni fornite nella stessa sentenza n. 20 del 1978), la tutela della salute prevista dall'art. 32 Cost., alla quale è strumentale non solo la disciplina del prezzo dei medicinali e la loro presenza in quantità sufficienti, ma anche la ricerca scientifica coltivata da talune imprese farmaceutiche: e invero gli interessi di queste (ben diversi da quelli delle imprese che si limitano semplicemente a imitare i prodotti altrui), non possono non essere autonomamente valutati, in un'ottica che necessariamente finisce per chiamare in causa l'art. 3 – perché irragionevolmente vengono trattate in modo non adeguatamente diverso situazioni, invece, profondamente differenti – e l'art. 9 della Costituzione.

  Né può ignorarsi – continua la deducente – che la norma impugnata si inserisce in un trend normativo del quale è espressione anche l'art. 7 del decreto-legge 18 settembre 2001 n. 347 (Interventi urgenti in materia di spesa sanitaria), che impone al farmacista, laddove sia disponibile un farmaco generico, di offrirlo all'assistito in luogo della corrispondente specialità medicinale concretamente prescritta dal medico curante; trend che ha individuato, nello sviluppo del mercato dei farmaci generici,  «la chiave di volta» in grado di perseguire l'obbiettivo della riduzione della spesa farmaceutica.

  In realtà – premesso che i farmaci generici si distinguono in tre grandi categorie, le imitazioni con marchio (cc.dd. brended generics), quelle commercializzate sotto la c.d. denominazione comune internazionale (DCI) seguita dal nome del produttore, e le imitazioni comuni o unbranded, con un margine di risparmio decrescente dalla prima alla terza – poiché nel mercato italiano la maggior parte dei generici è del primo tipo, il divisato obbiettivo di contenimento della spesa perseguito dalla norma impugnata è più un'illusione che una realtà.

  2.3.– Quanto alla prospettata lesione degli artt. 41 e 42, in relazione all'art. 3 della Costituzione, rileva la Schering che – essendo il fine del contenimento della spesa pubblica inidoneo a giustificare sul piano costituzionale una norma limitativa dei diritti soggettivi inerenti allo statuto della proprietà privata ed essendo la tutela del diritto alla salute estraneo alla ratio della disposizione censurata – vi sarebbe aperta violazione dei principî costituzionali in tema di libertà di iniziativa economica privata: secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale, infatti, la limitazione del diritto di esclusiva può ammettersi solo laddove venga dimostrata la presenza di interessi di rango costituzionale pari o superiore al diritto di proprietà e alla libertà d'impresa, in un contesto normativo caratterizzato dalla progressiva estensione della fattispecie «espropriazione» fino a ricomprendervi l'imposizione di limiti che svuotino del tutto, o anche solo in maniera apprezzabile, il diritto di proprietà.

  E' allora del tutto evidente, a giudizio dello Schering, che con la disposizione censurata viene operata una vera e propria espropriazione ex lege dei diritti relativi allo sfruttamento commerciale dell'invenzione, in difetto di reali e validi motivi di interesse generale e senza previsione di qualsivoglia indennizzo. Di modo che l'accoglimento di tale censura – anche a voler riconoscere che vi è stata, nella fattispecie, estinzione, per ragioni di superiore, sopravvenuto interesse generale, di una posizione giuridica soggettiva protetta – consentirebbe di riportare a unità il sistema, spostando la tutela dell'affidamento, garantita dall'ordinamento costituzionale, sul suo equivalente pecuniario.

  3.– Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto dichiararsi inammissibili o, in subordine, infondate, le proposte questioni di costituzionalità. 

  3.1.– In via preliminare osserva l'interveniente che, come ammette lo stesso giudice a quo, la norma impugnata, al pari di tutte le disposizioni che fissano la durata dei titoli di proprietà industriale, contiene una prescrizione immediatamente applicabile nei rapporti tra privati, in relazione alla quale il ricalcolo delle nuove scadenze dei certificati complementari, operato dall'Ufficio italiano brevetti e marchi, pacificamente privo di efficacia costitutiva, è volto a realizzare, attraverso l'aggiornamento delle informazioni che lo stesso ufficio è tenuto a fornire a tutti coloro che vi abbiano interesse, mere esigenze di pubblicità.  Peraltro, posto che l'impugnativa contro tale atto non rientra tra quelle espressamente previste dal r.d. n. 1127 del 1939, in relazione al quale soltanto sussiste la giurisdizione della Commissione, a nulla rileva, a giudizio dell'Avvocatura, l'asserita enucleabilità nella fattispecie di un interesse legittimo differenziato dei titolari dei CCP alla correttezza dell'informazione; mentre, ove si accedesse alla tesi secondo cui la riduzione della durata del CCP costituirebbe una forma di espropriazione attuata attraverso la contestata comunicazione dell'Ufficio Brevetti, la relativa controversia rientrerebbe, per espressa previsione normativa, nella giurisdizione del giudice amministrativo ovvero, per quanto concerne il profilo indennitario, del giudice ordinario (art. 65 del r.d. n. 1127 del 1939).

  Conseguenza ineludibile di tali rilievi è il difetto di giurisdizione della Commissione adìta, difetto che rende manifestamente inammissibile per irrilevanza la proposta questione.

  3.2.– L'inammissibilità sarebbe evidente anche sotto altri profili: a ben vedere infatti, il giudice a quo motiva in maniera incongrua e perplessa, perché si limita a riportare nell'ordinanza di rimessione argomenti favorevoli e contrari alla supposta illegittimità della norma denunciata, arrivando a sollevare l'incidente sul rilievo che manca la certezza della manifesta infondatezza del dubbio. A ciò aggiungasi, per quanto attiene alla questione di legittimità dell'art. 3, comma 8, in relazione agli artt. 24 e 113 della Costituzione,  che vi è una macroscopica difformità tra dispositivo e motivazione dell'ordinanza, perché la non manifesta infondatezza della questione, in relazione agli enunciati profili, è affermata nel solo dispositivo, in palese contrasto con quanto esposto in motivazione. 

  3.3.– Quanto al merito, l'Avvocatura dello Stato contesta anzitutto che la norma incisa dal giudizio di costituzionalità costituisca una disposizione retroattiva, posto che essa opera solo per l'avvenire (e cioè a partire dal 1° gennaio 2004), in relazione a periodi di durata dell'efficacia dei certificati complementari futuri rispetto al momento della sua entrata in vigore. Rileva poi come sia estremamente opinabile che la disposizione censurata si presti ad incidere negativamente su scelte imprenditoriali effettuate al momento della domanda (o della concessione) del brevetto, posto che in realtà queste vennero di solito operate ben prima dell'emanazione della stessa legge n. 349 del 1991, la quale estese la durata di brevetti già concessi. E' poi da escludere, a giudizio dell'Avvocatura che, nel dettare disposizioni modificative, in senso sfavorevole per i beneficiari, della disciplina di rapporti di durata, il legislatore abbia travalicato dai limiti della ragionevolezza, perché la norma impugnata, lungi dal prevedere un regolamento irrazionale, dispone una riduzione graduale e progressiva della protezione brevettuale complementare dei prodotti farmaceutici, al duplice fine di adeguare il regime nazionale a quello comunitario (perché, nel far salve le legislazioni nazionali vigenti in materia, il regolamento CEE n. 1768 del 1992 non vieta certo il loro adeguamento alla normativa europea) e di favorire la sollecita commercializzazione dei farmaci generici.

  Peraltro i divisati obbiettivi – e segnatamente le finalità sottese a tale commercializzazione, da ravvisarsi nel contenimento della spesa farmaceutica e in una più pertinente tutela del diritto fondamentale alla salute – hanno uno spiccato carattere sociale, e sono ben compatibili con gli artt. 41 e 42 della Costituzione; e ciò a tacere del fatto che non si vede come una norma entrata in vigore quando le coperture brevettuali assicurate dai certificati di protezione erano già in vigore, possa avere inciso negativamente sulla libertà di iniziativa economica privata delle imprese che ne sono titolari. Neppure è vero – a giudizio dell'Avvocatura – che la riduzione graduale dell'efficacia dei CCP nazionali possa essere ragionevolmente qualificata come vicenda di tipo espropriativo, dal momento che essa non opera l'ablazione di alcun diritto, ma si limita a conformare il regime dei certificati rilasciati in Italia a quelli comunitari. 

  Infine, quanto alla lesione degli artt. 24 e 113 della Costituzione, osserva la deducente che la questione, ferma l'eccezione di inammissibilità, è palesemente infondata, dovendosi escludere ogni natura provvedimentale della norma impugnata. 

