Sentenza n. 457/98

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SENTENZA N.457

ANNO 1998

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

- Dott.   Renato GRANATA, Presidente

- Prof.    Giuliano VASSALLI

- Prof.    Cesare MIRABELLI

- Prof.    Fernando SANTOSUOSSO 

- Avv.    Massimo VARI         

- Dott.   Cesare RUPERTO    

- Dott.   Riccardo CHIEPPA  

- Prof.    Gustavo ZAGREBELSKY  

- Prof.    Valerio ONIDA        

- Avv.    Fernanda CONTRI   

- Prof.    Piero Alberto CAPOTOSTI

- Prof.    Annibale MARINI    

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 20, primo e secondo comma (come modificato dall’art. 13, primo comma, della legge 22 ottobre 1973, n. 672) della legge 4 dicembre 1956, n. 1450 (Trattamento di previdenza per gli addetti ai pubblici servizi di telefonia in concessione), promossi con n. 2 ordinanze emesse il 5 aprile ed il 20 agosto 1997 dal Pretore di Bologna, iscritte ai nn. 318 e 801 del registro ordinanze 1997 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 24 e 47, prima serie speciale, dell’anno 1997.

Visti gli atti di costituzione di Rosazza Battore Renata e dell’INPS nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 24 novembre 1998 il Giudice relatore Valerio Onida;

uditi gli avvocati Paolo Boer per Rosazza Battore Renata, Antonio Todaro per l’INPS e l’Avvocato dello Stato Giuseppe Stipo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Nel corso di un procedimento instaurato con ricorso di un titolare di pensione a carico del Fondo di previdenza per il personale addetto ai servizi pubblici di telefonia, avente ad oggetto le modalità di determinazione della retribuzione pensionabile, il Pretore di Bologna, con ordinanza emessa il 5 aprile 1997, pervenuta a questa Corte il 14 maggio 1997 (R.O. n. 318 del 1997), ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli articoli 3 e 38 della Costituzione, dell'art. 20, secondo comma, della legge 4 dicembre 1956, n. 1450 (Trattamento di previdenza per gli addetti ai pubblici servizi di telefonia in concessione), come modificato dall'art. 13, primo comma, della legge 22 ottobre 1973, n. 672, "nella parte in cui pone un limite alla dinamica della retribuzione dell'ultimo triennio, senza preventivamente rivalutare le retribuzioni dei due anni precedenti l'ultimo, in base al tasso di inflazione relativo allo stesso periodo"; nonchè questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli stessi parametri, dell'art. 20, primo comma, della predetta legge n. 1450 del 1956, "nella parte in cui assume la retribuzione degli ultimi dodici mesi come retribuzione pensionabile senza preventivamente procedere in alcun modo alla sua rivalutazione".

Le disposizioni denunciate disciplinano il calcolo della base retributiva ai fini delle pensioni corrisposte dal Fondo, gestito dall'INPS, e avente carattere sostitutivo dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti (art. 1 della stessa legge n. 1450 del 1956). Il primo comma dell'art. 20 stabilisce che la pensione annua diretta é pari a tanti quarantesimi della retribuzione, assoggettata a contributo, corrisposta all'iscritto per gli ultimi dodici mesi di servizio, per quanti sono gli anni di iscrizione al Fondo. Il secondo comma prevede che la retribuzione pensionabile non può essere superiore alla retribuzione media assoggettata a contributo degli ultimi tre anni di effettivo servizio, maggiorata del 10 per cento, percentuale portata al 12 per cento dall'art. 13, primo comma, della legge n. 672 del 1973.

Premette il remittente di non condividere la tesi, sviluppata dal ricorrente, ma respinta dalla giurisprudenza, secondo cui si applicherebbe anche alle pensioni liquidate dal Fondo dei telefonici il disposto dell'art. 3, undicesimo comma, della legge 29 maggio 1982, n. 297 (Disciplina del trattamento di fine rapporto e norme in materia pensionistica), che prevede che la retribuzione media determinata per ciascun anno solare, assunta a base del calcolo della base retributiva ai fini della pensione, e relativa alle ultime 260 settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione, sia rivalutata in misura corrispondente alla variazione dell'indice annuo del costo della vita calcolato dall'ISTAT ai fini della scala mobile delle retribuzioni dei lavoratori dell'industria, tra l'anno solare cui la retribuzione si riferisce e quello precedente la decorrenza della pensione. Onde le domande del ricorrente dovrebbero essere respinte sulla base delle norme in vigore sul Fondo dei telefonici, il che renderebbe rilevanti le questioni di legittimità costituzionale.

