Sentenza n. 190/2000

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SENTENZA N. 190

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI  

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE   

- Giovanni Maria FLICK   

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 4-bis, prima proposizione, della legge 23 luglio 1991, n. 223 e successive modificazioni (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), promosso con ordinanza emessa il 10 novembre 1998 dalla Corte di cassazione sui ricorsi proposti da Giunti Fortunato ed altri contro la Curatela del Fallimento della Compagnia di autolinee tiberine s.p.a. e dalla Curatela del Fallimento della Compagnia di autolinee tiberine s.p.a. contro Giunti Fortunato ed altri, iscritta al n. 355 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1999.

 Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 10 maggio 2000 il Giudice relatore Franco Bile.

Ritenuto in fatto

1. - La Corte di cassazione, sezione lavoro, con ordinanza in data 20 febbraio 1999, ha sollevato - in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 11 della Costituzione - questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 4-bis, prima proposizione, della legge 23 luglio 1991, n. 223 (Norme in materia di cassa integrazione, mobilità, trattamenti di disoccupazione, attuazione di direttive della Comunità europea, avviamento al lavoro ed altre disposizioni in materia di mercato del lavoro), aggiunto dall'art. 6 del decreto legge 20 maggio 1993, n. 148 (convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236), nel testo risultante dalla modifica introdotta dall'art. 7 del d.l. 23 ottobre 1996, n.542 (convertito in legge 23 dicembre 1996, n. 649).

 La Corte rimettente premette che il 5 ottobre 1992 la Compagnia Autolinee Tiberine (CAT) s.p.a. licenziava taluni dipendenti ed il successivo 13 ottobre veniva dichiarata fallita; che alcuni lavoratori licenziati agivano dinanzi al Pretore di Arezzo, ritenendo trattarsi di licenziamento collettivo nullo per mancato espletamento della procedura prevista dagli artt. 4, 5 e 24 della legge n. 223 del 1991, e chiedendo la conseguente condanna della società a reintegrarli nel posto di lavoro ed a corrispondere loro le retribuzioni nel frattempo maturate; che la domanda veniva accolta dal Pretore, ma - su appello della curatela - la sentenza veniva riformata dal Tribunale di Arezzo, secondo il quale la disciplina sui licenziamenti collettivi posta dalla legge n. 223 del 1991 non era applicabile al rapporto di lavoro degli autoferrotranvieri, soggetto invece alla regolamentazione prevista dall'art.26 del r.d. 8 gennaio 1931, n. 148; pronuncia questa gravata di ricorso per cassazione sulla base (tra l'altro) della contestazione in diritto di tale affermazione.

 Osserva poi la Corte rimettente che - se è vero che la legge n. 223 del 1991 (che ha dato attuazione alla direttiva 75/129/CEE del 17 febbraio 1975, recante norme per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di licenziamenti collettivi) non ha operato alcuna distinzione quanto ai soggetti destinatari della normativa e quindi non ha escluso gli autoferrotranvieri - il successivo art. 6, comma 17-bis, del d.l. n. 148 del 1993, convertito in legge n. 236 del 1993, ha però introdotto nell'art. 3 della legge n. 223 del 1991 un comma 4-bis, secondo cui <<Le disposizioni in materia di mobilità ed il trattamento relativo si applicano anche al personale il cui rapporto sia disciplinato dal r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, che sia stato licenziato da imprese dichiarate fallite, o poste in liquidazione, successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge>>. In seguito il medesimo comma 4-bis è stato modificato dall'art. 7, comma 1, del d.l. n. 542 del 1996, convertito in legge n. 649 del 1996, che alle parole <<data di entrata in vigore della presente legge>> ha sostituito le parole <<data del 1° gennaio 1993>>. Conseguentemente le disposizioni in materia di mobilità della legge n. 223 del 1991 (fra le quali - secondo la Corte rimettente - rientrano anche le norme procedimentali di cui i lavoratori colpiti dal licenziamento collettivo lamentano la violazione) si applicano - per quanto concerne gli autoferrotranvieri - solo al personale licenziato da imprese dichiarate fallite o poste in liquidazione dopo il 1° gennaio 1993.

