Ordinanza n. 453/2000

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ORDINANZA N. 453

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Cesare MIRABELLI, Presidente

- Francesco GUIZZI

- Fernando SANTOSUOSSO

- Massimo VARI

- Cesare RUPERTO

- Riccardo CHIEPPA

- Gustavo ZAGREBELSKY

- Valerio ONIDA

- Carlo MEZZANOTTE

- Fernanda CONTRI

- Guido NEPPI MODONA

- Piero Alberto CAPOTOSTI

- Annibale MARINI

- Franco BILE

- Giovanni Maria FLICK

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 16, sesto comma, della legge 14 dicembre 1973, n. 829 (Riforma dell’opera di previdenza a favore del personale dell’Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato), promosso con ordinanza emessa il 27 ottobre 1999 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra le Ferrovie dello Stato s.p.a. e Pucci Giovanni, iscritta al n. 156 del registro ordinanze 2000 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16, prima serie speciale, dell’anno 2000.

 Visto l’atto di costituzione di Pucci Giovanni;

 udito nella camera di consiglio del 12 ottobre 2000 il Giudice relatore Cesare Ruperto.

 Ritenuto che, nel corso di un procedimento civile d'appello - vertente in materia di corresponsione, al fratello di una dipendente delle Ferrovie dello Stato, dell'indennità di buonuscita dovuta alla propria autrice, deceduta in servizio nel mese di aprile del 1992 - il Tribunale di Roma, con ordinanza emessa il 27 ottobre 1999, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 16, sesto comma, della legge 14 dicembre 1973, n. 829 (Riforma dell’opera di previdenza a favore del personale dell’Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato), nella parte in cui «subordina la possibilità della successione degli eredi legittimi, nella specie il fratello, alla vivenza a carico ed al requisito dell'età (21 anni), ove non vi sia inabilità permanente a proficuo lavoro»;

 che, secondo il rimettente, in ragione della natura retributiva con funzione previdenziale dell'indennità di buonuscita, la norma impugnata si pone in contrasto con l'art. 3 Cost., per l’ingiustificata disparità di trattamento rispetto alla regola generale dettata dal codice civile per i lavoratori subordinati privati, nonché alla disciplina prevista per i dipendenti dello Stato dall'art. 5 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032, che nell'attribuzione, nella stessa situazione, dei diritti iure successionis, prescindono dai richiamati requisiti;

 che si è costituita la parte privata, attrice nel giudizio a quo, concludendo per l'inammissibilità della sollevata questione, poiché riguardante una norma già dichiarata costituzionalmente illegittima, nel senso auspicato dal rimettente, con sentenza n. 195 del 1999.

 Considerato che questione sostanzialmente identica è stata già decisa - nel senso della manifesta infondatezza - con ordinanza n. 223 del 1999, non conosciuta dal Tribunale rimettente;

 che, in tale sede, è stato ricordato come questa Corte, superando l’iniziale affermazione del carattere meramente previdenziale del complesso dei trattamenti di fine rapporto nel settore pubblico, ne abbia definitivamente riconosciuto l’essenziale natura di retribuzione differita, pur se legata ad una concorrente funzione previdenziale (v. sentenze n. 243 e n. 99 del 1993), precisando che il relativo trattamento fa parte integrante del patrimonio del de cuius e costituisce una porzione del compenso dovuto per il lavoro prestato, la cui corresponsione viene differita, appunto in funzione previdenziale, al fine di agevolare la soluzione di eventuali difficoltà economiche che possono insorgere nel momento in cui viene meno la retribuzione;

 che è stato ivi ulteriormente sottolineato come la Corte abbia, poi, più volte affermato che qualunque forma di devoluzione anomala dell’indennità, attribuita ai determinati soggetti indicati dalle varie normative, trova razionale fondamento e giustificazione esclusivamente nella evenienza della concorrente funzione previdenziale del trattamento, la quale assume rilievo in ragione della peculiare integrazione di dette persone nel nucleo familiare del dante causa, dalla retribuzione del quale esse ricevevano un sostentamento venuto a cessare, in tutto o in parte, dopo la sua morte;

 che, viceversa, in assenza di tali soggetti, a favore dei quali opera una riserva legale di destinazione, la suddetta concorrente funzione previdenziale viene a perdere detta rilevanza tipica, riespandendosi in tutta la sua portata la natura retributiva, per cui la devoluzione mortis causa dell'indennità non può non essere soggetta alle generali regole successorie (v. le sentenze n. 106 del 1996 e n. 243 del 1997);

 che, in particolare, va qui posto in rilievo come la generale applicabilità a qualsiasi tipo di rapporto di lavoro subordinato, di tali principi informatori della materia, ha altresì portato alla declaratoria di illegittimità costituzionale anche della stessa norma oggetto del presente giudizio «nella parte in cui esclude che, nell'assenza dei beneficiari ivi indicati, l'indennità di buonuscita formi oggetto di successione per testamento o, in mancanza, per legge» (sentenza n. 195 del 1999, anch'essa, come le precedenti, ignorata dal rimettente);

 che tali considerazioni rendono dunque palese l'erroneità del presupposto da cui muove il Tribunale a quo, là dove - nel richiedere una pronuncia incidente sui requisiti dettati per beneficiare iure proprio dell'indennità in questione - porta a comparazione discipline dirette a regolarne la trasmissibilità iure successionis;

 che, pertanto, la sollevata questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

 Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 16, sesto comma, della legge 14 dicembre 1973, n. 829 (Riforma dell’opera di previdenza a favore del personale dell’Azienda autonoma delle ferrovie dello Stato), sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Tribunale di Roma, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 ottobre 2000.

Cesare MIRABELLI, Presidente

Cesare RUPERTO, Redattore

Depositata in cancelleria il 31 ottobre 2000.