Ordinanza n. 195/2000

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ORDINANZA N. 195

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI 

- Cesare RUPERTO 

- Riccardo CHIEPPA 

- Gustavo ZAGREBELSKY 

- Valerio ONIDA 

- Carlo  MEZZANOTTE 

- Fernanda CONTRI 

- Guido  NEPPI MODONA 

- Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Annibale MARINI 

- Franco  BILE 

- Giovanni Maria FLICK 

ha pronunciato la seguente  

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 509, comma 5, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione relative alle scuole di ogni ordine e grado), promosso con ordinanza emessa il 7 novembre 1996 dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania sul ricorso proposto da Capriglione Anna contro il Ministero della pubblica istruzione ed altro, iscritta al n. 73 del registro ordinanze 1999 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 1999.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 aprile 2000 il Giudice relatore Riccardo Chieppa.

Ritenuto che nel corso di un giudizio promosso da una preside di Scuola media statale avverso il provvedimento con cui il Provveditore agli studi di Napoli aveva disposto, per raggiunti limiti di età, il collocamento a riposo dell'interessata, con decorrenza dal 1° settembre 1996, l'adìto Tribunale amministrativo regionale per la Campania, con ordinanza del 7 novembre 1996 (r.o. n. 73 del 1999), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 509, comma 5, del d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297 per contrasto con gli artt. 3, 4, 38, secondo comma, e 97, terzo comma - rectius: primo comma - della Costituzione e con i principi della delega contenuta nell'art. 3, comma 1, della legge 23 ottobre 1992, n. 421;

che, giova premettere, la ricorrente era in servizio di ruolo alla data del 1° ottobre 1974 ed era stata destinataria del beneficio del trattenimento in servizio oltre il 65° anno di età previsto dall'art. 16 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503; con istanza del 1° settembre 1993 aveva chiesto di essere trattenuta in servizio, fino e non oltre il compimento del 70° anno di età, ai sensi dell'art. 15 della legge 30 luglio 1973, n. 477;

che tale richiesta aveva dato luogo al provvedimento impugnato avanti al Tribunale amministrativo regionale, motivato essenzialmente sulla circostanza secondo cui l'interessata non avrebbe titolo a fruire anche del beneficio da ultimo richiesto;

che il giudice a quo prende le mosse dal tenore dell'articolo unico della legge 7 giugno 1951, n. 500 (per il personale direttivo e docente degli istituti secondari e d'istruzione artistica di ogni ordine e grado ove è previsto il collocamento a riposo al termine dell'anno scolastico in cui compiono il 70° anno di età), dall'art. 15, primo comma, della legge 30 luglio 1973, n. 477 (con unificazione sostanziale delle regole del rapporto di impiego in tutte le categorie dei docenti statali, con la fissazione del termine al 1° ottobre successivo alla data di compimento del 65° anno di età per il collocamento a riposo) e dal secondo e terzo comma dell'articolo anzidetto (con mantenimento in servizio fino al compimento del 70° anno di età per coloro che non avessero, alla data di cui al precedente comma, raggiunto il massimo o il minimo richiesto per la pensione);

che l’ordinanza di rimessione ricostruisce la sopravvenuta norma contenuta nell’art.16 del d.lgs. n. 503 del 1992 (con facoltà per i dipendenti civili dello Stato e degli enti pubblici non economici di permanere in servizio, con decorrenza dalla data di entrata in vigore della legge 23 ottobre 1992, n. 421, per un periodo massimo di un biennio oltre i limiti di età per il collocamento a riposo) desumendone un mero diritto potestativo, con conseguente nascita di obblighi specifici in capo al datore di lavoro, sia nel caso in cui il dipendente abbia raggiunto il limite di età fissato dalla legge, sia nel caso in cui il termine sia stabilito in anni 70, sia, infine, in relazione a situazioni inerenti al computo del periodo lavorativo pensionabile, ove sia possibile, nel caso in cui il limite di 65 anni sia prorogato fino e comunque non oltre i 70 anni, come sarebbe confermato anche dai principi di delega fissati dall'art. 3, comma 1, della legge n. 421 del 1992 (salvaguardia dei diritti acquisiti dai lavoratori);

che nel giudizio incidentale di legittimità costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per la inammissibilità o la infondatezza della questione, tesi sviluppata nella successiva memoria depositata nell’imminenza della data fissata per la camera di consiglio.

