Sentenza n.47 del 1987

 CONSULTA ONLINE 

SENTENZA N. 47

ANNO 1987

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici

Prof. Antonio LA PERGOLA, Presidente

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Prof. Aldo CORASANITI

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Dott. Francesco GRECO

Prof. Renato DELL'ANDRO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Francesco P. CASAVOLA

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, secondo e quinto comma, legge 23 aprile 1981, n. 154 ("norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al servizio sanitario nazionale"), promosso con ordinanza emessa il 23 agosto 1985 dal Tribunale di Brescia nel procedimento civile vertente tra Sandrinelli Stefano e Ranchetti Renato, iscritta al n. 858 del registro ordinanze 1985 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16/1a Serie Speciale dell'anno 1986;

Visto l'atto di costituzione di Ranchetti Renato nonché l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 25 novembre 1986 il Giudice relatore Giuseppe Ferrari;

Udito l'Avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei ministri;

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza emessa il 23 agosto 1985 il Tribunale di Brescia, chiamato a decidere circa la tempestività della rimozione della causa di ineleggibilità da parte di Renato Ranchetti giudice conciliatore il quale aveva presentato le proprie dimissioni l'ultimo giorno utile per la presentazione della candidatura ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, secondo e quinto comma, della legge 23 aprile 1981, n. 154, in riferimento agli artt. 3 e 51 Cost., nella parte in cui prevede che le dimissioni del giudice conciliatore, al fine dell'eliminazione della causa di ineleggibilità, abbiano effetto dalla data in cui la P.A. le abbia accettate ovvero, in difetto di accettazione, dal quinto giorno successivo alla presentazione, anziché immediatamente.

La violazione delle indicate disposizioni costituzionali si afferma in ordinanza deriverebbe dal raffronto con la disciplina dettata per i soggetti indicati dallo stesso art. 2, primo comma, nn. 4, 9 e 10 (ecclesiastici, ministri di culto, legali rappresentanti e dirigenti di strutture convenzionate con l'U.S.L. ovvero di società con capitale maggioritario dell'ente locale) le cui dimissioni, non dovendo essere presentate alla pubblica amministrazione, sono invece immediatamente efficaci, secondo quanto affermato dalla stessa Corte costituzionale con sentenza n. 46 del 1969.

2. - Renato Ranchetti si é costituito in giudizio prospettando preliminarmente un'interpretazione della norma denunciata in base alla quale dovrebbe distinguersi tra efficacia delle dimissioni ai fini elettorali (che sarebbero, in tal caso, immediatamente operanti indipendentemente dall'accettazione da parte della P.A.) e rilevanza delle medesime ai fini sostanziali, avuto riguardo cioè al rapporto tra la P.A. ed il suo amministratore o impiegato, al quale soltanto si riferirebbe il quinto comma del citato art. 2. Distinzione si afferma elaborata sulla scorta dei principi dettati dalla stessa Corte costituzionale con sentenze n. 46 del 1969 e n. 129 del 1975, con la prima delle quali fu affermato che la ratio dell'ineleggibilità é soddisfatta a sufficienza con le semplici dimissioni, accompagnate da un'effettiva astensione del dimissionario da ogni ulteriore atto d'ufficio.

Se tale tesi ermeneutica fosse in ipotesi errata, la norma sarebbe illegittima oltre che sotto il profilo esposto in ordinanza, per due ulteriori ragioni: in quanto ingenererebbe una disparità di trattamento tra soggetti che, dimissionari negli ultimi cinque giorni antecedenti l'ultimo giorno utile, non abbiano ottenuto l'accettazione immediata delle dimissioni, e quelli invece che se le siano viste immediatamente accogliere; in quanto - per altro verso - ingiustificatamente riserverebbe un trattamento paritario ai dimissionari dal rapporto di pubblico impiego e ai soggetti i quali invece si dimettano da cariche elettive e (o) non remunerate che, non essendo obbligatorie, devono poter essere, ad ogni effetto, immediatamente abbandonate dai soggetti che non intendono più rivestirle.

3. - L'Avvocatura dello Stato, intervenuta in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, ha chiesto la declaratoria di infondatezza della questione osservando, da un lato, che non é inibito al legislatore - secondo quanto osservato dalla Corte costituzionale con sentenza n. 74 del 1978 - "dettare norme diverse per regolare situazioni che egli ritenga diverse entro un margine di discrezionalità che giustifichi sostanzialmente il criterio di differenziazione adottato"; e, dall'altro, che l'accettazione delle dimissioni, costituente un atto dell'autorità competente da adottarsi sulla base di una valutazione delle esigenze di pubblico interesse, non é richiesta dalla legge impugnata ma dalle disposizioni concernenti il diverso rapporto la cui prosecuzione non é dal legislatore ritenuta compatibile col munus elettorale.