  4.– Nel giudizio sono altresì intervenute: Bristol–Myers Squibb s.r.l.; Eli Lilly and Company; F. Hoffmann La Roche A.G. e Roche Diagnostics GmbH (già Boehringer Mannheim GmbH); GlaxoSmithKline s.p.a.,Glaxo Group Limited, Beecham Group plc e The Wellcome Foundation Limited; Merck Sharp & Dohme Italia s.p.a.; Pfizer Italia s.r.l.; Pharmacia Italia s.p.a.; Sigma–Tau s.p.a.; Sanofi–Synthelabo s.a.; Taisho Pharmaceutical Co. Ltd; Knoll-Ravizza Farmaceutici s.p.a (già denominata Ravizza s.p.a. per l'Industria Chimica e Farmaceutica); Menarini International Operations Luxembourg s.a., Malesci Istituto Farmabiologico s.p.a., F.I.R.M.A. - Fabbrica Italiana Ritrovati Medicinali ed Affini s.r.l.

  4.1.– Bristol–Myers Squibb s.r.l.,  Merck Sharp & Dohme Italia s.p.a., Pfizer Italia s.r.l. e Pharmacia Italia s.p.a., premesso di avere un interesse qualificato alla soluzione della questione di costituzionalità, «tale da potersi riflettere sulla propria posizione giuridica», hanno insistito per il suo accoglimento, svolgendo argomentazioni del tutto sovrapponibili a quelle di Schering Corporation.

  4.2.– Eli Lilly and Company, Hoffmann La Roche A.G. e Roche Diagnostics (già Boehringer Mannheim GmbH) – appartenenti al medesimo gruppo multinazionale Roche – nonché Sanofi-Synthelabo s.a. (incorporante per fusione di Syntelabo s.a. e di Sanofi s.a.), dopo aver dedotto di essere titolari di svariati certificati complementari di protezione e di avere anch'esse proposto – «in  quanto soggetti lesi in via immediata e diretta dalla norma oggetto del giudizio di costituzionalità» – ricorso innanzi alla Commissione rimettente avverso il ricalcolo operato dall'Ufficio italiano brevetti e marchi, ricordano come in diverse pronunce la Corte costituzionale abbia riconosciuto la legittimazione a intervenire di soggetti diversi dalle parti del giudizio a quo, purché la norma  oggetto del sindacato di costituzionalità incida in via immediata e diretta sui loro interessi: il che si verificherebbe nella fattispecie, posto che la disposizione impugnata è idonea di per sé a produrre l'effetto della riduzione della durata dei certificati complementari, senza alcuna necessità di fasi amministrative di applicazione, né esercizio di discrezionalità da parte di qualsivoglia autorità amministrativa.

  Le intervenienti ricordano poi che i CCP furono introdotti al fine di neutralizzare l'incidenza, sul periodo di sfruttamento dell'invenzione in regime di copertura brevettuale, dei tempi necessari all'espletamento delle procedure volte a ottenere il rilascio, da parte del competente Ministero della sanità, dell'autorizzazione al commercio dei prodotti farmaceutici.

  L'esigenza di recuperare il tempo perduto tra il deposito della domanda di brevetto e l'effettiva presenza del prodotto sul mercato – non ignota ad altri paesi, come Stati Uniti e Giappone, che per primi vi ovviarono – fu alla base dell'emanazione della legge n. 349 del 19 ottobre 1991 che, introducendo nella legge brevetti una nuova disposizione, l'articolo 4-bis, istituì  il certificato complementare di protezione, titolo di proprietà industriale strutturato in maniera tale da consentire un integrale recupero del tempo trascorso tra il deposito della domanda di brevetto e l'autorizzazione ministeriale.

  Alla normativa nazionale fece poi seguito il regolamento comunitario n. 1768/CEE del 18 giugno 1992, che, nel prevedere una durata del periodo di esclusiva inferiore a quella garantita dalla normativa nazionale, fece tuttavia salvi gli effetti dei certificati rilasciati e delle domande depositate prima della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale delle Comunità Europee.

  In tale contesto normativo è intervenuta la norma ora sospettata di incostituzionalità, la quale sacrifica il principio dell'affidamento che, benché non espressamente menzionato nella Carta fondamentale del nostro Stato, ha dignità costituzionale, avendo numerose pronunce di questa Corte colto le connessioni esistenti tra tale principio e la tutela dell'iniziativa economica privata che, proiettata per sua natura in una dimensione dinamica, non tollera arbitrari mutamenti in itinere delle regole del gioco.

  In particolare, le aziende farmaceutiche hanno riposto un decisivo affidamento nella durata della protezione brevettuale, anche complementare, fissata dalla legge, sulla stessa impostando precisi piani economici e industriali volti ad equilibrare i costi di ricerca e di sviluppo per la produzione di nuove specialità medicinali, con gli introiti delle vendite in esclusiva delle precedenti.

  La necessità di limitare la spesa pubblica sanitaria, per la parte costituita dal costo del rimborso dei farmaci, non costituisce quell'interesse pubblico il cui perseguimento legittima il legislatore a comprimere la libertà di iniziativa economica privata, sia perché tale esigenza non è affatto enunciata nella norma sospettata di illegittimità, sia perché trattasi di obbiettivo incongruo e inidoneo a giustificare una disposizione lesiva della predetta libertà. 

  La finalità di risparmio – sostengono ancora le intervenienti – non appare neppure riconducibile all'interno della funzione sociale che il legislatore è tenuto a perseguire nella disciplina della proprietà privata, ex art. 42 della Costituzione, e ciò sia per le ragioni innanzi esplicitate, sia perché il diritto alla salute della collettività – del quale è pur necessario tener conto nell'attuazione del fine di contenimento della spesa pubblica – è leso e non favorito dalla norma censurata, la quale, riducendo il periodo di copertura brevettuale, incide direttamente sulla sostenibilità dei programmi di ricerca.

  Anche fondato, a giudizio delle comparenti, è il profilo di contrasto della disposizione impugnata con l'art. 42 della Costituzione, perché, se è vero che i diritti di esclusiva conferiti «con la concessione del brevetto» (art. 4 del r.d. 29 giugno 1939, n. 1127) sono, per consolidato diritto vivente, «diritti reali assoluti su beni immateriali», configurabili alla stregua di un vero e proprio diritto di proprietà, l'art. 3, comma 8, del decreto-legge n. 63 del 2002, convertito, con modificazioni, nella legge n. 112 del 2002, attua una forma di espropriazione senza indennizzo, costituendo certamente un diritto irreversibilmente quesito quello di esclusiva per tutta la durata della protezione accordata dal brevetto e dal CCP.

  In conclusione, l'illegittimità della norma deriverebbe, a giudizio delle intervenienti, oltre che dalla mancanza di qualsivoglia indennizzo, dall'inesistenza dell'interesse pubblico al cui perseguimento il potere di espropriazione deve essere strumentale: senza dire che la norma, prevedendo una disciplina destinata ai soli titoli già concessi in base alla legge n. 349 del 1991, si qualifica come provvedimento di tipo espropriativo, in un contesto ordinamentale che, da un lato, ha ormai esteso tale nozione anche a fattispecie ablative che non comportano alcuna vicenda traslativa e, dall'altro, espressamente disciplina negli artt. 60 e segg. del r.d. n. 1127 del 1939 l'espropriazione del diritto di brevetto per ragioni di pubblica utilità.

  Da tali considerazioni discende – contro quanto ritenuto in motivazione, ma non nel dispositivo, dell'ordinanza di rimessione – la non manifesta infondatezza del dubbio di incompatibilità della norma censurata anche con gli artt. 24 e 113 della Costituzione.

  4.3.– Sostanzialmente dello stesso tenore sono le argomentazioni difensive sviluppate, nei rispettivi atti, da GlaxoSmithKline s.p.a.,  Glaxo Group Limited, Beecham Group plc e The Wellcome Foundation Limited, da Taisho Pharmaceutical Co. Ltd e da Knoll-Ravizza Farmaceutici s.p.a (già denominata Ravizza s.p.a. per l'Industria Chimica e Farmaceutica), le quali solo aggiungono, in ordine alla prospettata violazione degli artt. 24 e 113 della Costituzione, che la giurisprudenza costituzionale ha da tempo ammesso la configurabilità della nozione di legge-provvedimento, quale legge volta a dispiegare attività ordinariamente demandate alla funzione amministrativa (Corte costituzionale n. 153 del 1997; n. 2 del 1997; n. 347 del 1995; n. 62 del 1993; n. 143 del 1989), ma nondimeno soggetta al sindacato di costituzionalità. Il principio di legalità, garantito dagli artt. 3, 97, 24 e 113 della Costituzione, imporrebbe infatti  il distacco tra legge e provvedimento, al fine specifico di consentire il sindacato giurisdizionale sulla razionalità delle scelte amministrative e di garantire la partecipazione degli interessati alla loro adozione, di modo che dovrebbe escludersi la conformità alla Costituzione di quelle leggi che, avendo un contenuto autoapplicativo, importino una compressione di diritti soggettivi perfetti, con violazione degli artt. 3, 24, 97 e 113 della Costituzione.  