Nel merito, il giudice a quo ricorda l'orientamento giurisprudenziale di questa Corte, che di massima considera non illegittime le diversità di disciplina, ai fini della valutazione delle retribuzioni per il computo delle pensioni, tra l'assicurazione generale obbligatoria e i sistemi in vigore per determinate categorie di lavoratori, ove sussistano particolari caratteristiche del rapporto di tali lavoratori e del relativo regime previdenziale. Tuttavia giudica non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, secondo comma, citato, là dove non prevede che i valori monetari delle retribuzioni dei primi due anni del triennio preso in considerazione per determinare la retribuzione pensionabile vengano rivalutati in base alle variazioni dell'indice dei prezzi: potrebbe infatti riscontrarsi una non ragionevole differenziazione rispetto al diffuso e generale criterio, adottato nella legislazione previdenziale, volto a tener conto degli effetti della svalutazione della moneta nel computo della retribuzione pensionabile. In taluni casi, infatti, questa Corte – osserva il giudice a quo – ha ravvisato la violazione del principio di "ragionevole parità" nella normativa previdenziale in relazione alla mancata o insufficiente considerazione del fenomeno della svalutazione monetaria ai fini dei criteri adottati per il computo della retribuzione pensionabile.

Parimenti, l'autorità remittente giudica non manifestamente infondata, per le medesime ragioni, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20, primo comma, che nel caso di liquidazione della pensione di vecchiaia, come nella specie, a distanza di tempo dalla cessazione del rapporto di lavoro, non tiene in alcuna considerazione i possibili effetti della svalutazione monetaria ai fini della corresponsione di una pensione "costituzionalmente adeguata".

2.– Si é costituita la ricorrente nel giudizio principale, chiedendo che, "ove l'accoglimento delle domande della ricorrente presupponga la rimozione, in parte qua, dei commi 1 e 2 dell'art. 20 della legge n. 1450 del 1956", questa Corte voglia dichiararne la illegittimità costituzionale.

Secondo la parte, la formulazione letterale dell'art. 20, secondo comma, si presterebbe ad una applicazione indiscriminata, che tradirebbe lo spirito della legge, non intesa a comprimere la retribuzione pensionabile quando la dinamica retributiva esprima il mero recupero del potere d'acquisto, eroso dall'inflazione. I valori retributivi posti a raffronto dovrebbero essere depurati da tali variazioni puramente nominali, altrimenti si determinerebbe una ingiustificata disparità di trattamento sia fra iscritti a diverse forme di previdenza, sia tra iscritti alla stessa forma, a seconda dell'esistenza e dell'entità dell'inflazione.

Ad avviso della parte, che contrasta la tesi sostenuta in proposito dal remittente, dovrebbe trovare applicazione anche per i pensionati del Fondo dei telefonici, in forza del rinvio contenuto nell'art. 37 della legge n. 1450 del 1956, per quanto da essa non regolato, alle disposizioni in tema di assicurazione generale obbligatoria, l'art. 3, undicesimo comma, della legge n. 297 del 1982, che ha previsto la rivalutazione delle retribuzioni degli anni precedenti all'ultimo, prese a riferimento per il computo della retribuzione pensionabile. Un regime ancor più favorevole di rivalutazione é stato successivamente stabilito dall'art. 3, comma 5, del d.lgs. n. 503 del 1992, e dall'art. 7, comma 4, dello stesso decreto per i Fondi sostitutivi dell'assicurazione generale obbligatoria: ma queste disposizioni si applicano solo alle pensioni liquidate a partire dal 1993, onde detto art. 7 non ovvierebbe all'eventuale vuoto normativo per il periodo precedente.

La parte sostiene che l'art. 3, undicesimo comma, della legge n. 297 del 1982 esprime un principio generale dell'ordinamento previdenziale, di tutela della retribuzione pensionabile dall'erosione provocata dall'inflazione, e ricorda che la garanzia della rivalutazione si trova espressamente formulata nelle norme che disciplinano altre forme speciali di previdenza, come quelle dei giornalisti, del personale di volo, di diverse categorie di professionisti, dei lavoratori autonomi; mentre la decisione negativa di questa Corte a proposito degli agenti e rappresentanti di commercio iscritti all'ENASARCO, contenuta nella sentenza n. 265 del 1992, riguarderebbe solo una forma di trattamento pensionistico integrativo, quando la rivalutazione opera comunque sul trattamento base.