Considerato in diritto

1. - Il Tribunale di Brescia ha denunciato a questa Corte, per sospetta illegittimità costituzionale, l'art. 2, secondo e quinto comma, della legge 23 aprile 1981, n. 154, limitandosi al riguardo ad osservare che, mentre le dimissioni da giudice conciliatore hanno "efficacia... dalla data dell'accettazione da parte della P.A. o, qualora questa non provveda entro cinque giorni, dal quinto giorno successivo alla presentazione", viceversa alle dimissioni di quei "soggetti (nn. 4, 9 e 10 del primo comma dell'art. 2) che non debbono farne domanda alla P.A." sarebbe "riconosciuta efficacia fin dal momento della loro presentazione". La disciplina in parola comporterebbe di conseguenza "evidente disparità di trattamento... non sorretta da alcuna razionale giustificazione" fra le varie categorie di ineleggibili e, quindi, violazione degli artt. 3 e 51 Cost.

2. - La questione appare inammissibile, stanti la lacunosità e l'indeterminatezza della prospettazione, che si esaurisce in quanto testé riportato. Risulta omesso il richiamo al primo comma, n. 8, del menzionato art. 2, pur se proprio il relativo disposto, statuendo l'ineleggibilità dei giudici conciliatori "nel territorio nel quale esercitano le funzioni", costituisca la premessa normativa e logica dell'impugnazione. Si afferma che la cessazione dalle funzioni é prevista "agli stessi fini", ma non si rintraccia alcun cenno, né previo, né successivo, a tali fini. Si assumono come tertium comparationis i legali rappresentanti ed i dirigenti di strutture sanitarie convenzionate e di società per azioni dei Comuni, asserendo, con interpretazione non argomentata, che anche i suddetti dirigenti sarebbero dispensati dall'onere di attendere l'accettazione della domanda di dimissioni o il decorso del quinto giorno successivo alla presentazione di tale domanda, e se ne deduce - chiedendo conseguentemente a questa Corte di voler dichiarare - che i magistrati d'appello, di tribunale, di pretura, i commissari di Governo, i prefetti, i funzionari di pubblica sicurezza, gli ufficiali generali e superiori delle forze armate, etc., i quali intendano candidarsi alle elezioni comunali, dovrebbero essere ritenuti anch'essi legittimati a cessare dalle funzioni al momento stesso della presentazione delle dimissioni, senza attendere neppure che la relativa domanda sia pervenuta all'autorità che deve provvedere. Si assevera l'esistenza di un "costante indirizzo della Corte costituzionale", ma invocando la sola sentenza n. 46 del 1969, la quale peraltro aveva dichiarato illegittima una previsione normativa che, al contrario di quella oggetto del presente giudizio, non solo non prescriveva alcun termine per l'accettazione delle dimissioni, ma disponeva addirittura che il dimissionario fosse sostituito nell'ufficio. Per quanto, infine, riguarda specificamente la rilevanza, il giudice a quo, che già nella prospettazione ha omesso di indicare qualsiasi circostanza, anche di tempo e di luogo, relativa alla denunciata vicenda elettorale - sicché sembrerebbe trattarsi di questione meramente astratta -, si limita ad affermare che "il resistente... presentò le dimissioni dall'ufficio di giudice conciliatore l'ultimo giorno utile per la presentazione della candidatura". Poiché pertanto all'infuori di tale affermazione non viene fornito alcun altro elemento utile alla valutazione della rilevanza, la questione va dichiarata inammissibile.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 2, secondo e quinto comma, della legge 23 aprile 1981, n. 154 (norme in materia di ineleggibilità ed incompatibilità alle cariche di consigliere regionale, provinciale, comunale e circoscrizionale e in materia di incompatibilità degli addetti al Servizio sanitario nazionale), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 51 della Costituzione, dal Tribunale di Brescia con ordinanza in data 23 agosto 1985 (registro ord. n. 858/1985).

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta l'11 febbraio 1987.

 

Il Presidente: LA PERGOLA

Il Redattore: FERRARI

Depositata in cancelleria il 17 febbraio 1987.

Il direttore della cancelleria: VITALE