  4.4.– Menarini International Operations Luxembourg s.a., Malesci Istituto Farmabiologico s.p.a., F.I.R.M.A. - Fabbrica Italiana Ritrovati Medicinali ed Affini s.r.l. deducono di essere, la prima, licenziataria di Schering Corporation per la commercializzazione di due specialità medicinali, oggetto dei certificati complementari di protezione; la seconda, sublicenziataria di Menarini per la commercializzazione di una specialità medicinale; la terza, infine, sublicenziataria di Malesci in relazione ad un medicinale e di Menarini, in relazione ad altro medicinale. Precisano anche di essere già intervenute nel giudizio a quo per fare accertare il loro diritto a godere dei predetti titoli  con scadenza calcolata in base alla legge n. 349 del 1991.

  Quanto al merito della prospettata questione, evidenziano le comparenti che l'art. 3, comma 8, del d.l. n. 63 del 2002, convertito nella legge n. 112 del 2002, macroscopicamente collide con la normativa transitoria di cui all'art. 20 del regolamento CEE n. 1768 del 18 giugno 1992, venendo così a violare anche gli artt. 117, primo comma, e 11 della Costituzione.

  Segnalano poi, come profili particolarmente significativi del sospettato contrasto con l'art. 3 della Costituzione, l'intima contraddizione tra la ratio legis indicata nella disposizione censurata («adeguare progressivamente» la durata della tutela brevettuale complementare prevista dalle norme nazionali, a quella stabilita in sede comunitaria) e il carattere autoapplicativo della fonte comunitaria in questione; l'irrazionalità di una norma transitoria che, approvata ad oltre dieci anni di distanza dal suo presupposto (il menzionato regolamento CEE), altera ex post l'equilibrio di fondo da esso stabilito, ponendosi in patente contraddizione con le esigenze di effettività della tutela brevettuale; la disparità di trattamento tra i certificati già rilasciati alla data di entrata in vigore del regolamento CEE, ma scaduti prima dell'inizio della vigenza della norma impugnata (titoli che hanno pertanto goduto di una tutela piena) e certificati a quell'epoca non ancora scaduti (destinati a fruire di una protezione solo parziale). 

  E concludono chiedendo alla Corte di dichiarare l'illegittimità della norma impugnata non solo per violazione delle norme costituzionali indicate nell'ordinanza di rimessione, ma anche per contrasto con gli artt. 9, 11 e 117 della Costituzione.

  4.5.– Sigma-Tau s.p.a., infine, pur non essendo parte nel giudizio a quo, deduce di avere un interesse attuale e diretto nel giudizio di costituzionalità, essendo licenziataria esclusiva per l'Italia di Schering Corporation per la commercializzazione di una specialità medicinale.

  5.– Schering Corporation ha depositato una memoria nella quale confuta l'assunto dell'inammissibilità della prospettata questione per irrilevanza determinata dall'asserita carenza di giurisdizione della Commissione ricorsi a decidere la controversia davanti ad essa proposta, rilevando che il ricalcolo delle nuove date di scadenza dei certificati complementari di protezione operato dall'UIBM, certamente privo di efficacia costitutiva, ha però senz'altro capacità «innovativa», costituendo adempimento  delle competenze specificamente attribuite all'Ufficio in punto di pubblicizzazione della durata dei predetti titoli. Di modo che in relazione al carattere meramente attuativo della rideteminazione operata dall'Ufficio, il giudice a quo avrebbe correttamente riconosciuto l'interesse della ricorrente all'impugnazione dell'atto e la conseguente proponibilità della questione.

  Ribadito quindi che la giurisdizione della Commissione è stabilita per materia, senza che rilevi la qualificazione in termini di diritto soggettivo o di interesse legittimo della situazione soggettiva coinvolta, osserva che non hanno pregio le argomentazioni dell'Avvocatura circa una supposta alternativa tra competenza del giudice ordinario e competenza del giudice amministrativo in relazione al carattere sostanzialmente espropriativo della limitazione della durata dei CCP, perché evidentemente una cosa è la questione dell'illegittimità costituzionale di un'espropriazione disposta ex lege e senza indennizzo, altra è l'impugnazione dell'atto  che concretamente attua l'espropriazione stessa.

  Neppure è vero, a giudizio della ricorrente, che il rimettente abbia fatto malgoverno delle regole che presiedono all'incidente di costituzionalità, con conseguente inammissibilità della questione per carenza di motivazione sulla non manifesta infondatezza del dubbio: la prospettazione operata dal giudice a quo appare infatti conforme al carattere di delibazione preliminare a lui demandata, e agli esiti del controllo in cui essa deve sfociare, il quale, in quanto volto a precludere l'accesso alla Corte di questioni sfornite di ogni margine di serietà, è di tipo sostanzialmente negativo.

  Quanto al merito, richiamate le argomentazioni svolte nella memoria di costituzione, ricorda la Schering che in dottrina, commentando l'ordinanza di rimessione, non si è mancato di riconoscere gli effetti perversi della riduzione della durata dei CCP sul diritto dell'imprenditore di operare in base alle condizioni normative presenti in un dato momento storico, rilevando che la legittimità costituzionale della norma si gioca tutta sulla ragionevolezza del vulnus che il suo carattere retroattivo arreca a tale situazione soggettiva attiva.

  Peraltro la ratio della disposizione censurata indicata dall'Avvocatura dello Stato – adeguare il regime nazionale a quello comunitario e favorire la sollecita commercializzazione dei farmaci generici – è, da un lato, del tutto inconsistente, posto che è la stessa normativa europea ad escludere l'esigenza di tale adeguamento, e, dall'altro lato, in contrasto con l'ordine costituzionale, atteso che funzionale alla tutela della salute pubblica è solo l'incentivazione della ricerca e, in quanto ad essa strumentale, il conferimento dei diritti patrimoniali derivanti dalla brevettazione.

  6.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, nella memoria, eccepisce preliminarmente l'inammissibilità degli interventi spiegati dalle società non costituite nel giudizio a quo, sulla base della costante e pacifica giurisprudenza della Corte e, ricordate le eccezioni a tale principio – connesse alla titolarità di una posizione soggettiva specificamente incisa dal giudizio di costituzionalità (sentenza n. 315 del 1992); all'intervenuta applicazione della legge impugnata con provvedimento individuale nei confronti dell'interveniente (sentenza n. 20 del 1982); al nesso tra legittimazione a intervenire nel giudizio principale e definizione dell'incidente di costituzionalità (sentenza n. 429 del 1991); all'inerenza dell'interesse dell'interveniente al rapporto sostanziale sotteso al procedimento  cautelare nel corso del quale è stata pronunciata l'ordinanza di rimessione (sentenza n. 314 del 1992) –, segnala che nessuna delle circostanze indicate ricorre nella specie, neppure per quelle società che, in quanto licenziatarie o sublicenziatarie di prodotti oggetto dei CCP della cui durata si controverte nel giudizio a quo, avrebbero potuto, senza averlo tuttavia fatto, spiegare in esso intervento. Evidenzia infine che privo di qualsivoglia giustificazione è l'intervento di Merck Sharp & Dome s.p.a.

  Ribadisce quindi le deduzioni già svolte in punto di difetto di giurisdizione, rilevabile ictu oculi, della Commissione ricorsi: in particolare la pretesa natura espropriativa della norma sospettata di illegittimità costituzionale e l'auspicata affermazione del principio dell'indennizzabilità del pregiudizio prodotto dalla riduzione dell'efficacia temporale dei CCP convaliderebbero l'assunto della giustiziabilità della pretesa di Schering innanzi al giudice ordinario.

  L'Avvocatura, inoltre, insiste sia sulla perfetta compatibilità con i principî dell'affidamento e della ragionevolezza della normativa impugnata che, accorciando i tempi del riallineamento dell'efficacia dei certificati rilasciati in base alla legge nazionale a quella dei certificati comunitari (secondo un'opzione non imposta, ma neppure esclusa dal regolamento CEE n. 1768 del 1992), riduce in maniera moderata e graduale nel tempo – e senza operarne alcuna ablazione – una protezione percepita come non più rispondente a criteri di equità, sia sulla stretta inerenza tra tutela del diritto alla salute e facilitazione all'acquisto di farmaci generici, meno costosi di quelli coperti da brevetto.

  Rileva anche che ogni considerazione in ordine alla maggiore o minore onerosità di questi ultimi, a seconda che essi siano o meno branded generics, esula dagli elementi scrutinabili dalla Corte in sede di verifica del parametro della ragionevolezza.

  Evidenzia infine che in molti casi la normativa contenuta nella legge n. 349 del 1991 ha di fatto prolungato la copertura brevettuale già esistente per alcuni farmaci.

