Sentenza n. 266 del 1992

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SENTENZA N. 266

ANNO 1992

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

-        Prof. Giuseppe BORZELLINO, Presidente

-        Prof. Gabriele PESCATORE

-        Avv. Ugo SPAGNOLI

-        Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

-        Prof. Antonio BALDASSARRE

-        Avv. Mauro FERRI

-        Prof. Luigi MENGONI

-        Prof. Enzo CHELI

-        Dott. Renato GRANATA

-        Prof. Giuliano VASSALLI

-        Prof. Francesco GUIZZI

-        Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 444 e 448 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa l'8 ottobre 1991 dal Pretore di Velletri - sezione distaccata di Genzano - nel procedimento penale a carico di Cantatore Alessandro ed altra, iscritta al n. 12 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 maggio 1992 il Giudice relatore Ugo Spagnoli.

Ritenuto in fatto

1.- Decidendo sulla richiesta di applicazione della pena concordata avanzata al dibattimento da uno dei due coimputati di concorso nel medesimo reato, il Pretore di Velletri - sez. distaccata di Genzano - nel presupposto che essa fosse meritevole di accoglimento e che occorresse procedere alla separazione dei processi prima di emanare la relativa sentenza, ha sollevato d'ufficio una questione di legittimità costituzionale degli artt. 444 e 448 cod. proc. pen., assumendone il contrasto con l'art. 3 Cost..

Ad avviso del rimettente, non sarebbe in tal caso applicabile, in astratto, la disciplina della separazione contenuta nell'art. 18 cod. proc. pen., dato che l'ipotesi di cui alla lettera a), (possibilità di pervenire prontamente alla decisione nei confronti di uno o più imputati) è circoscritta all'udienza preliminare e non è quindi applicabile al dibattimento. La separazione sarebbe poi preclusa in concreto, apparendo nella specie la riunione assolutamente necessaria all'accertamento dei fatti (art. 18, prima parte). Onde la violazione dell'art. 3 Cost., dato che all'impossibilità di separare i processi conseguirebbe per l'imputato la perdita del trattamento di favore previsto dalle norme impugnate: le quali, quindi, sarebbero costituzionalmente illegittime "nella parte in cui non prevedono che il giudice, analogamente a quanto stabilito per il caso di dissenso ingiustificato, possa, anche quando il P.M. abbia dato il consenso, procedere a dibattimento e pronunciare la sentenza ex art. 444 all'esito dello stesso, in tutti i casi in cui una pronuncia, resa, sulla base degli atti, nei confronti di una parte dei coimputati, previa separazione dei processi, nuocerebbe in modo assoluto all'accertamento dei fatti".

2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata, in quanto basata sull'erronea premessa dell'impossibilità di disporre la separazione dei processi.

L'ipotesi in cui all'apertura del dibattimento la posizione di un imputato sia matura per la decisione ai sensi dell'art. 444 cod. proc. pen. dovrebbe infatti farsi rientrare, secondo l'Avvocatura, nella previsione di cui alla lettera a) del citato art. 18, che consente la separazione degli atti anche nella fase dibattimentale allorchè "nei confronti di uno o più imputati l'istruzione dibattimentale risulti conclusa".

D'altra parte, il potere del giudice di mantenere la riunione in quanto necessaria all'accertamento dei fatti dovrebbe cedere di fronte al diritto dell'imputato di poter godere di un beneficio riconosciutogli dalla legge, dato che una diversa interpretazione finirebbe per far dipendere il godimento del trattamento più favorevole da una valutazione di carattere economico-processuale del giudice, che fuoriesce dalla logica dell'istituto, fondato, invece, sul consenso delle parti.

Considerato in diritto

1.- In un processo penale, pervenuto alla fase dibattimentale, nel quale uno dei due coimputati di concorso nel medesimo reato aveva chiesto l'applicazione di una pena concordata con il pubblico ministero, il Pretore di Velletri - sezione distaccata di Genzano - nel presupposto che l'accoglimento della richiesta comportava la separazione dei due giudizi e che questa, peraltro, non fosse astrattamente consentita alla stregua della disciplina di cui all'art. 18 cod. proc. pen. e fosse in concreto impedita dall'assoluta necessità della riunione ai fini dell'accertamento dei fatti, ha sollevato una questione di legittimità costituzionale degli artt. 444 e 448 dello stesso codice, assumendone il contrasto con l'art. 3 Cost. nella parte in cui non consentono, in tal caso, di procedere al dibattimento e di pronunciare solo all'esito dello stesso la sentenza applicativa della pena: ciò perchè, altrimenti, il richiedente si vedrebbe privato di tale beneficio.

2.- La questione non è fondata.

Il giudice rimettente muove dal presupposto interpretativo che la scissione dei procedimenti che, in caso di processo cumulativo, consegue all'introduzione del rito speciale in questione nei confronti di alcuni imputati e non di altri, sia fenomeno da ricondurre nell'alveo della disciplina generale sulla separazione contenuta nell'art.18 cod. proc. pen., e che pertanto soggiaccia alla regola della preclusione per l'ipotesi di ritenuta necessità della riunione ai fini dell'accertamento dei fatti, contenuta nel primo comma di tale disposizione.

Tale presupposizione non considera, però, che il vigente sistema processuale è caratterizzato non solo da un marcato favor separationis (resa quest'ultima tendenzialmente obbligatoria), ma anche da una spiccata tendenza a privilegiare i riti speciali, e tra di essi l'applicazione di pena concordata.

Tra i requisiti di ammissibilità di tale rito, la disciplina positiva non annovera l'esigenza di accertamento del fatto nei confronti dell'imputato che non lo richieda; e la prospettiva di differimento all'esito del dibattimento nei confronti di costui nella sentenza da emettere ex art. 444 - additata dal giudice a quo - è contraddetta dalla disposizione (art.448) che impone di pronunciarla "immediatamente", non appena "ne ricorrono le condizioni".

Per altro verso, la circostanza che al "patteggiamento" richiesto in fase dibattimentale non si attagli alcuna delle regole sulla separazione dettate nell'art. 18, primo comma, e che la disciplina di esso non faccia cenno neanche a regole particolari - del tipo di quelle enunciate per il giudizio direttissimo ed il giudizio immediato negli artt. 449, sesto comma e 453, secondo comma - induce a ritenere - come sostiene l'Avvocatura dello Stato - che nell'ottica del legislatore il diritto dell'imputato a godere del beneficio riconosciutogli dalla legge non sia condizionabile da valutazioni giudiziali di carattere economico - processuale estranee ai suoi specifici presupposti: ciò che è in linea con l'opinione, prospettata in dottrina, secondo cui il silenzio normativo sul punto è da intendere come frutto dell'incompatibilità logica tra la disciplina dell'art. 18 e l'istituto in esame.

Questo, infatti, è congegnato come pattuizione tra imputato richiedente e parte pubblica, in ordine alla quale è bensì previsto un controllo giurisdizionale (cfr. le sentenze nn. 313 del 1990 e 251 del 1991), che non include però la valutazione delle posizioni di eventuali coimputati: sicchè è da ritenere che la scissione dei procedimenti che concernono costoro sia conseguenza automatica dell'ammissione del rito.

Così intesa la disciplina impugnata, la questione, limitatamente al profilo denunciato, resta priva del proprio presupposto e va quindi dichiarata non fondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale degli artt. 444 e 448 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Velletri - sezione distaccata di Genzano - con ordinanza dell'8 ottobre 1991.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 01/06/92.

Giuseppe BORZELLINO, Presidente

Ugo SPAGNOLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 10/06/92.