Considerato che l’eccezione di inammissibilità sollevata dall’Avvocatura generale dello Stato è superabile sulla base della considerazione che il giudice a quo ha dato una motivazione plausibile della rilevanza della questione sulla base della considerazione che la ricorrente (nata il 17 marzo 1929) avesse raggiunto il 1° settembre 1996 il limite (ordinario per la categoria) per il collocamento a riposo e che l’interpretazione restrittiva (accolta e motivamente fatta propria dal giudice a quo) del rapporto tra comma 2 e 3 del denunciato art. 509 del d. lgs. 16 aprile 1994, n. 297, intesa come diritto vivente in relazione alla costante applicazione del giudice di appello, sarebbe decisiva e pregiudiziale ai fini della definizione della domanda di sospensiva;

che, in sostanza, il giudice rimettente sostiene la incostituzionalità dell’art. 509 citato "nella parte in cui non è consentito al personale scolastico statale di fruire, oltreché dei benefici ex art. 15, secondo comma, della legge 30 luglio 1973, n. 477, anche della facoltà spettante a tutti gli impiegati civili dello Stato e degli Enti pubblici non economici, ex art. 16 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503", per violazione degli artt. 3, 4, 38 e 97, primo comma, della Costituzione e dei principi della delega contenuta nell’art. 3, comma 1, della legge 23 ottobre 1992, n. 421;

che essenzialmente il giudice rimettente vuole pervenire alla soluzione, per effetto della richiesta dichiarazione di incostituzionalità in parte qua della norma denunciata, secondo cui "il dies a quo per il computo del biennio" (di permanenza in servizio, ex art. 16 del d.lgs n. 503 del 1992 e art. 509, comma 5, del d.lgs n. 297 del 1994) "non sarà sic et simpliciter il 65° anno d’età dell’interessato, bensì il giorno in cui egli avrebbe dovuto essere collocato a riposo per effetto dei benefici di trattenimento in servizio di cui ai commi 2 e 3 dello stesso art. 509";

che questa Corte ha già affermato, a proposito dell’art. 1 del d.lgs. n. 503 del 1992, che "la prosecuzione del rapporto di impiego oltre il limite di età è stata configurata dal legislatore come eccezione alla regola posta in tema di limiti di età per il servizio ... prevedendosi una prosecuzione del rapporto su domanda dell’interessato «per un periodo massimo di un biennio» e che il carattere eccezionale della disposizione non è incompatibile con le disposizioni normative che prevedono la sussistenza di requisiti per la continuazione del rapporto di pubblico impiego" e nello stesso tempo non sussiste un principio fondamentale della legislazione statale in ordine ad un preteso diritto incondizionato del dipendente pubblico al mantenimento in servizio per un biennio (sentenza n. 162 del 1997);

che relativamente all'età pensionabile deve riconoscersi un'ampia discrezionalità al legislatore, con il solo limite negativo della manifesta arbitrarietà (sentenze nn. 422 del 1994 e 162 del 1997; ordinanza n. 380 del 1994) che qui non ricorre e, allo stesso modo, con facoltà di deroghe, a fini assicurativi e previdenziali, al limite massimo dell’attività lavorativa, a seconda delle categorie (da ultimo, sentenza n. 327 del 1999);

che, sotto il profilo costituzionale, diversa deve essere la valutazione rispetto al prolungamento del servizio attivo per il conseguimento del minimo della pensione (ipotesi connessa con la garanzia dei diritti previdenziali, completamente al di fuori della fattispecie), rispetto alla pretesa di prolungare il servizio anche quando si è in condizione di conseguire pienamente il diritto a pensione ed anzi si mira al semplice prolungamento del servizio attivo, senza alcun riflesso diretto sulla pensione in presenza di periodo massimo (quaranta anni) suscettibile di valutazione (l’Avvocatura sottolinea l’intento di rinunciare a periodi già riscattati);

