Sentenza n. 63 del 2005

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SENTENZA N. 63

ANNO 2005

 

Commento alla decisione di

 

 

Monica Sciarra

 

 

I limiti alla testimonianza degli infermi di mente nel processo penale: la Corte Costituzionale ristabilisce la prevalenza dei diritti inviolabili della persona umana

 

(per gentile concessione del sito dell’AIC – Associazione Italiana dei Costituzionalisti)

 

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Valerio           ONIDA                                                          Presidente

- Carlo              MEZZANOTTE                                              Giudice

- Fernanda       CONTRI                                                                ”

- Guido            NEPPI MODONA                                                ”

- Piero Alberto CAPOTOSTI                                                         ”

- Annibale        MARINI                                                                ”

- Franco           BILE                                                                      ”

- Giovanni Maria FLICK                                                               ”

- Francesco      AMIRANTE                                                         ”

- Ugo               DE SIERVO                                                         ”

- Romano         VACCARELLA                                                   ”

- Paolo             MADDALENA                                                    ”

- Alfonso         QUARANTA                                                        ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 498, commi 4-bis e 4-ter, e 398, comma 5-bis, del codice di procedura penale, promossi con ordinanze del 17 giugno 2003 del Tribunale di Biella e del 10 dicembre 2003 del GIP del Tribunale di Ariano Irpino, iscritte, rispettivamente, al n. 677 del registro ordinanze 2003 e al n. 193 del registro ordinanze 2004 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2003 e n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2004.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 7 luglio 2004 il Giudice relatore Valerio Onida.

Ritenuto in fatto

 

1.– Con ordinanza emessa il 17 giugno 2003, pervenuta a questa Corte il successivo 20 agosto (r.o. n. 677 del 2003), il Tribunale di Biella, nel corso di un dibattimento penale per violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, di cui sono accusati i genitori della vittima, minorenne all’epoca dei fatti ma ora maggiorenne, inferma di mente, richiesto dal pubblico ministero di procedere all’esame testimoniale della persona offesa con le modalità “protette” previste dall’art. 398, comma 5-bis, del codice di procedura penale, richiamato dall’art. 498, comma 4-bis (concernenti luogo, tempo e modalità particolari dell’esame del teste minore degli anni sedici, quando le esigenze di questi lo rendano necessario od opportuno), nonché dall’art. 498, comma 4-ter, del medesimo codice (utilizzo del vetro specchio e di impianto citofonico per l’esame del minore vittima di reati sessuali), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 2 della Costituzione, del predetto art. 498, commi 4-bis e 4-ter nella parte in cui, nel caso di testimone maggiorenne infermo di mente persona offesa dal reato di violenza sessuale, non consentono che l’esame del testimone, qualora una parte lo richieda ovvero il presidente lo ritenga in concreto necessario per salvaguardare la personalità del teste, si svolga secondo le modalità di cui all’art. 398, comma 5-bis, e, su richiesta sua o del suo difensore, mediante l’uso di un vetro specchio unitamente ad un impianto citofonico.

In punto di rilevanza, il remittente esclude la possibilità di un’applicazione analogica dei commi 4-bis e 4-ter dell’art. 498 cod. proc. pen. – riferiti all’esame testimoniale del minorenne – stante il tassativo tenore letterale delle norme, e osserva che la testimonianza della persona offesa dovrebbe essere assunta con le ordinarie modalità dettate dal citato art. 498, commi 1, 2, 3 e 4 (pur come risulta, quest’ultimo, dalla sentenza additiva di questa Corte n. 283 del 1997 circa l’esame del teste da parte del presidente), e ciò nonostante che nella fattispecie concreta possano ritenersi adeguatamente provate sia la condizione di attuale infermità mentale della persona offesa, pur considerata capace di testimoniare e di fornire un risultato probatorio attendibile, sia la sussistenza di una situazione di “disagio psicologico-affettivo” nella quale la teste sarebbe costretta a deporre, per la natura e gravità dei reati contestati e per lo stretto rapporto di parentela esistente fra gli imputati e la persona offesa.

