Sentenza n. 307/2002

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SENTENZA N.307

ANNO 2002

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

- Cesare                         RUPERTO                     Presidente  

- Massimo                     VARI                               Giudice

- Riccardo                     CHIEPPA                              "

- Valerio                        ONIDA                                  "

- Carlo                           MEZZANOTTE                    "

- Fernanda                     CONTRI                                "

- Guido                         NEPPI MODONA                "

- Piero Alberto              CAPOTOSTI                         "

- Annibale                     MARINI                                "

- Franco                         BILE                                      "

- Giovanni Maria          FLICK                                               "

- Francesco                    AMIRANTE                          "

ha pronunciato la seguente                  

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 36 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, nonchè di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni), nel testo risultante dall’art. 1 del decreto legislativo 28 dicembre 1998, n. 490 (Disposizioni integrative del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, concernenti la revisione della disciplina dei centri di assistenza fiscale), promosso con ordinanza emessa il 7 giugno 2000 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sul ricorso proposto da L.A.P.E.T. (Libera Associazione Periti ed Esperti Tributari) ed altro contro il Ministero delle finanze ed altro, iscritta al n. 800 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell'anno 2000.

Visti l'atto di costituzione della L.A.P.E.T. ed altro, nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri e del Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti;

udito nell'udienza pubblica del 29 gennaio 2002 il Giudice relatore Riccardo Chieppa;

uditi gli avvocati Santina Bernardi per L.A.P.E.T. Paolo Ricciardi per il Consiglio nazionale dei Dottori Commercialisti e l'Avvocato dello Stato Luigi Criscuoli per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso del giudizio promosso innanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio dalla L.A.P.E.T. - Libera Associazione Periti ed Esperti Tributari - in persona del legale rappresentante e da questi in proprio per l’annullamento del decreto del Ministro delle finanze 31 maggio 1999, n. 164 (Regolamento recante norme per l'assistenza fiscale resa dai Centri di assistenza fiscale per le imprese e per i dipendenti, dai sostituti d'imposta e dai professionisti ai sensi dell'art. 40 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241) nella parte in cui detta disposizioni di attuazione della "certificazione tributaria", prevista dall’art. 36 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, nonchè di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni), nel testo risultante dall’art. 1 del decreto legislativo 28 dicembre 1998, n. 490 (Disposizioni integrative del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, concernenti la revisione della disciplina dei centri di assistenza fiscale), il giudice adìto, accogliendo la relativa eccezione della parte ricorrente, ha sollevato, in riferimento anzitutto agli artt. 76 e 77 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del citato art. 36.

La norma é denunciata nella parte in cui ha previsto che il potere del rilascio della introdotta certificazione tributaria sia attribuito, in via esclusiva, ai revisori contabili iscritti da almeno cinque anni negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali e dei consulenti del lavoro, a condizione che gli stessi abbiano tenuto le scritture contabili dei contribuenti nel corso del periodo di imposta cui si riferisce la certificazione.

Il Tar del Lazio ha premesso di ritenere la questione rilevante nel giudizio a quo, poichè la eventuale incostituzionalità della norma suddetta rifluirebbe sulla legittimità della normativa regolamentare impugnata. Nel merito, ha rilevato che l’art. 3, comma 134, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica) delegava il Governo ad emanare uno o più decreti legislativi contenenti disposizioni volte a semplificare gli adempimenti dei contribuenti, a modernizzare il sistema di gestione delle dichiarazioni e a riorganizzare il lavoro degli uffici finanziari, in modo da assicurare la gestione unitaria delle posizioni dei singoli contribuenti secondo principi e criteri direttivi in esso indicati. In particolare, il citato comma 134, alla lettera d), fissava il criterio direttivo attinente alla utilizzazione di strutture intermedie tra contribuente ed amministrazione finanziaria ed alla progressiva utilizzazione delle procedure telematiche da rendere obbligatorie per i centri di assistenza fiscale e per i professionisti. Tale delega, ad avviso del Collegio rimettente, non consentirebbe al legislatore delegato di prevedere nè la possibilità dell’affidamento a determinate categorie di professionisti, iscritti in albi, di controlli di natura diversa da quelli meramente formali ed automatici relativi alle modalità di presentazione delle dichiarazioni, nè quella di effettuare la certificazione tributaria in base a predefinite condizioni.

