Ordinanza n. 88 del 2004

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ORDINANZA N.88

ANNO 2004

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

- Valerio ONIDA                    

- Carlo MEZZANOTTE         

- Fernanda CONTRI   

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK        

- Ugo DE SIERVO     

- Romano VACCARELLA    

- Paolo MADDALENA          

- Alfio FINOCCHIARO        

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 146-bis delle norme di attuazione del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, promosso, nell’ambito di un procedimento penale, dal Tribunale di Milano con ordinanza del 4 novembre 2002, iscritta al n. 139 del registro ordinanze 2003 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell’anno 2003.

  Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nella camera di consiglio del 21 gennaio 2004 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

  Ritenuto che il Tribunale di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 146-bis delle norme di attuazione del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nella parte in cui limita la "partecipazione al dibattimento a distanza ai soli casi in cui "si procede per taluno dei delitti indicati nell’art. 51, comma 3-bis, nonché nell’articolo 407, comma 2, lettera a), numero 4, del codice"";

  che, quanto alla rilevanza, il Tribunale precisa di procedere nei confronti di un soggetto, imputato per vari episodi di truffa aggravata e detenuto nella Repubblica federale tedesca per altra causa, il quale ha dichiarato di non consentire che il processo pendente in Italia si svolga in sua assenza;

  che il Tribunale rimettente richiama il contenuto di una precedente ordinanza con la quale, nell’ambito del medesimo giudizio, aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 159 del codice penale, nella parte in cui tale disposizione non prevede come causa di sospensione della prescrizione anche il rinvio del procedimento penale cagionato dalla detenzione dell’imputato all’estero per altra causa, e dà atto che con ordinanza n. 116 del 2002 la Corte costituzionale ha dichiarato manifestamente inammissibile la questione in considerazione della soluzione accolta dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui "il rinvio del dibattimento ha effetto sospensivo della prescrizione ove sia disposto per impedimento dell’imputato o del difensore";

  che il giudice a quo ritiene peraltro che l’impossibilità di partecipare al dibattimento, conseguente alla lunga pena detentiva che l’imputato deve scontare all’estero e al fatto che le autorità locali hanno "escluso che il trasferimento […] possa essere disposto", determini la violazione del diritto di difendersi intervenendo e assistendo al processo (art. 24 Cost.), del potere-dovere del giudice di attuare la giurisdizione (art. 111, primo comma, Cost.) e del principio della ragionevole durata del processo (art. 111, secondo comma, Cost.);

  che, proprio per evitare la stasi processuale determinata dalla detenzione di imputati all’estero, l’art. 205-ter, comma 1, inserito nelle norme di attuazione del codice di procedura penale dalla legge 5 ottobre 2001, n. 367, ha disposto che "la partecipazione all’udienza dell’imputato detenuto all’estero, che non possa essere trasferito in Italia, ha luogo attraverso il collegamento audiovisivo, quando previsto da accordi internazionali e secondo la disciplina in essi contenuta", rinviando, per quanto non espressamente disciplinato dagli accordi internazionali, all’art. 146-bis disp. att. cod. proc. pen.;

  che il comma 4 della nuova disposizione prevede inoltre che, quando è possibile la partecipazione all’udienza in collegamento audiovisivo, la detenzione dell’imputato all’estero non può comportare la sospensione o il differimento dell’udienza nei casi in cui l’imputato non dà il consenso o rifiuta di assistere, applicandosi, in tale ipotesi, le disposizioni dell’art. 420-ter cod. proc. pen.;

  che il presupposto di carattere generale per l’applicabilità della videoconferenza - e cioè che si proceda per uno dei delitti indicati dall’art. 51, comma 3-bis, o dall’art. 407, comma 2, lettera a), numero 4, cod. proc. pen. - riduce peraltro in modo significativo l’ambito di applicazione dell’istituto in campo internazionale;

  che, infine, il rimettente prende atto che la giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 342 del 1999 e ordinanza n. 234 del 2000) ha affermato che la "disciplina censurata corrisponde all’esigenza di circoscrivere la partecipazione al dibattimento a distanza ai soli reati che sono "diretta espressione delle più gravi manifestazioni di criminalità di stampo mafioso"", ma ritiene che lo specifico quadro normativo, sensibilmente mutato dopo tali decisioni, imponga una "rivisitazione" dell’istituto della videoconferenza, oramai "sempre più volto a rimuovere quei casi di impedimento a comparire che altrimenti escluderebbero la celebrazione del dibattimento";

  che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata, rientrando nella discrezionalità del legislatore individuare i casi di partecipazione dell’imputato al dibattimento mediante collegamento audiovisivo.

