Sentenza n. 223/2001

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SENTENZA N. 223

ANNO 2001

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori Giudici:

- Cesare RUPERTO, Presidente

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 16, commi 2, 3 e 4, della legge 11 aprile 2000, n. 83 (Modifiche ed integrazioni della legge 12 giugno 1990, n.146, in materia di esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e di salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati), promosso con ordinanza emessa il 28 luglio 2000 dal Tribunale di Genova nel procedimento civile vertente tra Roberto Biagini e le Ferrovie dello Stato s.p.a., iscritta al n. 656 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 2000.

 Udito nella camera di consiglio del 21 marzo 2001 il Giudice relatore Franco Bile;

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza del 28 luglio 2000 il Tribunale di Genova, nel procedimento civile vertente tra un dipendente delle Ferrovie dello Stato s.p.a. e quest'ultima, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell'art. 16, commi 2, 3 e 4, della legge 11 aprile 2000, n.83 (Modifiche ed integrazioni della legge 12 giugno 1990, n.146, in materia di esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e di salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati), in riferimento agli artt. 3, 24 e 40 della Costituzione.

1.1. - Il lavoratore aveva adito il Pretore (poi Tribunale dopo l'istituzione del giudice unico di primo grado) di Genova per sentire dichiarare illegittima e revocare la sanzione della multa inflittagli, in applicazione dell’art. 4 della legge n. 146 del 1990, per aver aderito ad uno sciopero in violazione della legge.

Il Giudice rimettente rileva che, secondo l'art. 16 della legge n.83 del 2000, recante la nuova disciplina del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali, entrata in vigore nelle more del giudizio, le sanzioni contemplate dagli artt. 4 e 9 della legge n. 146 del 1990 non si applicano alle violazioni commesse anteriormente al 31 dicembre 1999, e le sanzioni, comminate prima di tale data per quelle violazioni, sono estinte. Come conseguenza dell’estinzione delle sanzioni il terzo comma prevede che i giudizi di opposizione agli atti di irrogazione delle sanzioni, pendenti in qualsiasi stato e grado, sono automaticamente estinti con compensazione delle spese. Infine, il quarto comma dispone che in nessun caso si fa luogo al rimborso di somme corrisposte per il pagamento delle sanzioni.

1.2. - Il rimettente ritiene siffatta disciplina lesiva degli artt. 3, 24 e 40 della Costituzione.

Il diritto alla tutela giurisdizionale sarebbe violato perché al lavoratore non solo è precluso il riconoscimento della legittimità della condotta, senza che ciò sia bilanciato dal ripristino della situazione anteriore all'applicazione della sanzione, ma è anche negato il recupero delle spese, pur se la pretesa sia fondata.

La preclusione all'accertamento della correttezza del comportamento del lavoratore inciderebbe anche sull’eser-cizio del diritto di sciopero, violando l'art. 40 Cost.

Inoltre l’esclusione del rimborso lederebbe l’art. 3 Cost., per la disparità di trattamento tra i lavoratori che abbiano subìto una sanzione pecuniaria e quelli che, pur avendo tenuto la medesima condotta, non siano già stati assoggettati a sanzione per mero ritardo del datore di lavoro nella sua applicazione.

2. - Nessuna parte si è costituita, né è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - Il rimettente dubita che i commi 2, 3 e 4 - ma essenzialmente i soli commi 3 e 4 - dell'art. 16 della legge 11 aprile 2000, n.83, siano in contrasto con gli artt. 3, 24 e 40 della Costituzione, in quanto prevedono che i giudizi, pendenti in ogni stato e grado, concernenti opposizioni ad atti comminanti sanzioni per le violazioni di cui al comma 1 (che richiama gli artt. 4 e 9 della legge 12 giugno 1990, n.146), anteriori al 31 dicembre 1999, sono automaticamente estinti con compensazione delle spese (comma 3), e che in nessun caso è ammesso il rimborso di quanto corrisposto (comma 4).

2. - La questione è rilevante.

In un giudizio promosso da un dipendente delle Ferrovie dello Stato al fine di ottenere la declaratoria di illegittimità e la revoca della sanzione pecuniaria comminatagli dal datore di lavoro per l’adesione ad uno sciopero in violazione della legge n. 146 del 1990, il giudice, non implausibilmente, ritiene che il lavoratore abbia chiesto sia l’accertamento dell’illegittimità della sanzione, sia la restituzione della somma trattenutagli sulla retribuzione, con le conseguenti statuizioni in ordine alle spese, e che la sopravvenuta legge n. 83 del 2000 gli impedisca di esaminare il merito di tali domande.

