Sentenza n. 227 del 2003

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SENTENZA N.227

ANNO 2003

 

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

-          Riccardo                          CHIEPPA                         Presidente

-          Gustavo                           ZAGREBELSKY             Giudice

-          Valerio                            ONIDA                             "

-          Carlo                               MEZZANOTTE                "

-          Fernanda                         CONTRI                           "

-          Guido                              NEPPI MODONA            "

-          Piero Alberto                   CAPOTOSTI                    "

-          Annibale                          MARINI                           "

-          Franco                             BILE                                 "

-          Giovanni Maria               FLICK                               "              

-          Ugo                                 DE SIERVO                     "       

-          Romano                           VACCARELLA               "

-          Paolo                               MADDALENA                "

-          Alfio                                FINOCCHIARO              "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 29, commi 2, 4, 7 e 9, della legge della Provincia autonoma di Trento 9 dicembre 1991, n. 24 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia), come sostituito dall’art. 32 della legge provinciale 23 febbraio 1998, n. 3 (Misure collegate con la manovra di bilancio di previsione per l’anno 1998), promosso con ordinanza del 19 luglio 2002 dal Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino Alto-Adige, sede di Trento, sul ricorso proposto dall’Ente Provinciale Protezione Animali e Ambiente contro la Provincia autonoma di Trento ed altri, iscritta al n. 399 del registro ordinanze 2002 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell’anno 2002.

Visti gli atti di costituzione della Provincia autonoma di Trento nonché gli atti di intervento della Federazione italiana della caccia e dell’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature;

udito nell’udienza pubblica del 25 marzo 2003 il Giudice relatore Fernanda Contri;

uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Provincia autonoma di Trento, Nino Paolontonio per la Federazione italiana della caccia e Alessio Petretti per l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature.

Ritenuto in fatto

 1. - Nel corso di un giudizio promosso dall’Ente Provinciale Protezione Animali e Ambiente (EPPAA) per l’annullamento, previa sospensione, di una deliberazione del Comitato faunistico  provinciale della Provincia autonoma di Trento recante le prescrizioni tecniche, valevoli per il periodo 2002/2003, per l’esercizio della caccia in ambito provinciale, il Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino Alto-Adige, sede di Trento, ha sollevato, con ordinanza del 19 luglio 2002, questione di legittimità costituzionale – in riferimento all’art. 18, commi 1 e 4, della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) e agli artt. 4 e 8 dello statuto del Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, recante “Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige”) nonché alle specifiche norme di attuazione poste con l’art. 1 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 279 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di minime proprietà colturali, caccia e pesca, agricoltura e foreste), nel testo modificato con l’art. 5 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 267 – dell’art. 29, commi 2, 4, 7 e 9, della legge della Provincia autonoma di Trento 9 dicembre 1991, n. 24 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia), come sostituito dall’art. 32 della legge provinciale 23 febbraio 1998, n. 3  (Misure collegate con la manovra di bilancio di previsione per l’anno 1998), nella parte in cui prevede specie cacciabili e periodi venatori maggiori di quelli previsti dall’art. 18 della legge n. 157 del 1992 e nella parte in cui non prevede l’obbligatorietà del parere dell’INFS preliminare all’adozione di provvedimenti sulla regolazione della caccia.

Il rimettente ricostruisce, anzitutto, il quadro normativo, richiamando l’art. 8, n. 15) dello statuto del Trentino-Alto Adige, che riserva la materia della caccia alla potestà esclusiva della Provincia autonoma che la esercita nel rispetto dei limiti indicati dall’art. 4 dello statuto stesso, ossia “in armonia con la Costituzione e i principi generali dell’ordinamento e con il rispetto degli interessi nazionali … nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali”. Il d.P.R. n. 279 del  1974 prevede, al comma 2 dell’art. 2, aggiunto dall’art. 5 del d.lgs. n. 267 del 1992, che “lo standard di protezione della fauna è disciplinato con legge provinciale che stabilisce il calendario venatorio e le specie cacciabili attenendosi ai livelli di protezione risultanti dalle convenzioni internazionali o dalle norme comunitarie introdotte nell’ordinamento statale”. La legge n. 157 del 1992, nel recepire le direttive comunitarie in materia, pone, infine, all’art. 18, una serie di disposizioni che questa Corte ha più volte qualificato quali norme di riforme economico-sociale, come tali vincolanti.