  7.– Eli Lilly and Company, F. Hoffmann La Roche A.G. e Sanofi-Synthelabo s.a. osservano nelle loro memorie che negli ultimi anni si è affermata la tendenza all'estensione temporale dei diritti di esclusiva: da un lato, l'art. 63 della Convenzione sul brevetto europeo è stato integrato con un Atto di revisione del 17 dicembre 1991 (entrato in vigore il 4 luglio 1997), volto a consentire agli Stati contraenti di prolungare il periodo di protezione assicurato dalla normativa pattizia o di concedere una privativa aggiuntiva per i prodotti o i processi di fabbricazione la cui immissione sul mercato sia sottoposta a procedura amministrativa di autorizzazione, e, dall'altro lato, nell'art. 33 dell'accordo TRIPs (Trade–Related Aspects of Intellectual  Property Rights, firmato a Marrakech il 15 aprile 1994) è stato sancito il principio che la durata della protezione assicurata dal brevetto non può cessare prima della scadenza di un periodo di venti anni dalla data del deposito, implicitamente consentendone l'estensione oltre il suddetto termine.

  Quanto all'ammissibilità del loro intervento, le deducenti, ricordato che la Corte ha posto significative eccezioni alla regola generale della limitazione del contraddittorio nel giudizio di costituzionalità alle sole parti del giudizio a quo, segnalano che un indice ermeneutico particolarmente significativo si ricava dal regolamento dei giudizi innanzi alla Corte costituzionale, nella formulazione scaturita dalla delibera del 10 giugno 2004: non può invero essere privo di rilievo il fatto che l'art. 4 disciplini ora le modalità di «eventuali interventi» di soggetti diversi dalle parti necessarie, così venendo ad ammetterne tout court la legittimità, almeno tutte le volte in cui l'interveniente sia titolare di una situazione giuridica qualificata e individuale lesa (o favorita) in via immediata e diretta dalla norma oggetto del sindacato di costituzionalità.

  Ribadiscono quindi che, stante la natura «reale e proprietaria del diritto di esclusiva» – sancita, oltre che dal già menzionato accordo TRIPs, dall'art. 17 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, firmata a Nizza il 7 dicembre 2000, con norma trasposta nel Titolo II della Costituzione per l'Europa –, la garanzia di cui all'art. 42 della Costituzione si applica in pieno alla esclusiva brevettuale, la quale, peraltro, come elemento e insieme risultato dell'attività economica organizzata in forma di impresa, rientra altresì nell'ambito della tutela accordata dall'art. 41 alla libertà di iniziativa economica privata.

  Quanto all'interesse per il contenimento della spesa, esso ben può essere soddisfatto attraverso strumenti diversi dalla mortificazione della tutela brevettale, e non è comunque tale da giustificare una compromissione della predetta libertà non essendo funzionale alla salvaguardia della salute pubblica.

  Ribadiscono che il bilanciamento tra gli interessi connessi alla posizione dei titolari dei certificati complementari di protezione – tutela della salute, della ricerca scientifica e della libertà di iniziativa economica privata – e l'interesse sotteso all'emanazione della norma impugnata – contenimento della spesa pubblica – non fa emergere quelle esigenze inderogabili che, sole, possono giustificare l'incisione del principio dell'affidamento nell'ambito dei rapporti di durata.

  Quanto poi alle eccezioni di inammissibilità sollevate dall'Avvocatura, Eli Lilly and Company, F. Hoffmann La Roche A.G. e Sanofi-Synthelabo s.a. ricordano l'autonomia del giudizio di costituzionalità rispetto al giudizio a quo, autonomia preclusiva di ogni rivalutazione, da parte della Corte, dei prerequisiti processuali antecedenti all'incardinamento del primo, col solo limite del difetto di giurisdizione emergente ictu oculi dalla stessa ordinanza di rimessione. 

  Sostengono quindi che nella fattispecie, lungi dal ricorrere un'ipotesi di tal fatta, la competenza della Commissione a decidere sull'impugnativa proposta da Schering deriva dagli artt. 35, primo comma, e 71, primo comma del r.d. n. 1127 del 1939, trattandosi di provvedimento adottato dall'Ufficio brevetti che si risolve in una reiezione parziale dell'originaria domanda di certificato complementare di protezione.

  Destituita di fondamento è altresì, a giudizio delle comparenti, l'asserita insufficienza di motivazione dell'ordinanza di rimessione in punto di non manifesta infondatezza del prospettato dubbio di costituzionalità, non vertendosi, nella specie, nell'ipotesi di un giudice a quo che si era limitato a riportare le argomentazioni svolte dalla parte, senza esplicitare la propria opinione in merito a esse, bensì di un rimettente che chiarisce di non poter escludere con certezza la fondatezza del dubbio e dunque, valutato positivamente il fumus boni iuris  della questione, la sua scrutinabilità ad opera della Corte costituzionale.

  8.– In buona parte sovrapponibili a quelle testé riportate sono le argomentazioni difensive svolte da Menarini International Operations Luxembourg s.a., Malesci Istituto Farmacobiologico s.p.a. e F.I.R.M.A. – Fabbrica Italiana Ritrovati Medicinali e Affini s.r.l., le quali, tuttavia, precisano di essere licenziatarie o sublicenziatarie di due brevetti europei e relativi certificati complementari di protezione, di essere intervenute nel giudizio a quo, sia pure successivamente alla pronuncia dell'ordinanza di rimessione, e di essere state riconosciute legittimate all'intervento, con provvedimento n. 2046 del 20 gennaio 2004 della Commissione, che ha disposto la trasmissione del relativo fascicolo alla Corte costituzionale. Peraltro, la Corte avrebbe anche di recente ribadito l'irrilevanza, ai fini dell'ammissibilità dell'intervento, del momento in cui è avvenuta la costituzione nel giudizio a quo, ed avrebbe in numerosi arresti ammesso a partecipare al giudizio di costituzionalità chi, ancorché non costituito nel procedimento a quo, fosse tuttavia titolare o di un interesse strettamente connesso al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, ovvero di  un interesse individualizzato, direttamente inciso dall'esito dell'incidente di costituzionalità.

  Quanto al merito, sottolineano che i tempi assorbiti dalle sperimentazioni pre-cliniche e cliniche nonché dalle procedure necessarie per ottenere l'autorizzazione all'immissione in commercio sono fisiologicamente assai lunghi e che crescono in misura esponenziale gli investimenti richiesti; ribadiscono che il prolungamento della protezione brevettuale disposto dalla legge n. 349 del 1991 costituisce un diritto irreversibilmente quesito, rispetto al quale, dunque, il successivo intervento legislativo assumerebbe carattere ablativo, essendo la protezione complementare attributiva di una specifica e ben definita posizione di diritto soggettivo reale assoluto, della quale la durata costituisce una componente essenziale; rilevano che la compressione di tale diritto è possibile solo nel rispetto delle garanzie costituzionali che tutelano il diritto di proprietà, come dimostra l'istituto dell'espropriazione dei diritti di brevetto per ragioni di pubblica utilità e le licenze obbligatorie (artt. 54 e segg. del r.d. n. 1127 del 1939).

  Quanto all'affidamento riposto dalle industrie farmaceutiche nella durata della protezione brevettuale (anche complementare) fissata per legge, sottolineano che proprio in forza di tale disciplina sono stati stipulati numerosi accordi di cooperazione tra aziende italiane e aziende straniere in relazione a farmaci a base di principi attivi innovativi; che l'obiettivo di limitare la spesa pubblica sanitaria, per la parte costituita dal costo del rimborso dei farmaci, non giustifica la realizzata compressione della libertà d'iniziativa economica privata e della tutela dell'affidamento, in presenza di una giurisprudenza costituzionale che ha ritenuto necessaria a questi fini ben diverse esigenze di carattere generale, come la tutela dell'ambiente; insistono sul carattere provvedimentale della disposizione impugnata e dunque sulla fondatezza anche dell'eccezione di violazione degli artt. 113 e 24 della Costituzione, sollevata nel solo dispositivo dell'ordinanza di rimessione.

  9.– Anche Taisho Pharmaceutical Co. Ltd, Knoll-Ravizza Farmaceutici s.p.a., GlaxoSmithKline s.p.a., Glaxo Group Limited, Beecham Group p.l.c. e The Wellcome Foundation Limited hanno depositato memorie illustrative, nelle quali contestano l'eccezione di inammissibilità per difetto di giurisdizione del giudice a quo, evidenziando che una ricostruzione dei provvedimenti di ricalcolo diversa da quella di reiezioni successive e parziali delle domande di rilascio a suo tempo presentate, comporterebbe l'anomala sottrazione al sindacato giurisdizionale di atti amministrativi che, proprio in quanto adottati autoritativamente, ex post e secondo sequenze procedimentali atipiche, sono ancor più gravemente lesivi di quelli tipici di rigetto totale o parziale delle domande di brevetto.