Con riferimento ai lavoratori dipendenti, il principio in questione sarebbe divenuto operante con effetto generale con l'entrata in vigore della legge n. 297 del 1982: un principio in forza del quale il fenomeno inflattivo andrebbe neutralizzato non solo dopo che la pensione é venuta a maturazione, ma anche in tutti i processi di calcolo per la determinazione della retribuzione pensionabile. Di tale principio generale lo stesso INPS avrebbe fatto spontanea applicazione in materia di computo delle contribuzioni figurative.

Secondo la parte, ove si dovesse invece condividere l'opinione del remittente, secondo cui le norme dell'art. 20 della legge n. 1450 del 1956 sul Fondo dei telefonici impedirebbero di applicare il meccanismo di rivalutazione, tali norme dovrebbero essere dichiarate illegittime, nelle parti indicate dal giudice a quo, in quanto esporrebbero l'assicurato ad un'alea ingiustificata, non evitabile nè dal datore di lavoro nè dal lavoratore; genererebbero una ingiustificata disparità di trattamento; altererebbero il rapporto sistematico fra Fondo sostitutivo e assicurazione generale obbligatoria, in forza del quale il trattamento spettante all'iscritto al Fondo sostitutivo non può risultare inferiore a quello che spetterebbe, a parità di condizioni, in base al regime generale.

La stessa sentenza della Corte di cassazione, sez. lavoro, 8 luglio 1992, n. 8316, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione relativa all'estensione della rivalutazione alle pensioni maturate prima del 1982, avrebbe riconosciuto all'art. 3, undicesimo comma, della legge n. 297 del 1982 la valenza di principio nuovo, non retroattivo, ma di portata generale.

La parte conclude osservando che la rivalutazione della retribuzione pensionabile costituisce il necessario complemento della perequazione automatica della pensione, in vista della comune esigenza di conservare alla contribuzione versata il valore reale che essa rivestiva al momento del versamento, tutelando l'assicurato dall'alea dell'inflazione.

3.– Si é costituito l'Istituto nazionale della previdenza sociale, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata.

L'inammissibilità discenderebbe dal difetto assoluto di motivazione dell'ordinanza in punto di non manifesta infondatezza, poichè il remittente avrebbe semplicemente rinviato alle ragioni esposte dalla difesa del ricorrente, senza riportarle nella parte motiva dell’ordinanza, onde sarebbe impossibile esercitare il controllo sull'iter logico seguito.

Nel merito, con riferimento alla censura relativa all’art. 3 della Costituzione, l'INPS osserva che la disciplina differenziata sul calcolo della retribuzione pensionabile sarebbe ragionevole nel contesto di una disciplina speciale dettata per i lavoratori della telefonia, ai quali la legge concede taluni vantaggi, come la pensione anticipata di vecchiaia, la pensione di vecchiaia con contribuzione ridotta, la pensione ai superstiti con requisiti favorevoli, la retribuzione pensionabile più elevata, il calcolo della pensione speciale.

Con riferimento all'art. 38 della Costituzione, la parte osserva che gli effetti dell'inflazione sono adeguatamente neutralizzati, da un lato, dalla maggiorazione del 12 per cento della retribuzione media soggetta a contributo dell'ultimo triennio di servizio, dall'altro, dalla parametrazione alla retribuzione degli ultimi dodici mesi di servizio.

Nel caso di cessazione anticipata del rapporto, la esclusione di ulteriori meccanismi di adeguamento sarebbe compensata, sul piano logico e della ponderazione equilibrata degli interessi, dal complesso dei vantaggi attribuiti agli iscritti e dal minore apporto contributivo per effetto dell'anticipata cessazione.

4.– E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

Secondo l'Avvocatura, essendo l'iscrizione al Fondo per i telefonici alternativa all'assicurazione generale obbligatoria, rispetto alla quale assume carattere di specialità, non costituirebbe idoneo tertium comparationis l'art. 3, undicesimo comma, della legge n. 297 del 1982, che riguarderebbe l'assicurazione generale obbligatoria.

La giurisprudenza della Corte di cassazione avrebbe peraltro affermato che l'adeguamento del trattamento pensionistico all'aumento del costo della vita, nel caso in cui venga liquidato sulla base di retribuzioni percepite in epoca anteriore a quella in cui si é conseguito il diritto alla pensione, non costituisce principio generale dell'ordinamento applicabile in assenza di disposizioni specifiche. A sua volta questa Corte avrebbe affermato che la differenziazione dei regimi pensionistici speciali rispetto a quello generale trova giustificazione nella loro specialità (si ricorda in proposito la sentenza n. 173 del 1986).

