Ordinanza n. 23 del 1993
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ORDINANZA N. 23

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 140, primo comma, e 567, terzo comma, del codice di procedura penale e dell'art. 2, primo comma, punto 8, della legge 16 febbraio 1987, n.81 (Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale), promosso con ordinanza emessa il 13 gennaio 1992 dal Pretore di Bergamo, Sezione distaccata di Grumello del Monte nel procedimento penale a carico di Rossini Ettore, iscritta al n. 331 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 19 novembre 1992 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

Ritenuto che nel corso di un procedimento penale a carico di Ettore Rossini, imputato di lesioni colpose da sinistro stradale, il Pretore di Bergamo, Sezione distaccata di Grumello del Monte, con ordinanza del 13 gennaio 1992 (reg.ord. n. 331 del 1992) ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 76, 97 Cost. (l'art. 76 in relazione ai punti 1,2,8,73,103 della legge delega 16 febbraio 1987 n. 81), questioni di legittimità costituzionale degli artt. 140, primo comma, 567, terzo comma, del codice di procedura penale e 2, primo comma, punto 8, della legge n. 81 del 1987 cit. "nella parte in cui tali norme consentono che la verbalizzazione delle attività dibattimentali avvenga in forma solo riassuntiva, in generale, quando si tratti di atti semplici o di limitata rilevanza; in particolare, nel processo pretorile, in ogni caso in cui vi sia l'accordo delle parti alla verbalizzazione solo riassuntiva; e comunque consentono che la verbalizzazione integrale possa avvenire in forma manuale anzichè fonografica o analoga; e comunque non impongono che la verbalizzazione sia integrale per tutti i dibattimenti, avanti qualunque giudice o corte, per qualunque imputazione ed imputato";

che il pretore premette che: a) nel caso di specie la complessità dei fatti da accertare rendeva inopportuna la verbalizzazione riassuntiva; b) era rimasta disattesa dal Ministero di grazia e giustizia la richiesta di strumenti di riproduzione fonica; c) si rendeva perciò necessaria, in alternativa alla semplice verbalizzazione riassuntiva, la verbalizzazione manuale integrale (art.134, secondo comma, cod.proc.pen.).

che, ciò premesso, il pretore rimettente esprime il dubbio che l'art. 140, primo comma, che consente in taluni casi la verbalizzazione solo riassuntiva, e l'art. 567, terzo comma, che a sua volta prevede, per il processo pretorile, "tale forma di verbale", al di fuori dei casi indicati nell'art.140 cit., "col solo presupposto del consenso delle parti", cui il giudice "sarebbe vinco lato", violino:

a) l'art. 3 Cost.: per ingiustificata discriminazione tra imputati nel processo pretorile e imputati nel processo davanti al tribunale, essendo solo per i primi e non anche per i secondi prevista la verbalizzazione riassuntiva in base al mero consenso delle parti; in ragione della disuguaglianza che si determinerebbe fra quegli imputati "con difese più agguerrite" e quindi in grado di effettuare meglio la scelta della verbalizzazione integrale e gli altri che, non potendo disporre di tali difese, verrebbero giudicati con "materiale probatorio dibattimentale solo sommariamente descritto nei verbali"; con riguardo al solo art. 140, primo comma, sembrando irragionevole l'attribuzione al giudice di decidere "insindacabilmente" se gli atti da verbalizzare abbiano o meno contenuto semplice o limitata rilevanza e di dichiarare la contingente indisponibilità degli strumenti di riproduzione che, essendo già disponibili presso alcune sedi giudiziarie, genererebbero una "inammissibile disparità di trattamento fra persone imputate degli stessi reati, a seconda che il loro processo si svolga in sedi ove tali strumenti esistono, ovvero in altre sedi giudiziarie";

b) l'art. 24 Cost.: per l'inidoneità della verbalizzazione sommaria a garantire il diritto di difesa in giudizio; per l'inidoneità della valutazione operata dal giudice circa il carattere marginale di alcuni "particolari di dichiarazioni" testimoniali, che invece, dopo l'esame di altri testi, potrebbero assumere rilevanza significativa, "e dei quali peraltro non rimarrebbe traccia nel verbale"; perchè le norme denunciate permetterebbero che il giudice, "dovendo badare alla genuinità delle verbalizzazioni [in forma riassuntiva] ..., possa incolpevolmente perdersi qualche battuta del teste" e consentirebbero "che nelle pause tra la verbalizzazione integrale manuale di una domanda e della successiva risposta il teste prenda tempo ... e mediti sulla versione da esporre in relazione alle domande via via formulategli";

