Ordinanza n. 420/2001

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ORDINANZA N.420

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-          Cesare Ruperto, Presidente

-          Massimo Vari

-          Riccardo Chieppa

-          Gustavo Zagrebelsky

-          Valerio Onida

-          Carlo Mezzanotte

-          Fernanda Contri

-          Guido Neppi Modona

-          Piero Alberto Capotosti

-          Franco Bile

-          Giovanni Maria Flick

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4-ter, comma 3, lettera b), del decreto legge 7 aprile 2000, n.82 (Modificazioni alla disciplina dei termini di custodia cautelare nella fase del giudizio abbreviato), convertito, con modificazioni, nella legge 5 giugno 2000, n. 144, e dell’art. 438, comma 5, del codice di procedura penale, in relazione all’art. 603, commi 1 e 3, stesso codice, promosso con ordinanza emessa il 22 novembre 2000 dalla Corte di assise di appello di Venezia nel procedimento penale a carico di P.R., iscritta al n. 129 del registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9, prima serie speciale, dell’anno 2001.

Visto l’atto di costituzione di P.R.;

udito nella camera di consiglio del 10 ottobre 2001 il Giudice relatore Giovanni Maria Flick.

Ritenuto che con ordinanza emessa il 22 novembre 2000 la Corte di assise di appello di Venezia ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-ter, comma 3, lettera b), della legge 5 giugno 2000, n. 144 — recte: del decreto-legge 7 aprile 2000, n. 82 (Modificazioni alla disciplina dei termini di custodia cautelare nella fase del giudizio abbreviato), convertito, con modificazioni, nella legge 5 giugno 2000, n. 144 — e dell’art. 438, comma 5, del codice di procedura penale, in riferimento all’art. 603, commi 1 e 3, del medesimo codice, sia nella parte in cui non consentono al giudice di appello di rifiutare l’ammissione al giudizio abbreviato, allorchè le prove da esso già ammesse ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen. risultino incompatibili con le finalità di economia processuale proprie del procedimento; sia nella parte in cui non prevedono che il giudice di appello possa escludere la riduzione premiale di pena connessa al rito alternativo, qualora, dopo l’ammissione a tale rito della parte richiedente, gli elementi desunti dal fascicolo del pubblico ministero non appaiano "in grado di impedire la prosecuzione della già deliberata rinnovazione dell’istruttoria";

  che il giudice a quo premette, in punto di fatto, di essere investito dell’appello proposto dall’imputato avverso la sentenza di condanna ad anni ventidue di reclusione, emessa nei suoi confronti in primo grado per i delitti di omicidio volontario aggravato ai sensi dell’art. 576, numero 5, codice penale e di violenza sessuale, previo riconoscimento delle attenuanti generiche e della diminuente del vizio parziale di mente, ritenute equivalenti all’aggravante contestata;

che in accoglimento della richiesta formulata nell’atto di appello a norma dell’art. 603, comma 1, cod. proc. pen., la Corte rimettente aveva disposto la rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale al fine dell’espletamento di una perizia sulla dinamica dei fatti e sulle condizioni di mente dell’imputato, ampliando peraltro d’ufficio l’ambito dell’indagine peritale in applicazione dell’art. 603, comma 3, cod. proc. pen.;

  che prima dell’esame dei periti, l’imputato aveva chiesto di essere ammesso al giudizio abbreviato ai sensi dell’art. 4-ter, comma 3, lettera b), del decreto-legge 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella legge 5 giugno 2000, n. 144: istanza che il giudice a quo aveva parimenti accolto, disponendo conseguentemente l’acquisizione del fascicolo del pubblico ministero;

che tuttavia — ritenendo che le risultanze di tale fascicolo non risolvessero i problemi di ordine probatorio a fronte dei quali era stata disposta la rinnovazione del dibattimento — il giudice a quo aveva completato le attività istruttorie in precedenza deliberate;

  che, quanto alla non manifesta infondatezza della questione, la Corte rimettente rileva come — di seguito alle radicali modifiche della disciplina del giudizio abbreviato introdotte dalla legge 16 dicembre 1999, n. 479 — il citato art. 4-ter del d.l. n. 82 del 2000 (aggiunto dalla legge di conversione n. 144 del 2000) abbia dettato, al comma 2, una speciale disciplina transitoria, concernente i processi penali per reati punibili con la pena dell’ergastolo (quale quello a quo, a fronte dell’aggravante di cui all’art. 576, numero 5, codice penale, contestata in rapporto al reato di omicidio) in corso alla data di entrata in vigore della stessa legge di conversione e nei quali, prima della data di entrata in vigore della legge n. 479 del 1999, era scaduto il termine per la proposizione della richiesta del rito alternativo;

che, in particolare, si é previsto che l’imputato possa chiedere, nella prima udienza utile successiva, che il processo, "ai fini dell’articolo 442, comma 2, del codice di procedura penale", sia immediatamente definito, anche sulla base degli atti del fascicolo del pubblico ministero: facoltà, questa, esercitabile — in forza del comma 3, lettera b), dell’art. 4-ter del d.l. n. 82 del 2000 — anche nei giudizi di appello, a condizione che sia stata disposta la rinnovazione dell’istruzione ai sensi dell’art. 603 cod. proc. pen. e che la richiesta venga presentata prima della conclusione dell’istruzione medesima;

  che nell’ipotesi considerata, peraltro, il giudice di appello non potrebbe comunque negare l’accesso al rito speciale: e ciò neppure quando, dopo l’ampliamento del materiale processuale conseguente all’acquisizione del fascicolo del pubblico ministero, egli ravvisi (come nella specie) la perdurante necessità di procedere all’attività istruttoria;

