Ordinanza n. 78/2000

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ORDINANZA N. 78

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI 

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Guido NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 410, comma 3, del codice di procedura penale e 31 delle disposizioni di attuazione del predetto codice, promosso con ordinanza emessa il 26 novembre 1998 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bolzano nel procedimento penale a carico di persona da identificare, iscritta al n. 496 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 1999.

 Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 23 febbraio 2000 il Giudice relatore Guido Neppi Modona.

Ritenuto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bolzano ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 23, 24 e 27 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 410, comma 3, del codice di procedura penale, nella parte in cui, secondo l'interpretazione della Cassazione, consente al privato che assume di essere persona offesa di un reato di provocare la fissazione dell'udienza in camera di consiglio per discutere della richiesta di archiviazione del pubblico ministero, senza che il giudice possa operare un <<severo vaglio>> dell'opposizione della persona offesa, <<così legittimando qualunque cittadino a far subire ad altri spese legali ed a protrarre a suo carico nel tempo la qualità di soggetto indagato>>, nonché dell'art. 31 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale, nella parte in cui <<addossa obbligatoriamente al cittadino l'onere di pagare l'onorario al difensore di ufficio in funzione del comportamento di un terzo, sia esso un privato o un pubblico ministero, indipendentemente dall'accertamento di un suo comportamento doloso o colposo e da un provvedimento che, effettuato tale accertamento, gli addossi l'onere>>;

 che il rimettente premette in fatto che due sorelle avevano denunciato per omissione di atti d'ufficio il medico di guardia di un ospedale «esponendo suoi comportamenti, sfociati nella morte della loro madre, curata dallo stesso, configurabili come omissione di atti d'ufficio»;

 che il pubblico ministero aveva richiesto l'archiviazione, avverso la quale le denuncianti avevano proposto opposizione, sicuramente ammissibile in quanto presentata in termini e contenente la richiesta di nuove indagini, che peraltro, ad avviso del rimettente, non avrebbero portato <<comunque ad una diversa valutazione conclusiva>>;

 che in tale situazione il giudice sarebbe tenuto a fissare l'udienza in camera di consiglio a norma degli artt. 410, comma 3, e 409, comma 2, cod. proc. pen., e ad invitare il medico di guardia a nominare un difensore di fiducia o, in difetto, a nominargli un difensore di ufficio, che dovrebbe comunque essere retribuito ai sensi dell'art. 31 disp. att. cod. proc. pen., con la conseguenza che <<anche l'indagato per sbaglio, anche l'indagato che senza alcuna difficoltà può comprovare la sua estraneità all'indagine... si trova ad essere obbligato al pagamento di una parcella>>;

che ad avviso del rimettente le norme censurate contrasterebbero:

- con l'art. 3 Cost., a causa dell'irragionevolezza di un sistema che, a norma dell'art. 410, comma 3, cod. proc. pen., preclude al giudice, investito della richiesta di archiviazione a seguito dell'opposizione della persona offesa, di effettuare un controllo di garanzia su una iniziativa sicuramente dannosa per la persona sottoposta alle indagini, e impone al giudice stesso, nel fissare l'udienza in camera di consiglio, di nominare all'indagato che sia privo di un difensore di fiducia un difensore, che dovrà essere retribuito a norma dell'art. 31 disp. att. cod. proc. pen.;

- con l'art. 23 Cost., in quanto l'indagato è costretto a sopportare i costi che discendono dal suo coinvolgimento, anche senza colpa e responsabilità, nel meccanismo giudiziario innestato dall'opposizione della persona offesa, nei cui confronti non vi è possibilità di rivalsa, né responsabilità per danni;

- con l'art. 24 Cost. perché, non essendo previsto che l'indagato ha l'obbligo di retribuire il difensore di ufficio solo quando sia accertato un suo comportamento doloso o colposo, il cittadino risulta del tutto privo di difesa di fronte a comportamenti illegittimi di terzi;

- con l'art. 27 Cost., in quanto il principio della presunzione di non colpevolezza risulta violato ove siano addossati degli oneri al cittadino non a seguito di condanna, ma solo in relazione al fatto casuale di essere indagato;

 che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, deducendo la inammissibilità della questione e, comunque, la sua infondatezza.

 Considerato che il rimettente sottopone contestualmente a censura di legittimità costituzionale, per le medesime ragioni e con riferimento ai medesimi parametri, l'art. 410, comma 3, cod. proc. pen., nella parte in cui prevede che il giudice per le indagini preliminari, salvo che l'opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione del pubblico ministero sia inammissibile e la notizia di reato infondata, debba fissare l'udienza in camera di consiglio, alla quale sono chiamati a partecipare il pubblico ministero, la persona offesa, la persona sottoposta alle indagini ed i rispettivi difensori, e l'art. 31 disp. att. cod. proc. pen., ove è disposto l'obbligo di retribuire l'attività del difensore di ufficio;

 che le due censure si pongono in rapporto di reciproca subordinazione logica, in quanto l'accoglimento di una delle due priverebbe, alternativamente, di rilievo l'altra: da un lato, infatti, le ragioni della non manifesta infondatezza della censura nei confronti della norma che impone al giudice di fissare l'udienza in camera di consiglio vengono individuate dal rimettente nella supposta ingiustizia dell'obbligo posto a carico dell'indagato "innocente" di retribuire il difensore nominato di ufficio; dall'altro l'illegittimità costituzionale della norma che impone alla persona sottoposta alle indagini di retribuire comunque il difensore di ufficio viene prospettata come una conseguenza della fissazione dell'udienza in camera di consiglio;

 che dall'ordinanza di rimessione non è dato desumere a quale delle due censure il rimettente attribuisca prevalenza: se, cioè, il giudice a quo si proponga in via principale di ottenere da questa Corte una pronuncia che gli consenta di decidere de plano sull'opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione, senza fissare l'udienza in camera di consiglio, in modo che all'indagato "incolpevole" non debbano essere accollate le spese relative alla retribuzione del difensore di ufficio, ovvero indichi come soluzione principale una decisione volta ad abolire l'obbligo dell'indagato "incolpevole" di retribuire il difensore chiamato ad assisterlo nell'udienza in camera di consiglio;

 che l'impossibilità di individuare quale sia la sentenza additiva richiesta dal rimettente dimostra che la questione è prospettata in forma ancipite e, in quanto tale, inammissibile;

 che l'ambiguità della questione sottoposta all'esame della Corte trova conferma nell'impianto argomentativo dell'ordinanza di rimessione, da cui emerge che il giudice a quo lamenta in realtà la mancata previsione di una forma di responsabilità per soccombenza della persona offesa: aspetto, questo, che potrebbe tuttavia venire in rilievo solo all'esito del procedimento attivato dall'opposizione della persona offesa alla richiesta di archiviazione del pubblico ministero, nonostante il giudice a quo anticipi aprioristicamente che il contraddittorio in camera di consiglio non potrebbe comunque inficiare le proprie convinzioni sull'innocenza della persona denunciata;

 che per tali ragioni la questione va dichiarata manifestamente inammissibile.

 Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli artt. 410, comma 3, del codice di procedura penale e 31 delle disposizioni di attuazione del predetto codice, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 23, 24 e 27 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bolzano, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'8 marzo 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Guido NEPPI MODONA, Redattore

Depositata in cancelleria il 22 marzo 2000.