3. - Le modifiche apportate dalla legge n. 83 del 2000 alla precedente legge n. 146 del 1990, sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, riguardano - fra l’altro - il regime sanzionatorio. La nuova legge, da un lato, conferma la scelta di fondo di ricondurre al piano disciplinare le violazioni commesse dai lavoratori subordinati (art. 4, comma 1); e, dall'altro, innovativamente, prevede che, per talune di esse, la Commissione di garanzia possa prescrivere al datore di lavoro l’applicazione di sanzioni disciplinari, con relativa sua responsabilità in caso di inottemperanza (art.13, lettera i).

Nel contesto di tali modifiche, la legge del 2000 ha voluto sottrarre alle sanzioni di cui agli artt. 4 e 9 della legge n. 146 del 1990 i fatti anteriori al 31 dicembre 1999. Perciò, i primi due commi dell'impugnato art. 16 dispongono che quelle sanzioni non si applicano alle condotte precedenti tale data e, se comminate prima di essa, sono estinte.

La disciplina è completata - per i giudizi pendenti, di opposizione a sanzioni già comminate - dal terzo comma, secondo cui essi <<sono automaticamente estinti con compensazione delle spese>>. Infine, il quarto comma dispone che <<in nessun caso si fa luogo al rimborso delle somme corrisposte per il pagamento delle sanzioni>>.

Il terzo ed il quarto comma devono interpretarsi congiuntamente, nel senso che, in sede di opposizione a sanzione pecuniaria comminata ed applicata, il giudice - da un lato - è tenuto a dichiarare estinto il giudizio e - dall’altro - non può disporre il rimborso al lavoratore della somma a lui trattenuta. Questa interpretazione - accolta dal giudice rimettente - è coonestata dalla lettera del quarto comma, il cui inequivocabile incipit (<<in nessun caso si fa luogo a rimborso>>) mostra che la regola, di portata generale, vale anche se l’atto impositivo della sanzione sia stato impugnato.

4. - Tale disciplina - escludendo il rimborso e compensando le spese - vanifica in sostanza la tutela giurisdizionale del diritto azionato dal lavoratore.

4.1. - Questa Corte ha affermato che il legislatore, intervenendo a regolare una certa materia, in tanto può incidere sui giudizi in corso, dichiarandoli estinti, senza ledere il diritto alla tutela giurisdizionale garantito dall’art. 24 Cost., in quanto la nuova disciplina, lungi dal tradursi in una sostanziale vanificazione dei diritti azionati, sia tale da realizzare le pretese fatte valere dagli interessati, così eliminando le basi del preesistente contenzioso (sentenza n.310 del 2000).

La normativa impugnata prevede insieme l’estinzione <<automatica>> dei giudizi di opposizione e l'esclusione del rimborso delle somme trattenute.

La prima misura è di per sé rispettosa dei principi appena ricordati. Essa discende infatti dall’estinzione delle sanzioni e dalla correlativa soddisfazione ex lege della pretesa mirante ad ottenerne l’annullamento, che determina la cessazione della materia del contendere. Ciò consente anche di escludere che sia vanificato il diritto del lavoratore all'accertamento della legittimità della sua astensione dal lavoro nell'esercizio del diritto di sciopero (art. 40 Cost.), atteso che, estinta ex lege la sanzione, il lavoratore non ha più interesse ad un accertamento che è finalizzato proprio alla caducazione della sanzione applicata.

4.2. - Diversa valutazione merita invece l’esclusione del rimborso, che lascia la pretesa azionata dal lavoratore del tutto priva di tutela giurisdizionale, quanto alle implicazioni restitutorie della dedotta illegittimità della sanzione, al punto che la sua situazione patrimoniale resta definitivamente incisa, pur senza causa.

L’argomento secondo cui il divieto di rimborso sarebbe giustificato dall’intervenuta definizione del rapporto - sotto il profilo che la sanzione, una volta applicata, avrebbe conseguito la sua finalità afflittiva - può avere rilievo quando il destinatario della sanzione non ne abbia contestato la legittimità, non certo quando egli abbia proposto opposizione in sede giudiziaria.

