Sentenza n.393/2001

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SENTENZA N.393

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO 

- Massimo VARI         

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY  

- Valerio ONIDA        

- Carlo MEZZANOTTE         

- Fernanda CONTRI   

- Guido NEPPI MODONA    

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI    

- Franco BILE 

- Giovanni Maria FLICK        

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 43, commi 7 e 9, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), promossi con ordinanze emesse il 4 maggio 2000 (n. 3 ordinanze) dal Tribunale di Messina e il 10 luglio 2000 dal Tribunale di Venezia, rispettivamente iscritte ai nn. 518, 519, 520 e 587 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 40 e 43, prima serie speciale, dell'anno 2000.

  Visti gli atti di costituzione di Antonino Arena ed altri, di Ermanno Cesarò ed altri e della Ferrovie dello Stato s.p.a., nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

  udito nell'udienza pubblica del 6 novembre 2001 il Giudice relatore Franco Bile;

  uditi l'avvocato Paolo Tosi per la Ferrovie dello Stato s.p.a. e l'avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. Il Tribunale di Messina con ordinanza del 4 maggio 2000, resa nel corso di un giudizio civile promosso da alcuni ex-dipendenti della Ferrovie dello Stato s.p.a. nei confronti di quest'ultima, ha sollevato questione incidentale di legittimità costituzionale dell'art. 43, comma 9, della legge 23 dicembre 1998, n.448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), in riferimento agli artt. 3, 39 e 41 della Costituzione.

1.1. Il Tribunale rimettente espone in fatto che i ricorrenti, in possesso dei requisiti minimi di età e di contribuzione per il collocamento a riposo per pensionamento di vecchiaia, erano stati collocati a riposo d'ufficio in virtù del decreto-legge 10 settembre 1998, n. 324 (Disposizioni urgenti in materia di interventi previdenziali per il personale dipendente dalla Ferrovie dello Stato S.p.a.), non convertito, che prevedeva la sospensione fino al 1° gennaio 2002, nei confronti dei dipendenti delle Ferrovie dello Stato, delle disposizioni legislative che consentivano il mantenimento in servizio oltre i limiti d'età per il collocamento a riposo d'ufficio per il pensionamento di vecchiaia e la risoluzione dei rapporti di lavoro, dalla data di entrata in vigore di tale decreto-legge, nei casi in cui il detto mantenimento in servizio avesse già avuto corso. Il decreto-legge non era stato convertito, ma la successiva legge 23 dicembre 1998, n. 448, al comma 9 dell'art. 43, aveva espressamente previsto che restavano validi gli atti ed i provvedimenti adottati ed erano fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base del citato decreto-legge n.324 del 1998, contestualmente dettando (al comma 7) una disciplina per il futuro che prevedeva la concertazione sindacale nella gestione degli esuberi di personale.

I ricorrenti quindi hanno adito il Tribunale rimettente al fine di sentire dichiarare l'illegittimità della risoluzione del loro rapporto di lavoro perchè in violazione di norme legali e contrattuali regolatrici della materia.

Secondo il Tribunale rimettente la disposizione censurata si porrebbe innanzi tutto in contrasto con l'art. 3 Cost., atteso che risultano previste due diverse discipline, nel settimo e nel nono comma della citata legge n. 448 del 1998, per un’identica tipologia di lavoratori, determinando così una ingiustificata disparità di trattamento.

Il Tribunale ritiene poi leso anche l'art. 39 Cost., che sancisce la libertà di organizzazione sindacale, atteso che, nella specie, gli accordi stipulati dalla società con le organizzazioni sindacali sarebbero stati del tutto disattesi.

Infine il Tribunale ritiene violato l'art. 41 Cost., avendo il legislatore imposto alla società FF.SS. il collocamento a riposo dei dipendenti con il minimo dei requisiti contributivi in luogo del diverso criterio scelto dallo stesso imprenditore in accordo con le organizzazioni sindacali.

1.2. Con due ulteriori ordinanze, emesse nella stessa data (4 maggio 2000) il Tribunale di Messina, in analoga controversia tra la Ferrovie dello Stato s.p.a. ed altri suoi ex-dipendenti, ha sollevato, con le medesime argomentazioni, questione incidentale di costituzionalità del medesimo art. 43, comma 9, della legge n. 448 del 1998, in riferimento all'art. 3 Cost.

1.3. In tutti i giudizi si é costituita la Ferrovie dello Stato s.p.a., concludendo per la manifesta inammissibilità o infondatezza della questione.

1.4. E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ed ha chiesto che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

1.5. Nel giudizio di cui all'ordinanza n.520/2000 si sono costituiti anche i lavoratori ricorrenti, aderendo alla prospettazione dell'ordinanza e chiedendo quindi la declaratoria di incostituzionalità dell'art. 43, comma 9, della legge n. 448 del 1998.