Il rimettente richiama, in particolare, la previsione contenuta nel comma 4 dell’art. 18 della legge n. 157 del 1992, secondo la quale il calendario e il regolamento relativi all’intera annata venatoria sono adottati “sentito l’Istituto nazionale per la fauna selvatica”. La normativa provinciale censurata prevede, invece, che il parere – peraltro facoltativo – sia dato da un apposito organo amministrativo, il Comitato faunistico provinciale (art. 29, commi 2 e 4), che disciplina anche specifici aspetti relativi alla caccia a talune specie senza l’acquisizione del parere dell’INFS (art. 29, commi 4 e 7).

La previsione contenuta nell’art. 18, comma 4, della legge n. 157 del 1992 è stata ritenuta dalla Corte costituzionale “prescrizione di grande riforma economico sociale” (sentenza n. 4 del 2000), sulla base del rilievo che trattasi di “previsione significativa di una scelta che trova spiegazione nel ruolo spettante a detto Istituto [INFS] qualificato dal precedente art. 7 della stessa legge-quadro come organo scientifico e tecnico di ricerca e consulenza non solo dello Stato ma anche delle regioni e delle province”. Su questa base – prosegue il rimettente – la Corte ha già rilevato l’illegittimità costituzionale della soluzione normativa prescelta, in quel caso, dal legislatore siciliano omettendo la previsione dell’intervento dell’INFS, chiamato, in virtù della sua alta specializzazione e delle speciali conoscenze tecniche necessarie, a fornire il proprio parere alle Amministrazioni per operare scelte conformi alle finalità protettive cui si ispira la produzione normativa, statale e non, riferita all’ambiente.

Secondo il rimettente non vale ad escludere la non manifesta infondatezza della questione la previsione, contenuta nello stesso art. 29 della legge provinciale, di un parere obbligatorio di un organo tecnico provinciale (l’Osservatorio faunistico), uno dei cui otto componenti è rappresentante dell’INFS, che non può certo surrogare la funzione di un organo il cui ruolo va rispettato quale inerente a prescrizione di grande riforma economico-sociale. Né in senso diverso potrebbe invocarsi la qualificazione del territorio delle Alpi come “zona faunistica a se stante” (art. 11 della legge 157 del 1992), in quanto l’esercizio della potestà esclusiva della Provincia resta pur sempre subordinato al rispetto dei limiti posti dall’art. 4 dello statuto e così pure delle norme statali che esprimono principi dell’ordinamento o rispondono a “esigenze di carattere unitario” (sentenza n. 1002 del 1988).

L’art. 29 della legge provinciale impugnata sarebbe altresì incostituzionale, sempre secondo il rimettente, nella parte in cui dilata i periodi in cui è ammesso l’esercizio dell’attività venatoria in Trentino rispetto a quelli tracciati dall’art. 18, comma 1, della legge n. 157 del 1992 e nella parte in cui ammette la caccia a specie che la norma nazionale non menziona (ad esempio, il gallo cedrone). Come affermato da questa Corte nella sentenza n. 323 del 1998, “la disciplina statale vincola anche le Regioni speciali e le Province autonome nella parte in cui delimita il nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica, nel quale deve includersi – accanto alla enucleazione delle specie cacciabili – la disciplina delle modalità di caccia, nei limiti in cui prevede misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili. Al novero di tali misure va ascritta la disciplina che, in funzione di adeguamento agli obblighi comunitari, delimita il periodo venatorio”. La possibilità per la Provincia Autonoma di modificare le indicazioni della normativa statale è stata in tale ottica da questa Corte riconosciuta “al fine di limitare e non di ampliare il numero delle eccezioni al divieto generale di caccia” (sentenza n. 1002 del 1988).