 Si sarebbe determinata così una disparità di trattamento fra gli autoferrotranvieri (i quali fruiscono della regolamentazione di cui alla direttiva europea ed alla legge di attuazione n. 223 del 1991 solo se licenziati da imprese fallite o poste in liquidazione dopo il 1° gennaio 1993) e i dipendenti di tutte le altre imprese (per i quali siffatta regolamentazione trova attuazione anticipata a partire dall'entrata in vigore della legge di attuazione), mentre un'ulteriore ingiustificata disparità di trattamento si avrebbe fra gli stessi autoferrotranvieri, secondo la data in cui sia intervenuta la dichiarazione di fallimento o la messa in liquidazione dell'impresa. Questa disciplina differenziata contrasterebbe poi anche con la menzionata direttiva che intende tutelare indistintamente tutti i lavoratori dipendenti da imprese con determinate dimensioni per i quali sia configurabile licenziamento collettivo.

2. - E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata manifestamente infondata: a suo avviso - per soddisfare inderogabili esigenze di contenimento della spesa pubblica - il legislatore ordinario dispone di ampia discrezionalità nella scelta di un dato temporale cui ricollegare la decorrenza di taluni effetti economici, ove tale scelta sia - come nella specie - funzionale alla salvaguardia dell'equilibrio del bilancio dello Stato e del perseguimento degli obiettivi della programmazione finanziaria.

Considerato in diritto

1. - La questione di legittimità costituzionale proposta dalla Corte di cassazione riguarda la disciplina dei licenziamenti collettivi intimati a lavoratori autoferrotranvieri da imprese dichiarate fallite o poste in liquidazione coatta amministrativa.

 E specificamente concerne il comma 4-bis, prima proposizione, dell'art. 3 della legge 23 luglio 1991, n. 223, aggiunto dall'art. 6, comma 17-bis, del d.l. 20 maggio 1993, n. 148, convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236, e poi modificato dall'art. 7, comma 1, del d.l. 23 ottobre 1996, n. 542, convertito in legge 23 dicembre 1996, n. 649.

 La questione è proposta sotto il profilo che tale comma - in quanto esclude gli autoferrotranvieri licenziati da imprese dichiarate fallite, o poste in liquidazione, anteriormente alla data del 1° gennaio 1993 dalle garanzie procedimentali previste dalla direttiva europea n. 75/129/CEE e dalla stessa legge n. 223 del 1991 (segnatamente con l'art. 24) - si porrebbe in contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 11 Cost. violando - oltre che l'obbligo dello Stato di adeguare la propria legislazione alla normativa comunitaria - il principio di eguaglianza, per l'ingiustificata disparità di trattamento fra gli autoferrotranvieri (tutelati da quelle garanzie procedimentali solo a partire dal 1° gennaio 1993) e tutti gli altri dipendenti (per i quali esse trovano anticipata applicazione fin dall'entrata in vigore della legge di attuazione della direttiva), mentre un'ulteriore ingiustificata disparità di trattamento si avrebbe fra gli stessi autoferrotranvieri, secondo la data della dichiarazione di fallimento o della messa in liquidazione dell'impresa che li ha licenziati.

2. - La questione non è fondata, nei sensi di seguito indicati.

 Alla materia dei licenziamenti collettivi è dedicata la direttiva comunitaria 75/129/CEE (successivamente modificata ed integrata dalle direttive 95/56/CEE e 98/5/CE), che (all'art. 1) fornisce la definizione di licenziamento collettivo - ancorata a presupposti esclusivamente dimensionali (dell'azienda) e numerici (quale rapporto tra lavoratori licenziati e lavoratori occupati) - e delinea (ai successivi artt. 2 e 3) il campo di applicazione delle garanzie procedimentali; il quale è tendenzialmente generale perché le ipotesi escluse sono tipizzate ed elencate (rapporti di lavoro a termine; rapporti di impiego pubblico; rapporti di lavoro degli equipaggi di navi marittime), onde risulta esaltata l'ampia portata delle garanzie così introdotte.