  Nel merito rilevano le intervenienti che la norma impugnata incide non già su una mera aspettativa, ma su un diritto soggettivo assoluto che, in quanto temporalmente limitato, ha nella durata un elemento essenziale: il che comporta il carattere retroattivo della disposizione volta a rideterminare, con effetti ablativi, la durata stessa.  

  La collisione tra la norma sospettata di illegittimità e l'interesse pubblico alla salute, con il connesso interesse alla tutela della ricerca scientifica (secondo un ordine di idee fatto proprio dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 20 del 1978), determina l'implausibilità di qualsivoglia richiamo a pretese esigenze inderogabili sottese alla nuova disciplina e conseguentemente l'irragionevolezza della norma impugnata, in un contesto economico in cui gli alti costi della ricerca scientifica rendono impensabile un'attività di sperimentazione svolta a prescindere da aspettative di sfruttamento dell'invenzione in regime di esclusiva, e in un ordinamento giuridico che ha visto il legislatore comunitario aderire, in vista della tutela delle legittime aspettative di stabilità delle posizioni soggettive preesistenti o comunque del bilanciamento dei vari interessi in conflitto, ad una opzione di riallineamento graduale e indolore delle diverse regolamentazioni: senza dire che il costo di rimborso dei farmaci, destinati a prematura caduta nel regime dei generici, ha sulla spesa sanitaria complessiva un'incidenza minima.

  10.– Nella sua memoria Sigma–Tau, dopo aver chiarito che in ogni caso la durata complessiva della protezione accordata ai prodotti farmaceutici non può oltrepassare i venti anni dal rilascio della prima autorizzazione all'immissione in commercio, venendo così ad essere pari a quella accordata ad altre categorie merceologiche, rileva che il principio dell'affidamento, che il giudice a quo  ritiene violato dalla norma impugnata, è stato dalla Corte costituzionale ancorato a due condizioni di fatto: a) l'esistenza di una normativa sfavorevole di carattere retroattivo; b) l'incidenza di questa su rapporti giuridici di durata.

  Tali condizioni – sub specie di disciplina che, regolando rapporti di durata, collega ai diritti così acquistati effetti giuridici differenti rispetto a quelli previsti dalla precedente normativa (c.d. retroattività in senso improprio o respective laws) – ricorrono nella specie perché sottoposta a scrutinio è una norma che, rivisitando la disciplina di un rapporto di durata, comportante il godimento di un diritto di esclusiva, ne opera una reformatio in peius attraverso la drastica riduzione temporale del periodo di godimento del diritto stesso.

  Il giudizio volto alla verifica del rispetto del principio dell'affidamento, interpretato dalla Corte come una particolare specie del giudizio di ragionevolezza, assume a parametri di riferimento, da un lato, la ricorrenza di una «inderogabile esigenza» costituzionalmente tutelata, dall'altro, il principio di proporzionalità, quale criterio di valutazione, quest'ultimo, del «grado di offensività» della disciplina retroattiva.

  Appare allora evidente che l'adeguamento della durata della copertura brevettuale assicurata dalla legge n. 349 del 1991 a quella prevista dalla normativa comunitaria – quale enunciata ratio della disposizione impugnata – è così poco una esigenza inderogabile da non essere richiesta affatto dal regolamento europeo, che espressamente motivò la temporanea deroga al regime di concorrenza piena tra le imprese farmaceutiche europee (anche)  col divisato obbiettivo di consentire loro un recupero del ritardo accumulato rispetto alle concorrenti americane e giapponesi che da più anni godevano di una tutela brevettuale completa. In ogni caso, la omogeneizzazione, lungi dal rivestire un carattere «inderogabile» o «prevalente» tale da rendere imperativa la compressione di già acquisiti diritti di privativa, ridonda, nella misura in cui stravolge i calcoli economici delle aziende produttrici di farmaci specialistici, in una violazione degli artt. 41 e 42 della Costituzione.

  A ciò aggiungasi che lo stretto legame esistente tra conferimento dei diritti patrimoniali derivanti dalla brevettazione e incentivazione della ricerca porta la normativa impugnata in rotta di collisione anche con i principî di cui agli artt. 9 e 32 della Costituzione.

  In definitiva, la mancanza di un'esigenza inderogabile quale criterio legittimante la compressione di diritti acquisiti, rende la scelta attuata dalla norma censurata arbitraria e irragionevole e, in un contesto in cui il legislatore comunitario ha mostrato ben altra sensibilità per la salvaguardia del principio dell'affidamento e della certezza giuridica, incoerente rispetto ai criteri che lo hanno ispirato.

  Peraltro, nel perseguire il fine di assicurare una piena concorrenza fra tutte le imprese farmaceutiche che competono sul mercato europeo – come strumento imprescindibile per ottenere un riallineamento verso il basso del prezzo dei medicinali – la legge impugnata crea una clamorosa discriminazione proprio a danno delle industrie italiane, essendovi paesi, come la Francia, nei quali gli operatori del settore continuano a beneficiare di una tutela brevettuale ben maggiore di quella fissata «a regime»  a livello comunitario.

  Tale rilievo rende manifestamente incongruo anche l'obbiettivo del «contenimento della spesa pubblica farmaceutica», quale ratio della disposizione censurata individuata dal rimettente, senza contare che l'equilibrio del bilancio, che può giocare un ruolo decisivo in materia pensionistica – ove si tratta di pareggiare le entrate costituite dai contributi versati con le uscite rappresentate dalle prestazioni erogate (in un'ottica in cui il sacrificio nel godimento del diritto alla pensione da parte delle generazioni presenti è volto ad assicurare il godimento di un analogo diritto alle generazioni future) – si presta assai meno a scriminare una scelta che, come affermato dalla stessa Corte nella storica sentenza n. 20 del 1978, incide direttamente sull'incentivazione alla ricerca e, per questa via, anche sulla tutela della salute pubblica.

  Considerato poi che il fine di risparmio ben può essere perseguito con altri mezzi, l'irragionevolezza dell'art. 3, comma 8, del d.l. n. 63 del 2002 è, a giudizio dell'interveniente, assolutamente manifesta, e ciò tanto più che la norma censurata, lungi dall'essere politicamente neutra, mira in realtà ad incidere sull'equilibrio delle diverse imprese farmaceutiche, penalizzando quelle produttrici di farmaci c.d. specializzati a tutto vantaggio dell'industria dei generici: sicché, intervenendo con effetti distorsivi sulla concorrenza, essa collide, sotto questo ulteriore profilo, con gli artt. 41 e 42 della Costituzione.

  La comparente confuta poi le eccezioni di inammissibilità fatte valere dall'Avvocatura, ricordando, quanto a quella basata sull'asserito difetto di giurisdizione del giudice a quo, che questo, per fondare una pronuncia di irrilevanza della questione, deve essere assolutamente macroscopico e, quanto a quella relativa al perplesso approccio del rimettente col requisito della non manifesta infondatezza, che è sufficiente, ai fini della rimessione della questione, l'esistenza di un dubbio sulla legittimità costituzionale della norma che si tratta di applicare.

  Infine, a sostegno dell'ammissibilità del proprio intervento, Sigma-Tau espone di essere licenziataria esclusiva, per conto di Schering Corporation, del prodotto Nitro-dur e di essere pertanto legittimata a integrare il contraddittorio in quanto parte cointeressata, ricordando che l'eventuale rigetto della questione inciderebbe direttamente sui suoi diritti di esclusiva, senza che essa esponente abbia avuto la chance di difenderne l'integrità, con evidente compromissione del diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost.

  11.– In data 8 febbraio 2005 GlaxoSmithKline s.p.a., Glaxo Group Limited, Beecham Group plc e The Welcome Foundation Limited, da una parte, Knoll-Ravizza Farmaceutici s.p.a., dall'altra, nonché Taisho Pharmaceutical Co.Ltd hanno depositato ulteriori memorie di identico contenuto.

  In esse hanno ribadito di essere portatrici – in quanto titolari di taluni dei circa quattrocento certificati nazionali rilasciati o richiesti durante la finestra temporale fatta salva dal regolamento n. 1768 del 1992 – di una posizione giuridica incisa «in via individuale ed immediata» dall'esito del giudizio di costituzionalità, segnatamente ricordando, in ordine alle problematiche connesse all'intervento della parte non costituita nel giudizio a quo, come la giurisprudenza della Corte si sia ormai consolidata nel senso di ritenere inammissibile quello qualificato da un interesse meramente riflesso ed eventuale, rispetto al thema decidendum, e ammissibile invece l'intervento assistito da una situazione soggettiva direttamente lesa – o favorita – dalla permanenza in vigore, o dall'espunzione, della norma oggetto del sindacato.

