Sentenza n 221 del 1984

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SENTENZA N. 221

ANNO 1984

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Avv Albero MALAGUGINI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO

Dott. Aldo CORASANITI,Giudici,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma secondo, lett. b, legge 8 marzo 1968, n. 152 (Nuove norme in materia previdenziale per il personale degli Enti locali) promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 16 aprile 1980 dal Pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Casula Fabio ed altra e INADEL iscritta al n. 372 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 187 dell'anno 1980;

2) ordinanza emessa il 6 maggio 1980 dal Pretore di S. Maria Capua Vetere nel procedimento civile vertente tra De Chiara Crescenzo ed altra e ENPAS e INADEL iscritta al n. 546 del registro ordinanze 1980 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 284 dell'anno 1980.

Visti gli atti di costituzione di Fabio e Cinthia Casula;

udito nell'udienza pubblica del 22 novembre 1983 il Giudice relatore Arnaldo Maccarone;

udito l'avv. Gabriele Moricca per Fabio e Cinthia Casula.

Ritenuto in fatto

Nel giudizio vertente fra Casula Fabio e Cinthia e l'INADEL ed avente ad oggetto la richiesta di attribuzione ad essi istanti dell'indennità di fine servizio spettante alla madre, già dipendente del Comune di Roma e deceduta in attività di servizio, il Pretore di Roma, con ordinanza emessa il 16 aprile 1980 ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, lett. b, della legge 8 marzo 1968, n. 152 per preteso contrasto con l'art. 3 Cost. nella parte in cui subordina il riconoscimento del diritto alla menzionata indennità della prole maggiorenne del dipendente degli enti locali deceduto in attività di servizio alle condizioni che sia inabile a proficuo lavoro, che sia nullatenente e che viva a carico del dipendente al momento del decesso.

Il giudice a quo, a sostegno della censura, afferma che la indennità in questione sarebbe sostanzialmente equivalente all'indennità di buonuscita per i dipendenti statali e che apparirebbe priva di giustificato motivo la disparità di trattamento fra le due categorie di dipendenti pubblici derivante dal fatto che l'indennità di buonuscita agli orfani, a mente dell'art. 7, comma secondo, della legge 21 aprile 1976, n. 177, non é subordinata ad alcuna delle condizioni sopra richiamate.

Si sono costituiti in questa sede Casula Fabio e Cinthia, rappresentati e difesi dall'avv. G. Moricca, che, associandosi alle tesi svolte nell'ordinanza di rinvio, ha chiesto l'accoglimento della censura.

In analogo procedimento vertente fra De Chiara Crescenzo ed altri e l'INADEL, il Pretore di S. Maria Capua Vetere, con ordinanza 6 maggio 1980 ha sollevato questione identica alla precedente.

La difesa delle parti private ha depositato nei termini una memoria illustrativa con cui ribadisce le tesi già svolte a sostegno della censura.

In particolare, la difesa osserva che, nella specie, non potrebbero ritenersi operanti i principi stabiliti in materia con la sentenza n. 46/83 della Corte, poiché dal riconoscimento ivi contenuto della diversità dei sistemi che presiedono all'attribuzione dell'indennità premio di fine servizio e dell'indennità di buonuscita, non potrebbe derivare la giustificazione della irrazionale discriminazione a danno dei figli dei dipendenti degli enti locali, sancita con le restrizioni disposte dall'art. 3, secondo comma, lett. b, della legge 8 marzo 1968, n. 152.

Dette restrizioni si rifletterebbero poi in modo maggiormente incisivo sulla posizione dei figli ancora studenti o comunque non ancora in grado di produrre reddito pur senza esserne incapaci che, bisognosi di sostegno per tale loro qualità, ne sarebbero invece ingiustamente privati, e istituirebbero comunque una discriminazione fra i figli dei dipendenti deceduti in servizio e quelli dei dipendenti deceduti dopo il collocamento a riposo, i quali percepirebbero comunque l'indennità "jure successionis".