Quanto all'art. 38 della Costituzione l'Avvocatura erariale, premesso che la questione, sotto questo profilo, potrebbe essere dichiarata inammissibile per carenza di specifica motivazione sulla rilevanza e sulla non manifesta infondatezza, ricorda che la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che l'attuazione del principio solidaristico non comporta la necessaria integrale coincidenza tra pensione e ultima retribuzione, nè un costante adeguamento al potere di acquisto della moneta, sussistendo una sfera di discrezionalità riservata al legislatore, per l'attuazione graduale di tali precetti.

5.– Con ordinanza emessa il 20 agosto 1997, pervenuta a questa Corte il 4 novembre 1997 (R.O. n. 801 del 1997), lo stesso Pretore di Bologna ha nuovamente sollevato le medesime questioni di legittimità costituzionale, in riferimento ai medesimi parametri, dell'art. 20, primo comma, della legge n. 1450 del 1956, "nella parte in cui assume la retribuzione degli ultimi dodici mesi come retribuzione pensionabile senza procedere in alcun modo alla rivalutazione di tale importo, anche nel caso che sia intercorso un lungo periodo di tempo tra la cessazione del lavoro e le ultime retribuzioni percepite ed il tempo di liquidazione della pensione di vecchiaia"; nonchè dell'art. 20, secondo comma, della stessa legge, "nella parte in cui pone un limite alla dinamica della retribuzione dell'ultimo triennio, senza alcuna rivalutazione delle retribuzioni dei due anni precedenti l'ultimo".

Pur rilevando l'orientamento della giurisprudenza costituzionale che non considera contrarie all'art. 3 della Costituzione differenze normative in ordine ai criteri di determinazione delle retribuzioni pensionabili, quando vi siano caratteristiche particolari del rapporto di lavoro o di quello previdenziale della categoria, e osservando che la disciplina del Fondo dei telefonici ha diverse peculiari caratteristiche, il remittente giudica non manifestamente infondata l'eccezione relativa alla mancanza di qualsiasi possibilità di rivalutazione delle retribuzioni da calcolare, nemmeno in relazione al lungo periodo di tempo che può essere passato fra la cessazione del rapporto di lavoro e la liquidazione della pensione di vecchiaia (nella specie si tratta di quindici anni).

In via "subordinata a tale questione", il remittente giudica non manifestamente infondata l'altra eccezione relativa all'art. 20, secondo comma, della legge n. 1450 del 1956, là dove non prevede la rivalutazione in base all'indice dei prezzi delle retribuzioni degli anni anteriori all'ultimo, prese a base per il calcolo della base pensionistica.

Il giudice a quo dubita della equità e della ragionevolezza di tale disciplina in presenza del criterio, sempre più diffuso nella legislazione previdenziale, volto a tener conto della svalutazione della moneta, sia attraverso misure di perequazione delle pensioni già liquidate, sia attraverso la previsione di forme di rivalutazione delle contribuzioni versate e delle retribuzioni sulla cui base si determinano le pensioni.

6.– Si é costituito l'INPS, eccependo in primo luogo la inammissibilità della questione, sul rilievo che l'assicurato, cessato volontariamente dal servizio molto prima del momento in cui avrebbe maturato il diritto alla pensione di vecchiaia, si trova in una situazione affatto diversa da quella disciplinata dall'impugnato art. 20, che presupporrebbe il normale immediato susseguire della pensione alla cessazione dal servizio: onde non avrebbe rilievo nella specie lo scrutinio di legittimità della norma denunziata.

Nel merito, l'INPS sostiene che l'art. 20 prevede congrui meccanismi di adeguamento, commisurando la pensione alla retribuzione degli ultimi dodici mesi di servizio, e una maggiorazione della retribuzione media dell'ultimo triennio.

Nel caso in esame, la scelta dell'interessato di anticipare di molti anni la cessazione dal servizio non potrebbe essere utilizzata per pretendere lo stesso trattamento degli iscritti rimasti in servizio, e d'altra parte non gli impedirebbe di beneficiare dei meccanismi perequativi previsti in generale dall'ordinamento previdenziale.

7.– E' intervenuto anche in questo giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per la manifesta infondatezza della questione, sulla base degli stessi argomenti esposti nell'atto di intervento relativo all'ordinanza iscritta al n. 318 del registro ordinanze del 1997 (sopra, n. 4).