2. - Ha depositato atto di intervento la Federazione italiana della caccia (FIDC), per chiedere che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

3. - Ha depositato atto di intervento l’Associazione Italiana per il World Wide Fund for Nature – Onlus, nel quale si richiama la giurisprudenza di questa Corte e la normativa statale in materia di caccia, che considerano il patrimonio faunistico come una risorsa unitaria da gestire nell’interesse del Paese, insistendo affinché sia dichiarata l’illegittimità costituzionale delle norme censurate.

4. - Ha depositato, infine, atto di intervento la Provincia autonoma di Trento, parte nel giudizio a quo, per chiedere che la questione sia dichiarata inammissibile e infondata per le ragioni che la difesa si riserva di esporre con separata memoria.

5. - In prossimità dell’udienza la Provincia autonoma di Trento ha depositato memoria, con la quale illustra le ragioni della richiesta di inammissibilità e infondatezza della questione formulata nell’atto di intervento.

Con riferimento alla controversia di cui al giudizio a quo, la difesa della Provincia autonoma premette che a partire dal 1998 l’Ente Provinciale Protezione Animali e Ambiente (EPPAA) di Trento ha impugnato davanti al Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino-Alto Adige analoghe deliberazioni del Comitato faunistico  provinciale della Provincia autonoma di Trento e che, fino al 2002, le impugnazioni presentate sono state respinte sia in sede cautelare sia di merito, senza peraltro che siano state accolte in tali giudizi le eccezioni di asserita illegittimità costituzionale sempre ugualmente prospettate dall’ente ricorrente.

Riferisce la Provincia autonoma che il Tribunale rimettente, abbandonando il suo precedente orientamento, ha ritenuto, in occasione del ricorso che ha dato origine al giudizio a quo, che l’esame del fumus della domanda cautelare non potesse prescindere dalla valutazione della legittimità costituzionale della legge provinciale n. 24 del 1991 e ha sospeso provvisoriamente il provvedimento impugnato in attesa di pronunciare definitivamente sulla questione cautelare dopo la pronuncia di questa Corte. Successivamente, su ricorso della Provincia autonoma di Trento, il Consiglio di Stato, con ordinanza n. 3435 del 2002, ha annullato l’ordinanza di provvisoria sospensione, concessa dal giudice rimettente in attesa della definizione del presente giudizio di legittimità costituzionale, respingendo definitivamente l’istanza cautelare avanzata in primo grado dall’ente ricorrente nel giudizio a quo. La questione di legittimità costituzionale all’esame di questa Corte rimarrebbe, pertanto, come “astratta questione di diritto”, ma non avrebbe più collocazione nella fase cautelare alla cui soluzione era finalizzata, atteso che la fase cautelare si è ormai conclusa in senso negativo nel secondo grado del giudizio.

La Provincia autonoma di Trento chiede a questa Corte di valutare la eventuale perdita di rilevanza della questione in conseguenza del venir meno, a seguito della richiamata ordinanza del Consiglio di Stato, della fase cautelare per decidere la quale la questione di legittimità costituzionale è stata sollevata o, quanto, al giudizio principale, in considerazione del fatto che l’efficacia dei provvedimenti impugnati si è ormai totalmente esaurita in seguito alla chiusura della stagione venatoria.

La Provincia di Trento si rimette altresì alla decisione di questa Corte circa l’intervento del WWF, che dovrebbe essere ritenuto inammissibile, non essendo tale associazione parte nel giudizio a quo.

Nel merito, la difesa della Provincia di Trento sostiene l’infondatezza della questione, rilevando la “specificità della posizione costituzionale” che lo statuto e le norme di attuazione assicurano alla Provincia e la “specificità del sistema venatorio” provinciale.