Il Tar del Lazio ha, poi, denunciato il vulnus agli artt. 3, 4, 35 e 97 della Costituzione, in quanto il riconoscimento ai detti soggetti, legittimati a rilasciare la certificazione di cui si tratta, anche della tenuta della contabilità, nonchè della effettuazione della dichiarazione dei redditi, opererebbe di fatto una sorta di riserva monopolizzatrice di tali attività da parte dei soggetti certificatori, mentre l’attività relativa alla tenuta della contabilità dovrebbe ritenersi del tutto libera non richiedendo specifici requisiti professionali. Pertanto, la norma in esame, non giustificata da ragioni di interesse generale, determinerebbe una limitazione alla scelta lavorativa ed al libero svolgimento di attività lavorative in violazione degli artt. 3, 4 e 35 della Costituzione.

Il Collegio rimettente ha inoltre attribuito alla norma in questione una sottrazione ai consulenti tributari di un’attività tradizionalmente da essi svolta, con vulnus al diritto al lavoro costituzionalmente garantito. Infine, sarebbe contrario ai precetti costituzionali di logicità e buon andamento dell’azione amministrativa sostituire al fisco, quale soggetto certificatore e controllore, colui che ha tenuto la contabilità dell’impresa.

2.- Nel giudizio innanzi alla Corte si sono costituiti la L.A.P.E.T. ed il suo legale rappresentante, concludendo per la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma impugnata.

3.- E’ altresì intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, che ha preliminarmente eccepito la inammissibilità della questione sollevata in riferimento agli artt. 3, 4, 35 e 97 della Costituzione, per difetto di motivazione sulla rilevanza, valutata nella ordinanza, secondo l’Avvocatura, solo in relazione alla questione di legittimità costituzionale riferita ai parametri di cui agli artt. 76 e 77 della Costituzione.

Nel merito, l’Autorità intervenuta ha concluso per la infondatezza della questione, sotto tutti i profili sollevati. In riferimento al lamentato eccesso di delega, esso viene escluso sulla base del rilievo che l’introduzione della certificazione tributaria determinerebbe proprio quell’effetto disciplinatorio degli adempimenti e delle responsabilità delle categorie dei professionisti abilitati perseguito dalla delega legislativa, oltre che quello di riorganizzazione del lavoro istituzionale degli uffici periferici dell’amministrazione finanziaria.

Quanto al presunto vulnus agli artt. 3, 35 e 97 della Costituzione, l’Avvocatura ha osservato che la riforma della materia concernente l’assistenza fiscale del contribuente ha inteso attribuire nuove responsabilità ai soggetti che prestano tale assistenza alle imprese, ne curano la redazione delle scritture contabili, ne predispongono ed elaborano le dichiarazioni in materia tributaria. La delicatezza della operazione di certificazione ha costretto il legislatore delegato, si rileva nella memoria, ad individuare ed imporre il possesso di particolari requisiti di capacità professionale agli appartenenti alle categorie abilitate al rilascio della certificazione. Detta certificazione, peraltro, non costituendo un obbligo per il certificatore, ma una sua scelta discrezionale, può essere rilasciata solo quando i risultati dei riscontri effettuati evidenziano una corretta osservanza delle norme tributarie relative a tutte le componenti oggetto della certificazione. Del pari, la condizione, imposta dalla norma impugnata, che il certificatore abbia tenuto le scritture contabili del contribuente nel periodo di imposta di riferimento costituirebbe conseguenza naturale ed inevitabile della responsabilità cui il certificatore stesso soggiace, che, d’altra parte, non determinerebbe conflitti di sorta tra controllore e controllato, in quanto in ultima analisi il controllo resterebbe di pertinenza dell’amministrazione.

4.- Con atto del 9 gennaio 2002, il Presidente del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, nella indicata qualità ed in proprio, ha spiegato intervento nel giudizio di costituzionalità. Con una successiva memoria depositata nell’interesse del predetto Consiglio, é stata preliminarmente rilevata la legittimazione di tale organismo all’intervento in quanto portatore di interesse qualificato divenuto attuale al momento della proposizione della questione di legittimità costituzionale.

