Sentenza n. 314/2001

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N.314

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 1, 2, lettere a) e c), 3, 4 e 9 della legge 17 maggio 1999, n. 144 (Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all’occupazione e della normativa che disciplina l’INAIL, nonchè disposizioni per il riordino degli enti previdenziali), promosso con ricorso della Provincia autonoma di Trento, notificato il 21 giugno 1999, depositato in Cancelleria il 28 successivo ed iscritto al n. 21 del registro ricorsi 1999.

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 19 giugno 2001 il Giudice relatore Massimo Vari;

uditi l'avvocato Giandomenico Falcon per la Provincia autonoma di Trento e l'avvocato dello Stato Glauco Nori per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. Con ricorso del 17 giugno 1999, la Provincia autonoma di Trento ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1, 2, lettere a) e c), 3, 4 e 9 della legge 17 maggio 1999, n. 144 (Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all’occupazione e della normativa che disciplina l’INAIL, nonchè disposizioni per il riordino degli enti previdenziali), per contrasto con gli artt. 8, numeri 1, 5, 9, 10, 17, 18, 20, 21, 23, 28 e 29; 9, numeri 3, 4, 5 e 8; 16 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, e con le relative norme di attuazione, in particolare con l’art. 3 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266.

La Provincia precisa che non intende disconoscere che la disciplina statale censurata ponga principi fondamentali di riforma, al cui rispetto essa si considera tenuta, ovvero il principio di necessaria valutazione tecnica degli investimenti pubblici e quello organizzativo di creazione di un sistema di monitoraggio su scala nazionale. La ricorrente si duole, invece, del fatto che la disposizione denunciata, nell'istituire i nuclei di valutazione e verifica degli investimenti pubblici, leda la sua autonomia, a causa della previsione, per "un insieme amplissimo e vitale di settori di attività", di "modalità organizzative e di azione uniformi, comuni a tutte le amministrazioni, sia statali che regionali".

Secondo il ricorso, anche se il comma 3 dell’articolo censurato affida alle amministrazioni interessate le "attività volte alla costituzione dei nuclei di valutazione e verifica", l'ambito decisionale riservato alle medesime é, comunque, molto ridotto, a causa della necessità di tener conto delle "strutture similari già esistenti", di "evitare duplicazioni" e di provvedere ad elaborare un "programma di attuazione".

La ricorrente, nel precisare che, proprio in ossequio al principio del miglioramento del processo di programmazione delle politiche di sviluppo, ha già da tempo istituito organi preposti a valutare "la validità e sostenibilità economico–finanziaria" della realizzazione, e in alcuni casi della gestione, degli investimenti pubblici, ritiene che la lesione della sua autonomia discenda, invece, dalla imposizione, al di là di ogni "possibile interesse nazionale", di un modello organizzativo predeterminato, con l'assoggettamento dei processi decisionali dell'ente ad una "continua interferenza", da parte di un "organismo imposto e operante in raccordo con una struttura centrale dello Stato".

2. Oltre al già menzionato comma 3, la Provincia censura, perciò, anche la disposizione del comma 1 dell’art. 1 della legge n. 144 del 1999, che affida ai nuclei il compito di supporto tecnico "nelle fasi di programmazione, valutazione, attuazione e verifica di piani, programmi e politiche di intervento", come pure quella del comma 2 che ne prevede l'apporto nelle fasi di "programmazione, formulazione e valutazione di documenti di programma, per le analisi di opportunità e fattibilità degli investimenti" e di "valutazione ex ante di progetti e interventi".

Nel rilevare che dalla disposizione risulta chiarissimo l'inserimento, nel processo decisionale, di un organismo previsto e disciplinato dalla legge statale e da altri atti statali attuativi, il ricorso osserva che egualmente illegittima deve ritenersi l’attribuzione, ai suddetti nuclei, del potere di compiere una "valutazione di qualità ambientale e di sostenibilità dello sviluppo, nonchè della compatibilità ecologica degli investimenti pubblici", in quanto attività interferente "con la normazione provinciale in tema di valutazione di impatto ambientale", e in ogni caso con l’autonomia organizzativa dell'ente, in materia di determinazione degli organi e procedure idonee a verificare detto impatto a fronte degli interventi economici pubblici.

