Sentenza n. 42 del 2000

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 42

ANNO 2000

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Prof. Giuliano VASSALLI, Presidente

- Prof. Francesco GUIZZI 

- Prof.  Cesare MIRABELLI 

- Prof. Fernando SANTOSUOSSO 

- Dott. Cesare RUPERTO 

- Dott.  Riccardo CHIEPPA 

- Prof. Gustavo ZAGREBELSKY 

- Prof. Valerio ONIDA 

- Prof.  Carlo MEZZANOTTE 

- Avv.  Fernanda CONTRI 

- Prof. Guido NEPPI MODONA 

- Prof.  Piero Alberto CAPOTOSTI 

- Prof. Annibale MARINI 

- Dott. Franco BILE  "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di ammissibilità, ai sensi dell’art. 2, primo comma, della legge costituzionale 11 marzo 1953, n. 1, della richiesta di referendum popolare per l’abrogazione del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 29 luglio 1947, n. 804, recante "Riconoscimento giuridico degli Istituti di patronato e di assistenza sociale", e successive modificazioni; giudizio iscritto al n. 124 del registro referendum.

 Vista l’ordinanza del 7-13 dicembre 1999 con la quale l’Ufficio centrale per il referendum presso la Corte di cassazione ha dichiarato conforme a legge la richiesta;

 udito nella camera di consiglio del 18 gennaio 2000 il Giudice relatore Cesare Ruperto;

 uditi l’avvocato Nicolò Zanon per i presentatori Daniele Capezzone, Mariano Giustino e Michele De Lucia e gli avvocati Amos Andreoni e Vittorio Angiolini per la Federazione dei Verdi ed altri, Comitato per le libertà e i diritti sociali e Partito della rifondazione comunista.

Ritenuto in fatto

 

 1. – L’Ufficio centrale per il referendum, costituito presso la Corte di cassazione, in applicazione della legge 25 maggio 1970, n. 352, e successive modifiche e integrazioni, esaminata la richiesta di referendum popolare presentata in data 28 settembre 1999 da Daniele Capezzone e altri quattro cittadini elettori sul seguente quesito: "Volete voi che sia abrogato il decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 29 luglio 1947, n. 804, recante "Riconoscimento giuridico degli Istituti di patronato e di assistenza sociale", e successive modificazioni?", con ordinanza del 7-13 dicembre 1999 ha dichiarato la richiesta stessa conforme alle disposizioni della legge n. 352 del 1970, stabilendone altresì la seguente denominazione: "Istituti di patronato e di assistenza sociale: abolizione della disciplina speciale e del finanziamento pubblico".

2. – Ricevuta comunicazione dell’ordinanza, il Presidente di questa Corte ha fissato il giorno 13 gennaio 2000 per la conseguente deliberazione in camera di consiglio, dandone comunicazione, a norma dell’art. 33, secondo comma, della legge n. 352 del 1970, ai presentatori della richiesta di referendum e al Presidente del Consiglio dei ministri.

 3. – I presentatori del referendum hanno depositato in data 5 gennaio 2000 una memoria, sostenendo le ragioni dell’ammissibilità della richiesta referendaria sotto i profili dell’omogeneità, della chiarezza e dell’univocità del quesito, e della mancanza di preclusioni che in tal senso possano farsi derivare dall’art. 75, secondo comma, della Costituzione.

 4. – In data 10 gennaio 2000 hanno depositato tre memorie, di contenuto sostanzialmente identico: a) il "Comitato per le libertà e i diritti sociali", costituitosi al fine di contrastare l’iniziativa referendaria; b) il "Partito della rifondazione comunista", e c) la "Federazione dei Verdi", unitamente all’"Associazione nazionale per la Sinistra" e ad Alfiero Grandi quale responsabile lavoro dei "DS – Democratici di sinistra". Nelle tre memorie, previa illustrazione delle ragioni del "contraddittorio" così esercitato, si sostiene l’inammissibilità, tra altre, della richiesta referendaria in argomento.

 5. – In data 12 gennaio 2000 i presentatori del referendum hanno depositato ulteriore memoria, con la quale hanno eccepito l’irricevibilità o inammissibilità degli atti "di intervento, memorie e contributo istruttorio" depositati dai soggetti indicati al punto precedente.

 6. – La discussione, già fissata per la camera di consiglio del 13 gennaio 2000, è stata in tale data rinviata alla camera di consiglio del successivo 18 gennaio, previa comunicazione ai presentatori e al Presidente del Consiglio dei ministri, nonché ai soggetti che hanno depositato memorie; questi ultimi hanno depositato ulteriore atto in data 17 gennaio 2000.

