Ordinanza n. 62 del 1990

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ORDINANZA N.62

ANNO 1990

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Dott. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 9, secondo comma, della legge 2 aprile 1979, n. 97 (Norme sullo stato giuridico dei magistrati e sul trattamento economico dei magistrati ordinari e amministrativi, dei magistrati della giustizia militare e degli avvocati dello Stato), in relazione all'art. 5, ultimo comma, del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1080 (Norme sulla nuova disciplina del trattamento economico del personale di cui alla L. 24 maggio 1951, n. 392), all'art. 2, lett. d), della legge 16 dicembre 1961, n. 1308 (Modifiche alla legge 29 dicembre 1956, n. 1433, concernente il trattamento economico della magistratura, dei magistrati del Consiglio di Stato, della Corte dei conti, della Giustizia militare e degli avvocati e procuratori dello Stato), all'art. 10, ultimo comma, della legge 20 dicembre 1961, n. 1345 (Istituzione di una quarta e una quinta Sezione speciale per i giudizi su ricorsi in materia di pensioni di guerra ed altre disposizioni relative alla Corte dei conti), così come interpretato dall'art. 1, secondo comma, della legge 6 agosto 1984, n. 425 (Disposizioni relative al trattamento economico dei magistrati), nonchè di quest'ultima disposizione, promossi con ordinanze emesse il 25 gennaio 1989 (nn. 2 ordinanze) dal Tribunale amministrativo regionale per l'Umbria e il 14 dicembre 1989 dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, iscritte rispettivamente ai nn. 453, 454 e 486 del registro ordinanze 1989 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 41 e 43, prima serie speciale, dell'anno 1989.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 18 gennaio 1990 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola.

Ritenuto che con due ordinanze di identico contenuto emesse entrambe il 25 gennaio 1989, il Tribunale amministrativo regionale per l'Umbria ha sollevato, in relazione agli artt. 3, 36, 24, 102 e 103 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, secondo comma, della legge 2 aprile 1979, n. 97, in riferimento all'art. 5, ultimo comma, del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1080, all'art. 2, lett. d), della legge 16 dicembre 1961, n.1308, ed all'art. 10, ultimo comma, della legge 20 dicembre 1961, n. 1345, così come interpretato dall'art. 1, secondo comma, della legge 6 agosto 1984, n. 425;

che il giudice a quo, adito da alcuni magistrati ordinari per il riconoscimento del diritto agli aumenti periodici e figurativi di stipendio previsti per il personale della Corte dei conti, sulla premessa del carattere unitario della giurisdizione (la quale imporrebbe l'identità di trattamento economico di tutti i titolari della funzione giurisdizionale), individua nelle disposizioni impugnate l'intento di svalutare la funzione del giudice, togliendo effetto alle sentenze già pronunciate, attraverso un uso distorto dello strumento interpretativo;

che, a parere del Tribunale amministrativo regionale rimettente, risulterebbe sacrificato il diritto di difendersi ed agire in giudizio ed inoltre sarebbero stati in concreto violati il principio d'eguaglianza e quello di adeguatezza della retribuzione;

che questione del tutto analoga è stata prospettata dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con ordinanza emessa il 14 dicembre 1988, in cui il più volte citato art. 1 viene denunciato sia come direttamente lesivo degli artt. 24, 102 e 103 della Costituzione, sia in quanto contrastante con gli artt. 3 e 36 della Costituzione per la sua natura interpretativa del complesso normativo costituito dall'art. 9, secondo comma, della legge 2 aprile 1979, n. 97, dall'art. 5, ultimo comma, del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1080, dall'art. 2, lett. d), della legge 16 dicembre 1961, n. 1308, e dall'art. 10, ultimo comma, della legge 20 dicembre 1961, n. 1345;

che quest'ultimo giudice, adito da un magistrato amministrativo, riferisce la propria censura, oltre che alla problematica degli aumenti periodici, anche alla mancata estensione a tutto il personale di magistratura della speciale indennità prevista dall'art. 3 della legge n. 27 del 1981;

che in tutti i giudizi è intervenuto il Presidente del consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso per la declaratoria d'inammissibilità ovvero d'infondatezza della questione.

Considerato che i giudizi possono essere riuniti e decisi con un'unica ordinanza per analogia delle questioni; che questa Corte, con la sentenza n.413 del 1988, ha già dichiarato l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, secondo comma, della legge 6 agosto 1984, n. 425, escludendo, in particolare, la lesione degli artt. 24, 102 e 103 della Costituzione sulla base della ratio della norma impugnata, la quale, oltre ad eliminare incertezze interpretative, è volta a costituire <l'indispensabile presupposto logico e organizzatorio della ristrutturazione del trattamento economico per tutte le categorie dei magistrati>;

che tale principio è stato altresì ribadito nelle ordinanze n.48 del 1989, n. 1047 del 1988 con specifico riferimento agli artt.3 e 36 della Costituzione ed, in particolare, n. 23 del 1990, n.520 del 1989 e n. 1083 del 1988;

che nelle tre decisioni da ultimo citate la Corte ha dichiarato manifestamente infondata anche la questione di legittimità costituzionale concernente l'art. 9, secondo comma, della legge n.97 del 1979, in quanto nella denunziata normativa si è ravvisato l'esercizio di discrezionalità legislativa finalizzata alla realizzazione del principio di eguaglianza nonchè di ragionevolezza;

che nelle ordinanze di rimessione non vengono prospettati argomenti nuovi rispetto a quelli a suo tempo esaminati; che le questioni sono pertanto manifestamente infondate.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 9, secondo comma, della legge 2 aprile 1979, n. 97 (Norme sullo stato giuridico dei magistrati e sul trattamento economico dei magistrati ordinari e amministrativi, dei magistrati della giustizia militare e degli avvocati dello Stato), in relazione all'art. 5, ultimo comma, del d.P.R. 28 dicembre 1970, n. 1080, all'art. 2, lett. d), della legge 16 dicembre 1961, n. 1308 ed all'art. 10, ultimo comma, della legge 20 dicembre 1961, n. 1345 (così come interpretati dall'art. 1, secondo comma, della legge 6 agosto 1984, n. 425), sollevata, in relazione agli artt. 3, 36, 24, 102 e 103 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per l'Umbria con l'ordinanza di cui in epigrafe;

2) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, primo e secondo comma, della legge 6 agosto 1984, n. 425 (Disposizioni relative al trattamento economico dei magistrati), sollevata, in riferimento sia agli artt. 3 e 36, che agli artt.24, 102 e 103 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio con l'ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 31/01/90.

Francesco SAJA, PRESIDENTE

Francesco Paolo CASAVOLA, REDATTORE

Depositata in cancelleria il 02/02/90.