Secondo la Provincia "non meno illegittimo" sarebbe l’affidamento ai nuclei della competenza a svolgere "attività volta alla graduale estensione delle tecniche proprie dei fondi strutturali all’insieme dei programmi e dei progetti attuati a livello territoriale, con riferimento alle fasi di programmazione, valutazione, monitoraggio e verifica", competendo, invece, al legislatore provinciale di stabilire "se ed in che misura" tali tecniche, oltretutto indicate in modo generico, debbano essere estese all’insieme dei detti programmi e progetti.

3. La violazione dell’autonomia organizzativa e funzionale della Provincia sarebbe ulteriormente aggravata dal comma 4 dell'art. 1, il quale attribuisce allo Stato, e per esso al Presidente del Consiglio dei ministri, "poteri di integrazione normativa", relativamente alla determinazione delle "caratteristiche organizzative comuni dei nuclei" e, in genere, alle modalità e criteri per l’attuazione della disciplina legislativa.

Ad avviso della ricorrente, il previsto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sarebbe atto estraneo al sistema dei rapporti tra fonti statali e provinciali, come delineato anche dal decreto legislativo n. 266 del 1992. Esso avrebbe un contenuto solo in parte accostabile all’atto di indirizzo e coordinamento, senza peraltro possederne i requisiti di forma e di procedura, tra i quali, con specifico riferimento alla Provincia di Trento, la ricorrente individua il previo parere di compatibilità con lo statuto.

4. Nell’escludere l’esistenza di un interesse nazionale che possa giustificare l’imposizione del descritto modello organizzativo, il ricorso afferma che, in ogni caso, anche in virtù dei principi di proporzionalità e sussidiarietà, l’impatto sulla autonomia costituzionale dell'ente dovrebbe essere limitato "alla sola fissazione dei principi fondamentali riconoscibili nella normativa, cioé il principio di valutazione tecnico–economica degli investimenti pubblici e il principio del loro monitoraggio nazionale".

5. Per quanto riguarda, infine, il comma 9 dell’art. 1, la Provincia osserva che tale disposizione ¾ nell’attribuire al CIPE il potere di indicare i criteri ai quali dovranno attenersi le Regioni e le Province autonome, al fine di suddividere il rispettivo territorio in Sistemi locali del lavoro ¾ si risolve nella previsione di un atto anomalo, "estraneo al sistema dei rapporti tra Stato e Province autonome". Oltretutto, la disposizione censurata avrebbe posto a carico delle Province un onere di individuazione non chiaro, in quanto non si comprende che cosa siano e quale valore abbiano i Sistemi locali del lavoro, nè se la "zonizzazione" sia vincolante nell’elaborazione degli interventi e degli investimenti provinciali. Del tutto incerta risulterebbe, altresì, la clausola di salvaguardia delle competenze delle Province autonome in materia.

6. E’ intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso per l’inammissibilità e, comunque, per la manifesta infondatezza della questione.

La difesa erariale osserva, in particolare, che lo Stato é "abilitato all’uso di tutti gli strumenti consentitigli per far valere gli interessi unitari di cui é portatore", come risulta dalla giurisprudenza costituzionale, secondo la quale la fissazione di criteri generali per il coordinamento di servizi non lede in alcun modo la competenza delle Province autonome.

7. In prossimità della udienza pubblica, hanno depositato memorie sia la Provincia autonoma di Trento sia l’Avvocatura generale dello Stato.