c) l'art. 76 Cost.: perchè l'eventualità per ultimo indicata (in riferimento all'asserita violazione dell'art.24 Cost.) profilerebbe anche un contrasto con i punti 73 e 66 della legge di delega n. 81 del 1987 che tendono ad assicurare la lealtà e la genuità dell'esame, attraverso l'immediatezza e la concentrazione del dibattimento, dato che la verbalizzazione in forma riassuntiva non corrisponderebbe al principio di massima semplificazione degli atti processuali, enunciato nell'art. 2, punto 1, della legge di delega, potendo in tal modo il dibattimento avere una durata anormale; con riguardo al solo art. 567, terzo comma, per contrasto con l'art. 2, punti 8 e 103, della legge di delega, perchè la norma denunciata prevede la possibilità che alla verbalizzazione riassuntiva si pervenga con il solo accordo delle parti;

d) con l'art. 97 Cost., perchè i motivi ora detti paleserebbero il contrasto delle norme impugnate anche col principio di buon andamento dell'amministrazione della giustizia;

che "conseguenziale alla prospettata illegittimità dell'art. 140/1 c.p.p. risulta l'illegittimità dell'art. 2, punto 8, della legge delega per gli stessi argomenti sopra enucleati";

che, "ove si optasse per la verbalizzazione integrale manuale, oltre a presentarsi i pericoli di progressiva perdita di genuinità delle deposizioni (per quanto già argomentato) ci si scontrerebbe con una durata del dibattimento (non esauribile in una sola udienza ...) difficilmente compatibile con la prescrizione dell'art.6, comma 1, parte prima, della convenzione ratificata dall'Italia con legge 4 agosto 1955 n. 848".

che il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto nel giudizio, ha chiesto che le questioni siano dichiarate manifestamente infondate, sia perchè basate sulla prospettazione di meri inconvenienti di fatto, sia perchè le norme impugnate sono pienamente aderenti alla delega legislativa.

Considerato che, nella precedente sentenza n. 529 del 1990, questa Corte ha ritenuto che, se dal punto 8 dell'art. 2 della legge di delega n. 81 del 1987 si evince la preferenza per la verbalizzazione integrale, "questa non costituisce però una regola assoluta", il che, "in relazione alla ricorrenza o meno di certi presupposti, rende legittima in sede di attuazione della delega la possibilità ... di prevedere l'una o l'altra forma di verbalizzazione";

che nell'ordinanza n. 77 del 1991 si è altresì affermato e, in quella n. 284 del 1992, ribadito che, una volta che la legge di delega ha previsto come forme fra loro alternative di verbalizzazione quella integrale e quella riassuntiva, il raffronto delle norme del codice di procedura penale deve essere compiuto in via prioritaria con riferimento a questa previsione, "essendo evidente che i criteri e i principi della delega devono essere fra loro armonizzati, dando prevalenza a quelli che riguardano specificamente le parti della disciplina presa in considerazione" e quindi nella specie, trattandosi di verbalizzazione, ai criteri e ai principi che riguardano direttamente questo tema, i quali, come si è rilevato nelle predette pronunce, risultano pienamente rispettati;

che di conseguenza le censure formulate in riferimento all'art. 76 della Costituzione, sono manifestamente infondate, riproponendo questioni già disattese da questa Corte con le pronunce citate, senza offrire alcun argomento nuovo che possa indurre a diverso avviso;

che, quanto alle censure formulate in riferimento all'art. 3 della Costituzione (in particolare quella che attiene alla asserita disparità tra imputati "con difese più agguerrite" ed imputati giudicabili presso sedi giudiziarie già fornite di mezzi automatici di riproduzione), si è in presenza di eventualità di mero fatto che non possono trovare ingresso in sede di sindacato di costituzionalità delle leggi (ordinanze nn. 410 del 1990 e 556 del 1987);

che anche l'altra censura formulata in riferimento all'art. 3 della Costituzione - sotto il profilo della disparità di trattamento tra imputati, nell'assunto che il metodo di verbalizzazione dipenderebbe da una "insindacabile" scelta del giudice - è priva di fondamento;