In questo caso - che corrisponde alla fattispecie esaminata dal rimettente - viene in considerazione il diritto alla tutela giurisdizionale, con riferimento al quale si impone un diverso e più rigoroso bilanciamento delle situazioni sostanziali versate in giudizio e dei contrapposti interessi. E, di certo, esso non è adeguatamente operato da una legge che dall'estinzione della sanzione faccia discendere solo l'estinzione, per cessazione della materia del contendere, del giudizio di impugnazione della sanzione, ma non anche il ripristino della situazione patrimoniale pregiudicata dall’avvenuta sua applicazione.

4.3. - Il diniego del rimborso viola anche il principio di eguaglianza perché - a parità di condizioni in cui versano i lavoratori che abbiano adito il giudice per ottenere la declaratoria di illegittimità della sanzione - la stabilizzazione delle conseguenze patrimoniali negative che la sanzione comporta deriverebbe dalla circostanza, meramente accidentale, che essa sia stata o meno applicata, con trattenuta sulla retribuzione od in altro modo. Analoga disparità sussiste rispetto alle sanzioni per le quali non si ponga un problema di restituzione di somme trattenute, come quelle che non comportino conseguenze economiche (rimprovero, censura) ovvero implichino conseguenze di tipo diverso (sospensione dal servizio e dalla retribuzione).

Del resto, in una similare fattispecie di preclusione ex lege del diritto al rimborso, questa Corte (sentenza n. 416 del 2000) ha ritenuto in contrasto con l’art. 3 Cost. una norma che dall'accertamento del diritto del contribuente ad un'agevolazione fiscale faceva derivare solo l'illegittimità dell'atto impositivo, ma escludeva il rimborso dell'imposta pagata.

4.4. - Pertanto, deve dichiararsi l'illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3 e 24 Cost., del quarto comma dell’impugnato art. 16, nella parte in cui prevede che non si fa luogo al rimborso di somme corrisposte per il pagamento delle sanzioni, anche se siano stati proposti i giudizi di opposizione di cui al terzo comma (che rimanda al primo, e quindi agli artt. 4 e 9 della legge n.146 del 1990).

5. - Fondata è anche la questione di legittimità costituzionale del terzo comma dell'art. 16, nella parte in cui dispone la compensazione delle spese relative ai giudizi di opposizione dichiarati estinti.

In generale, il diritto alla tutela giurisdizionale, costituzionalmente garantito, si estende anche alle spese che devono essere sostenute per agire in giudizio. Di tali spese il legislatore, nell'introdurre fattispecie di estinzione ex lege di giudizi in corso, può anche eccezionalmente prevedere la compensazione, in un quadro di bilanciamento dei contrapposti interessi in gioco.

Ma, ancora una volta, tale bilanciamento non è stato effettuato. La rigidità della regola della compensazione sacrifica sempre e comunque il diritto della parte, che abbia fondatamente adito il giudice, di ottenere il rimborso delle spese processuali. Del resto, l’estinzione ex lege dei giudizi di opposizione in esame non comporta la necessaria compensazione legale delle spese, essendo invece del tutto compatibile con il criterio (desumibile dalla disciplina ordinaria: artt. 91, 92 del codice di procedura civile), secondo cui le spese, in caso di cessazione della materia del contendere, sono regolate in base alla c.d. soccombenza virtuale, salvo, beninteso, il potere del giudice di disporre la loro compensazione ove discrezionalmente ne ravvisi i presupposti.

Pertanto, se la cessazione della materia del contendere sull'impugnativa di una sanzione ormai estinta per legge giustifica l'estinzione legale del giudizio, da questa non può discendere, con analoga consequenzialità, la compensazione ex lege delle spese processuali.

Lo scostamento dal canone ordinario che regola le spese in caso di cessazione della materia del contendere appare ancor meno ragionevole, considerando come il lavoratore che ha impugnato la sanzione non possa rinunciare all’estinzione e insistere per la pronuncia di merito.

Il terzo comma dell'art. 16 è, quindi, costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 24 Cost., limitatamente alle parole <<con compensazione delle spese>>.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 16, comma 4, della legge 11 aprile 2000, n.83 (Modifiche ed integrazioni della legge 12 giugno 1990, n.146, in materia di esercizio del diritto di sciopero nei servizi pubblici essenziali e di salvaguardia dei diritti della persona costituzionalmente tutelati), nella parte in cui prevede che non si fa luogo al rimborso di somme corrisposte per il pagamento delle sanzioni, anche se siano stati proposti i giudizi di opposizione di cui al terzo comma;

b) dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 16, comma 3, della legge 11 aprile 2000, n.83, limitatamente alle parole <<con compensazione delle spese>>.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 4 luglio 2001.

Cesare RUPERTO, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in Cancelleria il 6 luglio 2001.