Nella memoria si prospettano molteplici profili di inammissibilità: anzitutto, si lamenta la mancanza del requisito della rilevanza della questione, in considerazione della carenza, nel giudizio a quo, di interesse concreto ed attuale dei ricorrenti all’annullamento delle norme regolamentari impugnate, rilevabile dalla circostanza che il d.m. di cui si tratta non prevede, agli artt. 4, 21 e 25, un sistema di qualificazione preventiva abilitante all’esercizio dell’attività di certificatore, bensì solo un potere di vigilanza e verifica ex post (art. 26) del corretto svolgimento dell’attività di assistenza fiscale.

Una ulteriore ragione di inammissibilità andrebbe ravvisata nel difetto di giurisdizione del giudice rimettente, come emergerebbe dalla considerazione che il rapporto che intercorre tra chi aspira all’esercizio di determinate attività di natura tecnica o professionale - come quella di certificazione - e gli organi pubblici a ciò preposti sarebbe quello di diritto-obbligo, e non già di interesse legittimo-potere. Al riguardo, nella memoria si richiama una decisione del Tar delle Marche, la sentenza 27 ottobre 2000, n. 1469, che ha dichiarato inammissibile per difetto di giurisdizione il ricorso con il quale era stato impugnato il provvedimento del dirigente della Direzione generale delle entrate di Ancona che aveva negato al ricorrente la possibilità di avvalersi della certificazione tributaria.

Infine, la questione sarebbe inammissibile in quanto si richiederebbe alla Corte una sentenza additiva autoapplicativa che estenda a tutti i professionisti esercenti attività di consulenza contabile, fiscale e tributaria la possibilità di svolgere l’attività certificatoria di cui si tratta, cioé si chiederebbe un intervento che presuppone scelte di carattere discrezionale che appartengono solo alla potestà legislativa.

Nel merito, si sostiene la manifesta infondatezza della questione, sottolineandosi, con riferimento alla presunta violazione dell’art. 3 della Costituzione, la diversità tra i soggetti che svolgono attività di consulenti tributari senza essere in possesso di titoli abilitativi alle professioni da una parte, ed i revisori contabili iscritti negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali e dei consulenti del lavoro che abbiano esercitato la professione da almeno cinque anni. Dall'altro canto, in ordine al lamentato vulnus all’art. 4 della Costituzione, si afferma che non può configurare una lesione del diritto al lavoro ogni norma che subordini l’esercizio di attività professionali o impiegatizie al possesso di requisiti di idoneità, salvo che si tratti di requisiti privi di significato in relazione al contenuto delle attività stesse, ciò che sarebbe da escludere nel caso di specie. Nè il rischio di perdita della clientela per i consulenti già investiti dell’attività di assistenza fiscale di minore importanza, e sforniti dei requisiti richiesti per l’attività di certificazione tributaria, sarebbe idoneo a determinare il contrasto con l’art. 4 della Costituzione.

La censura relativa alla violazione degli artt. 35 e 77 della Costituzione, in quanto enunciata ma non accompagnata da alcuna esplicazione, sarebbe manifestamente inammissibile.

Quanto al lamentato contrasto con l’art. 76 della Costituzione, nella memoria si esclude la sussistenza di eccesso di delega, osservandosi che la esigenza, perseguita dalla legge di delega, di valorizzare le strutture intermedie sarebbe pienamente perseguita dal legislatore delegato, e non sarebbe fuorviante rispetto all’intento della stessa legge di delega la scelta di demandare l’attività certificatoria di cui all’art. 36 impugnato solo a soggetti muniti di particolari requisiti professionali, scelta che solo in punto di fatto pregiudicherebbe la posizione dei consulenti tributari, potendo determinare lo spostamento della clientela da una struttura intermedia ad un’altra.

Infondata sarebbe, infine, la censura di violazione del principio di buona amministrazione per la coincidenza nella stessa persona della figura del certificatore e del soggetto che ha tenuto la contabilità, ove si consideri che la normativa impugnata non attiene alla organizzazione dei pubblici uffici, ma detta regole per l’espletamento di un funzione pubblicistica delegata a soggetti terzi. Del resto, nell’attività del certificatore resterebbe escluso il giudizio valutativo e di veridicità dell’elemento certificato che presupporrebbe poteri di accertamento, propri dell’amministrazione finanziaria, non attribuiti ai certificatori.

5.- Nell’imminenza della data fissata per la pubblica udienza, hanno depositato memorie sia l’Avvocatura, sia la L.A.P.E.T.