7.1. La Provincia autonoma, nell’insistere per la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme denunciate, fa presente che l’art. 10, comma 3, della sopravvenuta legge provinciale 22 marzo 2001, n. 3, ha previsto che la Giunta provinciale definisca, anche in attuazione della legge n. 144 del 1999, i criteri, le modalità e gli strumenti organizzativi per assicurare la valutazione e la verifica degli investimenti pubblici. La circostanza che il Governo non abbia avanzato alcun rilievo nei confronti della suddetta legge dimostrerebbe, ad avviso della ricorrente, che l’attività demandata alla Giunta rientra nell’autonomia provinciale e, inoltre, che la legge impugnata non pone rigidi vincoli di adeguamento in ordine alle modalità attuative.

Nel ribadire che, in ogni caso, i singoli profili della disciplina impugnata non possono giustificarsi sulla base di "presunte esigenze di interesse nazionale", la Provincia di Trento rileva che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previsto dall’art. 1, comma 4, della legge n. 144 del 1999 si é tradotto in una direttiva emanata in data 10 settembre 1999. Al riguardo, osservato che, nei confronti delle Province autonome, il potere di direttiva concerne solo le funzioni amministrative delegate, come risulta dall’art. 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 526 del 1987 e, altresì, che l’atto emanato ha più contenuto normativo che non di direttiva, la ricorrente sostiene, comunque, che le direttive stesse non rientrano fra gli atti che possono, ai sensi del decreto legislativo n. 266 del 1992, incidere sulle funzioni legislative ed amministrative della Provincia autonoma di Trento.

7.2. L’Avvocatura generale dello Stato, nel concludere per l’inammissibilità e, comunque, per l’infondatezza del ricorso, osserva che la legge n. 144 del 1999 disciplina un settore di importanza nazionale, tale da richiedere l’emanazione di principi uniformi in tutto il Paese, attraverso norme fondamentali di riforma economico–sociale connesse ad un interesse unitario dello Stato.

La disciplina censurata, mentre non esclude uno spazio normativo di adeguamento dei principi al contesto locale, assicura, altresì, attraverso la Conferenza per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome, l’intesa prevista dall’art. 8 della legge n. 59 del 1997.

La difesa erariale, nel ribadire le conclusioni già formulate, osserva, infine, che i nuclei di valutazione svolgono una funzione consultiva, inidonea, in quanto tale, ad interferire con l’esercizio delle competenze amministrative spettanti alla Provincia autonoma di Trento.

Considerato in diritto

1. Con il ricorso in epigrafe la Provincia autonoma di Trento ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, commi 1, 2, lettere a) e c), 3, 4 e 9 della legge 17 maggio 1999, n. 144 (Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all’occupazione e della normativa che disciplina l’INAIL, nonchè disposizioni per il riordino degli enti previdenziali), nella parte in cui "prevede che vengano obbligatoriamente istituiti in ogni amministrazione statale e regionale nuclei di valutazione e verifica degli investimenti pubblici, con le caratteristiche e le funzioni" indicate nel medesimo articolo.

La ricorrente ¾ nel denunciare violazione degli artt. 8, numeri 1, 5, 9, 10, 17, 18, 20, 21, 23, 28 e 29; 9, numeri 3, 4, 5 e 8; 16 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, e delle relative norme di attuazione, in particolare dell’art. 3 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 ¾ lamenta che:

a) i commi 1 e 2, lettere a) e c), del menzionato art. 1 della legge 17 maggio 1999, n. 144, "anzichè limitarsi a fissare il principio della necessaria valutazione tecnico–economica delle decisioni", impongano alla Provincia di "provvedere alla valutazione delle decisioni relative agli investimenti pubblici secondo un unico modello organizzativo predeterminato dalla legge statale e attraverso un organismo operante in raccordo con l’amministrazione statale" e, al tempo stesso, interferente nei processi decisionali dell'ente;

b) il comma 3, pur disponendo che le attività relative alla costituzione dei nuclei di valutazione e verifica degli investimenti pubblici sono attuate, autonomamente, dalle singole amministrazioni, sotto il profilo amministrativo, organizzativo e funzionale, imponga, a queste ultime, di tener conto delle strutture similari già esistenti, di evitare duplicazioni, nonchè di provvedere alla elaborazione di un programma di attuazione che, a sua volta, deve essere comprensivo delle connesse attività di formazione e aggiornamento necessarie alla costituzione e all'avvio dei nuclei;