Quanto alla non manifesta infondatezza, il Tribunale reputa che si debba riproporre lo stesso percorso argomentativo che aveva indotto il Giudice delle leggi alla pronuncia di illegittimità costituzionale dell’art. 498, comma 4, cod. proc. pen. Considerato che la ratio sottesa ai commi 4-bis e 4-ter dell’art. 498, come affermato da questa Corte nella sentenza n. 114 del 2001, è da rinvenirsi nelle specifiche esigenze di assicurazione della genuinità della prova e di protezione del minore infrasedicenne rispetto alle possibili lesioni della sua personalità, risulterebbe evidente la irragionevolezza di una scelta legislativa che non consente in alcun modo al giudice del dibattimento di disporre – laddove ravvisi, come nel caso di specie, l’effettiva sussistenza di un’analoga esigenza di protezione della personalità del testimone ex art. 2 della Costituzione – che l’assunzione della testimonianza dell’infermo di mente, vittima di reati sessuali, avvenga con le modalità protette. La constatazione, da compiersi in concreto ed in relazione al complessivo contesto processuale, della necessità o dell’opportunità di evitare qualsiasi pregiudizio alla personalità particolarmente fragile del teste affetto da infermità mentale giustificherebbe la previsione di un potere discrezionale in capo al giudice del dibattimento di applicare in tale ipotesi lo stesso regime di tutela processuale previsto per l’esame del teste minorenne dal comma 4-bis del codice (indipendentemente dal reato per il quale si procede) e dal successivo comma 4-ter (per l’ipotesi del minore vittima di reati sessuali).

A garantire il rispetto della personalità del testimone infermo di mente non potrebbero ritenersi adeguate le diverse e generali regole pur previste dal codice di rito all’art. 499, comma 4 (secondo cui “il presidente cura che l’esame del testimone sia condotto senza ledere il rispetto della persona”) e all’art. 472, comma 3-bis (che riconosce alla persona offesa nel caso di reati sessuali la facoltà di chiedere che il dibattimento, o una parte di esso, si svolga a porte chiuse), e ciò quanto meno nelle ipotesi in cui il testimone infermo di mente sia vittima di un reato a sfondo sessuale connotato in punto di fatto da una condotta di abuso delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto, e per di più posto in essere da uno stretto congiunto della vittima. In tali casi, l’esclusione a priori dell’applicabilità delle modalità protette si traduce, secondo il giudice a quo, «in una illegittima rinuncia da parte del legislatore ad una adeguata tutela non solo della dignità, del pudore e della personalità del teste parte offesa infermo di mente, ma anche della genuinità della prova»; e ciò, proprio con riferimento a fattispecie delittuose rispetto alle quali tali esigenze di tutela di soggetti psicologicamente deboli si pone con maggiore intensità ed evidenza.

2.– Non vi è stata costituzione di parte né intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

 

3.– Con ordinanza emessa il 10 dicembre 2003, e pervenuta a questa Corte il 23 febbraio 2004 (r.o. 193 del 2004), il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ariano Irpino, dopo avere ammesso un incidente probatorio ai sensi dell’art. 392, lettera a, cod. proc. pen., in un procedimento per violenza sessuale commesso in danno di persona adulta inferma di mente, rilevando la necessità di procedere all’assunzione della testimonianza della persona offesa, stanti le sue condizioni psichiche, in forma protetta ai sensi dell’art. 398, comma 5-bis, cod. proc. pen, che però è testualmente riferito alla testimonianza del solo minore di sedici anni, ha sollevato d’ufficio questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 32 e 111 della Costituzione, dell’art. 398, comma 5-bis, cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede, analogamente a quanto previsto per i minori di anni sedici, che si possa procedere all’assunzione della testimonianza di persona offesa, che sia adulta e inferma di mente, nell’ambito dei reati sessuali, con le “modalità protette” ivi contemplate (ad es. con l’impiego di mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva, con l’assistenza di un esperto, in una stanza separata da quella in cui si trovano le parti e mediante l’utilizzo di vetro specchio unidirezionale etc.).

 

In punto di rilevanza il Giudice per le indagini preliminari reputa che la questione sia ammissibile in quanto relativa a norma di legge non suscettibile di applicazione in via analogica ex art. 14 delle preleggi, e che la eventuale declaratoria di incostituzionalità in parte qua permetterebbe l’esame del teste nelle forme protette, salvaguardando la genuinità della prova e la personalità della vittima del reato.