La prima, nel ribadire le conclusioni rassegnate, pone l’accento sul fatto che la certificazione tributaria costituisce attuazione di uno dei fini essenziali della legge di delega, e cioé la riorganizzazione del lavoro degli uffici finanziari, agevolandone l’operato quanto al controllo delle dichiarazioni fiscali, senza, peraltro, previsione di alcuna preclusione alla effettuazione di controlli sia sulla correttezza dell’operato del contribuente, sia sulla legittimità della certificazione rilasciata. Per altro verso, proprio in ragione dei particolari effetti riconducibili a detta certificazione, la relativa attività non potrebbe essere rimessa a qualsiasi soggetto che sia in grado di tenere la contabilità, imponendosi, invece, secondo l’Avvocatura generale dello Stato, la necessità di prescriverne l’affidamento a persone che, appartenendo alle categorie professionali abilitate, siano anche in possesso di determinati requisiti che, sulla base di una scelta appartenente alla sfera di discrezionalità del legislatore, lo stesso ha ritenuto comprovare un’idonea esperienza e capacità professionale.

Anche la L.A.P.E.T., nel dedurre la inammissibilità dell’intervento del Consiglio nazionale dei dottori commercialisti, per non essere lo stesso parte nel giudizio a quo, e per non essere neppure portatore di un interesse giuridicamente qualificato, non essendo centro di imputazione rappresentativo degli interessi dei soggetti abilitati a rilasciare la certificazione tributaria, ha concluso per la rilevanza della questione, osservando che la eventuale dichiarazione di illegittimità della norma impugnata inciderebbe sul d.m. attuativo, nel senso di comportarne la caducazione proprio nella parte in cui, con la norma di cui costituisce attuazione, condiziona la certificazione tributaria alla tenuta della contabilità, in tal modo rifluendo positivamente sull’ambito di attività che i consulenti tributari assumono essere stata loro illegittimamente preclusa. Nel merito, l’Associazione insiste nelle proprie conclusioni, sottolineando, in particolare, i contenuti e gli effetti dell’attività di certificazione, che indirizzerebbe i controlli dell’amministrazione finanziaria verso le componenti di reddito diverse da quelle certificate. L’amministrazione, infatti, nella ipotesi di certificazione tributaria, conserverebbe la facoltà di esercitare il potere di controllo solo adducendo una congrua motivazione in ordine alle ragioni per cui intende discostarsi dalla regola procedendo a controllo sovraordinato rispetto a quello del certificatore: tali ragioni vengono individuate nella presenza di indizi di irregolarità o di elementi di riscontro (circolare dell’amministrazione finanziaria n. 55 del 24 marzo 2000). In tale situazione, sussisterebbe l’eccesso di delega lamentato dal collegio a quo, in quanto la legge di delega imponeva al legislatore delegato di attenersi alla previsione di disposizioni riguardanti modalità di presentazione delle dichiarazioni, individuando soggetti intermedi che consentissero una maggiore semplificazione di dette modalità ed effettuassero controlli formali ed automatici, e non già un controllo intrinseco sull’operato del contribuente.

Infine, la previsione del collegamento dell’attività di certificazione tributaria con la tenuta della contabilità e con la predisposizione della dichiarazione dei redditi determinerebbe da un lato una confusione di interessi tra controllato e controllore, dall’altro posizioni ingiustificate di esclusiva o di vantaggio in relazione ad attività sempre espletate liberamente nel libero mercato.

Considerato in diritto

1.- La questione sottoposta, in via incidentale, all’esame della Corte riguarda l’art. 36 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, nonchè di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni), nel testo risultante dall’art. 1 del decreto legislativo 28 dicembre 1998, n. 490 (Disposizioni integrative del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, concernenti la revisione della disciplina dei centri di assistenza fiscale), nella parte in cui introduce la "certificazione tributaria", conferendo il potere del relativo rilascio in via esclusiva a determinate categorie di professionisti, cioé ai revisori contabili iscritti da almeno cinque anni negli albi dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali e dei consulenti del lavoro, a condizione che gli stessi abbiano tenuto le scritture contabili dei contribuenti nel corso del periodo di imposta cui si riferisce la certificazione.

