Sentenza n. 404 del 1993

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SENTENZA N. 404

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Avv. Massimo VARI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 16 della legge 23 aprile 1981, n. 155 (Adeguamento delle strutture e delle procedure per la liquidazione urgente delle pensioni e per i trattamenti di disoccupazione, e misure urgenti in materia previdenziale e pensionistica), promosso con ordinanza emessa il 18 febbraio 1993 dal Pretore di Genova nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Miniati Marisa ed altre e l'I.N.P.S., iscritta al n. 171 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.17, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visto l'atto di costituzione dell'I.N.P.S.;

 

udito nell'udienza pubblica del 19 ottobre 1993 il Giudice relatore Luigi Mengoni.

 

Ritenuto in fatto

 

1. Nel corso dei procedimenti civili riuniti promossi nei confronti dell'INPS da Marisa Miniati ed altre, per ottenere, in connessione alla domanda di pensionamento anticipato, il riconoscimento del diritto a un accredito contributivo di cinque anni, il Pretore di Genova, con ordinanza del 18 febbraio 1993 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 37 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 16 della legge 23 aprile 1981, n. 155, "nella parte in cui non consente alle lavoratrici di età superiore ai cinquant'anni di fruire di un'accredito contributivo di cinque anni".

 

Premesso che il diritto al pensionamento anticipato spetta agli operai e agli impiegati che abbiano compiuto cinquantacinque anni, se uomini, e cinquanta, se donne, la norma impugnata commisura il detto accredito al periodo compreso tra la data di risoluzione del rapporto di lavoro e il compimento rispettivamente del sessantesimo o del cinquantacinquesimo anno di età. Siffatta disciplina, ad avviso del giudice remittente, costringe la lavoratrice, se non vuole perdere il beneficio, ad abbandonare il lavoro prima dei 55 anni, mentre per l'uomo vale il limite dei 60 anni. In tal modo la norma ripropone, sia pure indirettamente, una disparità di trattamento in ragione della diversità di sesso incidente sull'età lavorativa, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, è identica sia per l'uomo che per la donna, potendo entrambi lavorare sino a 60 anni (sentenze nn. 137 del 1986, 498 del 1988 e 503 del 1991).

 

In contrasto con una sentenza del Tribunale di Genova che ha respinto un'analoga richiesta di altra lavoratrice, il Pretore ritiene di poter trarre argomento a sostegno della sua tesi dalla sent. n. 503 del 1991, relativa all'art. 2, secondo comma, del d.l. 1 aprile 1989, n. 120, convertito in legge 15 maggio 1989, n. 18l.

 

2. Nel giudizio davanti alla Corte si è costituito l'INPS chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

 

L'Istituto nega che nei meccanismi previsti dalla norma impugnata "si annidi, staticamente o dinamicamente, alcuna causa e nemmeno alcuna occasio legis di deteriore trattamento della donna lavoratrice rispetto all'uomo lavoratore. Entrambi infatti, a partire da diverse età hanno diritto alla stessa maggiorazione dell'anzianità contributiva, e cioè fino a cinque anni ed in misura proporzionalmente variabile a seconda della data di risoluzione del rapporto". L'attribuzione di un aumento fisso di cinque anni di contribuzione figurativa alle sole donne, lasciando inalterata la disciplina attuale per i lavoratori di sesso maschile, determinerebbe una violazione del principio di eguaglianza a danno di questi ultimi.

 

Considerato in diritto

 

l. Il Pretore di Genova ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 37 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 16 della legge 23 aprile 1981, n. 155, "nella parte in cui non consente alle lavoratrici di età superiore ai cinquant'anni di fruire di un'accredito contributivo di cinque anni".