 7. – Nella camera di consiglio del 18 gennaio 2000 sono stati ascoltati: in rappresentanza dei presentatori, l’avvocato Nicolò Zanon e, in rappresentanza dei soggetti indicati al punto 4, gli avvocati Amos Andreoni e Vittorio Angiolini, che hanno rispettivamente illustrato e ribadito le argomentazioni svolte negli atti depositati in precedenza.

Considerato in diritto

 

 1. – Preliminarmente, a scioglimento della riserva formulata nella camera di consiglio, relativamente alla possibilità di dare ingresso nel presente procedimento alle memorie presentate da soggetti diversi da quelli – delegati o presentatori della richiesta di referendum, e Presidente del Consiglio dei ministri - ai quali tale facoltà è espressamente riconosciuta dall’art. 33 della legge 25 maggio 1970, n. 352, e di consentirne l’illustrazione in camera di consiglio da parte dei rispettivi rappresentanti, questa Corte non può che richiamare quanto osservato e stabilito al riguardo in senso affermativo nella sentenza n. 31 del 2000 di pari data.

2. – La richiesta di referendum abrogativo in esame è diretta all’abrogazione del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 29 luglio 1947, n. 804 (oggetto di "ratifica" con la legge 17 aprile 1956, n. 561), il quale detta la disciplina degli Istituti di patronato e di assistenza sociale.

3. – Tale richiesta non è ammissibile.                                                                                            

3.1. – Agli Istituti di patronato e di assistenza sociale – enti di diritto privato, secondo l’art. 1 della legge 27 marzo 1980, n. 112 - costituiti e gestiti da associazioni nazionali di lavoratori che annoverino nei propri statuti finalità assistenziali e diano prova di potervi provvedere con mezzi adeguati (art. 2, primo comma, del decreto n. 804 del 1947), spetta l’esercizio dell’assistenza e della tutela dei lavoratori e dei loro aventi causa per il conseguimento in sede amministrativa delle prestazioni di qualsiasi genere previste da leggi, statuti e contratti regolanti la previdenza e la quiescenza, nonché la rappresentanza dei lavoratori davanti agli organi di liquidazione di dette prestazioni o a collegi di conciliazione (art. 1, primo comma). In sede giurisdizionale, gli Istituti di patronato e di assistenza sociale possono inoltre, a richiesta dell’assistito, rendere informazioni e osservazioni orali nelle controversie in materia previdenziale e assistenziale (art. 446 cod. proc. civ., non compreso nel quesito referendario).

Il fatto di essere oggi emanazioni di associazioni di lavoratori non impedisce, come generalmente ritenuto, che in tali Istituti continui a essere presente una connotazione pubblicistica, connessa alla natura dei compiti, connotazione che in passato spiegava la possibilità che la loro fondazione fosse promossa da province, comuni o altri enti morali (secondo l’espressione dell’art. 119 del regolamento per l’esecuzione del decreto-legge 23 agosto 1917, n. 1450, approvato con decreto luogotenenziale 21 novembre 1918, n. 1889). Manifestazione evidente e, al tempo stesso, riprova di ciò è l’art. 3, secondo comma, del decreto n. 804, di cui si chiede l’abrogazione referendaria, il quale impone che lo statuto degli Istituti di patronato deve espressamente stabilire che la loro attività "è svolta gratuitamente nei confronti di tutti i lavoratori, senza alcuna limitazione". Questa disposizione, chiave di volta dell’intera disciplina legislativa, è quella che, collocando gli Istituti al di là dell’ambito di attività riconducibili esclusivamente all’autonomia dei lavoratori e inserendoli in quello della cura di interessi generali, giustifica il sistema pubblico del loro finanziamento (artt. 4 e 5), la sottoposizione a vigilanza ministeriale (artt. 6 e 7), nonché l’equiparazione alle Amministrazioni dello Stato ai fini tributari (art. 8).

3.2. – Secondo la Costituzione, i diritti di natura previdenziale dei lavoratori la cui difesa nei procedimenti amministrativi (e giurisdizionali) costituisce la finalità degli Istituti di patronato, sono garantiti dall’art. 38, secondo comma: "I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria" e la garanzia, non solo per ragioni di logica costituzionale dei diritti ma anche per ragioni testuali ("preveduti e assicurati"), presenta necessariamente, accanto all’aspetto sostanziale, anche un aspetto procedimentale, tanto più rilevante in quanto si tratta di diritti previsti in relazione a condizioni di difficoltà, e quindi di debolezza, che possono realizzarsi nella vita dei lavoratori, la cui effettività si scontra con la farraginosa complessità del sistema previdenziale attuale.

