Sentenza n. 475 del 1993

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SENTENZA N. 475

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE giudice

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Avv. Massimo VARI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6, secondo comma, della legge 13 luglio 1984, n. 312 (Interventi straordinari ed integrativi in favore degli enti autonomi lirici e delle istituzioni concertistiche assimilate), promosso con ordinanza emessa il 9 aprile-23 ottobre 1992 dal Consiglio di Stato - Sezione VI giurisdizionale - sul ricorso proposto da Musilli Maria contro l'Ente autonomo Teatro San Carlo di Napoli, iscritta al n. 214 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.20, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visto l'atto di costituzione di Musilli Maria nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 19 ottobre 1993 il giudice relatore Francesco Guizzi;

 

uditi l'avvocato Giorgio della Valle per Musilli Maria e l'avvocato dello Stato Ivo M. Braguglia per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, VI sezione, giudicando sul ricorso in appello proposto da Maria Musilli per l'annullamento della sentenza del Tribunale amministrativo per la Campania 26 marzo 1987, n. 173 (che ha negato alla ricorrente il diritto a permanere in servizio dopo i sessant'anni, limite massimo d'età previsto dall'accordo collettivo di lavoro), ha sollevato, in relazione agli articoli 3, 4 e 38, secondo e quarto comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, secondo comma, della legge 13 luglio 1984, n.312, nella parte in cui esclude che si applichi ai dipendenti non artisti degli enti lirici autonomi quanto disposto dall'art. 6 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791, convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 54.

 

Il citato art. 6 della legge n. 312 del 1984 affida la disciplina giuridica ed economica dei rapporti di lavoro dei dipendenti (non artisti) degli enti lirici autonomi ai contratti collettivi di categoria e dichiara non applicabili la legge 20 marzo 1975, n. 70, la legge 29 marzo 1983, n. 93, e soprattutto l'art. 6 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n.791, convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 54. Per il personale sopra menzionato non vale dunque la norma introdotta da detto articolo 6, in base alla quale il limite d'età per la cessazione dell'obbligo assicurativo può essere potestativamente protratto fino al sessantacinquesimo anno di età.

 

Osserva il giudice a quo che l'art. 6 del decreto-legge n. 791 del 1981 riguarda tutti i lavoratori subordinati obbligati all'assicurazione di vecchiaia e non ancora provvisti dell'anzianità contributiva massima. In tale quadro, una limitazione, posta ad una o più categorie di assicurati, della possibilità consentita da detta norma generale di pervenire a quell'anzianità, senza che essa si fondi su sostanziali e pertinenti differenze di situazione, deve essere verificata alla luce dell'art. 3 della Costituzione. Tanto più che l'art. 38, secondo e quarto comma, della Costituzione garantisce ai lavoratori il diritto a mezzi adeguati alle loro esigenze di vita, anche in vecchiaia.

 

I mezzi siffatti possono essere certo diversificati relativamente alla durata della vita, ma non possono esserlo per effetto di situazioni che provochino differenze rispetto agli altri lavoratori, senza che siano predisposte misure compensative.

 

L'art. 4 della Costituzione riconosce poi a tutti i cittadini il diritto al lavoro: tale riconoscimento sarebbe gravemente limitato se trovasse nella legge diversa dimensione di durata per singole categorie di cittadini rispetto alle altre senza valida ragione distintiva; ciò vale tanto più quando la differenziazione opera all'interno della medesima categoria, quella dei lavoratori subordinati iscritti all'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti.

 

Il criterio di differenziazione non potrebbe, infine, ravvisarsi nelle difficoltà di bilancio degli enti lirici autonomi.

 

2. Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.

 

La mancata estensione ai dipendenti non artisti degli enti lirici della facoltà di continuare a prestare la loro opera per raggiungere l'anzianità contributiva massima, o comunque per incrementarla, rientra nella discrezionalità del legislatore, sempre che non si tratti - ma non è il caso di specie - del raggiungimento del minimo pensionabile (si cita la sentenza di questa Corte n. 90 del 1992).

 

3. É intervenuta in giudizio la ricorrente, sostenendo la fondatezza della questione e sottolineando, in particolare, come le disparità di mero fatto non possano costituire elemento discriminante per un diverso trattamento di situazioni omogenee.

 

4. In una memoria pervenuta nell'imminenza dell'udienza, l'Avvocatura generale afferma che l'art. 6 della legge n. 312 del 1984, nel demandare la regolamentazione del trattamento economico e normativo del personale (ivi compresa la materia del collocamento a riposo) ai contratti collettivi nazionali di lavoro, ha creato un < ordinamento settoriale autonomo>, sottratto, in ragione della peculiarità del rapporto di lavoro dei dipendenti degli enti lirici, alla disciplina generale dettata in materia di lavoro; tale peculiarità risulta accentuata dall'art. 3 del decreto-legge 11 settembre 1987, n. 374, convertito, con modificazioni, nella legge 29 ottobre 1987, n. 450, in base al quale ai dipendenti degli enti lirici si applica la normativa vigente per i dipendenti degli enti pubblici economici.

 

Aggiunge l'Avvocatura che la specialità di siffatto ordinamento è stata riconosciuta dallo stesso Consigli. Resta da verificare se la norma denunziata - nella parte in cui esclude l'applicabilità dell'art. 6 del decreto-legge n. 791 del 1981, convertito, con modificazioni, nella legge n.54 del 1982, negando ai dipendenti non artisti degli enti lirici autonomi la facoltà di protrarre il rapporto oltre il limite massimo di età - sia fonte di una discriminazione irragionevole: è, q __ sostenere la discriminazione di tali lavoratori per quella sola parte dell'art. 6, citato, che in materia pensionistica ribadisce la specialità.