Considerato in diritto

1.– I giudizi, aventi il medesimo oggetto, possono essere riuniti per essere decisi con unica pronunzia.

2.– Le ordinanze sollevano due distinte, anche se connesse, questioni di legittimità costituzionale, concernenti le norme che disciplinavano – fino alle riforme recate dapprima dall'art. 7 del decreto legislativo n. 503 del 1992, quindi, più di recente, dal d.lgs. n. 658 del 1996 – il calcolo della base pensionabile ai fini della liquidazione delle pensioni corrisposte dal Fondo di previdenza per il personale addetto ai servizi pubblici di telefonia.

La prima investe il secondo comma dell'art. 20 della legge 4 dicembre 1956, n. 1450 (Trattamento di previdenza per gli addetti ai pubblici servizi di telefonia in concessione), come risulta dalla modifica recata dall'art. 13, primo comma, della legge 22 ottobre 1973, n. 672, a norma del quale la base pensionabile, individuata in linea di principio nella retribuzione assoggettata a contributo dell'ultimo anno di servizio, non può essere superiore alla media delle retribuzioni assoggettate a contributo degli ultimi tre anni di servizio, maggiorata del 12 per cento: si censura a tal proposito il fatto che le retribuzioni dei primi due anni del triennio, assunte per calcolare la media, non sono rivalutate in base ad indici della svalutazione monetaria.

La seconda questione investe il primo comma del medesimo art. 20, che indica nella retribuzione dell'ultimo anno di servizio la base pensionabile, senza prevedere alcuna forma di rivalutazione del valore nominale di tale retribuzione per il caso in cui la pensione venga liquidata a distanza di tempo dalla cessazione del servizio, e dunque senza tener conto dell'eventuale svalutazione monetaria nel frattempo verificatasi.

Entrambe tali previsioni potrebbero, ad avviso del remittente, apparire in contrasto con il principio di "ragionevole parità" nei trattamenti previdenziali, tenendo conto del diffuso principio della rivalutazione presente nella legislazione previdenziale, e sancito in particolare dall'art. 3, undicesimo comma, della legge n. 297 del 1982 per le pensioni a carico dell'assicurazione generale obbligatoria; e potrebbero altresì condurre all'attribuzione di pensioni non adeguate ai principi espressi dall'art. 38 della Costituzione.

3.– Non meritano accoglimento le eccezioni di inammissibilità della questione, proposte dalla difesa dell'INPS.

Non quella relativa all'ordinanza iscritta al n. 318 del 1997, che sarebbe motivata, quanto alla non manifesta infondatezza, esclusivamente con riferimento alle ragioni esposte dal ricorrente, che non verrebbero riportate nella parte motiva dell’ordinanza. Il remittente dà infatti conto, sia pure succintamente, degli argomenti addotti dalla parte, che egli mostra di ritenere tali da dar luogo ad un dubbio, non manifestamente infondato, di legittimità costituzionale.

Nemmeno può accogliersi l'eccezione di inammissibilità della questione come prospettata nell'ordinanza iscritta al n. 801 del 1997, fondata sulla asserita irrilevanza del dubbio sollevato sull'art. 20 della legge n. 1450 del 1956, rispetto alla situazione del ricorrente che era cessato dal servizio (non diversamente, del resto, dalla ricorrente nell'altro giudizio) molti anni prima di avere raggiunto l'età pensionabile e di avere dunque chiesto e ottenuto la liquidazione della pensione. Al contrario, il remittente si duole proprio che detto art. 20, nel disciplinare la liquidazione della pensione sulla base della retribuzione dell'ultimo anno di servizio, non tenga alcun conto dell'eventuale svalutazione monetaria che si verifichi nell'intervallo fra la cessazione dal servizio e l'attribuzione della pensione.

4.– Nel merito, le questioni non sono fondate.

La Corte non ha motivo di discostarsi, nell'interpretazione del sistema normativo, dalla premessa, esplicitamente assunta dal remittente, secondo cui il meccanismo di rivalutazione, previsto, nell'ambito dell'assicurazione generale obbligatoria, dall'art. 3, undicesimo comma, della legge n. 297 del 1982, non si estende alle pensioni liquidate a carico del Fondo dei telefonici: premessa che é a base delle prospettate questioni di legittimità costituzionale.