che questa Corte ha avuto occasione di affermare (da ultimo, v. sentenza n. 227 del 1997) che i principi della legislazione prevedono che il trattenimento in servizio oltre i limiti di età stabiliti in via generale per determinati settori o per particolari categorie di dipendenti, possa effettuarsi solo a domanda dell’interessato e non di ufficio, e nei soli casi e per i periodi previsti dal legislatore, che non è tenuto ad una estensione generalizzata; che sul piano costituzionale il bene protetto è rappresentato dal conseguimento della pensione al "minimo", mentre non gode eguale protezione il raggiungimento del trattamento pensionistico massimo; e che in particolare la disciplina del trattenimento in servizio, al di là del limite di età fissato per il collocamento a riposo, rientra nella sfera discrezionale del legislatore, sempre che non sia violato il canone di ragionevolezza;

che la facoltà di permanere in servizio per un biennio oltre i limiti di età previsti per il collocamento a riposo (art. 509, comma 5, del d.lgs. 16 aprile 1994, n. 297 e art. 16 del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 503) si riferisce ad un biennio oltre i limiti di età per il collocamento in pensione, previsti in via normale per la determinata categoria di personale e non in riferimento ai limiti derivanti da ulteriori benefici di proroga o di trattenimento in servizio per conseguire il minimo pensionabile o il massimo del servizio valutabile, come risulta evidente dalla formulazione della norma che adotta l’espressione limite di età, con evidente riferimento a quelli ordinari per ciascuna categoria e non a quelli di prolungamento del servizio oltre i limiti in base a particolari benefici previsti da altre disposizioni di favore;

che quanto alla pretesa violazione dell’art. 97, primo comma, della Costituzione e dei principi della delega contenuta nell’art. 3, comma 1, della legge 23 ottobre 1992, n. 421, è sufficiente osservare, ai fini della manifesta infondatezza, che la disposizione denunciata è di carattere eccezionale soprattutto alla luce della stessa delega, che - seppure introdotta con finalità di contenimento della spesa pubblica in ordine a trattamenti di quiescenza e previdenza - comporta tuttavia il carico del trattamento di servizio attivo e degli oneri riflessi, in genere complessivamente maggiori (per la normale anzianità e livello del personale che abbia raggiunto i limiti di età) rispetto a quelli connessi a nuove assunzioni (per livelli e anzianità iniziale), peraltro meramente eventuali anche in relazione a ricorrenti blocchi (sentenza n. 162 del 1997); che trattasi di disposizione non suscettibile di interpretazione estensiva, che porterebbe ad aumentare il divario, anche per i limiti di età, tra i sistemi pensionistici pubblici e privati, che invece il legislatore delegante voleva contrastare, nell’obiettivo finale di riordino e di sostanziale omogeneità; che il buon andamento dell’amministrazione non può dipendere affatto dal mantenimento in servizio di personale che ha raggiunto i limiti di età, subordinato esclusivamente alla domanda del dipendente, come diritto potestativo assoluto, laddove il prolungarsi del servizio oltre i limiti non è sempre indice di accrescimento dell’efficienza organizzativa.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 509, comma 5, del decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297 (Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative vigenti in materia di istruzione relative alle scuole di ogni ordine e grado) sollevata, in riferimento agli artt. 3, 4, 38, secondo comma, e 97, primo comma, della Costituzione ed ai principi della delega contenuta nell'art. 3, comma 1, della legge 23 ottobre 1992, n. 421 (Delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di sanità, di pubblico impiego, di previdenza e di finanza territoriale) dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 giugno 2000

Cesare MIRABELLI, Presidente

Riccardo CHIEPPA, Redattore

Depositata in cancelleria il 13 giugno 2000