La particolare autonomia legislativa riconosciuta alla Provincia di Trento in materia di caccia emerge non solo dalla attribuzione di potestà primaria ai sensi dell’art. 8, n. 15), dello statuto speciale, ma anche dalla norma di attuazione dello statuto posta all’art. 1, comma 2, del d.P.R. n. 279 del 1974, come modificato dal d.lgs. n. 267 del 1992, il quale dispone che “lo standard di protezione della fauna è disciplinato con legge provinciale che stabilisce il calendario venatorio e le specie cacciabili, attenendosi ai livelli di protezione risultanti dalle convenzioni internazionali o dalle norme comunitarie introdotte nell’ordinamento statale”. La potestà legislativa provinciale ha trovato concreta attuazione nella legge provinciale n. 24 del 1991, la quale disciplina analiticamente l’attività venatoria nel pieno rispetto della normativa comunitaria e degli obblighi internazionali pur essendo improntata a criteri differenti dalla disciplina legislativa statale. In particolare, i periodi di caccia indicati nell’art. 29, comma 2, della legge provinciale sono diversi da quelli statali, risultando a volte più brevi, a volte più lunghi, come avviene per le specie indicate al comma 2, lett. a), del citato art. 29, tra le quali rientrano gli ungulati. Tuttavia, al fine di garantire al sistema la necessaria flessibilità, la stessa legge provinciale affida al Comitato faunistico provinciale il compito di deliberare annualmente specifiche prescrizioni che, entro limiti fissati dalla legge, restringano o amplino i periodi di caccia. Ciò vale anzitutto con riferimento alla caccia di selezione agli ungulati, praticabile per motivi di selezione biologica e per limitare i danni causati dalla selvaggina alle colture agricole e boschive, per la quale è possibile prevedere specifici programmi di prelievo che consentano la caccia per cinque anziché tre giorni alla settimana (come stabilisce invece l’art. 18, comma 5, della legge statale n. 157 del 1992), nonché per periodi diversi rispetto a quelli fissati in via generale dalla legge provinciale.

In ordine alla “specificità del sistema venatorio”, la Provincia di Trento sottolinea anzitutto la peculiarità della situazione orografico-altimetrica e climatica del suo territorio, che rientra nella “zona faunistica delle Alpi”, specificamente considerata dall’art. 11 della stessa legge statale n. 157 del 1992. Il sistema venatorio provinciale è basato fondamentalmente su una rigida programmazione dei capi in relazione ai quali può svolgersi l’esercizio venatorio, resa effettiva dal regime di riserva, di assegnazione individuale e di accompagnamento nell’attività venatoria, previsto per gran parte dei prelievi, da parte di agenti di vigilanza o di “cacciatori” esperti” riconosciuti dal Comitato faunistico provinciale. Il regime riservistico comporta sostanzialmente che siano associati alla riserva solamente i cacciatori che risiedano nel Comune nel cui territorio cade la riserva. Il sistema venatorio si basa poi sull’elemento del contingentamento, che permette di controllare l’incidenza che l’attività venatoria produce sulle popolazioni animali non operando mediante limitazioni temporali bensì direttamente sul carniere, che viene predeterminato sulla base di appositi censimenti e stime nonché di scelte eminentemente tecniche. Terzo elemento essenziale è il prelievo di selezione che implica tra l’altro la ripartizione dei capi, secondo precisi piani di abbattimenti, in classe di età e di sesso, e che è applicato con rigore in particolare per gli ungulati.

Il sistema venatorio della Provincia di Trento sarebbe pertanto giustificato dalle peculiarità territoriali e, con specifico riferimento alla caccia degli ungulati, preferibile a quello nazionale, come risulta da un parere dell’INFS allegato alla memoria.

Le deroghe ai principi della legislazione statale sarebbero quindi giustificate, in quanto nella Provincia di Trento la fauna selvatica godrebbe di uno standard di tutela fondato su principi diversi da quelli statali che garantiscono un livello di tutela nell’insieme ben superiore a quello assicurato dalla legge statale.

