Sentenza n. 326 del 1995

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SENTENZA N. 326

ANNO 1995

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-     Prof. Antonio BALDASSARRE, Presidente

-     Prof. Vincenzo CAIANIELLO

-     Avv. Mauro FERRI

-     Prof. Luigi MENGONI

-     Prof. Enzo CHELI

-     Dott. Renato GRANATA

-     Prof. Giuliano VASSALLI

-     Prof. Francesco GUIZZI

-     Prof. Cesare MIRABELLI

-     Prof. Fernando SANTOSUOSSO

-     Avv. Massimo VARI

-     Dott. Cesare RUPERTO

-     Dott. Riccardo CHIEPPA

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 11, terzo comma, e 138, primo comma, numero 4, del regio decreto 18 giugno 1931, e 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), promosso con ordinanza emessa il 24 marzo 1994 dal Tribunale amministrativo regionale della Campania sul ricorso proposto da Cirillo Girolamo contro il Prefetto della Provincia di Caserta, iscritta al n. 30 del registro ordinanze 1995 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1995. Visto l'atto di costituzione di Cirillo Girolamo, nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; udito nella camera di consiglio del 14 giugno 1995 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

Ritenuto in fatto

1. - A seguito di alcune condanne per il delitto di emissione di assegni a vuoto, il Prefetto della Provincia di Caserta emanava, il 13 febbraio 1991, decreto di revoca dell'approvazione della nomina di Cirillo Girolamo a guardia particolare giurata, del libretto di porto d'arma e della licenza di porto di pistola. Il Cirillo proponeva impugnativa avanti il Tribunale amministrativo regionale della Campania e, all'esito della camera di consiglio del 20 giugno 1991, vedeva accolta la domanda di sospensione cautelare dell'atto, sì che il Prefetto, in data 25 luglio 1991, revocava il provvedimento impugnato <fino alla pronuncia di merito>. A conclusione della pubblica udienza il suddetto Tribunale ha sollevato questione di costituzionalità degli artt. 11, terzo comma, e 138, primo comma, numero 4, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), <nella parte in cui prevede l'automatica revoca delle autorizzazioni di polizia a seguito di condanna penale per delitto>.

2. - Premette il giudice a quo che - con le conseguenze testè indicate - il Prefetto di Caserta ha revocato il decreto di approvazione della nomina del Cirillo a guardia particolare giurata, ai sensi del combinato disposto degli artt. 11 e 138 del vigente testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, essendo venute meno, dopo le menzionate condanne, le condizioni che legittimavano il rilascio delle autorizzazioni di polizia; e sottolinea che la giurisprudenza amministrativa concorderebbe nel ritenere, quello in esame, come un caso di esercizio vincolato della funzione, con la revoca automatica dell'autorizzazione. L'automatismo sanzionatorio, così ricostruito, sarebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, per irragionevolezza, non essendo assistito da un qualsiasi potere di graduazione che moduli la misura in relazione alla gravità dell'infrazione commessa. Del resto, la giurisprudenza costituzionale ha già affermato il principio generale della gradualità delle sanzioni e della possibilità di adeguamento della reazione ordinamentale al fatto concreto, ritenendo, e dunque lesivo dell'art. 3 della Costituzione, l'automatismo sanzionatorio previsto dall'art. 85 del d.P.R. n. 3 del 1957 (sentenza n. 971 del 1988). La questione affrontata dalla Corte in tale occasione sarebbe sostanzialmente analoga a quella in discussione, atteso che la normativa impugnata statuisce la perdita automatica del titolo di polizia richiesto per la nomina a guardia giurata, comportando quindi l'impossibilità, per il ricorrente, di continuare a esercitare la propria attività lavorativa. Conseguenza sproporzionata, ad avviso del giudice a quo, rispetto all'addebito ascritto al Cirillo (alcune condanne a pena pecuniaria per emissione di assegni a vuoto che non desterebbero particolare allarme sociale, in quanto espressione di occasionali difficoltà economiche e non di una abituale tendenza a delinquere). Il Consiglio di Stato, ricorda il rimettente, ha già sollevato analoga questione di costituzionalità, conclusasi però con una pronuncia di restituzione degli atti al collegio (ordinanza n. 135 del 1990) per un nuovo accertamento della rilevanza dopo l'entrata in vigore della legge 7 febbraio 1990, n. 19, che con l'art. 4 ha sostituito il contenuto dell'art. 166 del codice penale (<La condanna a pena condizionalmente sospesa non può costituire in alcun caso, di per sè sola, motivo ... per il diniego di concessione di licenze o di autorizzazioni necessarie per svolgere attività lavorativa>). Ma il nuovo testo dell'art. 166 del codice penale - conclude l'ordinanza di rimessione - non sarebbe applicabile al caso di specie, sì che sarebbe rilevante la questione di costituzionalità del combinato disposto degli artt. 11, ultimo comma, e 138, primo comma, numero 4, del regio decreto n. 773 del 1931, <nella parte in cui prevede l'automatica revoca delle autorizzazioni di polizia a seguito di condanna penale per delitto e non anche la possibilità, per l'autorità preposta alla vigilanza, di graduare la sanzione in relazione alla gravità dell'infrazione commessa e quindi della condanna subita>.

