Ordinanza n. 868 del 1988

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ORDINANZA N.868

ANNO 1988

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco SAJA, Presidente

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 4 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (<Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro>) e 42, terzo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (<T.U. delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato>), promosso con ordinanza emessa il 13 novembre 1987 dal Consiglio di Stato-Sezione VI giurisdizionale sul ricorso proposto da Pieretto Silvio contro il Ministero della Pubblica Istruzione, iscritta al n. 55 del registro ordinanze 1988 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 9/1a s.s. dell'anno 1988;

Visti l'atto di costituzione di Pieretto Silvio nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 giugno 1988 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

Ritenuto che il Consiglio di Stato, Sez. VI, con ordinanza 13 novembre 1987 (R.O. n. 55 del 1988) - emanata nel corso di un giudizio promosso da un dipendente statale di sesso maschile, il quale chiedeva di essere collocato a riposo fruendo dell'aumento di cinque anni previsto per le lavoratrici coniugate o con prole-ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della l. 9 dicembre 1977, n. 903 e dell'art. 42, terzo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, sotto il profilo che essi limiterebbero ingiustificatamente alle sole dipendenti statali, coniugate o con prole a carico, il beneficio di un aumento del servizio effettivo fino al massimo di cinque anni, ai fini del compimento dell'anzianità per il diritto alla pensione ordinaria, in caso di dimissioni, escludendone i dipendenti di sesso maschile;

che secondo il giudice a quo le norme anzidette contrasterebbero con gli artt. 3 e 51 Cost., non sussistendo valide ragioni per tale esclusione;

Considerato che l'art. 4 della legge n. 903 del 1977 consente alla lavoratrice, per la quale la legge prevede limiti di età per il collocamento a riposo inferiori rispetto agli uomini, la facoltà di restare in servizio sino al raggiungimento degli stessi limiti di età previsti per gli uomini (cfr. al riguardo Corte cost. 29 aprile 1988, n. 498 e 18 giugno 1986, n. 137);

che tale norma, pertanto, non attiene al beneficio in discussione e non e applicabile nel giudizio a quo, essendo la facoltà di pensionamento anticipato, riservata alla dipendente statale coniugata o con prole, disciplinata unicamente dall'art. 42 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092;

che la questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della l.9 dicembre 1977, n. 903 va perciò dichiarata manifestamente inammissibile (cfr. al riguardo Corte cost. 3 marzo 1988, n. 251);

che, quanto alla questione relativa all'art. 42 del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092, questa Corte ha già affermato(sentenza 29 aprile 1988, n. 498) che l'attribuzione alla donna di un trattamento di maggior favore rispetto all'uomo in tema di pensionamento per vecchiaia non contrasta col principio di parità in materia di lavoro;

che, infatti, l'attribuzione di benefici ai fini del collocamento anticipato in pensione delle lavoratrici, rispetto ai lavoratori, trova razionale giustificazione nella particolare vocazione familiare della donna, riconosciutale dall'art. 37 Cost. in relazione alla sua attività lavorativa;

che tale giustificazione appare ancor più valida riguardo a benefici che, come quello in questione, tendono a consentire alla donna una tempestiva scelta in favore di una maggiore realizzazione della propria personalità nell'ambito familiare;

che, pertanto, la differenza di trattamento lamentata dal giudice a quo non e irragionevole e spetta unicamente al legislatore di valutare, in relazione all'evoluzione della società ed alle implicazioni finanziarie inerenti al sistema previdenziale, l'opportunità di abrogare o modificare la norma in esame (come del resto ha, in parte, già fatto con l'art. 10 del D.L. 29 gennaio 1983, n. 17, conv. nella l. 25 marzo 1983, n. 79);

che appare manifesto, quindi, che la norma impugnata non contrasta con l'art. 3 Cost., ne tanto meno con l'art. 51 Cost. non frapponendo essa alcun ostacolo alla parità di accesso agli uffici pubblici da esso garantita;

Visti gli artt. 26, secondo comma, della l. 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara:

a) la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della l. 9 dicembre 1977, n 903 (<Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro>), sollevata dal Consiglio di Stato con ordinanza 13 novembre 1987 (R.O. n. 55 del 1988), in riferimento agli artt. 3 e 51 Cost.;

b) la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 42, terzo comma, del d.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1092 (<T.U. delle norme sulle prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato>), sollevata con la stessa ordinanza in relazione agli artt. 3 e 51 Cost.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 06/07/88.

 

Francesco SAJA - Gabriele PESCATORE

 

Depositata in cancelleria il 21/07/88.