 

Quanto al merito, l’autorità remittente ritiene che la mancata estensione della norma nel senso indicato si porrebbe in contrasto, anzitutto, con l’art. 2 della Costituzione, non assicurandosi piena tutela dei diritti inviolabili dell’uomo nel processo penale quando l’adulto infermo di mente, vittima di reati sessuali, è chiamato a deporre su vicende e questioni particolarmente delicate e scabrose afferenti alla sfera più intima della sua personalità, in un’aula di tribunale e alla presenza del giudice e delle parti. Lo stesso Giudice delle leggi, ricorda il remittente, ha già sottolineato il rilievo costituzionale delle esigenze di salvaguardia della personalità del teste (cfr. sentenze n. 262 del 1998 e 283 del 1997). Inoltre l’estensione della norma si porrebbe in perfetta armonia con le decisioni adottate in materia dalla Comunità europea (non meglio specificate dal giudice a quo ma probabilmente da riferirsi alla decisione quadro del Consiglio del 15 marzo 2001, n. 220), in base alle quali ciascuno Stato membro deve garantire che «le vittime particolarmente vulnerabili beneficino di un trattamento specifico che risponda in modo ottimale alla loro situazione».

 

In secondo luogo, la norma denunciata sarebbe in contrasto con l’art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della irragionevole disparità di trattamento di situazioni che possono essere analoghe, considerato che anche il minorato psichico, come il minore infrasedicenne, versa in uno stato di debolezza e fragilità mentale ed è facilmente suggestionabile.

 

In terzo luogo, il giudice a quo denuncia un contrasto con l’art. 24 della Costituzione, in quanto la mancata estensione della norma impugnata si tradurrebbe in un difetto di adeguata e piena tutela giurisdizionale: soltanto ove sia rimesso al giudice stabilire caso per caso tempo, luogo e modalità particolari di escussione del teste si porrebbe l’infermo di mente nella concreta ed effettiva condizione di difendere appieno i propri diritti.

 

Ancora, la norma impugnata violerebbe l’art. 32 della Costituzione, considerato che porre il teste infermo di mente a stretto ed immediato contatto con la viva realtà processuale e con il suo presunto aggressore significherebbe farlo testimoniare in un ambiente carico di tensione e sottoporlo ad uno stress emotivo che in una persona con un equilibrio psichico già fortemente minato e compromesso può tradursi in una lesione alla integrità e al benessere fisico e psichico.

 

Infine, il remittente denuncia il contrasto con l’art. 111 della Costituzione, perché non sarebbe garantito il “processo giusto”, volto alla ricerca della verità, dato che l’esame del teste infermo di mente non può essere effettuato con le modalità più adeguate a garantire la genuinità e la incontestabilità della prova.

 

4.– E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, per il tramite dell’Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l’infondatezza della questione nei termini di seguito precisati.

 

Il ragionamento della difesa erariale muove dall’art. 401, comma 5, cod. proc. pen., il quale stabilisce che l’assunzione anticipata della prova nell’incidente probatorio si svolge secondo le regole dettate per il dibattimento, e dunque anche dall’art. 498, comma 4, del codice di rito, come integrato dalla sentenza n. 283 del 1997, integrazione la cui ratio sottesa informerebbe di sé, secondo l’Avvocatura, l’intera disposizione. Ciò premesso, in virtù di una sorta di proprietà transitiva delle norme in questione, il richiamo che l’art. 498, comma 4-bis, del codice di procedura penale, quale integrato nei presupposti dalla pronuncia della Corte costituzionale citata, fa all’impugnato art. 398, comma 5-bis, dello stesso codice, estenderebbe ad esso i suoi effetti per il semplice argomento che, essendo l’incidente probatorio una anticipazione della istruttoria dibattimentale, non può che soggiacere alle medesime regole, quali risultanti anche dalle pronunce della Corte costituzionale. «Sicché se nel dibattimento l’esame della persona inferma di mente può essere condotto dal presidente, tale regola deve valere anche per l’esecuzione dell’incidente probatorio».

 

Tale interpretazione sarebbe stata avvalorata, secondo la difesa erariale, dallo stesso giudice costituzionale nella sentenza n. 114 del 2001, con la quale si sarebbe riconosciuta «la sostanziale equivalenza del meccanismo di cui all’art. 498, comma 4-bis, e [di] quello originario dell’art. 398, comma 5-bis», onde non vi sarebbe alcun ostacolo, in via di interpretazione, ad utilizzare, nel corso dell’incidente probatorio, le modalità protette per l’assunzione della prova di persona maggiorenne inferma di mente.

 

Considerato in diritto

 

1.– Le questioni che i due remittenti sollevano riguardano le modalità di esame “protetto”, nell’ambito del processo penale, del teste persona offesa da reato sessuale, maggiorenne all’epoca del processo, che sia infermo di mente.