Il confronto, che si vorrebbe istituire, fra il sistema dell'assicurazione generale obbligatoria, per la quale, a partire dalla legge n. 297 del 1982, vige un principio di rivalutazione delle basi retributive, relative ad anni precedenti l'ultimo anteriore a quello di decorrenza della pensione, assunte per il calcolo della pensione medesima, ed il sistema del Fondo dei telefonici, ove questo principio non é accolto, non può condurre a ritenere violato il principio costituzionale di eguaglianza.

I sistemi previdenziali speciali sono caratterizzati da peculiarità che li differenziano dal sistema dell'assicurazione generale obbligatoria, spesso per aspetti che si traducono in vantaggi maggiori per gli assicurati, e sono connotati, essenzialmente, dall'"autofinanziamento delle rispettive gestioni in una visione di mutualità di gruppo o categoriale", laddove il regime ordinario generale é contraddistinto "dal criterio della solidarietà sociale e dall'apporto finanziario dello Stato" (sentenza n. 173 del 1986).

E' bensì vero che da tempo é in atto una tendenza alla omogeneizzazione dei regimi previdenziali obbligatori (e proprio in relazione al regime speciale del Fondo dei telefonici il legislatore é di recente intervenuto con il d.lgs. 4 dicembre 1996, n. 658, che ha innovato largamente la relativa disciplina, riconducendola in gran parte a quella previdenziale comune). Ma, da un lato, la realizzazione di tale finalità é rimessa alle modalità e ai tempi scelti dal legislatore nella sua discrezionalità (cfr. ancora sentenza n. 173 del 1986). Dall'altro lato resta comunque improprio un raffronto che prenda in esame, isolatamente, singoli elementi dei regimi previdenziali complessivi, quale il sistema di calcolo della base pensionabile; ed é infondata la pretesa di ricondurre ad uguaglianza di disciplina un singolo elemento del sistema, al di fuori di una sua considerazione complessiva (cfr. sentenze n. 430 del 1991 e n. 227 del 1993).

Il Fondo dei telefonici era caratterizzato, nella regolamentazione dettata dalla legge n. 1450 del 1956 e successive modificazioni, e fino alla recente riforma realizzata con il citato d.lgs. n. 658 del 1996, da una disciplina differenziata, per lo più in senso favorevole rispetto a quella dell'assicurazione generale obbligatoria, in relazione ad importanti elementi quali la retribuzione imponibile (art. 9 della legge n. 1450 del 1956); le aliquote contributive (art. 8 della legge); la percentuale di commisurazione della pensione alla retribuzione (fissata in un quarantesimo della retribuzione pensionabile per ogni anno di iscrizione al Fondo, con un massimo di nove decimi della stessa, dall'art. 20 della legge, impugnato in questa sede); la retribuzione pensionabile (commisurata, fino alle modifiche apportate dall'art. 7 del d.lgs. n. 503 del 1992, alla retribuzione dell'ultimo anno o alla media maggiorata delle retribuzioni dell'ultimo triennio di servizio, ai sensi del medesimo art. 20 della legge); la facoltà di anticipazione della pensione di vecchiaia (art. 18 della legge).

Non é dunque fondata la censura di violazione del principio di eguaglianza, basata su un confronto fra due discipline limitato al solo elemento della presenza o meno di meccanismi di rivalutazione della base retributiva pensionabile.

5.– Nemmeno possono dirsi violati i principi ricavabili dall'art. 38 della Costituzione in ordine alla proporzione fra trattamento previdenziale e qualità e quantità del lavoro svolto, e alla sufficienza del trattamento medesimo ad assicurare le esigenze di vita del lavoratore pensionato.

Nell'attuazione di questi principi il legislatore gode di una sfera di discrezionalità, anche in relazione alle risorse disponibili (cfr. sentenze n. 173 del 1986, n. 531 del 1988, n. 119 del 1991), almeno quando non sia in gioco la garanzia delle esigenze minime di protezione della persona. E anche a questo proposito non può non tenersi conto del sistema complessivo in cui si inserisce la singola previsione, relativa al criterio di calcolo della base pensionabile.