c) il comma 4 assoggetti "la stessa istituzione dei nuclei di valutazione e verifica degli investimenti pubblici ad ulteriori ingerenze ad opera di atti amministrativi statali, al di fuori delle regole e dei contenuti propri della funzione di indirizzo e coordinamento ed al di fuori dei presupposti sostanziali di essa";

d) il comma 9, nel prevedere che il CIPE indichi i criteri per la determinazione, da parte della Provincia, di Sistemi locali del lavoro di cui non é definito il significato, sottoponga la ricorrente ad "un atto anomalo, estraneo al sistema dei rapporti tra Stato e Province autonome quale delineato dallo Statuto e dalle norme di attuazione".

2. Le censure sono da reputare solo in parte fondate, secondo quanto appresso si dirà.

Prima di affrontarne il merito giova richiamare, sia pure in breve sintesi, scopi e contenuto della disciplina censurata, ricordando che le menzionate disposizioni si collocano nel più ampio contesto normativo originato, per un verso, dalle riforme amministrativa e di bilancio intervenute da qualche tempo, e, per l’altro, dall’adeguamento ai principi dell'ordinamento comunitario, orientati a potenziare azioni di sviluppo armonioso della Comunità, attraverso la realizzazione della coesione economica e sociale.

Con riferimento ai processi di modernizzazione delle pubbliche amministrazioni, va considerato il trasferimento dal centro al territorio delle politiche di sviluppo e delle relative risorse, che ha comportato un ulteriore potenziamento del ruolo delle Regioni e delle Province autonome, cui già competeva ¾ secondo quanto rilevato dalla Corte ¾ "di somministrare la maggior parte delle utilità individuali e collettive destinate a soddisfare i bisogni sociali" (sentenza n. 29 del 1995).

A ciò ha fatto riscontro l’esigenza non solo dell’introduzione, in forma generalizzata, di tipologie di controllo dell’economicità/efficienza dell’azione amministrativa e dell’efficacia dei servizi erogati, ma anche di qualificate competenze tecniche per la definizione dei programmi, come pure per le analisi di opportunità e fattibilità.

Inoltre, in relazione al processo di integrazione comunitaria, va tenuto conto dell’impulso dato alla politica regionale dal Trattato sull’Unione europea, come, da ultimo, modificato dal Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997 (ratificato ed eseguito con legge 16 giugno 1998, n. 209). A tale materia, il Trattato stesso dedica, nell’ambito della parte III (Politiche della Comunità), l'apposito titolo XVII relativo, per l'appunto, alla "coesione economica e sociale", contenente cinque articoli (158-162), i quali prevedono una specifica azione comunitaria mirata "a ridurre il divario tra le diverse Regioni ed il ritardo delle Regioni meno favorite o insulari".

A loro volta, i regolamenti, sulla base di tali previsioni, disciplinano il cofinanziamento europeo attraverso i Fondi strutturali (da ultimo regolamento CE 1260/1999 del Consiglio, punti 43-59 dei consideranda e artt. 34-44), conferendo particolare rilevanza alle azioni di sorveglianza, controllo finanziario e valutazione degli investimenti pubblici, rimesse agli Stati membri, per assicurare la realizzazione effettiva degli impegni presi nel quadro degli obiettivi come sopra definiti.

Anche in ragione della testè ricordata disciplina comunitaria, le disposizioni denunciate contemplano l’apprestamento di una rete di risorse metodologiche e informative, preordinata alla valutazione (ex ante, in itinere ed ex post) dell’affidabilità delle politiche pubbliche di investimento e del razionale impiego delle risorse progettuali e finanziarie, onde pervenire, mercè anche le azioni di monitoraggio svolte in sede locale, all'unitaria ricomposizione del quadro generale degli interventi pubblici.