Considerato in diritto

1. - Le questioni sollevate con le ordinanze sopra indicate sono identiche e pertanto i relativi giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza.

2. - Le censure investono l'art. 3, lett. b, della legge 8 marzo 1968, n. 152 in quanto, riconoscendo il diritto all'indennità di fine servizio alla prole maggiorenne del dipendente degli enti locali deceduto in attività di servizio alle condizioni che sia inabile a proficuo lavoro, che sia nullatenente e che sia vivente a carico del dipendente al momento del decesso, concreterebbe senza motivi razionali un trattamento deteriore rispetto a quello riservato ai figli dei dipendenti statali riguardo al diritto all'indennità di buonuscita, che sarebbe sostanzialmente equivalente, sotto il profilo soggettivo ed oggettivo, a quella di fine servizio di cui sopra, ed é riconosciuta agli orfani dall'art. 7, secondo comma, della legge 21 aprile 1976, n. 177 senza che sia richiesta alcuna delle condizioni previste dalla norma impugnata.

3. - Questa Corte, con l'ordinanza n. 294/83, emessa, peraltro, dopo la fissazione dell'udienza di trattazione di questa causa, ha già avuto modo di affrontare questione identica a quella attualmente in esame, risolvendola nel senso della manifesta infondatezza in base al principio già affermato in precedenza con la propria giurisprudenza (sentt. 46/83; 82/73) secondo cui, pur essendo preordinate le due indennità suddette alla stessa finalità, non é possibile istituire un raffronto fra loro in quanto non sussiste fra le categorie considerate, sia riguardo al trattamento economico in attività di servizio sia riguardo al sistema contributivo preordinato al trattamento di quiescenza, quella parità di situazioni che costituisce il presupposto per la valutazione della legittimità costituzionale di una diversità di disciplina in riferimento all'art. 3 Cost..

4. - Tali affermazioni sono applicabili anche nel caso in esame, non potendo valere ad indurre la Corte a discostarsi da tale giurisprudenza le argomentazioni addotte dalla difesa della parte privata nella memoria presentata nella causa proveniente dal Pretore di Roma.

Invero é evidente che una volta esclusa la comparabilità delle situazioni in esame, la restrizione operata dalla norma impugnata perde rilievo ai fini del controllo di legittimità in riferimento al principio di eguaglianza anche per quanto riguarda la posizione dei figli maggiorenni ma ancora impegnati negli studi o non ancora in grado di produrre reddito, particolarmente evidenziata dalla difesa.

Né vale in senso contrario prospettare, come pure ha fatto la difesa, una discriminazione nell'ambito della stessa categoria dei figli dei dipendenti di enti locali, discriminazione attribuita al fatto che i figli dei dipendenti deceduti in servizio sono sottoposti alle dette restrizioni, mentre non lo sarebbero quelli dei dipendenti deceduti dopo il collocamento a riposo, i quali percepiscono l'indennità per diritto ereditario.

Tale argomentazione si fonda sul raffronto fra situazioni evidentemente diverse quali quella dei figli dei dipendenti deceduti in servizio, per i quali sorge un loro autonomo diritto all'indennità di fine servizio, regolato come tale dalla normativa speciale in materia, e quella dei figli del dipendente deceduto dopo avere maturato il diritto all'indennità, entrata così a far parte del suo patrimonio e conseguita eventualmente dalla prole in base alle norme del diritto successorio.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

Riuniti i giudizi:

Dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3, lett. b, della legge 8 marzo 1968, n. 152, sollevate, in riferimento all'art. 3 Cost. con le ordinanze n. 372/80 del 16 aprile 1980 del Pretore di Roma e n. 546/80 del 6 maggio 1980 del Pretore di S. Maria Capua Vetere.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 13 luglio 1984.

 

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI – Alberto MALAGUGINI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA  - Giovanni CONSO - Ettore GALLO - Aldo CORASANITI

 

Depositata in cancelleria il 25 luglio 1984.