 Alla direttiva è stata data attuazione nell'ordinamento interno con la legge 23 luglio 1991, n. 223, il cui art. 24 regola il licenziamento collettivo conseguente a riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, o cessazione dell'attività.

 La disciplina si pone in palese simmetria con la normativa comunitaria, in quanto è ancorata a presupposti dimensionali e numerici, e si applica a tutte le imprese che occupino più di quindici dipendenti e che, in conseguenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, intendano effettuare almeno cinque licenziamenti nell'arco di centoventi giorni in ciascuna unità produttiva o in più unità produttive nell'ambito del territorio della stessa provincia.

 Nella medesima prospettiva l'art. 24 esclude dal campo di applicazione della disciplina soltanto i rapporti di lavoro a termine che cessino alla prevista data di scadenza, mentre l'art. 35 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29, detta per il lavoro pubblico una disciplina specifica, facendo salva comunque la generale applicabilità della legge n. 223 del 1991.

 Ai licenziamenti così identificati il citato art. 24 dichiara applicabili <<le disposizioni di cui all'art. 4, commi da 2 a 12 e 15-bis, e all'art. 5, commi da 1 a 5>>; disposizioni queste che disciplinano l'istituto parallelo della <<mobilità>> cui possono ricorrere le imprese ammesse al trattamento straordinario di integrazione salariale previsto dalla medesima legge.

A seguito di tale richiamo, la disciplina dei licenziamenti collettivi, per quanto riguarda l'aspetto procedimentale, è perciò quasi interamente modellata su quella della messa in mobilità collegata con il trattamento straordinario di integrazione salariale.

 Ma la confluenza delle due fattispecie di riduzione del personale verso discipline sostanzialmente analoghe, benché non perfettamente sovrapponibili, non toglie che esse rimangano pur sempre diverse ed autonome, e che in particolare l'istituto del licenziamento collettivo - nel quadro della legge di attuazione della direttiva - non sia necessariamente legato al trattamento straordinario di integrazione salariale ed al trattamento di mobilità che ne può conseguire (sentenza n. 6 del 1999); come del resto risulta dal terzo comma dell'art. 24 che limita alle sole imprese rientranti nel campo di applicazione dell'intervento stesso l'onere della contribuzione previdenziale aggiuntiva, destinato a finanziare (in tutto od in parte) il peso economico dell'ente previdenziale correlato all'erogazione del beneficio.

 Deve quindi ritenersi che le garanzie procedimentali in questione si applicano anche ai licenziamenti collettivi intimati da imprese i cui dipendenti non beneficino dell'intervento straordinario di integrazione salariale.

3. - Tra le imprese escluse dall'intervento straordinario di integrazione salariale - e tuttavia assoggettate alla disciplina procedimentale dei licenziamenti collettivi di cui alla legge n. 223 del 1991 - si annoverano le aziende autoferrotranviarie.

 Quanto al primo aspetto, la legge 12 luglio 1988, n. 270 - che ha introdotto una peculiare delegificazione del rapporto di lavoro di questo personale, superando la rigida specialità conseguente al sistema chiuso delle disposizioni del regolamento allegato A al r.d. 8 gennaio 1931, n. 148 (sentenza n.160 del 2000)- ha espressamente previsto all'art. 4 - modificando il primo comma dell'art.3 del decreto legislativo C.p.S. 12 agosto 1947, n. 869 - che <<sono escluse dall'applicazione delle norme sull'integrazione dei guadagni degli operai dell'industria: le imprese armatoriali di navigazione o ausiliarie dell'armamento, le imprese ferroviarie, tranviarie e di navigazione interna, nonché le imprese esercenti autoservizi pubblici di linea tenute all'osservanza delle leggi 24 maggio 1952, n. 628 e 22 settembre 1960, n. 1054, o che comunque iscrivono il personale dipendente al Fondo di previdenza del personale addetto ai pubblici servizi di trasporto [...]>>.