 

Considerato in diritto

 

1. Il Consiglio di Stato, VI sezione, dubita, in riferimento agli articoli 3, 4 e 38, secondo e quarto comma, della Costituzione, della legittimità dell'art. 6, secondo comma, della legge 13 luglio 1984, n. 312, nella parte in cui esclude, per i dipendenti non artisti degli enti lirici autonomi (per i quali gli accordi collettivi di lavoro prevedono il limite massimo d'età di 60 anni per il collocamento a riposo), l'applicabilità dell'art. 6 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791, convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 54, impedendo così a tali dipendenti di prestare la loro opera fino al raggiungimento dell'anzianità contributiva massima, entro il limite del sessantacinquesimo anno di età.

 

2. La questione è infondata.

 

Vanno esaminate per prime le censure mosse con riferimento agli articoli 4 e 38, secondo e quarto comma, della Costituzione. Il giudice a quo sottolinea come le citate norme costituzionali garantiscano ai lavoratori il diritto a mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in vecchiaia, e a tutti i cittadini il diritto al lavoro ed alla promozione di tutte le condizioni che lo rendano effettivo. Un simile riconoscimento, sostiene il rimettente, sarebbe gravemente limitato se, in mancanza di valida ragione distintiva, trovasse nella legge maggiore o minore dimensione temporale per singole categorie di cittadini.

 

Questa Corte ha già chiarito come in tale materia il bene costituzionalmente protetto sia rappresentato dal conseguimento della pensione < al minimo>, mentre non gode di uguale protezione il raggiungimento del trattamento pensionistico massimo; in particolare, la disciplina legislativa sul trattenimento in servizio, al di là del limite d'età fissato per il collocamento a riposo, rientra nella sfera di discrezionalità del legislatore, statale o regionale, sempre che non sia violato il canone di razionalità (v., fra le più recenti, le sentt. nn.374 e 90 del 1992, e nn. 491, 490 e 440 del 1991, nonchè le ordd. nn.442, 434, 347 e 170 del 1992). La Corte ha precisato altresì (v. la già citata sent. n. 374 del 1992) che spetta al legislatore apprezzare l'esistenza di esigenze differenti per le varie categorie di pubblici dipendenti. Dalla norma denunziata non discende, d'altronde, una in debita compressione della tutela previdenziale, in quanto il diritto al trattamento di vecchiaia è soltanto regolamentato nel quantum, secondo i principi generali del diritto previdenziale.

 

Sulla base di questi principi, che la Corte ritiene qui di confermare, si rivela dunque infondata la doglianza mossa dal giudice a quo con riferimento agli articoli 4 e 38, secondo e quarto comma, della Costituzione.

 

3. - Resta da verificare se la norma denunziata - nella parte in cui esclude l'applicabilità dell'art. 6 del decreto-legge n. 791 del 1981, convertito, con modificazioni, nella legge n. 54 del 1982, negando ai dipendenti non artisti degli enti lirici autonomi la facoltà di protrarre il rapporto oltre il limite massimo di età - sia fonte di una discriminazione irragionevole: è, questa, la censura di maggior rilievo che anima l'intero impianto dell'ordinanza di rimessione.

 

L'esclusione, per i dipendenti degli enti autonomi lirici, della norma introdotta dall'art. 6 del citato decreto-legge n.791 del 1981, non va considerata, invero, quale dato a sè stante, ma ricondotta alla peculiarità di detti enti rispetto ad altre amministrazioni pubbliche, secondo quanto riconosciuto dal legislatore.

 

Tale peculiarità si manifesta, assai più che nell'esclusione dall'art. 6 del citato decreto-legge n. 791 del 1981, nella circostanza che per siffatti enti (e per le istituzioni assimilate) non si applica, addirittura, la legge quadro per il pubblico impiego (legge 29 marzo 1983, n. 93), e la normativa generale sugli enti pubblici non economici (legge 20 marzo 1975, n. 70).

 

Coerentemente con tale impostazione, il primo comma dell'art. 6 della legge n. 312 del 1984 demanda ai contratti collettivi nazionali di lavoro la disciplina non soltanto del trattamento economico, ma anche di quello normativo. É poi degno di nota che, successivamente, il legislatore abbia esteso ai dipendenti degli enti lirici autonomi la normativa vigente per il personale degli enti pubblici economici (art. 3 del decreto-legge 11 settembre 1987, n. 374, convertito, con modificazioni, nella legge 29 ottobre 1987, n. 450).

 

Non appare dunque arbitraria la scelta del legislatore di diversificare la situazione di una categoria di dipendenti, con una serie di misure, in sè coerenti, apprezzandone la specialità fino al punto da affidare la disciplina della stessa parte < normativa> alla contrattazione, impedendo nel con tempo l'applicabilità di una disposizione come quella introdotta dall'art. 6 del già citato decreto-legge n. 791.

 

Tali considerazioni impongono di rigettare il dubbio di costituzionalità avanzato con riguardo all'art. 3 della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.6, secondo comma, della legge 13 luglio 1984, n. 312 (Interventi straordinari ed integrativi in favore degli enti autonomi lirici e delle istituzioni concertistiche assimilate), nella parte in cui esclude, per i dipendenti non artisti degli enti lirici autonomi, l'applicabilità dell'art. 6 del decreto-legge 22 dicembre 1981, n. 791 (Disposizioni in materia fallimentare), convertito, con modificazioni, nella legge 26 febbraio 1982, n. 54, sollevata, in riferimento agli articoli 3, 4 e 38, secondo e quarto comma, della Costituzione, dalla VI sezione del Consiglio di Stato con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/12/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Francesco GUIZZI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 30/12/93.