che l’art. 438, comma 5, cod. proc. pen., come sostituito dalla legge n. 479 del 1999 — che il rimettente assume "teoricamente applicabile al giudizio di appello in relazione alla regola estensiva dell’art. 598 cod. proc. pen." — limita, infatti, il potere del giudice di respingere la richiesta di giudizio abbreviato alla sola ipotesi in cui l’imputato abbia subordinato la richiesta stessa ad una integrazione probatoria che appaia incompatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento: situazione, questa, che non ricorrerebbe nella fattispecie avuta di mira, non essendosi al cospetto di una integrazione probatoria richiesta dall’imputato quale condizione di ammissione al rito, ma di una attività istruttoria disposta dallo stesso giudice di secondo grado sulla base della constatazione "di non essere in grado di decidere" (nell’ipotesi di rinnovazione su richiesta dell’appellante, ex art. 603, comma 1, cod. proc. pen.), ovvero di una valutazione di assoluta necessità dell’attività medesima (nell’ipotesi di rinnovazione ex officio, ai sensi del comma 3 dell’art. 603 cod. proc. pen.);

  che in tal modo, peraltro, le norme denunciate si porrebbero in contrasto "con il combinato disposto degli artt. 3 e 97 Cost. per violazione del parametro della ragionevolezza", equiparando illogicamente la situazione dell’imputato che chieda il rito alternativo in primo grado, rinunciando a proporre istanze probatorie, o proponendole solo "in via subordinata", ai sensi dell’art. 438, comma 5, cod. proc. pen.; e quella dell’imputato che, in base alla disciplina transitoria de qua, formuli la medesima richiesta in appello, "non solo a "strategie difensive di parte" pressochè esaurite, ma in un quadro di sviluppi probatori tendenzialmente favorevoli", beneficiando, così, di una riduzione di pena "senza alcuna contropartita reale per lo Stato" in termini di economia processuale;

  che non costituirebbe, infatti, una reale contropartita la mera acquisizione del fascicolo del pubblico ministero, quante volte gli atti in esso contenuti risultino inidonei a "dirimere il dubbio" a fronte del quale il giudice di appello si era indotto a ricorrere alle "risorse eccezionali" di cui all’art. 603 cod. proc. pen.: in simile situazione, difatti, il giudice di appello non potrebbe rinunciare a procedere all’attività istruttoria già ritenuta essenziale senza violare "il canone, non solo normativo ma etico del giudizio penale, dell’obbligo di ricercare la verità, anche al di là ed in assenza di stimoli di parte";

  che si é costituito nel giudizio di costituzionalità l’imputato nel processo a quo, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

  Considerato che la Corte di assise di appello di Venezia — nel sottoporre a scrutinio di costituzionalità l’art. 4-ter, comma 3, lettera b), del d.l. 7 aprile 2000, n. 82, convertito, con modificazioni, nella legge 5 giugno 2000, n. 144, e l’art. 438, comma 5, cod. proc. pen., in riferimento all’art. 603, commi 1 e 3, dello stesso codice — chiede a questa Corte due distinti interventi di tipo additivo, i quali si pongono in rapporto di necessaria alternatività logico-giuridica fra loro, in quanto ciascuno di essi varrebbe ad eliminare, per via diversa, gli asseriti profili di illegittimità costituzionale delle norme denunciate;

  che il rimettente invoca, infatti, da un lato, un intervento sanante "a monte", consistente nell’attribuzione al giudice di appello del potere di negare l’accesso al rito alternativo — richiesto dall’imputato di reato punibile con l’ergastolo in forza della disciplina transitoria di cui all’art. 4-ter del d.l. n. 82 del 2000 — sulla base di una valutazione di incompatibilità della rinnovazione dell’istruttoria precedentemente disposta da detto giudice con le finalità di economia processuale proprie del procedimento (valutazione omologa a quella prevista "a regime" dall’art. 438, comma 5, cod. proc. pen. per l’ipotesi di richiesta di giudizio abbreviato subordinata ad una integrazione probatoria);

  che il giudice a quo prospetta, peraltro, anche un intervento sanante "a valle", costituito dal conferimento al giudice di appello del potere di negare — a rito alternativo già ammesso — la riduzione "premiale" di pena, quante volte gli elementi desumibili dal fascicolo del pubblico ministero (acquisito proprio a seguito dell’ammissione del rito) non facciano venir meno la necessità di procedere alla rinnovazione dell’istruttoria;

  che dal tenore dell’ordinanza di rimessione non é dato in alcun modo desumere a quale fra le due soluzioni alternative prospettate il giudice rimettente attribuisca carattere prioritario;

  che, pertanto — a prescindere da ogni considerazione in ordine all’irrilevanza nel processo a quo del primo dei due interventi (avendo nella specie il rimettente già disposto il rito alternativo), e dall’assenza, nell’ordinanza, di qualsiasi considerazione in ordine alla particolare ratio della disciplina transitoria impugnata - la questione deve essere dichiarata manifestamente inammissibile, in quanto prospettata in modo ancipite (cfr., ex plurimis, ordinanze n. 78 e n. 418 del 2000).

  Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

  dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 4-ter, comma 3, lettera b), del decreto-legge 7 aprile 2000, n. 82 (Modificazioni alla disciplina dei termini di custodia cautelare nella fase del giudizio abbreviato), convertito, con modificazioni, nella legge 5 giugno 2000, n. 144, e dell’art. 438, comma 5, del codice di procedura penale, in riferimento all’art. 603, commi 1 e 3, del medesimo codice, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dalla Corte di assise di appello di Venezia con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Giovanni Maria FLICK, Redattore

Depositata in Cancelleria il 21 dicembre 2001.