In particolare, per quanto riguarda, anzitutto, il disposto del secondo comma dell'impugnato art. 20, che fa riferimento, ai fini della determinazione della pensione, alla retribuzione media dell'ultimo triennio di servizio, senza prevedere una rivalutazione, in base agli indici dei prezzi, delle retribuzioni dei primi due anni del triennio, va osservato che il problema della rivalutazione delle basi retributive, assunte per il calcolo della pensione, diviene rilevante, in generale, solo quando si faccia riferimento, a questi fini, a retribuzioni risalenti a periodi di tempo molto anteriori rispetto al momento della cessazione dal servizio. Non a caso, nella legislazione relativa all'assicurazione generale obbligatoria, il principio della rivalutazione é stato introdotto in concomitanza con l'estensione del periodo di riferimento ad un quinquennio (art. 3 della legge n. 287 del 1982), ed é stato rafforzato in concomitanza con l'ulteriore estensione di tale periodo all'ultimo decennio o addirittura all'intera vita lavorativa (art. 3 del d.lgs. n. 503 del 1992). E non a caso il legislatore lo ha introdotto anche nelle forme di assicurazione sostitutive di quella generale obbligatoria proprio quando ha inteso ricondurre anche queste a criteri di calcolo della pensione che tenessero conto di un più esteso periodo di riferimento (art. 7 del d.lgs. n. 503 del 1992).

Il problema non si pone (almeno quando l’attribuzione della pensione avvenga in coincidenza con la cessazione dal servizio) nei sistemi – più favorevoli agli assicurati – in cui la retribuzione presa a calcolo ai fini della pensione é quella dell'ultimo anno di servizio, come in linea di principio era stabilito per il Fondo dei telefonici (art. 20, primo comma, della legge n. 1450 del 1956).

E' vero che il secondo comma del medesimo art. 20 introduceva, nel caso del Fondo dei telefonici, un tetto massimo di retribuzione pensionabile parametrato sulla retribuzione media dell'ultimo triennio. Ma la brevità del termine triennale, il fatto che le retribuzioni del penultimo e del terzultimo anno concorressero solo alla determinazione di una media, e soprattutto la previsione di una maggiorazione del 12 per cento di detta media (elevata a tale misura, da quella originaria del 10 per cento, dall'art.13, primo comma, della legge n. 672 del 1973) appaiono elementi idonei ad evitare eccessivi scostamenti fra il valore monetario della base pensionabile e i relativi valori reali. Tale maggiorazione del 12 per cento, benchè diretta principalmente a contenere gli effetti di eventuali più rilevanti progressioni retributive realizzate nell'ultimo triennio (nel qual caso, peraltro, gli incrementi relativi influivano sulla media del triennio) é altresì idonea ad assorbire, almeno in parte, gli effetti della svalutazione verificatasi nel medesimo periodo.

6.– La censura relativa al primo comma del medesimo art. 20 della legge n. 1450 del 1956 si fa carico delle situazioni – atipiche rispetto al normale funzionamento di un sistema pensionistico – in cui l'attribuzione della pensione avvenga a distanza di tempo dal momento della cessazione dal servizio, e dunque la pensione sia calcolata con riferimento a retribuzioni tutte relative ad anni precedenti, anche di molto, rispetto a quello in cui essa viene liquidata. Si tratta di situazioni nelle quali il rapporto di lavoro viene meno senza che sia maturato il diritto alla pensione (per mancato raggiungimento dell'età pensionabile), e pure il dipendente conserva dei diritti pensionistici, che fa valere nel momento in cui raggiunge l'età prescritta.

Anche la valutazione, sul piano costituzionale, della mancata previsione, per queste ipotesi, di meccanismi di rivalutazione della base pensionabile non può prescindere dalla considerazione del complessivo sistema previdenziale in cui tale disciplina si inserisce.

Va considerato in primo luogo il fatto che il sistema del Fondo dei telefonici, come disciplinato dalla legge n. 1450 del 1956, é fondato sul criterio della "ripartizione" (art. 1, primo comma, legge 22 ottobre 1973, n. 672), in relazione al quale i trattamenti pensionistici sono erogati in misura che prescinde dall'entità dei contributi effettivamente versati dal singolo lavoratore nel corso dell'intero rapporto di lavoro, e si deve perseguire l'equilibrio fra i trattamenti erogati e i contributi riscossi sulle retribuzioni dei lavoratori in attività; non sul criterio "contributivo", secondo cui tendenzialmente la pensione é commisurata al complesso dei contributi versati sulla retribuzione del singolo lavoratore (cfr., per considerazioni relative ad un siffatto diverso sistema, sentenza n. 141 del 1989). Onde, nell'ambito di un sistema informato al criterio della "ripartizione", non vi é di per sè un'aspettativa garantita a che le pensioni corrisposte siano correlate ai valori reali, anzichè a quelli monetari, delle contribuzioni a suo tempo versate. I lavoratori i quali, come nella specie, hanno lasciato per dimissioni il servizio prima di raggiungere l'età pensionabile, sapevano di conservare un diritto pensionistico commisurato al valore monetario della retribuzione media percepita nell'ultimo triennio, con la maggiorazione prevista.