Peraltro, il rimettente non avrebbe adeguatamente considerato il fatto che la richiamata disposizione di attuazione dello statuto che demanda alla legislazione provinciale la determinazione dello standard di protezione della fauna attenendosi unicamente “ai livelli di protezione risultanti dalle convenzioni internazionali o dalle norme comunitarie introdotte nell’ordinamento statale” (comma 2 del d.P.R. n. 279 del 1974, aggiunto dall’art. 5 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 267) è successiva alla legge 11 febbraio 1992, n. 157 e comunque si colloca in una posizione peculiare nel sistema delle fonti, al di sopra delle leggi ordinarie. La suddetta disposizione costituisce il fondamento specifico del potere legislativo provinciale in materia che non è tenuto a conformarsi ad una particolare modalità di tutela e di attuazione delle norme europee, quale quella posta dalla legge n. 157 del 1992. In senso diverso non potrebbero essere invocate le decisioni di questa Corte n. 323 del 1998, n. 4 del 2000 e n. 536 del 2002 che, pur riguardando Regioni a statuto speciale, non erano fondate sul parametro delle disposizioni di attuazione contenute nel d.lgs. 16 marzo 1992, n. 267, di modifica del d.P.R. n. 279 del 1974 e non possono quindi essere riferite alla particolare situazione della Provincia di Trento. Analogo discorso dovrebbe valere per la sentenza n. 1002 del 1988 che, pur riguardando espressamente la Provincia autonoma di Trento, è stata pronunciata prima del citato d.lgs. n. 267 del 1992 e dunque in un contesto normativo, sotto il profilo della individuazione delle competenze provinciali, manifestamente differente da quello attuale.

In considerazione della descritta “specificità della posizione costituzionale” che lo statuto e le norme di attuazione assicurano alla Provincia e del peculiare sistema di gestione faunistica ivi operante sarebbero dunque infondate le questioni relative alla dilatazione del periodo di attività venatoria e alla previsione della cacciabilità di specie non previste a livello nazionale. Quest’ultima censura, che essenzialmente riguarda l’inclusione tra le specie cacciabili del gallo cedrone, dovrebbe essere rigettata proprio in ragione della legittimazione della Provincia ad una diversa attuazione (rispetto a quella nazionale) della disciplina europea (che consente la caccia al gallo cedrone) e in considerazione della flessibilità del sistema venatorio locale, pronto ad adeguarsi alle esigenze effettive di ciascun periodo.

Infine, anche per quanto riguarda la censura relativa alla mancata previsione del parere dell’INFS, dovrebbe venire in rilievo la disposizione di attuazione statutaria che, “nel sottrarre la Provincia autonoma ad ogni condizionamento esterno”, si riferirebbe “tanto ai profili sostanziali quanto a quelli procedurali, in guisa che anche la pretesa di imporre un particolare iter procedimentale al fine della predisposizione del calendario venatorio, per di più incentrato su un organo statale, costituirebbe una violazione delle speciali prerogative riconosciute alla Provincia”. La legislazione provinciale terrebbe comunque particolarmente conto delle specifiche esigenze di tutela dell’interesse pubblico protetto, prevedendo tra l’altro che le delibere che deroghino alla disciplina della legislazione provinciale siano assunte pervio parere dell’Osservatorio faunistico provinciale, organo di consulenza tecnico-scientifica, la cui alta qualificazione scientifica è comprovata dalla sua composizione. L’organismo in questione si differenzierebbe dal Comitato regionale faunistico venatorio previsto dalla legislazione siciliana - al quale si riferisce la sentenza n. 4 del 2000 di questa Corte - che era piuttosto un organismo con funzioni di confronto e contemperamento dei vari interessi settoriali che vengono in rilievo attraverso l’attività venatoria.

Da ultimo, la difesa della Provincia di Trento ritiene che non sia esatto affermare che in relazione alle previsioni provinciali sulla caccia manchi il parere dell’INFS, il quale si è al contrario pronunciato, come già ricordato, sul sistema della caccia degli ungulati nell’ambito della Provincia di Trento, manifestando il proprio apprezzamento per tale sistema e dubitando, invece, dell’efficacia sul punto delle previsioni della legge statale n. 157 del 1992.