3. - È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità o, in subordine, per l'infondatezza della questione che attiene alla valutazione della congruità delle sanzioni amministrative conseguenti a condanna penale; materia che è riservata alla discrezionalità del legislatore (sentenza n. 270 del 1986).

4. - Si è costituita, fuori termine, la parte privata, chiedendo l'accoglimento della questione ed eccependo l'incostituzionalità delle disposizioni impugnate anche in riferimento agli artt. 4, 35 e 97 della Costituzione.

Considerato in diritto

1. - Viene all'esame della Corte, per violazione dell'art. 3 della Costituzione, la questione di costituzionalità del combinato disposto degli artt. 11, terzo comma, e 138, primo comma, numero 4, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza), in quanto prevede la revoca delle autorizzazioni di polizia quale sanzione accessoria a condanne penali per delitto (nella specie, per l'emissione di assegni a vuoto, peraltro sanzionata, in concreto, con la sola pena pecuniaria). Con un automatismo che, senza alcuna possibilità di graduazione, comporterebbe la privazione del titolo richiesto per la nomina a guardia particolare giurata e, quindi, la perdita del posto di lavoro presso l'Istituto di vigilanza.

2. - La questione è infondata. Recentemente ribadita con la sentenza n. 220 del 1995, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 1258, primo comma, del codice della navigazione, nella parte in cui prevede, per il personale marittimo, la pena disciplinare della cancellazione dagli albi o registri come effetto automatico della condanna, anzichè sulla base di una valutazione compiuta dall'amministrazione competente, la linea giurisprudenziale di questa Corte - invocata dal giudice a quo a sostegno dell'accoglimento della questione - non viene in alcun modo in rilievo nel caso in esame. A prescindere dai profili pubblicistici che connotano la categoria delle guardie giurate differenziandole da altri prestatori d'opera (v. ordinanza n. 272 del 1992), resta insormontabile l'ostacolo della mancanza d'una ricaduta diretta degli effetti del provvedimento prefettizio di revoca sul rapporto di lavoro con l'Istituto di vigilanza. Dalla revoca, disposta conseguentemente alla perdita dei requisiti prescritti, non deriva alcun provvedimento che, con automatismo, inerisca al rapporto di lavoro della guardia giurata: da essa deriva soltanto la perdita dell'autorizzazione di polizia, peraltro ben giustificata dal carattere fiduciario connesso all'esercizio delle funzioni che assumono rilievo pubblicistico e interesse per la collettività. I possibili effetti (indiretti) che la revoca prefettizia produce sul rapporto di lavoro rimangono, invero, al di fuori di un tale scenario e, comunque, non implicano necessariamente la perdita del posto di lavoro sia per le eventuali (libere) valutazioni "datoriali" sia per la possibilità di accordi collettivi che, entro certi limiti, consentano un diverso impiego del lavoratore.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale del combinato disposto degli artt. 11, terzo comma, e 138, primo comma, numero 4, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (Approvazione del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza) sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Campania con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il . 10 luglio 1995.

Antonio BALDASSARRE, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 17 luglio 1995.