E’ denunciata la violazione:

- degli artt. 76 e 77 della Costituzione, per eccesso di delega, in quanto, nell’ambito della delegazione attribuita dall’art. 3, comma 134, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, il legislatore delegato si sarebbe dovuto limitare a dettare disposizioni riguardanti le modalità di presentazione delle dichiarazioni, senza affidare a determinate categorie di professionisti controlli di natura diversa da quelli meramente formali ed automatici, e in ogni caso non avrebbe dovuto conferire esclusiva di attività a determinate categorie professionali;

- degli artt. 3, 4 e 35 della Costituzione, per la ingiustificata limitazione alla scelta lavorativa ed al libero svolgimento di attività lavorative nei confronti di soggetti che legittimamente potrebbero esercitarle;

- dell’art. 97 della Costituzione, perchè sarebbe contrario ad ogni principio di buona amministrazione che il soggetto certificatore e controllore in luogo del fisco sia colui che ha tenuto la contabilità.

2.- Preliminarmente devono essere affrontati i profili attinenti alla ammissibilità dell’intervento del Presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti e le eccezioni di inammissibilità sollevate nei riguardi delle questioni sollevate.

L’intervento del Presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, sia in proprio sia nella qualità, deve essere dichiarato inammissibile, sia perchè egli non é stato parte in causa nel giudizio a quo (v., per tutte, l'ordinanza n. 289 del 1999), sia perchè é portatore, nella duplice qualità, di un interesse meramente riflesso ed eventuale rispetto alla presente controversia (cfr. ordinanza letta in udienza 20 febbraio 2001, allegata alla sentenza n. 189 del 2001).

In ordine alla ammissibilità delle questioni, sotto il profilo della rilevanza, l’eccezione sollevata dalla difesa dello Stato é priva di fondamento in quanto il giudice a quo fornisce una motivazione plausibile della rilevanza stessa, valevole per tutti i profili denunciati, che porterebbero in astratto alla pronuncia di illegittimità della disposizione regolamentare impugnata avanti allo stesso giudice, come conseguenza della illegittimità costituzionale della norma di legge denunciata, cui lo stesso regolamento dà attuazione e su cui si basa. Di fronte a tale motivazione non é consentito in questa sede un ulteriore sindacato sull’effettivo interesse nel giudizio a quo ad un annullamento - e sull’ampiezza dello stesso annullamento - degli atti impugnati avanti al Tar, per effetto di una caducazione della norma di legge denunciata, che costituisce la base ed il presupposto degli stessi atti impugnati avanti al giudice amministrativo.

3.- La questione non é fondata.

Quanto alla ampiezza, al contenuto e ai limiti della delega legislativa, é necessario risalire alla sua ratio, che trova conferma nel collegamento con l'insieme organico di misure ispirate ad una medesima logica, vale a dire la semplificazione e la razionalizzazione del sistema tributario, l'adeguamento dell'efficacia e delle capacità di intervento degli strumenti e dell'attività dell'amministrazione finanziaria (Relazione V Commissione Camere n. 2372 A 1).

Il legislatore delegante (legge 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma 134, primo periodo, lettera d, numero 4), al fine di semplificare gli adempimenti e di riorganizzare il lavoro degli uffici, intendeva utilizzare "strutture intermedie" (tra contribuente e amministrazione finanziaria), con il proposito di avvalersene, non solo per una assistenza fiscale a favore e nell’interesse prevalente del contribuente-imprenditore, ma anche per l’affidamento, a dette "strutture" qualificate (individuate entro fasce di soggetti), di adempimenti - correlati ad assunzioni di responsabilità - nel quadro di un alleggerimento del lavoro degli stessi uffici. Ciò all’evidente scopo di consentire controlli e verifiche, più agevoli e concentrati, degli uffici finanziari su dati in vario modo già oggetto di elaborazione e riscontro da parte delle anzidette strutture intermedie, che ne assumevano responsabilità concorrente.

In altri termini, si puntava ad addossare a soggetti qualificati, estranei all’apparato degli uffici, compiti di collaborazione nel campo suindicato, con affidamento di svariati oneri e adempimenti, che venivano svolti nell’interesse prevalente dell’amministrazione (acquisizione delle dichiarazioni, trasferimento con procedure telematiche, predisposizione per l’informatizzazione, assistenza fiscale e adempimenti vari, con assunzione delle relative responsabilità ecc.). La delega lasciava al Governo spazio di scelta sia tra le varie possibili tipologie di utilizzazione di centri autorizzati di assistenza fiscale, di associazioni di categoria per gli associati e di studi professionali per i clienti, sia tra gli adempimenti (da demandare ai predetti soggetti) e tra le responsabilità da imporre, nell'ambito ampio di "adeguamento al nuovo sistema".