Considerato in diritto

1.- Nel corso di un giudizio promosso dall’Ente Provinciale Protezione Animali e Ambiente (EPPAA) per l’annullamento, previa sospensione, di una deliberazione del Comitato faunistico  provinciale della Provincia autonoma di Trento recante le prescrizioni tecniche, valevoli per il periodo 2002/2003, per l’esercizio della caccia in ambito provinciale, il Tribunale regionale di giustizia amministrativa del Trentino Alto-Adige, sede di Trento, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 29, commi 2, 4, 7 e 9, della legge della Provincia autonoma di Trento 9 dicembre 1991, n. 24 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia), come sostituito dall’art. 32 della legge provinciale 23 febbraio 1998, n. 3  (Misure collegate con la manovra di bilancio di previsione per l’anno 1998), nella parte in cui prevede specie cacciabili e periodi venatori maggiori di quelli previsti dall’art. 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) e nella parte in cui non prevede l’obbligatorietà del parere dell’INFS preliminare all’adozione di provvedimenti sulla regolazione della caccia. Il rimettente ritiene che la normativa censurata violi l’art. 18, commi 1 e 4, della legge n. 157 del 1992 e gli artt. 4 e 8 dello statuto del Trentino-Alto Adige (d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 – recante “Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige”), nonché le disposizioni di attuazione dello statuto contenute nell’art. 1 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 279 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la regione Trentino-Alto Adige in materia di minime proprietà colturali, caccia e pesca, agricoltura e foreste), nel testo modificato con l’art. 5 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 267, in quanto si porrebbe in contrasto con le norme fondamentali delle riforme economico-sociali, che delimitano, tra l’altro, il nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica.

2. - In via preliminare, deve respingersi l’eccezione avanzata dalla Provincia di Trento circa la presunta perdita di rilevanza della questione in ragione dell’intervenuto annullamento da parte del Consiglio di Stato (ord. n. 3435 del 2002) dell’ordinanza di provvisoria sospensione concessa dal giudice rimettente in attesa della definizione del presente giudizio di legittimità costituzionale.  Nel caso di specie, come affermato dal rimettente, non solo la decisione sulla domanda cautelare ma anche quella sull’impugnativa non possono prescindere dalla soluzione della questione sottoposta alla Corte.  

Vanno dichiarati inammissibili gli interventi del World Wide Fund for Nature – Onlus e della Federazione italiana della caccia, in quanto non risultano essere parti nel giudizio a quo al momento dell’emissione dell’ordinanza di rimessione e non hanno un interesse qualificato ad intervenire che possa dirsi immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio (ex plurimis: sentenze n. 413, n. 307 e n. 145 del 2002; ordinanze n. 338, n. 262 e n. 251 del 2002).

3. - Prima di esaminare le singole censure occorre ricostruire, sinteticamente, il quadro normativo risultante dal combinato operare delle previsioni dello statuto del Trentino-Alto Adige e delle relative norme di attuazione in materia di protezione della fauna, al fine di verificare l’incidenza nella Provincia di Trento delle previsioni della legge n. 157 del 1992 invocate dal giudice a quo.

La Provincia di Trento sostiene che la norma di attuazione dello statuto che riguarda la protezione della fauna (art. 5 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 267, che ha modificato l’art. 1 del d.P.R.  22 marzo 1974, n. 279) non solo è successiva alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, ma si colloca in una posizione peculiare nel sistema delle fonti, al di sopra delle leggi ordinarie. Essa demanda alla legislazione provinciale la determinazione dello standard di protezione della fauna in conformità “ai livelli di protezione risultanti dalle convenzioni internazionali o dalle norme comunitarie introdotte nell’ordinamento statale”. Ne discenderebbe, secondo la difesa della Provincia di Trento, che la legislazione provinciale possa sviluppare uno specifico sistema venatorio che tenga conto delle peculiarità del territorio senza attenersi alle particolari modalità di tutela e di attuazione delle norme europee dettate dalla legge statale n. 157 del 1992. In sostanza la legislazione della Provincia di Trento dovrebbe riferirsi solo e direttamente (senza ulteriori intermediazioni statali) alla normativa internazionale ed europea.