difatti la condotta del processo, anche per gli aspetti meramente ordinatori - come quello preso in considerazione - solitamente insuscettibili di riesame, è affidata ad organi della giurisdizione che, in ragione della loro funzione, devono esercitarla con diligenza, senso del dovere, prudente apprezzamento, così da garantire, sotto la propria responsabilità, lo svolgimento del processo nel modo più rispondente alle sue finalità e nei limiti fissati dalla relativa disciplina; il che circonda di sufficienti garanzie la scelta da compiersi circa le modalità di verbalizzazione da adottarsi, riducendo al minimo il rischio di quell'arbitrarietà paventata dal giudice rimettente;

che va, altresì, considerato che la prevista possibilità di ricorrere alla verbalizzazione in forma riassuntiva o, comunque, facendo ricorso alla scrittura manuale, quando risultino indisponibili i mezzi di riproduzione costituiti dalla stenotipia o da altro strumento meccanico, è imposta dal principio di indefettibilità della funzione giurisdizionale, come momento necessario dell'ordinamento, che non potrebbe certamente essere impedita o sospesa a causa della materiale indisponibilità di tali strumenti e ciò anche in ossequio a molti dei principi invocati dal giudice a quo;

che, per quel che riguarda la censura dedotta in riferimento all'art. 24 della Costituzione, in ordine alle maggiori difficoltà cui si va incontro quando si fa ricorso alle verbalizzazioni alternative anzichè a quella da effettuare con strumenti meccanici, va rilevato che - qualora, per ovviare a quelli che nell'ordinanza di rinvio vengono prospettati come inconvenienti, si addivenisse all'accoglimento della questione - stante l'obbiettiva perdurante indisponibilità di mezzi di riproduzione automatica, per non esserne stati ancora dotati tutti gli uffici giudiziari, si verrebbe a paralizzare l'esercizio della funzione giurisdizionale presso quegli uffici che ancora non disponessero di tali strumenti; e ciò sarebbe in palese contrasto con il già enunciato principio di indefettibilità della giurisdizione, che deve essere comunque esercitata, una volta assicurate sufficienti garanzie di difesa, che possono reputarsi parimenti soddisfatte anche se nel processo si ricorre a forme di verbalizzazioni diverse da quella realizzata con sussidi tecnici;

che manifestamente inammissibile è la censura sollevata in riferimento all'art. 97 della Costituzione, perchè essa si risolve in una generica doglianza di inefficienza degli uffici giudiziari, a causa della mancata dotazione di mezzi necessari per il loro funzionamento;

che manifestamente inammissibili per irrilevanza sono gli ulteriori profili di censura - sollevati sia in riferimento all'art. 3 della Costituzione che in riferimento all'art. 76 della Costituzione - delle norme denunciate nella parte in cui prevedono la possibilità, "su accordo delle parti", della redazione del verbale in forma riassuntiva, in quanto dalla narrativa dell'ordinanza di rimessione non risulta che tale evenienza si sia verificata in concreto nel giudizio a quo;

che manifestamente inammissibile per genericità, non essendo il contenuto del profilo dedotto nè argomentato nè desumibile dal contesto, è infine la censura formulata in riferimento "alla prescrizione dell'art. 6, comma primo, parte prima, della convenzione ratificata dall'Italia con legge 4 agosto 1955 n. 848";

che del pari manifestamente inammissibile per genericità è la censura svolta nei confronti "dell'art. 2, punto 8, della legge di delega" n. 81 del 1987, non essendo in alcun modo chiarite le ragioni della asserita consequenzialità della illegittimità costituzionale di tale norma, in relazione "alla prospettata illegittimità dell'art. 140/1 c.p.p.";

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 140, comma 1, e 567, comma 3, del codice di procedura penale e dell'art.2, comma 1, punto 8, della legge 16 febbraio 1987 n. 81 ("Delega legislativa al Governo della Repubblica per l'emanazione del nuovo codice di procedura penale") sollevate, in riferimento agli artt. 3, 76 e 97 della Costituzione ed "all'art. 6, comma 1, parte prima, della convenzione ratificata dall'Italia con la legge 4 agosto 1955 n. 848", dal Pretore di Bergamo, sezione distaccata di Grumello del Monte, con l'ordinanza indicata in epigrafe;

dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale degli artt. 140, comma 1, e 567, comma 3, del codice di procedura penale sollevate, in riferimento agli artt. 3,24,76 della Costituzione ed in relazione all'art. 2, comma 1, punto 8, della legge 16 febbraio 1987 n. 81, dal Pretore di Bergamo, sezione distaccata di Grumello del Monte, con la stessa ordinanza.

Così deciso in Roma nella Sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12/01/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

Depositata in cancelleria il 29/01/93.