  Considerato che il Tribunale di Milano, che procede nei confronti di un imputato detenuto all’estero per altra causa, dubita, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 146-bis delle norme di attuazione del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nella parte in cui limita la partecipazione al dibattimento a distanza ai soli casi in cui si procede per taluno dei delitti indicati negli artt. 51, comma 3-bis, e 407, comma 2, lettera a), numero 4, cod. proc. pen.;

  che la norma censurata, in quanto non applicabile nel caso di specie, relativo ad un soggetto imputato per vari episodi di truffa aggravata, il quale non ha consentito a che il processo si svolga in sua assenza, violerebbe il diritto di difesa, nonché il potere-dovere del giudice di attuare la giurisdizione e il principio della ragionevole durata del processo, avendo l’autorità giudiziaria straniera escluso che possa essere disposto il trasferimento del detenuto in Italia per consentire la celebrazione del dibattimento;

  che il giudice a quo richiama la disciplina dettata dall’art. 205-ter, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., ove si prevede in via generale che, se l’imputato detenuto all’estero non può essere trasferito in Italia, la sua partecipazione all’udienza avvenga mediante collegamento audiovisivo, sempre che ciò sia previsto da accordi internazionali e secondo la disciplina in essi contenuta, disponendo che, per quanto non espressamente disciplinato dagli accordi internazionali, si applica l’art. 146-bis disp. att. cod. proc. pen.;

  che il rimettente chiede pertanto a questa Corte un intervento volto ad estendere la sfera di applicazione dell’art. 146-bis disp. att. cod. proc. pen. per comprendervi anche la situazione sottoposta al suo esame;

  che il giudice a quo, pur essendo consapevole che, a norma dell’art. 205-ter, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., presupposto per la partecipazione al dibattimento a distanza è che tale procedura sia prevista e disciplinata da accordi internazionali, omette di considerare che non sussiste alcun accordo internazionale generale, né alcun accordo bilaterale con la Repubblica federale tedesca, che consenta di ricorrere all’istituto della partecipazione al dibattimento a distanza qualora l’imputato sia detenuto all’estero;

  che, in particolare, da un lato la Convenzione stabilita dall’Unione europea conformemente all’art. 34 del Trattato sull’Unione europea, relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione, fatta a Bruxelles il 29 maggio 2000, che nell’art. 10, § 9, disciplina per la prima volta l’istituto dell’audizione degli imputati mediante videoconferenza, non è ancora stata ratificata dall’Italia, dall’altro la legge 11 dicembre 1984, n. 969, che ha ratificato e dato esecuzione all’accordo tra l’Italia e la Germania aggiuntivo alla Convenzione europea di assistenza giudiziaria in materia penale del 20 aprile 1959, non contiene alcun riferimento all’istituto della partecipazione al dibattimento a distanza;

  che pertanto la questione di legittimità costituzionale è priva di rilevanza nel processo a quo, in quanto, anche in caso di accoglimento, l’art. 146-bis disp. att. cod. proc. pen. risulterebbe comunque non applicabile, in mancanza di un accordo con la Repubblica federale tedesca che consenta, a norma dell’art. 205-ter, comma 1, disp. att. cod. proc. pen., il collegamento audiovisivo con l’imputato detenuto in quello Stato, e deve conseguentemente essere dichiarata manifestamente inammissibile.

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 146-bis delle norme di attuazione del codice di procedura penale, approvate con decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, dal Tribunale di Milano, con l’ordinanza in epigrafe.

  Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 febbraio 2004.

Gustavo ZAGREBELSKY, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 9 marzo 2004.