2. Con ordinanza del 10 luglio 2000, il Tribunale di Venezia, nel corso di un analogo giudizio civile promosso da alcuni ex-dipendenti della Ferrovie dello Stato s.p.a. nei confronti di quest'ultima società, ha sollevato questione di costituzionalità del medesimo art. 43, commi 7 e 9, della legge n. 448 del 1998, in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost.

Secondo il Tribunale, la normativa censurata differenzia ingiustificatamente una singola impresa rispetto ad altre del settore e nello stesso tempo, precludendo solo ai suoi dipendenti di esercitare il diritto di opzione di cui all'art. 16 del d.lgs. n. 503 del 1992, li differenzia da altri lavoratori, negando solo a loro la possibilità di migliorare ulteriormente la propria posizione contributiva, in violazione anche dell'art. 38 Cost.

2.1. Si sono costituiti i lavoratori ricorrenti aderendo alla prospettazione dell'ordinanza e chiedendo quindi la declaratoria di incostituzionalità della disposizione censurata.

2.2. Anche in questo giudizio é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

3. In prossimità dell'udienza le parti costituite e l'Avvocatura generale dello Stato hanno presentato memorie.

Considerato in diritto

1. E' stata innanzi tutto sollevata questione di legittimità costituzionale dell'art. 43, comma 9, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), nella parte in cui prevede che restano salvi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodottisi ed i rapporti giuridici sorti sulla base dell'art. 1 del decreto-legge 10 settembre 1998, n. 324 (Disposizioni urgenti in materia di interventi previdenziali per il personale dipendente dalla Ferrovie dello Stato S.p.a.), così consolidando la cessazione ex lege del rapporto di lavoro (e quindi il collocamento a riposo d'ufficio) dei lavoratori dipendenti della Ferrovie dello Stato s.p.a., i quali, prima della data di entrata in vigore di tale decreto-legge, avevano optato per la prosecuzione del servizio oltre i raggiunti limiti di età per il pensionamento di vecchiaia.

Deve premettersi che l'art. 1 del decreto-legge n. 324 del 1998 aveva introdotto al primo comma la sospensione temporanea (dalla data di entrata in vigore del decreto-legge fino al 1° gennaio 2002), per i dipendenti della Ferrovie dello Stato s.p.a., del beneficio, accordato in generale ai lavoratori subordinati, di optare per la prosecuzione del rapporto di lavoro oltre il ricordato limite di età, al fine di incrementare l’anzianità contributiva (art. 6 d.l. 22 dicembre 1981, n. 791, convertito in legge 26 febbraio 1982, n.54, e successive modificazioni); e aveva previsto anche, al secondo comma, la sostanziale neutralizzazione degli effetti delle opzioni già esercitate, nel senso che, nel caso di mantenimento in servizio per effetto di opzioni esercitate prima della data di entrata in vigore del decreto-legge, i rapporti di lavoro erano risolti dalla stessa data.

Il decreto-legge non é stato convertito, ma gli effetti prodottisi sono stati fatti salvi dall'art. 43, comma 9, della legge n. 448 del 1998, oggi impugnato. Dal suo canto, il comma 7 di questo articolo conferma la sospensione della facoltà di opzione fino al 1° gennaio 2002, e però precisa che tale sospensione opera unicamente nei confronti dei lavoratori in esubero <<nel numero che sarà concordato con le organizzazioni sindacali di categoria dalla Ferrovie dello Stato S.p.a.>>, così riconoscendo espressa rilevanza alla verifica e alla concertazione sindacale in materia di esuberi dei lavoratori che abbiano maturato il diritto alla pensione di vecchiaia. Inoltre, l’ultimo periodo dello stesso comma 7 prevede che, ove il mantenimento in servizio sia iniziato prima della data di entrata in vigore della legge, <<i rapporti di lavoro sono risolti dalla data stessa>>.

I giudici rimettenti ritengono che il comma 9 dell’art. 43 violi:

- l’art. 3 Cost., sotto il profilo di una duplice lesione del principio di eguaglianza: da un lato, il trattamento dei lavoratori dipendenti della Ferrovie dello Stato s.p.a. in possesso dei requisiti per il pensionamento di vecchiaia, collocati in quiescenza in forza del decreto-legge n. 324 del 1998, sarebbe ingiustificatamente deteriore rispetto a quello dei dipendenti della stessa società in possesso dei medesimi requisiti collocati in quiescenza nel vigore dell'art. 43 della legge n. 448 del 1998, in quanto la risoluzione del rapporto di lavoro avverrebbe ope legis per i primi, mentre per i secondi avrebbe come presupposto la previa valutazione della loro condizione di esubero da concordarsi con le organizzazioni sindacali di categoria; e d’altro lato, la normativa censurata differenzierebbe ingiustificatamente una singola impresa rispetto ad altre del settore e, nello stesso tempo, precluderebbe solo ai suoi dipendenti l’esercizio del diritto di opzione in esame, così differenziandoli dagli altri lavoratori;