Più in particolare, il comma 1 dell'art. 1 della legge n. 144 del 1999 prevede che le amministrazioni centrali e regionali, previa intesa con la Conferenza permanente per i rapporti fra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e Bolzano, istituiscano propri nuclei, ai quali viene attribuita ¾ in raccordo fra di loro e con il nucleo di valutazione e verifica degli investimenti pubblici del Ministero del tesoro, del bilancio e della programmazione economica ¾ la funzione di supporto tecnico, nelle fasi di programmazione, valutazione, attuazione e verifica degli interventi di ogni singola amministrazione; e ciò al fine di realizzare maggiore qualità ed efficienza dei processi concernenti le politiche di sviluppo.

I predetti nuclei, integrandosi con il Sistema statistico nazionale e operando in collegamento con gli uffici di statistica costituiti presso le varie amministrazioni (comma 1), svolgono, ai sensi del comma 2, "funzioni tecniche a forte contenuto di specializzazione", relative all'attività di assistenza e di supporto tecnico per le fasi di programmazione, formulazione e valutazione di documenti di programma, per le analisi di opportunità e fattibilità, di valutazione ex ante dei progetti, con particolare riferimento al profilo della qualità ambientale e della sostenibilità dello sviluppo (lettera a), nonchè all'attività "volta alla graduale estensione delle tecniche proprie dei fondi strutturali all'insieme dei programmi e dei progetti attuati a livello territoriale, con riferimento alle fasi di programmazione, valutazione, monitoraggio e verifica" (lettera c).

In base a quanto previsto dal comma 3, l’attività di costituzione dei nuclei di valutazione é riservata, sotto il profilo amministrativo, organizzativo e funzionale, alle singole amministrazioni, le quali debbono tener conto delle strutture similari già esistenti, evitando duplicazioni ed elaborando un programma di attuazione comprensivo delle connesse attività di formazione e aggiornamento.

E’ rimesso, poi, ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano (comma 4), il compito di indicare le caratteristiche organizzative comuni dei nuclei di valutazione, ivi comprese la spettanza di compensi agli eventuali componenti estranei alla pubblica amministrazione, nonchè le modalità e i criteri per la formulazione e la realizzazione dei programmi di attuazione.

Sempre allo scopo di realizzare maggiore qualità ed efficienza del processo di programmazione delle politiche di sviluppo, é affidato, infine, alle Regioni e alle Province autonome, alla luce di criteri indicati dal CIPE, sentita la Conferenza permanente, il compito "di suddividere il rispettivo territorio in Sistemi locali del lavoro, individuando tra questi i distretti economico–produttivi, sulla base di una metodologia e di indicatori elaborati dall'Istituto nazionale di statistica" (comma 9).

3. Tanto premesso sulle finalità generali e sul contenuto della disciplina in esame, non fondata é, anzitutto, la censura che investe, nel loro insieme, i commi 1 e 2, lettere a) e c), del predetto art. 1.

Le denunciate disposizioni sono, infatti, rivolte ¾ più che a conformare strutture e procedimenti, secondo modelli uniformi che possano reputarsi vincolanti per la Provincia ricorrente ¾ ad enunciare principi di organizzazione, riconducibili alle esigenze della necessaria valutazione tecnico-economica delle decisioni concernenti gli investimenti e del monitoraggio su scala nazionale degli stessi, in vista della creazione di un quadro coordinato ed unitario, in raccordo anche con la disciplina dei fondi comunitari e con le relative tecniche di programmazione, valutazione, monitoraggio e verifica.

Come la stessa ricorrente non manca di riconoscere, si tratta, pertanto, di norme fondamentali delle riforme economico-sociali che, essendo volte a realizzare una complessiva e profonda innovazione normativa in un settore che assume importanza nazionale, sono suscettibili, come tali, di condizionare, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, anche la legislazione esclusiva delle Regioni e Province autonome (sentenza n. 4 del 2000).