 Quanto al secondo aspetto, è decisivo il già rilevato carattere assolutamente generale della disciplina dettata dal citato art. 24, in tema di garanzie procedimentali dei licenziamenti collettivi.

 Ai fini dell'applicabilità agli autoferrotranvieri delle medesime garanzie, deve escludersi poi ogni incompatibilità con la regolamentazione posta dall'art. 26 dell'allegato A al r.d. n. 148 del 1931 che - nel disciplinare l'esonero del personale in caso di riduzione di posti per limitazione, semplificazione o soppressione di servizi - autorizza l'eccezionale assegnazione dei dipendenti eccedenti a mansioni inferiori alla qualifica, così configurando un'alternativa al licenziamento: ma si tratta di profilo del tutto diverso dalle garanzie procedimentali, che coinvolgono anche le rappresentanze sindacali.

 Del resto questa Corte (sentenza n. 226 del 1990) - con riferimento ad un istituto parimenti generale quale quello del pensionamento posticipato - ha già affermato che <<poiché la nuova disciplina legislativa ha una portata amplissima [...] non si giustifica che essa non trovi applicazione anche agli autoferrotranvieri>>.

4. - Su questo assetto normativo hanno inciso le modifiche apportate alla legge n. 223 del 1991 dal d.l. 20 maggio 1993, n. 148, convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236, e dal d.l. 23 ottobre 1996, n. 542, convertito in legge 23 dicembre 1996, n. 649.

 Il primo di essi, con il comma 17-bis dell'art. 6, ha introdotto nell'art. 3 della legge del 1991 un comma 4-bis, secondo cui <<Le disposizioni in materia di mobilità ed il trattamento relativo si applicano anche al personale il cui rapporto sia disciplinato dal r.d. 8 gennaio 1931, n. 148, che sia stato licenziato da imprese dichiarate fallite, o poste in liquidazione, successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge>>.

 Si tratta di una norma di favore, che estende alle imprese autoferrotranviarie il campo di applicazione delle <<disposizioni in materia di mobilità ed il trattamento relativo>> che sarebbero, tanto le une quanto l'altro, altrimenti condizionati all'idoneità dell'impresa ad essere ammessa al trattamento straordinario di integrazione salariale.

 Con riferimento a questa novella la giurisprudenza di legittimità (sentenza n. 7463 del 1998) ha ritenuto che la formula <<successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge>> si riferisse all'entrata in vigore della legge n. 223 del 1991 (ma con il limite della necessità dell'intervenuto fallimento o della liquidazione dell'impresa). E ne ha desunto che il legislatore aveva non solo esteso al personale autoferrotranviario l'ambito di applicazione della disciplina dell'indennità di mobilità (e della relativa procedura di dichiarazione della mobilità), da cui le imprese autoferrotranviarie erano in precedenza escluse, in ragione della testuale inapplicabilità dell'intervento della cassa integrazione guadagni, ma aveva anche esteso (retroattivamente) l'ambito di operatività delle garanzie procedimentali per i licenziamenti collettivi, pur in mancanza di alcuna precedente testuale esclusione ed anzi in presenza di una normativa di carattere assolutamente generale che, per i rilievi sopra espressi, già doveva ritenersi applicabile a queste imprese.

 E' poi intervenuto l'art. 7 del d.l. n. 542 del 1996, che ha modificato il testo prima ricordato del comma 4-bis, sostituendo alle parole <<successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge>> le parole <<successivamente alla data del 1° gennaio 1993>>; disposizione questa che non ha natura di interpretazione autentica posto che essa non ha optato per una delle due soluzioni astrattamente sostenibili in base alla lettera della disposizione precedente (data di entrata in vigore della legge del 1991 o della legge del 1993), ma ha introdotto una terza soluzione, indicando la data del 1° gennaio 1993, così inequivocamente dimostrando di essere norma innovativa.