La suddetta ricostruzione non può accogliersi alla luce delle previsioni statutarie, in considerazione del fatto che l’art. 8 dello statuto di autonomia nell’attribuire alle province la competenza in materia di caccia (n. 15) si richiama ai limiti indicati dal precedente art. 4, tra i quali vi è quello del rispetto delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali.  La disposizione contenuta nel secondo comma dell’art. 1 del d.P.R. n. 279 del 1974, aggiunto dall’art. 5 del d.lgs. 16 marzo 1992, n. 267, deve pertanto essere letta insieme alle norme alla cui attuazione è preordinata, alle quali non può derogare. In realtà, la suddetta disposizione di attuazione non sembra derogare alle previsioni statutarie nello stabilire che “lo standard di protezione della fauna è disciplinato con legge provinciale che stabilisce il calendario venatorio e le specie cacciabili, attenendosi ai livelli di protezione risultanti dalle convenzioni internazionali o dalle norme comunitarie introdotte nell’ordinamento statale”. La disposizione di attuazione, in effetti, non prevede, come sostiene invece la Provincia, che la legislazione debba unicamente attenersi alle norme internazionali ed europee, senza che su di essa possano incidere le norme statali che diano attuazione al diritto comunitario e che, come nel caso delle previsioni della legge n. 157 del 1992 che vengono in rilievo nel presente giudizio, siano qualificabili come norme fondamentali delle riforme economico-sociali.

4. - Alla luce delle considerazioni che precedono, la questione è fondata.

Questa Corte ha infatti già definito come “norme fondamentali delle riforme economico-sociali” le disposizioni della legge n. 157 del 1992 invocate dal giudice a quo, per cui, stante la previsione del relativo limite previsto dallo statuto speciale, non può che confermarsi l’orientamento già espresso, che risponde anche all’esigenza, ribadita nella sentenza n. 536 del 2002, di garantire standards minimi e uniformi di tutela della fauna sull’intero territorio nazionale.

In ordine alle specifiche censure, con riferimento a quella relativa al comma 2 dell’art. 29 della legge provinciale impugnata occorre richiamare la giurisprudenza di questa Corte che riconosce il carattere di norme fondamentali di riforma economico-sociale alle disposizioni legislative statali che individuano le specie cacciabili (sentenze n. 168 del 1999, n. 323 del 1998n. 272 del 1996, n. 35 del 1995, n. 577 del 1990, n. 1002 del 1988). A fronte dell’esigenza di garantire un nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica va riconosciuta alle Regioni la facoltà di modificare l’elenco delle specie cacciabili soltanto “nel senso di limitare e non di ampliare il numero delle eccezioni al divieto generale di caccia” (sentenze n. 272 del 1996 e n. 1002 del 1988). Deve pertanto ritenersi incostituzionale la disposizione censurata nella parte in cui ammette la caccia per specie non menzionate dall’art. 18, comma 1, della legge n. 157 del 1992.

Per quanto riguarda la censura relativa al comma 4 dell’art. 29 della legge provinciale impugnata va ricordato che la disciplina statale che delimita il periodo venatorio è stata da questa Corte ascritta al novero delle misure indispensabili per assicurare la sopravvivenza e la riproduzione delle specie cacciabili, rientrando in quel nucleo minimo di salvaguardia della fauna selvatica ritenuto vincolante anche per le Regioni speciali e le Province autonome (sentenza n. 323 del 1998). Anche in questo caso alle disposizioni legislative statali può essere riconosciuto il carattere di norme fondamentali delle riforme economico-sociali, data la stretta connessione con le norme che individuano le specie ammesse al prelievo venatorio. Peraltro, come più di recente affermato, la disciplina statale che delimita il periodo venatorio si inserisce in un contesto normativo comunitario e internazionale rivolto alla tutela della fauna che intende garantire il sistema ecologico nel suo complesso, proponendosi come “standard di tutela uniforme che deve essere rispettato nell’intero territorio nazionale, ivi compreso quello delle Regioni a statuto speciale” (sentenza n. 536 del 2002).  Deve pertanto ritenersi incostituzionale la disposizione censurata nella parte in cui dilata i periodi in cui è ammesso l’esercizio dell’attività venatoria nella Provincia di Trento rispetto a quelli previsti dall’art. 18 della legge n. 157 del 1992.

