Ordinanza n. 113 del 1983

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ORDINANZA N. 113

ANNO 1983

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA, Presidente

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Prof. Livio PALADIN

          Dott. Arnaldo MACCARONE

          Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

Prof. Ettore GALLO,

          ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale della legge 18 dicembre 1973, n. 877 (Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio) promossi con due ordinanze emesse il 16 febbraio 1980 dal Pretore di Città della Pieve nei procedimenti penali a carico di Baquet Lydie ed altra e di Maccioni Giammauro ed altri, rispettivamente iscritte ai nn. 260 e 261 del registro ordinanze 1980 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 152 del 4 giugno 1980.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 23 marzo 1983 il Giudice relatore Livio Paladin.

Ritenuto che il Pretore di Città della Pieve - con due ordinanze, identicamente motivate, emesse il 16 febbraio 1980 - ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell'intera legge 18 dicembre 1973, n. 877 ("Nuove norme per la tutela del lavoro a domicilio"), in riferimento agli artt. 70, 72 e 73 Cost.

nonché dell'art. 13, primo e secondo comma, della legge stessa, in riferimento agli artt. 3 e 35 Cost.;

e che in entrambi i giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la Corte si pronunci nel senso della non fondatezza.

Considerato che i giudizi stessi vanno riuniti e decisi con unica ordinanza;

che, in primo luogo, le ordinanze in esame prospettano un vizio imputabile alla discordanza del testo dell'art. 1, già approvato dalla Camera dei deputati, rispetto al testo approvato dal Senato e quindi promulgato dal Presidente della Repubblica:

dal momento che il secondo avrebbe sostituito la particella "e" alla particella "o" nella parte finale dell'espressione "utilizzando materie prime o accessorie e attrezzature proprie o dello stesso imprenditore", senza però che sul punto vi sia stata una nuova deliberazione della Camera; che, tuttavia, nel corso dei presenti giudizi é entrata in vigore la legge 16 dicembre 1980, n. 858 (intitolata "interpretazione autentica e modificazione dell'art. 1 della legge 18 dicembre 1973, n. 877..."); e che la Corte si é pronunciata in materia, con la sentenza n. 152 del 1982:

dichiarando non fondate le questioni di legittimità costituzionale concernenti sia la legge n. 877 del 1973, in riferimento agli artt. 70,72 e 73 Cost., sia la sopravvenuta legge n. 858 del 1980, in riferimento all'art. 25 secondo comma della Costituzione e che, per tutto questo, si rende necessario restituire gli atti al giudice a quo;

considerato, in secondo luogo, che deve dirsi manifestamente infondata l'impugnativa dell'art. 13 della predetta legge n. 877, in riferimento all'art. 3 Cost.; che, infatti, il giudice a quo si limita a denunciare l'inadeguatezza del trattamento sanzionatorio rispettivamente previsto per i committenti e per gli intermediari, dal momento che esso equipara - secondo le ordinanze di rimessione - "situazioni economicamente socialmente e giuridicamente diverse"; che, tuttavia, questa Corte si é pronunciata più volte (si vedano - da ultimo - le sentenze n. 47 e n. 91 del 1979, n. 1 del 1982) nel senso che la statuizione di un'identica pena per reati diversi non é per ciò solo lesiva del principio costituzionale di eguaglianza (specie in un sistema come il nostro, ispirato alla preferenza per pene edittali determinate fra un minimo ed un massimo, entro i quali il giudice ha la possibilità di graduare in concreto la sanzione per ciascun reato); e che, d'altra parte, il richiamo dell'art. 35 Cost. non aggiunge nulla al richiamo dell'art. 3: ché anzi, sotto questo aspetto l'inconsistenza della proposta impugnativa si dimostra ancora più evidente, in quanto il richiesto annullamento dell'art. 13 l. cit. priverebbe di tutela penale il lavoro a domicilio, nelle ipotesi previste dal primo e secondo comma dell'articolo stesso.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9 delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 13, primo e secondo comma, della legge 18 dicembre 1973, n. 877, in riferimento agli artt. 3 e 35 Cost., sollevata dal Pretore di Città della Pieve, con le ordinanze indicate in epigrafe;

2) ordina la restituzione degli atti al Pretore di Città della Pieve.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 aprile 1983.

Leopoldo ELIA -  Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE – Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Livio PALADIN – Arnaldo MACCARONE -  Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giovanni CONSO – Ettore GALLO

Giovanni VITALE - Cancelliere

          Depositata in cancelleria il 28 aprile 1983.