Quanto, poi, al rilievo della ricorrente Provincia secondo la quale le disposizioni in parola sarebbero illegittime, in quanto consentirebbero ai nuclei di intervenire nel processo decisionale, influenzandolo, si deve osservare che, anche quando questi sono chiamati a fornire il supporto tecnico per le analisi di opportunità e fattibilità e per l'apprezzamento ex ante di progetti ed interventi, il loro contributo rimane pur sempre contenuto nei limiti di un'attività di ausilio tecnico-valutativo alle decisioni che competono alle singole amministrazioni. E, questo non senza rilevare che si tratta comunque di previsioni ascrivibili alla categoria di norme sopra accennata, in un ambito che richiede l’applicazione di principi uniformi su tutto il territorio nazionale.

A salvaguardia delle competenze della ricorrente resta, peraltro, riservata alla Provincia ogni ulteriore determinazione in ordine al modo di essere di questi nuovi organismi, secondo quanto dispone il comma 3, anch'esso denunciato, il quale prevede, come già detto, che le attività volte alla costituzione dei nuclei di valutazione e verifica sono esercitate autonomamente, sotto il profilo amministrativo, organizzativo e funzionale, dalle singole amministrazioni.

Nè quest'ultima disposizione può ritenersi incostituzionale per il fatto che essa impone di tener conto di strutture similari già esistenti, di evitare duplicazioni, come pure di provvedere ad elaborare, anche sulla base di un'adeguata analisi organizzativa, un programma di attuazione comprensivo delle connesse attività di formazione e di aggiornamento occorrenti alla costituzione e all'avvio dei nuclei.

E’ evidente, infatti, che si tratta di norme sostanzialmente corrispondenti a regole di buona amministrazione e funzionalmente legate da un rapporto di necessaria integrazione con quelle contenute nei commi 1 e 2 dell'art. 1 della legge n. 144 del 1999, concorrendo a realizzarne gli obiettivi riformatori, sì che le stesse, secondo l’orientamento più volte espresso dalla Corte, partecipano della medesima natura di quelle che valgono ad integrare, beneficiando, perciò, della identica protezione costituzionale (sentenze n. 170 del 2001 e n. 477 del 2000).

4. Del pari non fondata é la censura concernente il comma 9, disposizione che, come risulta dagli atti preparatori della legge, persegue la finalità di una "mappatura" del territorio nazionale, attraverso la sua ripartizione in "Sistemi locali del lavoro", e cioé in comprensori territoriali con specifiche caratteristiche funzionali riferite alle attività lavorative, tra i quali vanno, poi, individuati i "distretti economico-produttivi", da intendere come agglomerazioni di attività organizzate ad impresa. L’esigenza che si intende in tal modo soddisfare é quella di nuovi modelli concettuali ed operativi che, prendendo a riferimento le attività lavorative e produttive, consentano di rappresentare, in modo più adeguato, rispetto alle tradizionali ripartizioni amministrative, le differenze di sviluppo delle diverse zone territoriali in cui si articolano Regioni e Province. E ciò anche in vista dell'erogazione di quote dei Fondi strutturali destinate alle zone a cui si applica l'"Obiettivo 2" (art. 4 del regolamento CE n. 1260/1999), ovvero degli aiuti in deroga, di cui all’art. 87.3.c del Trattato di Roma, in funzione del sostegno, anche comunitario, delle aree territoriali in condizioni di particolare bisogno.

Secondo quanto risulta dalla deliberazione CIPE n. 65 del 3 maggio 2001, nel frattempo intervenuta, la delimitazione dei Sistemi locali del lavoro, come pure la individuazione dei distretti economico-produttivi, é operata previa istruttoria tecnica realizzata in ambito CIPE, e dunque con il coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali interessati direttamente da parte di ciascuna Regione o Provincia autonoma.

Ciò posto, é da escludere che la disposizione censurata sia lesiva delle attribuzioni della ricorrente, segnatamente nella parte in cui ¾ nel richiedere l'apporto di Regioni e Province autonome alla costruzione di un quadro di conoscenze sulle caratteristiche economico-sociali delle singole zone ¾ stabilisce che le stesse operino sulla base dei criteri tecnici elaborati, secondo l’accennata procedura, in seno al CIPE.

