Ordinanza n. 577/2000

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ORDINANZA N. 577

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori Giudici:

- Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 22, 25 e 38 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (Revisione della disciplina del contenzioso tributario), promosso con ordinanza emessa il 22 marzo 1999 dalla Commissione tributaria regionale di Cagliari sul ricorso proposto da Luigi Coni contro l'Ufficio delle entrate di Tempio Pausania, iscritta al n. 285 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 2000.

 Visto l'atto d'intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 udito nella camera di consiglio del 25 ottobre 2000 il Giudice relatore Franco Bile.

Ritenuto che con ordinanza del 22 marzo 1999, pervenuta alla Corte il 18 novembre 1999, la Commissione tributaria regionale di Cagliari, nel corso di un procedimento di appello avverso una decisione della Commissione tributaria di primo grado di Tempio Pausania, ha sollevato - in riferimento all’art. 24 della Costituzione - questione di costituzionalità degli articoli 22, 25 e 38 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (Revisione della disciplina del contenzioso tributario), applicabili al procedimento ratione temporis, nella parte in cui, secondo l’interpretazione della Corte di cassazione costituente <<diritto vivente>>, devono essere integrati dalla regola posta dall’art. 327, primo comma, del codice di procedura civile, nel senso della soggezione dell’appello al c.d. <<termine lungo>> annuale da essa previsto e non invece al solo termine di cui allo stesso art. 22, con la conseguente preclusione dell’appello quando il <<termine lungo>> sia decorso, indipendentemente dalla perdurante eventuale pendenza del <<termine breve>> di sessanta giorni dalla notificazione o comunicazione, previste dall’art. 38;

che il giudice rimettente ha ritenuto la non manifesta infondatezza della questione osservando che il processo tributario disciplinato dal d.P.R. n. 636 del 1972 è caratterizzato dalla non obbligatorietà della difesa tecnica e, in genere, <<da un complesso di semplificazioni procedurali e da regole volte a renderlo accessibile anche al semplice contribuente pur sprovvisto di cognizioni specifiche>>, e che l’applicazione dell’art. 327, primo comma, cod. proc. civ. appare in contrasto con siffatte caratteristiche, in quanto <<la conoscenza o la semplice conoscibilità>> della norma richiede una competenza tecnica qualificata che può esigersi solo dagli operatori del diritto e non da un soggetto che si difende personalmente pur essendo abitualmente privo di preparazione giuridica;

che questa difficoltà di conoscenza sarebbe, del resto, evidenziata anche dalla circostanza che il legislatore della riforma del processo tributario - nel testo dell’art. 72 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 (Disposizioni sul processo tributario in attuazione della delega al Governo contenuta nell’art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413) anteriore alla sostituzione apportata dall’art. 12 lettera i) del decreto-legge 8 agosto 1996, n. 437 (Disposizioni urgenti in materia di imposizione diretta ed indiretta, di funzionalità dell’Amministrazione finanziaria, di gestioni fuori bilancio, di fondi previdenziali e di contenzioso tributario), convertito con modificazioni dalla legge 24 ottobre 1996, n. 556 (Conversione in legge, con modificazioni, del D.L. 8 agosto 1996, n. 437, recante disposizioni urgenti in materia di imposizione diretta ed indiretta, di funzionalità dell'Amministrazione finanziaria, di gestioni fuori bilancio, di fondi previdenziali e di contenzioso tributario) - aveva stabilito che per i termini di impugnazione delle decisioni delle commissioni tributarie di primo e secondo grado, relativi alle controversie pendenti, restava ferma l’applicabilità del solo termine breve di impugnazione, escludendo testualmente quella del termine ex art. 327, primo comma, cod. proc. civ.;

che, in definitiva, l’applicazione dell’art. 327, primo comma, cod. proc. civ. al processo tributario - nel quale non è previsto l’obbligo della difesa tecnica, la sola <<in grado di percepire la consapevolezza dell’estensione operativa della norma e delle sue implicazioni applicative>> - finisce per vanificare l’esigenza di tutela del diritto di difesa ex art. 24 della Costituzione;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l’Avvocatura generale dello Stato, sostenendo l’infondatezza della questione.

Considerato che nel contenzioso tributario disciplinato dal d.P.R. n. 636 del 1972 l’unico termine d’impugnazione previsto espressamente - tanto per le impugnazioni in appello, quanto per quelle alla Commissione tributaria centrale - era quello di sessanta giorni dalla comunicazione del deposito della decisione a cura della segreteria o dalla notificazione della decisione a cura della parte (cfr. art. 22, primo comma, e art. 25 primo comma, in relazione all’art. 38, commi terzo e quinto, come modificato dal d.P.R. 3 novembre 1981, n. 739 (Norme integrative e correttive del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 636, concernente la revisione della disciplina del contenzioso tributario);