  Le deducenti tornano poi a confutare l'eccezione di inammissibilità della sollevata questione per difetto di giurisdizione del giudice a quo, rilevando che, contrariamente a quanto sostenuto ex adverso, la competenza della Commissione ricorsi a conoscere del giudizio innanzi a essa proposto si radica sul combinato disposto degli artt. 35, primo comma e 71, primo comma, del r.d. n. 1127 del 1939 e che, in ogni caso, alla stregua della consolidata giurisprudenza del giudice delle leggi, la carenza di giurisdizione può venire in considerazione nel giudizio incidentale solo allorché sia assolutamente macroscopica, mentre la positiva valutazione del rimettente in ordine alla corretta introduzione innanzi a sé del processo,  «è elemento sufficiente perché il giudizio di costituzionalità possa ritenersi ritualmente introdotto».

  Richiamate quindi le argomentazioni difensive già svolte nei precedenti scritti,  insistono le comparenti per l'accoglimento della prospettata questione.

  12.– In data 1° giugno 2005 GlaxoSmithKline s.p.a., Glaxo Group Limited, Beecham Group plc e The Welcome Foundation Limited hanno depositato un'ulteriore memoria, nella quale, ricapitolati i termini essenziali del giudizio di costituzionalità nel quale sono intervenute, espongono che la norma impugnata è stata espressamente abrogata dall'art. 246, comma 1, del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale, a norma  dell'art. 15 della legge 12 dicembre 2002, n. 273), ma altrettanto esplicitamente ripristinata dall'art. 61, commi 4 e 5, del medesimo d.lgs., nel quale – sotto la rubrica «Certificato complementare» – figura una disposizione identica a quella contenuta nell'abrogato art. 3, comma 8, del decreto-legge n. 63 del 2002; pertanto, poiché la norma oggetto del giudizio di costituzionalità è stata trasfusa, senza modifica alcuna, in una disposizione successiva di pari rango, in base al consolidato orientamento della Corte costituzionale il sindacato di costituzionalità deve traslarsi sulla norma sopravvenuta, senza che si faccia luogo alla restituzione degli atti al rimettente.

  13.– Con ordinanza della quale si è data lettura nell'udienza pubblica, la Corte ha dichiarato inammissibili gli interventi di Bristol Myers Squibb s.r.l., Eli Lilly and Company, F. Hoffman La Roche A.G., Roche Diagnostic (già Boehringer Mannhein Gmbtt), GlaxoSmithKline s.p.a., Glaxo Group Limited, Beecham Group plc, The Wellcome Foundation Limited, Merck Sharp & Dohme Italia s.p.a., Pfizer Italia s.r.l., Pharmacia Italia s.p.a., Sanofi Synthelabo s.a., Taisho Pharmaceutical Co. Ltd., Knoll-Ravizza Farmaceutici s.p.a. (già Ravizza s.p.a. per l'Industria Chimica e Farmaceutica) ed ammissibili gli interventi di Menarini International Operations Luxembourg s.a., Sigma Tau s.p.a., Malesi Istituto Farmabiologico s.p.a. e F.I.R.M.A. s.r.l.

Considerato in diritto

  1.– La Commissione dei ricorsi contro i provvedimenti dell'Ufficio italiano brevetti e marchi solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 8, del decreto-legge 15 aprile 2002, n. 63 (Disposizioni finanziarie e fiscali urgenti in materia di riscossione, razionalizzazione del sistema di formazione del costo dei prodotti farmaceutici, adempimenti ed adeguamenti comunitari, cartolarizzazioni, valorizzazione del patrimonio e finanziamento delle infrastrutture), convertito, con modificazioni, nella legge 15 giugno 2002, n. 112, per contrasto «con il principio costituzionale dell'affidamento e con i principî degli articoli 41 e 42 della Costituzione in relazione all'art. 3 della stessa Costituzione, ed infine con i principî degli articoli 24 e 113 della Costituzione».

  2.– Preliminarmente deve rilevarsi che l'intervenuta abrogazione della disposizione censurata – ad opera dell'art. 246, comma 1, lettera mm), del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale) – non costituisce impedimento all'esame della questione di legittimità costituzionale sollevata dal rimettente in quanto tale disposizione è stata integralmente trasfusa – ad opera del medesimo decreto legislativo n. 30 del 2005 – nell'art. 61, commi 4 e 5.

  Pertanto, conformemente alla giurisprudenza di questa Corte (da ultimo, anche in ipotesi di "sostanziale” riproduzione, sentenze n. 135 del 2003 e n. 25 del 2002), il presente giudizio incidentale di legittimità costituzionale deve essere deciso con riferimento alla disposizione di cui all'art. 61, commi 4 e 5, del d.lgs. n. 30 del 2005.

  3.– Ancora in via preliminare, va rilevato che deve prescindersi dall'esame della questione sollevata, nel dispositivo, in riferimento agli artt. 24 e 113 della Costituzione, avendo il rimettente escluso nella parte motiva dell'ordinanza di rimessione la sussistenza del requisito della non manifesta infondatezza della questione stessa.

  4.– Sempre in via preliminare, va ribadita l'inammissibilità, per le ragioni esposte nell'ordinanza della quale si è data lettura in udienza, degli interventi di Bristol Myers Squibb s.r.l., Eli Lilly and Company, F. Hoffman La Roche A.G., Roche Diagnostic (già Boehringer Mannhein Gmbtt), GlaxoSmithKline s.p.a., Glaxo Group Limited, Beecham Group plc, The Wellcome Foundation Limited, Merck Sharp & Dohme Italia s.p.a.,  Pfizer Italia s.r.l., Pharmacia Italia s.p.a., Sanofi Synthelabo s.a., Taisho Pharmaceutical Co. Ltd., Knoll-Ravizza Farmaceutici s.p.a. (già Ravizza s.p.a. per l'Industria Chimica e Farmaceutica).

  Del pari va ribadita l'ammissibilità degli interventi della Menarini International Operations Luxembourg s.a., Sigma Tau s.p.a., Malesi Istituto Farmabiologico s.p.a. e F.I.R.M.A. s.r.l., in quanto aventi causa – quali licenziatarie le prime due e sublicenziatarie la terza e la quarta – della ricorrente Schering Corporation, e pertanto destinatarie alla pari di quest'ultima degli effetti che la pronuncia di questa Corte (anche, eventualmente, interpretativa di rigetto) è destinata a produrre sul rapporto oggetto del giudizio a quo: rilievo che deve far ritenere non decisiva, ai fini in esame, la circostanza che l'intervento adesivo dipendente avrebbe potuto essere spiegato in quel giudizio prima che venisse sollevata la questione di legittimità costituzionale dal momento che – come rilevato – un effetto ulteriore e diverso, rispetto a quelli prodotti erga omnes, potrebbe per gli aventi causa discendere proprio dall'esito del presente giudizio.

  5.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, a mezzo dell'Avvocatura generale dello Stato, eccepisce l'inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sotto vari profili: in primo luogo, adducendo la manifesta carenza di giurisdizione del giudice rimettente.

  L'eccezione è fondata.

  5.1.– Le parti private, ricorrente ed intervenute – sottolineato che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale la carenza della giurisdizione del giudice rimettente è rilevabile esclusivamente quando appaia manifesta (sentenze n. 281 del 2004 e n. 98 del 1997; ordinanza n. 348 del 1995) – osservano che, nel caso in esame, la sussistenza di tale presupposto processuale in capo al giudice rimettente si fonderebbe sul disposto degli artt. 35, primo comma, e 70, primo comma, del regio decreto n. 1127 del 29 giugno 1939 (Testo delle disposizioni legislative in materia di brevetti per invenzioni industriali), i quali attribuirebbero alla Commissione ricorsi la competenza a decidere sulle impugnazioni avverso qualsiasi provvedimento adottato dall'Ufficio brevetti senza che rilevi, pertanto, la distinzione tra interessi legittimi e diritti soggettivi alla quale accenna l'ordinanza di rimessione.

  5.2.– La Commissione rimettente – la cui natura di giudice speciale, come tale legittimato a sollevare incidenti di costituzionalità, questa Corte ha riconosciuto fin dalla sentenza n. 42 del 1958 – si occupa diffusamente, nell'ordinanza di rimessione, della natura del provvedimento dell'Ufficio brevetti avverso il quale la Schering Corporation ha presentato ricorso e della situazione giuridica soggettiva della quale, nei confronti di tale provvedimento, è titolare la società ricorrente.