La seconda decisiva considerazione concerne la specifica regolamentazione che la legge n. 1450 del 1956 riserva all'ipotesi in cui il lavoratore, iscritto al Fondo, cessi dal servizio presso l'azienda telefonica prima di avere raggiunto l'età minima per la pensione: cioé appunto all'ipotesi verificatasi nei casi sottoposti all'esame del giudice a quo, e che ha sollecitato il presente incidente di costituzionalità.

L'art. 12, primo comma, della legge prevede che il lavoratore, il quale cessi dal servizio senza aver raggiunto l'età della pensione, ma che vanti almeno un anno di contribuzione, possa conservare l'iscrizione al Fondo versando contributi volontari commisurati all'ultima retribuzione goduta, con la possibilità altresì di chiedere di versarli in misura ridotta, con corrispondente calcolo ridotto dell'ulteriore anzianità contributiva. La facoltà di prosecuzione volontaria del rapporto assicurativo, esercitabile anche nel caso (come quelli verificatisi nella specie) di dimissioni volontarie, con la conseguente maturazione, al momento del pensionamento, di un'anzianità contributiva superiore alla durata del rapporto di lavoro, viene di fatto in qualche modo a controbilanciare l'assenza di meccanismi di rivalutazione della base pensionistica in relazione all'inflazione che si verifichi nel frattempo (cfr. sentenza n. 265 del 1992).

In alternativa, l'art. 28 della legge consente all'iscritto al Fondo che sia cessato dal servizio senza aver conseguito il diritto a pensione, e che non si avvalga della facoltà di proseguire volontariamente la contribuzione, di ottenere il riconoscimento, nell'assicurazione generale obbligatoria, del periodo di iscrizione al Fondo, con il trasferimento nell'assicurazione predetta, a carico del Fondo stesso, della somma necessaria per coprire l'intero ammontare delle contribuzioni dovute, secondo le norme dell'assicurazione generale, ma tenendo conto della retribuzione soggetta a contributo prevista dalle norme sul Fondo, nonchè con il rimborso all'interessato, senza interessi, dell'eventuale eccedenza (rimborso ora soppresso con l'art. 3 del già citato d.lgs. n. 658 del 1996, che ha riformato profondamente la disciplina del Fondo dei telefonici).

Solo ove non si avvalga di alcuna di queste alternative, l'iscritto al Fondo, il quale alla cessazione dal servizio abbia compiuto almeno quindici anni di iscrizione, mantiene i diritti relativi (e può quindi conseguire la pensione non appena raggiunga l'età prescritta) senza il versamento di contributi volontari (art. 12, secondo comma). E’ questa la situazione di cui si sono avvalsi, nella specie, i lavoratori ricorrenti nei giudizi a quibus (ancorchè le ordinanze affermino che essi erano "rimasti iscritti" al Fondo dopo le dimissioni).

Si aggiunga che l'art. 18 della legge n. 1450 del 1956 consente altresì, ai lavoratori che possano far valere almeno quindici anni di iscrizione al Fondo, e che non siano cessati dal servizio per dimissioni, per motivi disciplinari o per decorso del periodo massimo di malattia previsto per la conservazione del posto, di conseguire la pensione con cinque anni di anticipo rispetto all'età ordinariamente richiesta, con versamento al Fondo, a totale carico dell'azienda, del valore attuale del maggiore onere derivante dalla anticipata liquidazione della pensione di vecchiaia. Ulteriore vantaggio, questo, che, benchè non usufruibile dai ricorrenti nei giudizi principali, che avevano lasciato il servizio per dimissioni, non può non essere considerato ai fini di una valutazione complessiva del sistema previdenziale speciale.

L'ampio ventaglio di possibilità offerte all'assicurato, unito agli specifici vantaggi del regime previdenziale di cui si discute, induce ad escludere che possano ritenersi lesi, dalla norma denunciata, i diritti previdenziali dei lavoratori iscritti obbligatoriamente al Fondo in questione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 20, primo e secondo comma, della legge 4 dicembre 1956, n. 1450 (Trattamento di previdenza per gli addetti ai pubblici servizi di telefonia in concessione), sollevate, in riferimento agli articoli 3 e 38 della Costituzione, dal Pretore di Bologna con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 16 dicembre 1998.

Presidente: Renato GRANATA

Redattore: Valerio ONIDA

Depositata in cancelleria il 30 dicembre 1998.