Sempre secondo la Costituzione (art. 38, quarto comma), la protezione di tali diritti, poi, non è rimessa soltanto all’eventuale e sempre possibile libera iniziativa dei lavoratori, singoli o associati, ma rientra tra i fini e i compiti costituzionalmente assegnati allo Stato - fini e compiti ai quali "provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato" medesimo (ai quali ultimi, oltre agli Istituti preposti alla erogazione delle prestazioni previdenziali, sono riconducibili gli Istituti in questione). I fini previdenziali, infatti, corrispondono a un interesse pubblico direttamente riconducibile all’art. 3, secondo comma, della Costituzione il quale stabilisce ancora essere "compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese".

 Dalla connotazione pubblicistica dell’interesse previdenziale, quale definito dalla Costituzione, deriva poi, in via conseguenziale diretta e necessaria, che le prestazioni alle quali devono provvedere gli organi e gli istituti predisposti o integrati dallo Stato (a) sono sottratte all’ambito delle attività lucrative, pur non dovendo necessariamente essere gratuite; e che (b) devono essere fornite in posizione di uguaglianza a tutti i lavoratori, non assumendo alcun rilievo la circostanza che si tratti di lavoratori iscritti o non iscritti al sindacato, iscritti a questo o quel sindacato. Il carattere non di lucro dell’attività e l’indirizzo generalizzato delle prestazioni sono, in sostanza, il connotato essenziale della previdenza pubblica prevista dalla Costituzione. Al contrario, lo scopo di profitto e la possibilità di selezione tra le richieste dei lavoratori rientra in un quadro di attività assicurative e assistenziali ulteriori e accessorie che, pur non vietate dalla Costituzione, non entrano a comporre il quadro della protezione dei diritti dei lavoratori che deve essere predisposto tramite gli organi e gli istituti di cui parla l’art. 38 della Costituzione.

3.3. – La Costituzione, dunque, esige che vi sia una specifica organizzazione per le prestazioni previdenziali – sostanziali e strumentali - cioè gli "organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato" di cui all’art. 38 e che le prestazioni offerte da tali strutture non siano oggetto di attività lucrativa e siano disponibili dalla generalità dei lavoratori. Questo è il nucleo costituzionale irrinunciabile, un nucleo che lascia largo spazio alla discrezionalità legislativa, nella disciplina degli aspetti organizzativi, finanziari e funzionali della materia. Di contro, l’abrogazione referendaria del decreto n. 804 del 1947 contraddice puntualmente questo nucleo, eliminando strutture operanti nel campo previdenziale direttamente riconducibili a quelle previste dall’art. 38, quarto comma, della Costituzione e finendo per trasferire le loro attività, oggi non lucrative e garantite a tutti i lavoratori, al campo dell’autonomia privata, cioè delle libere scelte individuali. E’, in proposito, rivelatrice la richiesta di abrogazione referendaria dell’art. 3, secondo comma, già ricordato come quello che, dal punto di vista dei caratteri delle prestazioni, rispecchia direttamente e senza possibilità di opzioni diverse per il legislatore – quanto alla natura non di lucro dell’attività e alla generalità delle prestazioni - il senso della garanzia previdenziale voluta dalla Costituzione.

4. – Deve dunque trovare applicazione, nella specie, il criterio di giudizio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (ad esempio, sentenze nn. 26 del 1981, 17 e 35 del 1997, che precisano e applicano il principio per la prima volta esplicitato nella sentenza n. 16 del 1978), il quale esclude l’ammissibilità del referendum abrogativo di disposizioni che non possono essere soppresse senza con ciò ledere principi costituzionali.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la richiesta di referendum popolare per l’abrogazione del decreto legislativo del Capo provvisorio dello Stato 29 luglio 1947, n. 804 (Riconoscimento giuridico degli Istituti di patronato e di assistenza sociale), e successive modificazioni, dichiarata legittima, con ordinanza del 7-13 dicembre 1999, dall’Ufficio centrale per il referendum costituito presso la Corte di cassazione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 febbraio 2000.

Giuliano VASSALLI, Presidente

Gustavo ZAGREBLESKY, Redattore

Depositata in cancelleria il 7 febbraio 2000.