Questo rapporto collaborativo si inquadra in una metodologia di riorganizzazione dell’attività amministrativa rivolta principalmente a verifica e a riscontro di dati ed elementi raccolti e basati su dichiarazioni e asseverazioni, con assunzione di responsabilità da parte del soggetto dichiarante.

Gli adempimenti, suscettibili di essere demandati alle strutture intermedie (art. 3, comma 134, lettera d, numero 4, della legge 23 dicembre 1996, n. 662), non erano per niente limitati a controlli meramente formali ed automatici (sarebbe bastata la consolidata assistenza fiscale tradizionale con alcune innovazioni), ancorchè relativi alla presentazione delle dichiarazioni (e relative modalità), ma potevano coinvolgere anche profili sostanziali, con opportune garanzie attitudinali e di responsabilità dei soggetti abilitati.

4.- La discrezionalità del legislatore delegato é stata esercitata nei limiti della delega, che prevedeva - tra l’altro - che adempimenti potessero essere affidati a "studi professionali", con il presupposto necessario della iscrizione in determinati albi professionali.

D’altro canto non vi era esigenza di uniformità degli adempimenti da demandare, che potevano variare dalla semplice assistenza (tradizionale assistenza con controlli meramente formali), al visto di conformità, e ad altri adempimenti, essendo molto diversificate le posizioni, i compiti (fino ad un controllo sostanziale delle dichiarazioni dei clienti degli studi professionali) e soprattutto le capacità attitudinali delle diverse "strutture intermedie" utilizzabili (centri assistenza fiscale, associazioni di categoria, studi professionali). Nello stesso tempo si trattava di adempimenti nuovi rispetto a quelli in precedenza configurati, con libertà di avvalersene o meno da parte del contribuente titolare di redditi di impresa in determinate situazioni (incentivato da alcune garanzie e benefici procedurali).

Pertanto non può configurarsi sul piano giuridico una sottrazione di attività, anche perchè la garanzia del diritto al lavoro non comporta la indistinta libertà di svolgere qualsiasi attività professionale, spettando al legislatore la scelta di requisiti attitudinali di preparazione, di esperienza e capacità professionale (sentenza n. 441 del 2000).

Nè può ritenersi arbitraria la scelta, operata nel decreto legislativo delegato, di attribuire a professionisti muniti di particolari requisiti attitudinali (revisori contabili, iscritti in determinati e specifici albi professionali, con una anzianità professionale di 5 anni) la facoltà di rilasciare la certificazione tributaria, prescrivendo la esistenza di determinati presupposti, collegati alla delicatezza della operazione e alla effettività di conoscenza e riscontro della regolarità degli adempimenti imposti, richiedendo particolari doti professionali e prevedendo correlative responsabilità, a garanzia degli interessi dell’amministrazione ad un corretto svolgimento dell’adempimento. Ed é evidente il rapporto tra tali scelte e le esigenze di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione, necessariamente collegate a requisiti attitudinali dei soggetti (professionisti) utilizzabili.

Giova sottolineare che l’alleggerimento delle verifiche da parte dell’amministrazione, in conseguenza del rilascio della certificazione tributaria, non comporta abdicazione ai poteri di controllo della stessa amministrazione, non essendo escluso un ineliminabile controllo sovraordinato, accompagnato da opportuna indicazione delle ragioni, in presenza di indizi di anomalie o di elementi di riscontro o irregolarità nella certificazione.

5.- Sulla base delle predette considerazioni deve escludersi che sussista il vizio dedotto di eccesso di delega legislativa, nonchè la denunciata violazione degli artt. 3, 4, 35 e 97 della Costituzione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 36 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241 (Norme di semplificazione degli adempimenti dei contribuenti in sede di dichiarazione dei redditi e dell'imposta sul valore aggiunto, nonchè di modernizzazione del sistema di gestione delle dichiarazioni), nel testo risultante dall’art. 1 del decreto legislativo 28 dicembre 1998, n. 490 (Disposizioni integrative del d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, concernenti la revisione della disciplina dei centri di assistenza fiscale), sollevata, in riferimento agli artt. 76, 77, 3, 4, 35 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20 giugno 2002.

Cesare RUPERTO, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in Cancelleria il 3 luglio 2002.