  Quanto al provvedimento, la Commissione, condividendo la tesi dell'Ufficio secondo la quale «la norma non richiede atti di parte» dello stesso, osserva che la disposizione censurata «non (gli) attribuisce alcun compito» e che «il ricalcolo delle nuove date di scadenza dei CCP nazionali è stato compiuto dall'Ufficio unicamente per aggiornare le informazioni che l'Ufficio stesso è tenuto a fornire a tutti coloro che ne abbiano interesse sia mediante la pubblicazione del Bollettino sia mediante l'aggiornamento della banca dati»; quindi, «unicamente in funzione dei compiti che esso è tenuto ad assolvere nella gestione del sistema di pubblicità».

  Rileva, poi, la Commissione rimettente che il provvedimento – emesso dall'Ufficio «(rectius, dal sistema informativo Ufficio G3)» in ragione del «ruolo di grande importanza» svolto dalla pubblicità, in quanto «beneficiano della conoscenza dell'esistenza dei diritti di esclusiva» sia i titolari di tali diritti sia i terzi – «visto sotto questo profilo, incide negativamente su un interesse legittimo differenziato specificamente riconoscibile in capo ai titolari dei CCP dei quali è stata ricalcolata la scadenza, perché ciascuno di costoro, individualmente, subisce l'effetto negativo della pubblicizzazione nei confronti dei terzi della nuova scadenza»; dal che la conclusione che «il provvedimento […] è stato legittimamente impugnato da Schering sul presupposto, positivamente valutabile sotto il profilo della legittimazione, che si tratti di un provvedimento idoneo a ledere un proprio interesse legittimo compromesso dal contenuto del provvedimento stesso».

  5.3.– Osserva la Corte che le argomentazioni appena riferite, se sono idonee a riconoscere alla Schering la legittimazione a (rectius: l'interesse ad agire per) tutelare una situazione soggettiva differenziata quale titolare del certificato la cui scadenza è stata ricalcolata, sono inespressive quanto all'individuazione del giudice al quale chiedere quella tutela; laddove non solo la natura di giudice speciale della Commissione (e pertanto, munito di giurisdizione esclusivamente nei rigorosi limiti assegnatigli dalla legge), ma altresì la particolare delimitazione delle funzioni giurisdizionali della Commissione, quale operata dalla legge, avrebbero imposto un'adeguata motivazione sul punto.

  L'art. 35, comma primo, del regio decreto n. 1127 del 1939, dispone infatti – relativamente ai brevetti per invenzioni industriali – che può essere impugnato davanti alla Commissione prevista dall'art. 71 «il provvedimento col quale l'Ufficio italiano brevetti e marchi respinge la domanda, o comunque non l'accoglie integralmente»; in modo sostanzialmente analogo dispone l'art. 33 del regio decreto 21 giugno 1942, n. 929, quanto ai marchi (nonché, attraverso il generale richiamo al r.d. n. 1127 del 1939, il regio decreto 25 agosto 1940, n. 1411, quanto ai modelli di utilità ed ai modelli e disegni ornamentali e l'art. 13 della legge 21 febbraio 1989, n. 70, quanto alle topografie dei prodotti a semiconduttori).

  La tesi, prospettata dalle parti private, secondo la quale tutti i provvedimenti dell'Ufficio brevetti sarebbero ricorribili davanti alla Commissione, deve essere respinta, in quanto il ricorso alla Commissione in sede giurisdizionale è possibile, e la Commissione decide su di esso quale giudice speciale, solo avverso i provvedimenti che respingono in tutto o in parte, nell'esercizio dei poteri discrezionali disciplinati dalla legge, la domanda di brevetto o di registrazione di marchio ovvero di modelli e disegni; in ogni altro caso, ove il ricorso sia ammissibile, la Commissione non opera quale giudice perché al di fuori dei limiti che alla sua giurisdizione (speciale) sono segnati dalla legge.

  L'individuazione del provvedimento di rigetto, totale o parziale, dell'Ufficio brevetti avverso il quale è proponibile ricorso giurisdizionale alla Commissione, pertanto, vale anche a segnare i confini della relativa potestà della Commissione stessa, essendo a questa affidato – quale giudice speciale – il compito di sindacare, sul piano della legittimità, esclusivamente l'esercizio dei poteri che la legge conferisce all'Ufficio brevetti in ordine alle domande di brevetto, di registrazione di marchio ovvero di modelli e disegni.

  In altri termini, i limiti della giurisdizione spettante alla Commissione, quanto ad oggetto, coincidono – proprio perché si tratta di un sindacato di legittimità – con i poteri che la legge conferisce all'organo amministrativo (Ufficio italiano brevetti e marchi) in sede di esame delle domande di privativa, con l'ulteriore limite che il sindacato giurisdizionale è ammesso dalla legge solo quando l'Ufficio non abbia, in tutto o in parte, accolto la domanda; come del resto ha riconosciuto la stessa Commissione dichiarando inammissibile il ricorso, proposto da un terzo, avverso il provvedimento di rilascio di un brevetto.

  5.3.1.– Ebbene, costituisce jus receptum – secondo la giurisprudenza della medesima Commissione per i ricorsi e della Corte di cassazione – che l'Ufficio brevetti, quanto alle invenzioni, ha esclusivamente il potere (art. 31) di «accertare se l'invenzione è conforme alle disposizioni dell'art. 12 e non contrasti con quelle dell'art. 13» del r.d. n. 1127 del 1939, e cioè di verificare che quanto descritto nella domanda implichi (in base alla sola descrizione) un'attività inventiva e sia suscettibile di applicazione industriale (art. 12, comma primo), e non urti contro alcuno dei divieti sanciti dalla legge.

  Come l'accoglimento della domanda di brevetto deve avvenire – secondo quanto afferma la giurisprudenza – senza «ricerche esterne al contenuto della domanda (perché) l'Ufficio non ha da fare confronti tra quello ed altri brevetti già concessi, o altre domande in corso», così – specularmente – il rigetto della domanda è legittimo solo quando i prodotti «all'analisi diretta risultano immediatamente non invenzioni o invenzioni non brevettabili perché rientrano nelle categorie di cui agli artt. 12, commi secondo e terzo, e 13, comma secondo o perché il trovato appaia immediatamente privo di novità o di livello inventivo o d'idoneità all'applicazione industriale, in base ad un confronto tra contenuto della domanda e nozioni di comune esperienza».

  Del tutto coerentemente, quindi, il sindacato giurisdizionale della Commissione è ammesso solo ove l'Ufficio abbia optato per la seconda alternativa in quanto, essendo la valutazione demandata all'Ufficio puramente estrinseca ("senza esame”, secondo una locuzione diffusa in dottrina), «la concessione del brevetto non pregiudica l'esercizio delle azioni giudiziarie circa la validità di esso e i diritti derivanti dall'invenzione» (art. 37 del r.d. n. 1127 del 1939). Così come è evidente che la c.d. carenza di legittimazione del terzo ad impugnare il provvedimento concessivo del brevetto si risolve, in realtà, in una carenza di giurisdizione della Commissione che sarebbe, altrimenti, investita di una questione attinente alla validità del brevetto: questione di spettanza, viceversa, del giudice ordinario.

  5.3.2.– Analoghi rilievi, ed analoghe conclusioni si attagliano al marchio: l'art. 29 del r.d. n. 929 del 1942 descrive puntualmente il tipo di valutazione (meramente estrinseca) che l'Ufficio è chiamato a compiere e, quindi, i limiti del sindacato devoluto alla Commissione dall'art. 33 quale giudice speciale di legittimità.

  In tale contesto, è evidente che l'introduzione, ad opera del decreto legislativo 8 ottobre 1999, n. 447, dell'opposizione di terzo alla registrazione del marchio nell'ambito del procedimento amministrativo ha determinato – con l'ampliamento dei poteri dell'Ufficio in quanto chiamato a valutare, sempre e soltanto ai fini dell'accoglimento o del rigetto della domanda di registrazione del marchio, la fondatezza dell'opposizione proposta dal terzo – un corrispondente ampliamento dei confini della potestà giurisdizionale della Commissione; fermo, anche stavolta e consequenzialmente, che «la registrazione non pregiudica l'esercizio delle azioni giudiziarie circa la validità e l'appartenenza del marchio» (art. 34 del r.d. n. 929 del 1942).

  5.3.3.– E' appena il caso di rilevare che anche il d.lgs. n. 30 del 2005 – delimitando (art. 170) l'oggetto dell'esame in sede amministrativa delle domande relative ai marchi, alle invenzioni, ai disegni e modelli, alle varietà vegetali e alle topografie – altrettanto puntualmente delimita le funzioni giurisdizionali della Commissione (art. 135), ribadendo – ancora una volta – che «la registrazione e la brevettazione non pregiudicano l'esercizio delle azioni circa la validità e l'appartenenza dei diritti di proprietà industriale» (art. 117).