Precisamente, il Tribunale di Biella, nel corso del dibattimento, solleva questione di legittimità costituzionale dell’art. 498, comma 4-bis, del codice di procedura penale, che dispone l’applicabilità nel dibattimento, su richiesta di una parte o se il presidente lo ritiene necessario, dell’art. 398, comma 5-bis, del codice di procedura penale, a tenore del quale, nel caso di indagini concernenti reati sessuali, quando fra le persone interessate all’assunzione della prova vi siano minori di sedici anni, il giudice stabilisce il luogo (anche fuori del tribunale, presso strutture specializzate o in mancanza presso l’abitazione del minore), il tempo e le modalità particolari attraverso cui procedere all’incidente probatorio, quando le esigenze del minore lo rendono necessario od opportuno; nonché dell’art. 498, comma 4-ter, del predetto codice, secondo cui, quando si procede per reati sessuali, l’esame del minore vittima del reato si effettua, su richiesta sua o del suo difensore, mediante l’uso di un vetro specchio unitamente ad un impianto citofonico.

Tali norme sono impugnate nella parte in cui non consentono l’applicazione delle suddette modalità protette, nel caso di procedimento per il delitto di violenza sessuale, quando si debba procedere all’esame di testimone maggiorenne infermo di mente, persona offesa dal reato. La questione è sollevata in riferimento al principio di tutela dei diritti inviolabili della persona, di cui all’art. 2 della Costituzione, in quanto, ad avviso del remittente, la mancanza del potere del giudice di procedere alla assunzione della prova mediante le speciali modalità ivi previste, quando riscontri la sussistenza di una esigenza di protezione della personalità del teste analoga a quella considerata dal legislatore a proposito del minore, darebbe luogo ad una inadeguata tutela della dignità, del pudore e della personalità del teste psicologicamente debole, nonché della genuinità della prova.

A sua volta il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Ariano Irpino, investito di un incidente probatorio per l’assunzione della testimonianza di una persona inferma di mente, dubita della legittimità costituzionale del citato art. 398, comma 5-bis, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che si possa procedere all’assunzione della testimonianza della parte offesa da reato sessuale, maggiorenne e inferma di mente, con le modalità previste per il minore di sedici anni. La questione è sollevata in riferimento: all’art. 2 della Costituzione, in quanto non si assicurerebbe la piena tutela dei diritti inviolabili della persona dell’infermo di mente; all’art. 3 della Costituzione, in quanto sarebbe irragionevole non riconoscere al maggiorenne infermo di mente, persona particolarmente fragile, la stessa salvaguardia prevista per il minore infrasedicenne; all’art. 24 della Costituzione, perché il teste non sarebbe messo in condizione di difendere appieno i propri diritti e di rendere una deposizione serena, genuina e veridica; all’art. 32 della Costituzione, perché non si garantirebbe adeguatamente il diritto alla salute del teste sotto il profilo del suo benessere psico-fisico; infine all’art. 111 della Costituzione, in quanto non sarebbe garantito il giusto processo sotto il profilo della libertà di esprimersi del teste, al di là di condizionamenti e paure, e della possibilità di assicurare la genuinità della prova.

2.– Stante la connessione di oggetto, i giudizi devono essere riuniti per essere decisi con unica pronunzia.

3.– Le questioni relative all’art. 398, comma 5-bis, e all’art. 498, comma 4-ter, del codice di procedura penale sono fondate.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare che, pur non potendosi meccanicamente equiparare l’infermo di mente al minore ai fini della disciplina della testimonianza nel procedimento penale, tuttavia il principio di tutela della persona, desumibile dall’art. 2 della Costituzione, comporta che il giudice procedente, ove ritenga in concreto che vi sia un pericolo di pregiudizio alla personalità del teste infermo di mente, possa adottare modalità di esame atte a prevenire ed escludere tale pericolo; e ha fatto applicazione del principio dichiarando la illegittimità costituzionale dell’art. 498 cod. proc. pen. nella parte in cui non consentiva al giudice, in tale ipotesi, di procedere direttamente all’esame su domande e contestazioni proposte dalle parti (sentenza n. 283 del 1997).

In altra occasione la Corte, investita di questioni analoghe a quelle oggi in esame, le ha dichiarate inammissibili per irrilevanza, in quanto sollevate sul presupposto della estensione alla specie della previsione di ricorso all’incidente probatorio, estensione che si è escluso invece sia imposta dalla Costituzione (ordinanza n. 108 del 2003; nonché sentenza n. 529 del 2002, con riferimento alla prospettata estensione della applicazione dell’art. 398, comma 5-bis, cod. proc. pen. al caso di testimonianza del minore nell’ambito di procedimenti per reati diversi da quelli sessuali).