Non lede l’autonomia provinciale la previsione, da parte del legislatore nazionale, di un’attività di rilevazione di dati e di attivazione di sistemi informativi, alla luce, tra l'altro, di indirizzi tecnici forniti dal CIPE, organo dotato delle conoscenze necessarie in rapporto ai compiti previsti, tanto più trattandosi di esigenze che postulano un’azione unitaria e interventi destinati ad inserirsi nel più ampio quadro dei programmi comunitari.

5. Fondata é, invece, la censura concernente il comma 4, il quale affida ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri l'indicazione delle "caratteristiche organizzative comuni dei nuclei", anche per quel che attiene alla "spettanza di compensi agli eventuali componenti estranei alla pubblica amministrazione", come pure a modalità e criteri "per la formulazione e la realizzazione dei programmi di attuazione", previsti al precedente comma 3.

Quale che sia il carattere della norma testè ricordata, nella sua connessione con i principi di riforma economico sociale contenuti nella legge, lo Stato, come la Corte ha più volte affermato, non é legittimato ad intervenire, nei rapporti con le Regioni e le Province autonome, sulla base di presupposti e secondo modalità che non siano quelli stabiliti dall'ordinamento (sentenza n. 169 del 1999). Ed é proprio alla luce dei principi che lo Stato é tenuto ad osservare che la disposizione va dichiarata illegittima, vuoi a considerare di natura regolamentare l'atto in essa prefigurato, vuoi a reputarlo un atto di indirizzo e coordinamento.

Nel primo caso, occorre rammentare l'orientamento della giurisprudenza costituzionale secondo il quale i regolamenti statali non possono, di norma, disciplinare, in ragione della distribuzione delle competenze normative fra Stato, Regioni e Province autonome, le materie spettanti a queste ultime (sentenza n. 169 del 1999, già citata).

Non diverse appaiono le conclusioni se si riconduce l'atto alla funzione di indirizzo e coordinamento, posto che in tanto possono configurarsi in capo ad organi statali poteri riconducibili a tale funzione, in quanto siano rispettate le condizioni di ordine procedurale e sostanziale indicate dalla giurisprudenza di questa Corte: e cioé, essenzialmente, l'esercizio della funzione stessa attraverso atti collegiali del Governo, nel rispetto del principio di legalità sostanziale (sentenza n. 63 del 2000).

Avuto riguardo alla censura come prospettata in ricorso e, in particolare, al parametro invocato a suo sostegno, di tali condizioni difetta, per quel che concerne l'atto prefigurato nella denunciata disposizione, quantomeno quella relativa alla particolare procedura richiesta dall’art. 3 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, il quale prevede, per l'efficacia degli atti di indirizzo e coordinamento nel territorio della Regione Trentino-Alto Adige e delle Province autonome, la consultazione dei predetti enti, secondo le rispettive competenze, per quanto attiene alla compatibilità degli atti stessi con lo Statuto speciale e le relative norme di attuazione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara:

a) l'illegittimità costituzionale dell'art. 1, comma 4, della legge 17 maggio 1999, n. 144 (Misure in materia di investimenti, delega al Governo per il riordino degli incentivi all'occupazione e della normativa che disciplina l'INAIL, nonchè disposizioni per il riordino degli enti previdenziali), nella parte in cui ricomprende, fra i propri destinatari, la Regione Trentino-Alto Adige e le Province autonome di Trento e di Bolzano;

b) non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 1, 2, lettere a) e c), 3 e 9, della predetta legge 17 maggio 1999, n. 144, sollevate dalla Provincia autonoma di Trento, con il ricorso in epigrafe, in riferimento agli artt. 8, numeri 1, 5, 9, 10, 17, 18, 20, 21, 23, 28 e 29; 9, numeri 3, 4, 5 e 8; 16 dello Statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670, e alle relative norme di attuazione, in particolare all'art. 3 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 luglio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in Cancelleria il 27 luglio 2001.