 che sul problema della sovrapponibilità a tale termine del termine c.d. lungo dell’anno dalla pubblicazione (scilicet deposito) della decisione, previsto dall’art. 327, primo comma, cod. proc. civ, la giurisprudenza di merito tributaria e quella di legittimità si sono attestate sulla soluzione positiva a seguito dell’intervento delle sezioni unite della Corte di cassazione, onde è corretta l’affermazione del rimettente circa l’esistenza di un <<diritto vivente>> favorevole all’applicabilità del <<termine lungo>>;

 che il rimettente dubita della conformità all’art. 24 Cost. di tale <<diritto vivente>>, sostanzialmente adducendo che l’applicazione del <<termine lungo>>, discendendo da un’operazione ermeneutica implicante un certo grado di difficoltà, sarebbe incompatibile con la struttura del processo tributario secondo il regime di cui al d.P.R. n. 636 del 1972, (nel quale la difesa personale del contribuente, in alternativa a quella del difensore tecnico, era possibile senza limiti derivanti dal valore o dall’oggetto della controversia: art. 30, primo comma), essendo invece compatibile soltanto con una disciplina processuale nella quale la difesa tecnica sia prevista come necessaria;

 che la difficoltà di conoscenza della regola avallata dal <<diritto vivente>> sarebbe confermata anche dal rilievo che - nel dettare la disciplina delle controversie pendenti nel passaggio dalla vigenza del contenzioso tributario di cui al d.P.R. n. 636 del 1972, al nuovo contenzioso di cui al d.lgs. n. 546 del 1992 - lo stesso legislatore avrebbe sentito il bisogno di dettare una norma di interpretazione autentica (art. 72 di tale d.lgs., nel testo anteriore alla sostituzione operata dal citato art. 12 del d.l. n. 437 del 1996), per stabilire l’inapplicabilità dell’art. 327, primo comma, cod. proc. civ.;

che questa Corte, proprio nello scrutinare una questione proposta avverso una norma regolatrice del processo tributario secondo il regime di cui al d.P.R. n. 636 del 1972, ha già avuto occasione di chiarire (sentenza n. 243 del 1982) che, <<una volta che il contribuente è ammesso a difendersi nella controversia tributaria sia personalmente, sia con l’assistenza di un difensore tecnico, termini e decadenze processuali non possono variare, nel processo tributario come in ogni altro tipo di processo, secondo che la facoltà di farsi assistere dal difensore tecnico sia stata dalla parte esercitata o no>>, mentre con altra precedente decisione aveva escluso che un onere imposto sempre da quel regime processuale fosse incompatibile con la previsione della facoltà di far ricorso alla difesa personale ed in particolare ledesse l’art. 24 Cost. (sentenza n. 63 del 1977);

che i principi di cui alle due decisioni indicate vanno coordinati con l’affermazione - fatta da altra decisione di questa Corte sempre in tema di vecchio contenzioso tributario (ordinanza n. 685 del 1988; si vedano pure l’ordinanza n. 251 del 1994 e, con riferimento al nuovo processo tributario, l’ordinanza n. 210 del 1998) - secondo cui l’ammissione della difesa personale del contribuente, accompagnandosi al riconoscimento della facoltà di valersi comunque della difesa tecnica, non è lesiva della garanzia dell’inviolabilità del diritto di difesa, considerato che l’art. 24 della Costituzione non impedisce al legislatore di disciplinarne l’esercizio secondo valutazioni discrezionali;

che, conseguentemente, appare manifestamente insussistente la violazione del citato precetto costituzionale, lamentata ora dal rimettente, in quanto il contribuente che, nel vigore della disciplina del contenzioso tributario di cui al d.P.R. n. 636 del 1972, sceglieva di valersi della facoltà di difendersi personalmente, non poteva non considerare l’alea di eventuali incertezze e difficoltà interpretative scaturenti dalla disciplina del processo tributario e, quindi, non poteva non accettare la conseguenza di doverle gestire di persona, senza ausilio di difensore tecnico, sopportandone tutte le implicazioni possibili secondo un principio di autoresponsabilità;

che l’argomento che il rimettente desume dalla disciplina transitoria (poi eliminata nella stesura definitiva della norma) posta nell’art. 72 del d.lgs. n. 546 del 1992, nella quale si avallava - per la verità in senso opposto al diritto vivente già allora formatosi in senso contrario - la tesi che il termine lungo non fosse applicabile alle impugnazioni delle decisioni delle commissioni tributarie di primo e di secondo grado, è assolutamente ininfluente sulle esposte ragioni di manifesta infondatezza della questione, pur dovendosi comunque rilevare che nella specie, per quanto enuncia la stessa ordinanza di rimessione, l’appello pendente avanti al rimettente venne introdotto nel 1988, cioè ben prima che si dettasse quella (provvisoria) disciplina transitoria;

che, pertanto, la sollevata questione deve ritenersi manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli articoli 22, 25 e 38 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (Revisione della disciplina del contenzioso tributario), sollevata, in riferimento all’art. 24 della Costituzione, dalla Commissione tributaria regionale di Cagliari, con l’ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 dicembre 2000.

Fernando SANTOSUOSSO, Presidente

Franco BILE, Redattore

Depositata in cancelleria il 29 dicembre 2000.