Ordinanza n. 143 del 1993

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ORDINANZA N. 143

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 446 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 10 aprile 1992 dal Pretore di Camerino nel procedimento penale a carico di Giordano Luigi ed altra, iscritta al n. 506 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1992;

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 27 gennaio 1993 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

 

Ritenuto che nel corso di un procedimento penale a carico di due imputati di violazione di domicilio aggravata e di furto, entrambi irreperibili, il Pretore di Camerino, con ordinanza del 10 aprile 1992, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione e "all'art. 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo", questione di legittimità costituzionale dell'articolo 446 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede che la facoltà di richiedere l'applicazione della pena a norma dell'art. 444 dello stesso codice possa essere esercitata dal difensore dell'imputato irreperibile non munito di procura speciale;

 

che, premessa la rilevanza della questione (avendo il difensore degli imputati formulato la richiesta di patteggiamento, ritenendola per essi vantaggiosa), il Pretore rimettente reputa che la norma impugnata contrasti con gli articoli :

 

- 3 della Costituzione, per il diverso trattamento dell'imputato irreperibile rispetto al contumace non irreperibile, in ragione del diverso grado di "sicurezza di effettiva conoscenza" del procedimento derivante, nei due casi, dalla disciplina delle notificazioni;

 

- 24 della Costituzione, in quanto le facoltà esercitabili personalmente dall'imputato, tra cui quella di richiedere il patteggiamento, divengono "impraticabili" per l'irreperibile se non si ammette una concorrente facoltà del difensore (non procuratore speciale);

 

che nessun argomento viene addotto dal giudice a quo in relazione al parametro dell'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva in Italia con legge 4 agosto 1955, n.848;

 

che è intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, tramite l'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione, ed osservando, in particolare, che la disciplina denunziata tutela proprio il diritto alla migliore difesa dell'imputato, cui unicamente spetta valutare la convenienza della richiesta di un rito speciale e delle conseguenze sostanziali che ne derivano.

 

Considerato che l'attribuzione in via esclusiva all'imputato della facoltà di richiedere l'applicazione - o di dare il consenso all'applicazione - della pena concordata trova fondamento proprio nell'esigenza di piena e completa tutela della difesa della parte, sul rilievo della particolare natura dell'impegno che viene ad essere assunto nel concordare la pena, e dunque nel "rinunciare ad avvalersi della facoltà di contestare l'accusa" (sent. n. 313 del 1991

) , accettando le diverse conseguenze che discendono dalla pronuncia resa ex art. 444 c.p.p. (giudizio formulato in base agli elementi raccolti dall'accusa, inappellabilità, applicazione della confisca, equiparazione a una sentenza di condanna);

 

che la riserva esclusiva di tale facoltà, riconosciuta legittima in termini generali dall'art. 99, comma primo, c.p.p., risulta pertanto coerente con i connotati centrali dell'istituto del c.d. patteggiamento, strumento "negoziato" idoneo ad incidere sulla sfera della libertà personale e dei diritti patrimoniali dell'imputato medesimo, per tali ragioni ricompreso nella categoria degli atti "personalissimi" da questo esercitabili (Relazione ministeriale al progetto preliminare del c.p.p., Libro VI, titolo II), in linea del resto con la giurisprudenza formatasi sull'istituto - analogo, per questo specifico aspetto - dell'applicazione delle sanzioni sostitutive di pene detentive brevi a norma dell'art.77 della legge n. 689 del 1981;

 

che l'attribuzione esclusiva all'imputato delle suddette facoltà è dunque conforme al parametro costituzionale ex art. 24 invocato, in quanto si tratta di un istituto in cui la scelta determina una non reversibile disposizione di fondamentali diritti, ond'è che l'eventuale concorrente attribuzione di quelle facoltà al difensore nell'ambito del generico potere di rappresentanza determinerebbe la possibilità di opzioni, da parte di quest'ultimo, tali da consumare l'esercizio della facoltà per l'imputato, compromettendone la posizione (al pari di quanto già rilevato, riguardo alla facoltà di impugnazione della sentenza contumaciale, nella sentenza n. 315 del 1990);

 

che la disciplina denunziata non appare in alcun modo lesiva neppure del principio di eguaglianza invocato, sia perchè in sè razionale in rapporto alle finalità e ai "rischi" dell'istituto quali sopra enucleati, sia perchè, nel regolare il modo di espressione della volontà di accedere alla pena concordata, essa non crea alcuna differenziazione in rapporto alla diversa situazione in cui versi l'imputato sul piano della presenza nel processo (imputato presente, considerato tale, contumace, irreperibile, latitante);

 

che in proposito è da ritenersi prevalente per tutti i casi l'esigenza di una formulazione di volontà riconducibile, direttamente o per il tramite di un procuratore speciale, alla persona dell'interessato, naturalmente sul presupposto della validità e legittimità degli strumenti di conoscenza del processo adottati nei singoli casi (sent. n. 211 del 1991);

 

che, per quanto riguarda la censura svolta in riferimento dell'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, se da un lato va ribadita l'impossibilità di assumere le relative norme quali parametri del giudizio di legittimità costituzionale, di per sè sole (sent. n. 188 del 1980) ovvero come norme interposte ex art. 10 della Costituzione (sent. n. 153 del 1987), va d'altra parte rilevata l'assenza, nell'ordinanza di rimessione, di qualsiasi argomentazione in ordine a tale profilo, non essendo neppure individuato il diritto che si assume violato tra quelli enumerati nella norma pattizia;

 

che pertanto, in relazione a tale ultimo profilo, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile per genericità (ord. n. 23 del 1993);

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 446 del codice di procedura penale sollevata, in riferimento all'art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848, dal Pretore di Camerino con l'ordinanza in epigrafe;

 

Dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 446 del codice di procedura penale sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Camerino, con la stessa ordinanza.

 

Così deciso in Roma, nella Sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 01/04/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 06/04/93.