Nel presente giudizio, invece, le questioni si presentano come rilevanti, essendo in un caso sollevate nel corso del dibattimento, in un altro caso nel corso di un incidente probatorio ammesso in base alla disciplina in vigore.

4.– Le esigenze di tutela della personalità particolarmente fragile dell’infermo di mente, chiamato a testimoniare nell’ambito di processi penali per reati sessuali, impongono, in base alla stessa ratio decidendi della citata sentenza n. 283 del 1997, in riferimento agli artt. 2 e 3 della Costituzione (restando così assorbito ogni altro profilo di censura), di estendere al maggiorenne infermo di mente la garanzia, prevista per il minore infrasedicenne, e rispettivamente per il minore, dall’art. 398, comma 5-bis (richiamato dall’art. 498, comma 4-bis) e dall’art. 498, comma 4-ter, cod. proc. pen., del ricorso, alle modalità “protette” di assunzione della prova testimoniale contemplate dalle norme menzionate, quando il giudice ne riscontri in concreto la necessità o l’opportunità.

Rendere testimonianza in un procedimento penale, nel contesto del contraddittorio, su fatti e circostanze legati all’intimità della persona e connessi a ipotesi di violenze subìte, è sempre esperienza difficile e psicologicamente pesante: se poi chi è chiamato a deporre è persona particolarmente vulnerabile, più di altre esposta ad influenze e a condizionamenti esterni, e meno in grado di controllare tale tipo di situazioni, può tradursi in un’esperienza fortemente traumatizzante e lesiva della personalità.

D’altra parte l’adozione, in questi casi, di speciali modalità “protette” di assunzione della prova, quanto a luogo, ambiente, tempo, assistenza di persone che conoscano il teste o di esperti, nonché a modi concreti di procedere all’esame, non solo non contrasta con altre esigenze proprie del processo, ma, al contrario, concorre altresì ad assicurare la genuinità della prova medesima, suscettibile di essere pregiudicata ove si dovesse procedere ad assumere la testimonianza con le modalità ordinarie (cfr. sentenze n. 283 del 1997, n. 114 del 2001, n. 529 del 2002).

L’apprezzamento in concreto delle condizioni e delle circostanze che impongano o consiglino il ricorso, anche nel caso dell’infermo di mente, a siffatte speciali modalità, previste dal legislatore nel caso di testimonianza del minore o del minore infrasedicenne, deve essere rimesso al giudicante, in relazione alla varietà possibile di situazioni (cfr. ancora sentenza n. 283 del 1997).

5.– La dichiarazione di illegittimità costituzionale deve dunque investire sia l’art. 398, comma 5-bis, sia l’art. 498, comma 4-ter, del codice di procedura penale. Non vi è motivo, invece, per intervenire sull’art. 498, comma 4-bis, del medesimo codice, la cui portata si esaurisce nel rendere applicabili in sede di dibattimento, ove una parte lo richieda o il presidente lo ritenga necessario, le modalità di assunzione della prova previste dall’art. 398, comma 5-bis: una volta investito quest’ultimo dalla presente pronuncia additiva, ne risulta automaticamente ampliato anche l’ambito di applicabilità del comma 4-bis dell’art. 498, onde la relativa questione di incostituzionalità deve essere dichiarata, in questi sensi, infondata.

per questi motivi

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

a) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 398, comma 5-bis, del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che il giudice possa provvedere nei modi ivi previsti all’assunzione della prova ove fra le persone interessate ad essa vi sia un maggiorenne infermo di mente, quando le esigenze di questi lo rendano necessario od opportuno;

b) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 498, comma 4-ter, del codice di procedura penale nella parte in cui non prevede che l’esame del maggiorenne infermo di mente vittima del reato sia effettuato, su richiesta sua o del suo difensore, mediante l’uso di un vetro specchio unitamente ad un impianto citofonico;

c) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell’art. 498, comma 4-bis, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all’art. 2 della Costituzione, dal Tribunale di Biella con l’ordinanza in epigrafe (r.o. n. 677 del 2003).

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 gennaio 2005.

Valerio ONIDA, Presidente e Redattore

Depositata in Cancelleria il 29 gennaio 2005.