- l'art. 38 Cost., perchè la normativa censurata preclude ai soli dipendenti della Ferrovie dello Stato s.p.a. di migliorare ulteriormente, con l’opzione, la propria posizione contributiva;

- l'art. 39 Cost., per violazione della libertà di organizzazione sindacale, in quanto la normativa censurata non tiene conto che le organizzazioni sindacali avevano concordato (con la Ferrovie dello Stato) il collocamento a riposo solo per i dipendenti che avessero raggiunto i 37 anni di anzianità contributiva;

- l'art. 41 Cost., per violazione del principio di libertà di iniziativa economica privata, in quanto il legislatore ha imposto alla Ferrovie dello Stato s.p.a. il collocamento a riposo dei dipendenti con il minimo dei requisiti contributivi, in luogo del diverso criterio (raggiungimento di 37 anni di anzianità contributiva) da essa concordato con le organizzazioni sindacali.

2. I giudizi possono essere riuniti, avendo ad oggetto (almeno in parte) la medesima disposizione.

3. La questione non é fondata.

4. Il quadro normativo risultante dal decreto-legge n. 324 del 1998 e dalla legge n. 448 del 1998 deve essere considerato alla luce del principio sovente affermato da questa Corte (ex plurimis, sentenze nn. 190 e 520 del 2000), secondo cui il vizio di illegittimità costituzionale non sussiste ove sia possibile l'interpretazione conforme a Costituzione, per cui, a fronte di più interpretazioni della norma della cui legittimità si dubita, occorre seguire quella conforme ai parametri costituzionali altrimenti vulnerati.

Orbene, può ritenersi che il comma 2 dell’art. 1 del decreto-legge n. 324 del 1998 - di cui l’impugnato comma 9 dell'art. 43 della legge n. 448 del 1998 ha fatto salvi gli effetti - abbia predisposto, in via eccezionale e transitoria, un meccanismo risolutorio ad nutum senza preavviso, che però rimaneva pur sempre nella disponibilità delle parti (ed essenzialmente della società datrice di lavoro) e quindi presupponeva l'atto di recesso dal rapporto (non diversamente dalla fattispecie contemplata, per l'ipotesi del raggiungimento della massima anzianità contributiva, dall'ultimo comma dell’art. 6 del citato decreto-legge n. 791 del 1981, e dall'ultimo comma dell'art. 6 della legge 29 dicembre 1990, n.407).

Tale meccanismo - poi reiterato nell’ultimo periodo del comma 7 del medesimo art. 43 della legge n. 448 del 1998 - preserva l'autonomia delle parti, onde l’esercizio del recesso non esonera la società datrice di lavoro dalle conseguenze dell'inadempimento di eventuali obblighi assunti con le organizzazioni sindacali in accordi aziendali in tema di esuberi di personale.

In realtà, sia il decreto-legge n. 324 del 1998, non convertito, sia il comma 9 dell’art. 43 della legge n. 448 del 1998, che ne fa salvi gli effetti, presuppongono un quadro di concertazione sindacale in atto e ben noto, tant'é che la relazione al disegno di legge di conversione del decreto ricollegava l'urgenza di provvedere alla <<difficoltà di chiudere la trattativa sindacale sugli esuberi in presenza di una norma che rendeva possibile la permanenza in servizio a chi ha maturato il limite di età per il pensionamento di vecchiaia>>. L’intento di agevolare la trattativa sindacale spiega quindi tanto la sospensione dell'esercizio della facoltà di opzione, che pareva rappresentasse per le parti una difficoltà di ordine normativo, quanto la neutralizzazione delle opzioni già esercitate in passato, con la previsione di una risoluzione immediata del rapporto senza preavviso. Le due misure infatti consentivano che gli esuberi potessero essere gestiti dalle parti sociali senza i vincoli derivanti all'ordinario regime dell'opzione.

Coerente a tale finalità, sottesa alla normativa in esame, é anche il comma 7 dell'art. 43 della legge n. 448 del 1998 che - disponendo per il futuro - eleva l'accordo sindacale a presupposto legale della sospensione della facoltà di opzione, così esprimendo una decisa scelta a favore della concertazione sindacale.

Del resto, il quadro complessivo di questo particolare intervento di settore offre elementi di conferma dell'interpretazione della disposizione censurata: tanto il comma 1 dell'art. 1 del decreto-legge n. 324 del 1998, che il comma 7, prima parte, dell'art. 43 della legge n. 448 del 1998 presuppongono chiaramente un atto di recesso; ed anche il comma 8 del medesimo art. 43, che disciplina taluni aspetti della risoluzione, implica l’esistenza di un tale atto.