 Facendo venir meno la saldatura cronologica con la legge n. 223 del 1991, il decreto-legge in esame ha avuto l'effetto di dimensionare diversamente il beneficio (ed il costo finanziario) dell'estensione dell'indennità di mobilità, ma anche - nella prospettazione dell'ordinanza di rimessione - di determinare uno iato temporale (dall'entrata in vigore della legge n. 223 del 1991 al 1° gennaio 1993) in cui le garanzie procedimentali del citato art.24 non si applicherebbero in nessun caso al personale autoferrotranviario.

 In sostanza la Corte di cassazione rimettente interpreta il riferimento testuale alle <<disposizioni in materia di mobilità>>, contenuto nella disposizione censurata, come comprensivo - non solo delle prescrizioni dettate dall'art. 4 della legge n. 223 del 1991 regolante la procedura per la dichiarazione di mobilità attivata dalle imprese ammesse al trattamento straordinario di integrazione salariale e propedeutica al collocamento dei lavoratori eccedenti in mobilità (con conseguente diritto alla percezione della relativa indennità, di cui al successivo art. 7) - ma anche della procedura per l'intimazione del licenziamento collettivo, che il citato art. 24 disciplina (parallelamente ed in piena simmetria) proprio richiamando i precedenti artt. 4 e 5.

5. - Questa interpretazione però non considera significativi rilievi esegetici e non tiene conto del canone preferenziale dell'interpretazione conforme a Costituzione, in questo caso rinforzato dal concorrente canone dell'interpretazione non contrastante con la normativa comunitaria vincolante per l'ordinamento giuridico italiano.

 In questa prospettiva adeguatrice, può invece fondatamente ritenersi che - adoperando l'espressione <<disposizioni in materia di mobilità>> - il comma 4-bis abbia inteso estendere agli autoferrotranvieri (in determinati casi) soltanto le norme concernenti l'istituto della mobilità ed il complesso delle conseguenze di carattere patrimoniale derivanti dalla <<messa in mobilità>> (ed in particolare il diritto di percepire la relativa indennità), senza toccare la disciplina dei licenziamenti collettivi e segnatamente la procedura finalizzata alla loro rituale intimazione.

5.1. Siffatta conclusione è suggerita dalla stessa formulazione testuale del d.l. n. 148 del 1993, che ha introdotto nell'art. 3 della legge n. 223 del 1991 il comma 4-bis nella sua prima formulazione.

 L'inserimento del comma in esame è stato operato dall'art. 6 (comma 17-bis), contenente <<Misure per la tutela del reddito>>, onde è agevole ravvisare nella novella un contenuto attinente alla salvaguardia della situazione economica dei lavoratori. Una disposizione che avesse inteso disciplinare il procedimento dei licenziamenti collettivi degli autoferrotranvieri avrebbe trovato posto nell'art. 8, contenente appunto <<Norme in materia di licenziamenti collettivi>>: è proprio in tale articolo infatti che si rinvengono norme in tema di applicabilità delle garanzie procedimentali in questione, come il comma 2, secondo cui l'applicazione delle disposizioni di cui agli art. 1, 4 e 24 della legge n. 223 del 1991 ai soci lavoratori di cooperative di produzione e lavoro deve avvenire nell'osservanza dei princìpi di non discriminazione, diretta ed indiretta, di cui alla legge 10 aprile 1991, n. 125.

 Del resto le <<misure per la tutela del reddito>> sono fuori dalla direttiva comunitaria e - comportando l'erogazione di prestazioni a carico del sistema previdenziale - implicano l'esigenza di valutare le compatibilità finanziarie. Perciò la norma in esame - disponendo che gli autoferrotranvieri licenziati da imprese sottoposte a procedure concorsuali hanno diritto all'indennità spettante ai lavoratori collocati in mobilità solo se il fallimento o la liquidazione siano successivi al 1° gennaio 1993 - rivela palesemente la ratio di collegare ad esigenze di contenimento della spesa pubblica la scelta del momento da cui taluni effetti economici decorrano.