 

2. La questione non è fondata.

 

Per comprendere il significato della disposizione denunciata occorre premettere che, dopo la sentenza di questa Corte n. 498 del 1988, per le donne lavoratrici l'età lavorativa non è più coincidente con l'età pensionabile (intesa nel senso di età alla quale, concorrendo il requisito dell'anzianità contributiva, si acquista il diritto alla pensione di vecchiaia), la prima essendo stata elevata alla medesima soglia prevista per gli uomini (60 anni), mentre la seconda è rimasta ferma a 55 anni.

 

Per favorire l'esodo volontario dei dipendenti anziani delle imprese industriali dichiarate in crisi, l'art. 16 della legge n. 155 del 1981 abbassa di cinque anni l'età pensionabile, portandola a 55 anni per gli uomini e a 50 anni per le donne, e prevede un incentivo alla domanda di pensionamento anticipato nella forma di una maggiorazione dell'anzianità contributiva pari al periodo compreso tra la data di risoluzione (per dimissioni) del rapporto di lavoro e quella di compimento rispettivamente di 60 o 55 anni. In questi termini la norma attua una perfetta parità di trattamento tra uomini e donne, modulata sulla differenza dell'età pensionabile (nel senso sopra precisato) conservata dalla sentenza citata.

 

La questione in esame prospetta (fuori da ogni logica) una sentenza additiva che determinerebbe una sperequazione a danno degli uomini, ai quali il beneficio dell'accredito contributivo rimarrebbe attribuito nella misura (variabile) prevista dalla legge, mentre le lavoratrici fruirebbero di un accredito fisso di cinque anni indipendentemente dalla data, compresa tra i 50 e i 55 anni di età, di risoluzione del rapporto di lavoro in seguito alla domanda di prepensionamento.

 

L'ordinanza obietta che "nel sistema delineato dall'art.16 citato la lavoratrice si vede costretta, se non vuole perdere il beneficio, ad abbandonare il lavoro prima dei 55 anni, mentre per l'uomo vale il limite di 60 anni". Il rilievo, da un lato, non è congruente col dispositivo, dove non si fa questione di allineamento dei limiti di età per il pensionamento anticipato, dall'altro è in sè contraddittorio. Posto che "il prepensionamento è caratterizzato dall'attribuzione al lavoratore della pensione prima del raggiungimento dell'età pensionabile, sulla base dell'aumento figurativo dell'anzianità contributiva" (sent. n. 60 del 1991

), la soglia di età, oltre la quale non si potrebbe più parlare di pensionamento anticipato, non può essere per le lavoratrici se non il compimento del cinquantacinquesimo anno.

 

3. La sentenza n. 503 del 1991 non può fornire un utile tertium comparationis. Il d.l. n. 120 del 1989, recante misure speciali per il risanamento del settore siderurgico, ammette al pensionamento anticipato (che in questo caso è praticamente coatto) anche gli uomini che abbiano compiuto 50 anni di età; conseguentemente, poichè per essi l'età pensionabile coincide con l'età lavorativa, il termine di riferimento per il calcolo dell'aumento figurativo dell'anzianità contributiva è la data di compimento del sessantesimo anno, il che comporta un massimo di accredito di dieci anni. Per le donne, invece, il riferimento all'età di conseguimento del diritto alla pensione di vecchiaia, cioè 55 anni, determinava la riduzione dell'accredito massimo a cinque anni (elevabili fino a otto nel concorso dei requisiti previsti dall'art. 5, comma 5, del d.l. n. 536 del 1987), e dunque una disparità di trattamento, ritenuta non giustificata dalla sentenza n. 503 del 1991. Un'analoga disparità non sussiste nel caso in esame, onde il richiamo dell'ordinanza a questa sentenza si palesa inconferente.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.16 della legge 23 aprile 1981, n. 155 (Adeguamento delle strutture e delle procedure per la liquidazione urgente delle pensioni e per i trattamenti di disoccupazione, e misure urgenti in materia previdenziale e pensionistica), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 37 della Costituzione, dal Pretore di Genova con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/11/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Luigi MENGONI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 18/11/1993