5. Così ricostruita la disposizione impugnata, le censure di costituzionalità devono ritenersi infondate.

5.1. Quanto all'art. 3 Cost. - sotto il profilo della disparità di trattamento interna all’azienda, ravvisata nella comparazione tra i dipendenti della Ferrovie dello Stato s.p.a., in possesso dei requisiti per il pensionamento di vecchiaia, che avevano optato per la prosecuzione del rapporto, considerati dal decreto-legge n. 324 del 1998, e i dipendenti della stessa società, in possesso di medesimi requisiti, che avevano esercitato identica opzione, considerati dalla legge n. 448 del 1998 - deve escludersi che i primi siano collocati in quiescenza ex lege, mentre per i secondi la risoluzione del rapporto di lavoro sia condizionata alla previa valutazione della condizione di esubero da concordarsi con le organizzazioni sindacali di categoria. In entrambe le ipotesi, infatti, la risoluzione discende dal recesso unilaterale della società, e gli accordi sindacali sono esterni alla risoluzione prevista dalla legge, pur se rilevano sul piano dell'inadempimento contrattuale.

Quanto poi all'altra censura di disparità di trattamento ravvisata nella comparazione tra i dipendenti della Ferrovie dello Stato s.p.a. ed i lavoratori di tutti gli altri settori produttivi, é sufficiente richiamare le esigenze di risanamento dell'azienda, risultanti anche dall'art. 59 della legge 27 dicembre 1997, n. 449 (Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica), che ha all’uopo previsto uno speciale fondo; tali esigenze congiunturali rappresentano un elemento differenziale sufficiente a giustificare una disciplina speciale e transitoria dell'opzione per la prosecuzione del rapporto di lavoro (cfr. anche, in materia di prepensionamento, la sentenza n. 456 del 1990).

5.2. Neppure sussiste la violazione dell'art. 39 Cost.

Pur se il riconoscimento dell'autonomia sindacale, contenuto nel parametro evocato, non implica una riserva in suo favore nella materia della disciplina dei rapporti di lavoro (cfr. sentenza n. 419 del 2000), la quale rientra pur sempre nella discrezionalità del legislatore, tuttavia quest'ultimo <<non può comprimere la libertà di azione dei sindacati che certamente comprende anche l'autonomia negoziale>> (sentenza n. 697 del 1988).

Nella fattispecie però la censurata disposizione del decreto-legge non comprime affatto gli spazi dell'autonomia sindacale, atteso che - come già rilevato - il fatto che la società possa giovarsi della risoluzione immediata del rapporto anche nei confronti di coloro che abbiano già optato per la sua prosecuzione, non pregiudica l’ottemperanza agli impegni assunti negli accordi sindacali.

5.3. Parimenti infondata é la censura relativa all'art. 41 Cost., atteso che, nella menzionata prospettiva interpretativa, la libertà di iniziativa economica é pienamente salvaguardata, essendo la società datrice di lavoro libera di esercitare o meno il recesso.

6. Infine infondata, sotto ogni prospettiva interpretativa, é la censura di violazione dell'art. 38 Cost. Questa Corte ha infatti più volte ritenuto che non c'é garanzia costituzionale dell'aspettativa del lavoratore a raggiungere il massimo dell'anzianità contributiva, in quanto <<sul piano costituzionale il bene protetto é rappresentato dal conseguimento della pensione al minimo, mentre non gode uguale protezione il raggiungimento del trattamento pensionistico al massimo>> (ex plurimis ordinanza n. 195 del 2000).

7. Il Tribunale di Venezia ha anche sollevato la questione di legittimità costituzionale del comma 7 dell’art. 43 della legge n. 448 del 1998 (che dispone per l’avvenire, per il periodo che va dall’entrata in vigore della stessa legge fino al 1° gennaio 2002), in riferimento agli artt. 3 e 38 Cost.

La questione é manifestamente inammissibile per irrilevanza. Infatti tutti i giudizi a quibus concernono vicende di dipendenti della Ferrovie dello Stato s.p.a. collocati a riposo d’ufficio ai sensi dell’art. 1, comma 2, del decreto-legge n. 324 del 1998, non convertito, e cioé vicende relative ad un periodo anteriore all’entrata in vigore della norma impugnata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 43, comma 9, della legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo) sollevata, in riferimento agli artt. 3, 38, 39 e 41 della Costituzione, dal Tribunale di Messina e dal Tribunale di Venezia con le ordinanze indicate in epigrafe;

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 43, comma 7, della legge 23 dicembre 1998, n. 448, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 38 della Costituzione, dal Tribunale di Venezia con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 dicembre 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in Cancelleria l'11 dicembre 2001.