L’ultima censura riguarda i commi 7 e 9 dell’art. 29 della legge provinciale impugnata, nella parte in cui non prevedono l’obbligatorietà del parere dell’INFS, preliminare all’adozione di provvedimenti sulla regolazione della caccia. Anche in ordine al parere dell’INFS, richiesto dal comma 4 dell’art. 18 della legge n. 157 del 1992 per i provvedimenti relativi alla regolazione della caccia, questa Corte, nel dichiarare l’incostituzionalità di una legge regionale siciliana che prevedeva la possibilità di emanare il calendario venatorio senza che fosse sentito il menzionato Istituto, ha affermato che l’omessa previsione di siffatto intervento “viene a violare una prescrizione di grande riforma economico-sociale” (sentenza n. 4 del 2000). Il parere dell’INFS, ente nazionale dotato della necessaria competenza tecnica in materia, qualificato dall’art. 7 della legge n. 157 del 1992 come “organo scientifico e tecnico di ricerca e consulenza per lo Stato, le regioni e le province”, appare indispensabile per la formazione di un atto nel quale deve essere garantito il rispetto di standards di tutela uniforme che devono valere nell’intero territorio nazionale. A tale fine non può ritenersi sufficiente il parere espresso da un organo locale, pur dotato di competenza tecnica, quale l’Osservatorio faunistico provinciale. La suddetta esigenza, contrariamente a quanto ritenuto dalla Provincia di Trento, non può nemmeno dirsi soddisfatta dal pronunciamento dell’INFS, allegato alla memoria della Provincia, che ha espresso apprezzamento sul sistema provinciale della caccia degli ungulati nell’ambito della Provincia di Trento. A prescindere dal fatto che il suddetto parere – che si riferisce genericamente al sistema venatorio degli ungulati praticato nella Provincia di Trento – è stato richiesto successivamente all’adozione delle prescrizioni tecniche provinciali per l’esercizio della caccia oggetto del giudizio a quo, ciò che rileva, ai fini della soluzione della presente questione, è l’omessa previsione dell’obbligatorietà del parere dell’INFS nella fase preparatoria dei provvedimenti relativi alla regolazione della caccia. La suddetta omissione è di per sé lesiva di una prescrizione di grande riforma economico-sociale, che implica l’obbligatorietà del parere dell’INFS nella fase della formazione di atti che devono rispettare esigenze di carattere unitario, in modo da garantire, su tutto il territorio nazionale, standards uniformi di tutela della fauna.

Le previsioni contenute nei commi 2, 4, 7 e 9 dell’art. 29 della legge provinciale impugnata violano pertanto il limite statutario del rispetto delle  norme fondamentali delle riforme economico-sociali.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell’art. 29, commi 2, 4, 7 e 9, della legge della Provincia autonoma di Trento 9 dicembre 1991, n. 24 (Norme per la protezione della fauna selvatica e per l’esercizio della caccia), come sostituito dall’art. 32 della legge provinciale 23 febbraio 1998, n. 3  (Misure collegate con la manovra di bilancio di previsione per l’anno 1998), nella parte in cui prevede specie cacciabili diverse e periodi venatori più ampi di quelli previsti dall’art. 18 della legge 11 febbraio 1992, n. 157 (Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio) e nella parte in cui non prevede l’obbligatorietà del parere dell’INFS preliminare all’adozione di provvedimenti sulla regolazione della caccia.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 giugno 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Fernanda CONTRI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 4 luglio 2003.