 Orbene il legislatore del 1996 - fissando retroattivamente uno spartiacque temporale tra l'entrata in vigore della legge n. 223 del 1991 e quella della legge n. 236 del 1993 (di conversione del precedente d.l. n. 148 del 1993) - ha mostrato di aver operato una ponderazione dell'onere economico conseguente all'estensione del beneficio dell'indennità di mobilità (e della procedura di mobilità, che di norma la presuppone).

 Sarebbe per contro intrinsecamente irragionevole ritenere che nel 1996 si sia voluto - con efficacia retroattiva - stabilire le modalità procedimentali di licenziamenti collettivi ormai già intimati, quali sicuramente erano quelli comunicati anteriormente al 1° gennaio 1993.

5.2. - L'interpretazione accolta dalla Corte rimettente confliggerebbe poi con il principio di eguaglianza perché i pur ancora residuali elementi di specialità del rapporto di lavoro dei dipendenti di aziende autoferrotranviarie non giustificherebbero - come già affermato da questa Corte nella citata sentenza n. 226 del 1990 - una disciplina differenziata quanto alle mere garanzie procedimentali di intimazione del licenziamento collettivo, che non hanno implicazioni finanziarie per tali aziende, né interferiscono sulla funzionalità ed efficienza del servizio pubblico che le stesse assicurano.

 La prevista delegificazione della disciplina di tale rapporto (art. 1 della legge n. 270 del 1988) ha da una parte reso cedevole rispetto alla contrattazione collettiva il plesso normativo rappresentato dal r.d. 8 gennaio 1931 n. 148; d'altra parte ha affievolito la specialità del rapporto stesso dovendo la contrattazione collettiva - autorizzata a sostituire la disciplina speciale - essere comunque rispettosa della disciplina generale del rapporto di lavoro subordinato.

5.3. Del resto - come l'interpretazione conforme a Costituzione deve essere privilegiata per evitare il vizio di incostituzionalità della norma interpretata - analogamente l'interpretazione non contrastante con le norme comunitarie vincolanti per l'ordinamento interno deve essere preferita, dovendosi evitare che lo Stato italiano si ritrovi inadempiente agli obblighi comunitari. Quindi sotto questo profilo rileva che la normativa comunitaria non include le imprese autoferrotranviarie tra quelle (espressamente elencate) alle quali non si applicano le garanzie procedimentali per i licenziamenti collettivi.

6. - Conclusivamente la novella realizzata con l'introduzione del comma 4-bis va interpretata nel senso che - con il richiamo alle <<disposizioni in materia di mobilità ed il trattamento relativo>> - essa ha disciplinato la situazione degli autoferrotranvieri colpiti da licenziamenti collettivi intimati da imprese assoggettate a procedure concorsuali, soltanto per quanto concerne l'istituto della mobilità ed il loro diritto a fruire degli effetti derivanti dalle richiamate norme sulla mobilità, ed in particolare della relativa indennità, stabilendo che a tali fini la dichiarazione di fallimento o la messa in liquidazione dell'impresa deve essere successiva al 1° gennaio 1993. Invece per quanto concerne la disciplina del procedimento preordinato al licenziamento collettivo nulla è mutato rispetto al sistema previgente, la cui individuazione ai fini della decisione della controversia spetta naturalmente al giudice a quo.

 Pertanto - così interpretato - il comma 4-bis non determina alcuna disparità di trattamento fra autoferrotranvieri ed altre categorie di lavoratori, proprio perché non riguarda il profilo procedimentale del licenziamento collettivo, il solo considerato dal giudice a quo.

 La questione di legittimità costituzionale proposta dalla Corte di cassazione deve quindi essere dichiarata non fondata.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 4-bis, prima proposizione, della legge 23 luglio 1991, n. 223, aggiunto dall'art. 6 del decreto legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito in legge 19 luglio 1993, n. 236, nel testo risultante dalla modifica introdotta dall'art. 7 del d.l. 23 ottobre 1996, n. 542, convertito in legge 23 dicembre 1996, n. 649, sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 11 della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2000

Cesare MIRABELLI, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in cancelleria il 13 giugno 2000