  5.4.– Le considerazioni fin qui svolte rendono evidente come, non potendo quello di ricalcolo della durata della protezione del certificato complementare essere qualificato come un provvedimento che, ai sensi dell'art. 35 del r.d. n. 1127 del 1939, «respinge la domanda, o comunque non l'accoglie integralmente» e contro il quale soltanto è ammesso ricorso giurisdizionale alla Commissione di cui all'art. 71, deve negarsi la sussistenza della giurisdizione della Commissione rimettente.

  Peraltro, la stessa ordinanza di rimessione non può esimersi dal rilevare che l'Ufficio brevetti ha provveduto al ricalcolo, ex officio, «unicamente per aggiornare le informazioni che l'Ufficio stesso è tenuto a fornire a tutti coloro che ne abbiano interesse sia mediante la pubblicazione del Bollettino sia mediante l'aggiornamento della banca dati», e pertanto in assolvimento di un compito – di "curatore” del Bollettino di cui all'art. 97 del r.d. n. 1127 del 1939 – che nulla ha a che vedere con quello disciplinato dall'art. 31 ed in relazione al quale, soltanto, è previsto il sindacato giurisdizionale di legittimità della Commissione.

  Tali rilievi escludono ogni plausibilità della tesi – prospettata dalle società ricorrente ed intervenienti – secondo la quale il provvedimento dell'Ufficio brevetti avrebbe parzialmente rigettato la domanda all'epoca avanzata di concessione del certificato complementare: la confutazione di tale tesi è implicita in quanto la medesima Commissione osserva parlando di una norma «che è destinata ad incidere direttamente nei rapporti fra privati, come del resto accade per tutte le norme che fissano la durata dei titoli di proprietà industriale», e cioè nel rilievo che, in ordine all'estensione temporale della protezione, l'Ufficio brevetti è privo di qualsiasi potere discrezionale a differenza di ciò che gli è riconosciuto quando deve accogliere o respingere la domanda di brevetto. E non a caso l'ordinanza di rimessione non manca di rilevare che qualsiasi determinazione adottata dall'Ufficio in ordine alla durata della privativa è meramente "ricognitiva” di quanto dispone la legge ed è demandabile, con un'azione di mero accertamento, all'autorità giudiziaria ordinaria posto che attiene alla "validità e appartenenza” del diritto di privativa: ciò che esclude, anche sotto questo profilo, la possibilità che con quella del giudice ordinario concorra la potestà giurisdizionale della Commissione.

  6.– Conclusivamente deve negarsi alla Commissione dei ricorsi contro i provvedimenti dell'Ufficio italiano brevetti e marchi la qualità di giudice nella controversia a qua per carenza di giurisdizione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara inammissibili gli interventi spiegati da Bristol Myers Squibb s.r.l., Eli Lilly and Company, F. Hoffman La Roche A.G., Roche Diagnostic (già Boehringer Mannhein Gmbtt), GlaxoSmithKline s.p.a., Glaxo Group Limited, Beecham Group plc, The Wellcome Foundation Limited, Merck Sharp & Dohme Italia s.p.a.,  Pfizer Italia s.r.l., Pharmacia Italia s.p.a., Sanofi Synthelabo s.a., Taisho Pharmaceutical Co. Ltd., Knoll-Ravizza Farmaceutici s.p.a. (già Ravizza s.p.a. per l'Industria Chimica e Farmaceutica);

  dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 61, commi 4 e 5, del decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della proprietà industriale), sollevata, in riferimento agli articoli 3, 41 e 42 della Costituzione, dalla Commissione dei ricorsi contro i provvedimenti dell'Ufficio italiano brevetti e marchi.

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 luglio 2005.

Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente

Romano VACCARELLA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 29 luglio 2005.

 

Allegato

Ordinanza letta all'udienza del 21 giugno 2005

ORDINANZA

  Ritenuto che nel giudizio di legittimità costituzionale si sono costituiti – oltre il Presidente del Consiglio dei ministri e la Schering Corporation, ricorrente nel procedimento davanti alla rimettente Commissione dei ricorsi contro i provvedimenti dell'Ufficio Italiano Brevetti e Marchi – anche la Menarini International Operations Luxemburg s.a., la Malesi Istituto Farmabiologico s.p.a., la F.I.R.M.A. – Fabbrica italiana Ritrovati Medicinali e Affini – s.r.l., la Bristol Myers Squibb s.r.l., la Eli Lilly and Company, la F. Hoffman La Roche A.G., la Roche Diagnostic (già Boehringer Mannhein Gmbtt), la GlaxoSmithKline s.p.a., la Glaxo Group Limited, la Beecham Group plc, The Wellcome Foundation Limited, la Merck Sharp & Dohme Italia s.p.a., la Pfizer Italia s.r.l., la Pharmacia Italia s.p.a., la Sigma Tau s.p.a., la Sanofi Synthelabo s.a., la Taisho Pharmaceutical Co. Ltd., la Knoll-Ravizza Farmaceutici s.p.a. (già Ravizza s.p.a. per l'Industria Chimica e Farmaceutica).

  Considerato che, nonostante la Menarini International Operations Luxemburg s.a., la Malesi Istituto Farmabiologico s.p.a. e la F.I.R.M.A. s.r.l. siano attualmente parti nel giudizio a quo, in quanto in esso intervenute, la loro posizione nel presente giudizio di legittimità costituzionale non si differenzia da quella degli altri intervenienti, dal momento che il loro intervento nel giudizio a quo è avvenuto successivamente alla emanazione della ordinanza di rimessione della questione di legittimità costituzionale e nonostante la sospensione, ex art. 23 legge n. 87 del 1953, del giudizio di merito (ordinanza n. 251 del 2002; sentenza n. 313 del 1996);

  che la questione dell'ammissibilità dell'intervento nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale non risente in alcun modo delle modifiche apportate, nel 2004, alle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte Costituzionale, dal momento che l'art. 4, comma 3, si limita a disciplinare le modalità attraverso le quali si può spiegare intervento davanti alla Corte, ferma "restando la competenza della Corte a decidere sull'ammissibilità”;

  che, quanto appunto all'ammissibilità dell'intervento, la giurisprudenza di questa Corte è nel senso che al principio generale – secondo il quale possono partecipare al giudizio di legittimità costituzionale (oltre il Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, il Presidente della Giunta) solo le parti del giudizio a quo – può derogarsi "soltanto a favore dei soggetti titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio” (ordinanza n. 251 del 2002);

  che tale principio implica che l'incidenza sulla situazione sostanziale vantata dall'interveniente derivi non già, come per tutte le altre situazioni sostanziali governate dalla legge oggetto del giudizio, dalla pronuncia della Corte sulla legittimità costituzionale della legge stessa, bensì dall'immediato effetto che la pronuncia della Corte produce sul rapporto sostanziale oggetto del giudizio a quo;

  che la circostanza per la quale, attesa la breve vigenza della legge n. 349 del 1991 a seguito del sopravvenire del regolamento comunitario n. 1768/92/CEE, i soggetti titolari di certificato complementare concesso in base alla cit. legge n. 349 del 1991 costituiscono un numerus clausus  non è idonea a legittimare costoro all'intervento in quanto la delimitazione della cerchia dei destinatari della legge discende da vicende di mero fatto, quali la limitata vigenza e la conseguente, limitata applicazione della legge modificata;

  che, conseguentemente, devono dichiararsi inammissibili tutti gli interventi indicati in premessa, ad eccezione di quello della Menarini International, della Sigma-Tau s.p.a., della Malesi s.p.a. e della F.I.R.M.A. s.r.l.;

  che, infatti, tali società hanno spiegato intervento nella qualità, le prime due, di licenziatarie della ricorrente Schering Corporation, e la terza e la quarta di sublicenziatarie della prima, sicché la pronuncia di questa Corte è destinata a produrre nei loro confronti, in quanto titolari di situazioni soggettive dipendenti da quella della Schering Corporation, i medesimi effetti che essa produrrà, in ordine al rapporto dedotto nel giudizio a quo, nei confronti della loro dante causa;

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara inammissibili gli interventi di Bristol Myers Squibb s.r.l., Eli Lilly and Company, F. Hoffman La Roche A.G., Roche Diagnostic (già Boehringer Mannhein Gmbtt), GlaxoSmithKline s.p.a., Glaxo Group Limited, Beecham Group plc, The Wellcome Foundation Limited, Merck Sharp & Dohme Italia s.p.a.,  Pfizer Italia s.r.l., Pharmacia Italia s.p.a., Sanofi Synthelabo s.a., Taisho Pharmaceutical Co. Ltd., Knoll-Ravizza Farmaceutici s.p.a. (già Ravizza s.p.a. per l'Industria Chimica e Farmaceutica);

  dichiara ammissibili gli interventi della Menarini International Operations Luxembourg s.a., della Sigma Tau s.p.a., della Malesi Istituto Farmabiologico s.p.a. e della F.I.R.M.A. s.r.l.

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 giugno 2005.

F.to: Piero Alberto CAPOTOSTI, Presidente