Sentenza n. 199 del 1982
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SENTENZA N. 199

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Prof. Livio PALADIN

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Dott. Francesco SAJA

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente

 

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 10, commi sesto, ottavo, nono e decimo della legge 18 aprile 1975, n. 110 (norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi) promossi con due ordinanze 14 febbraio 1977 del Tribunale di Rovigo, con ordinanza 1 giugno 1978 del Tribunale di Chiavari e con due ordinanze 18 febbraio 1981 del Tribunale di Ancona, rispettivamente iscritte ai nn. 168 e 169 del registro ordinanze 1977, al n. 575 del registro ordinanze 1978 ed ai nn. 236 e 261 del registro ordinanze 1981 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 141 del 25 maggio 1977, n. 38 del 7 febbraio 1979 e n. 255 del 16 settembre 1981.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 15 giugno 1982 il giudice relatore Brunetto Bucciarelli Ducci;

udito l'avvocato dello Stato Renato Carafa, per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso dei due distinti procedimenti penali a carico di Gulli Pier Luigi e Mazzo Pietro - entrambi imputati del reato di cui all'art. 10, comma decimo, legge 18 aprile 1975, n. 110 per avere detenuto, il primo, otto armi da caccia e quattro armi comuni da sparo, ed il secondo quattro armi comuni da sparo senza avere richiesto al Questore di Rovigo la licenza di collezione, entro il termine stabilito dalla stessa legge, - il Tribunale di Rovigo, con due ordinanze pronunciate all'udienza 14 febbraio 1977, dal contenuto identico, ha sollevato, di ufficio, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, commi ottavo e decimo, legge 18 aprile 1975, n. 10 in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione.

Le due ordinanze sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 141 del 25 maggio 1977.

Nei due giudizi davanti a questa Corte non si sono costituite le parti private.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato Generale dello Stato, con due atti dal contenuto identico, depositati il 30 maggio 1977, chiedendo che le questioni di legittimità costituzionale siano dichiarate non fondate.

2. - Nel corso del procedimento penale a carico di Macciò Sergio - imputato del reato di cui all'art. 10, commi ottavo e decimo, legge 18 aprile 1975, n. 110, per aver omesso di richiedere al Questore, entro il termine previsto dalla medesima legge, la licenza di collezione per tre armi comuni da sparo - il Tribunale di Chiavari, con ordinanza 1 giugno 1978, ha ritenuto rilevante ai fini della decisione e non manifestamente infondata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, la questione, sollevata dal Pubblico Ministero, concernente la legittimità costituzionale dell'art. 10, commi sesto, ottavo e decimo, legge 18 aprile 1975, n. 110.

L'ordinanza é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 38 del 7 febbraio 1979.

Nel giudizio davanti a questa Corte non si é costituita la parte privata.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato Generale dello Stato, con atto depositato il 29 luglio 1978, chiedendo che la questione di legittimità sia dichiarata non fondata.

3. - Questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, commi sesto, ottavo, nono e decimo, legge n. 110 del 1975, in riferimento all'art. 3 della Costituzione é stata sollevata, di ufficio, dal Tribunale di Ancona, con due ordinanze pronunciate all'udienza 18 febbraio 1981 nel corso dei due distinti procedimenti penali a carico di Borioni Alberto, Terelli Aroldo, Coser Giuseppe, Marino Umberto - imputati del reato previsto dall'art. 10, comma sesto, legge 18 aprile 1975, n. 110, per avere detenuto illegalmente, nell'Ufficio Economato della provincia di Ancona, armi comuni da sparo in numero superiore a due (9 pistole Beretta cal. 7,65 e 1 pistola W.F.C. cal. 6,35) e relative munizioni, - e di Amati Alberto, Gorinaldesi Gino, Neri Filippo - imputati dello stesso reato per avere detenuto illegalmente, nell'Ufficio Economato del Comune di Ancona, pistole appartenenti al Corpo dei Vigili Urbani, armi comuni da sparo in numero superiore a due e relative munizioni.

Le due ordinanze sono state pubblicate nella Gazzetta Ufficiale n. 255 del 16 settembre 1981.

Nei giudizi davanti a questa Corte non si sono costituite le parti private.

É intervenuto il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocato Generale dello Stato con due atti dal contenuto identico, depositati il 6 ottobre 1981, chiedendo che la questione di legittimità costituzionale sia dichiarata non fondata.

 

Considerato in diritto

 

1. - I cinque giudizi possono essere riuniti e decisi con unica sentenza perché hanno per oggetto questioni di legittimità costituzionale, in parte identiche, concernenti le norme sulla collezione di armi comuni da sparo contenute nell'art. 10 legge n. 110 del 1975.

2. - Secondo il Tribunale di Rovigo, l'art. 10, commi ottavo e decimo, legge 18 aprile 1975, n. 110 - che punisce, con la pena della reclusione da uno a quattro anni e la multa da lire duecentomila a un milione la detenzione di armi comuni da sparo, in numero superiore a quello consentito dal comma sesto, senza avere richiesto al Questore la licenza di collezione entro il termine di 180 giorni dall'entrata in vigore della legge medesima - sarebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione in quanto determinerebbe una disparità di trattamento tra persone che si trovano in situazioni "di fatto simili". La suddetta ipotesi di reato non potrebbe infatti considerarsi diversa da quella contemplata dallo stesso art. 10, commi secondo e quarto, che prevede la sanzione dell'ammenda fino a lire 100.000 per l'omissione di avviso al Ministero dell'Interno da parte di coloro che hanno ricevuto, per successione ereditaria o per cessione, armi di cui era stata autorizzata la detenzione o la raccolta anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 110 del 1975.

In entrambe le ipotesi le armi erano legittimamente detenute secondo la legge vigente al momento dell'inizio della detenzione, e il detentore, si assume, sarebbe stato tenuto ad un comportamento identico (denuncia o avviso all'autorità) per adeguarsi al precetto.

Sarebbero invece, ad avviso del Tribunale, "troppo diverse" tra loro le conseguenze dell'omissione della denuncia o dell'avviso (reclusione e multa o ammenda).

Gli stessi commi ottavo e decimo dell'art. 10 legge n. 110 del 1975 sarebbero anche in contrasto con l'art. 97 della Costituzione, in quanto nella ipotesi del comma sesto, parte ultima, la persona - che, dopo l'entrata in vigore della legge, viene a trovarsi nel possesso di armi in numero superiore a quello consentito e presenta la denuncia all'Autorità - sarebbe invitata a munirsi dell'apposita licenza di collezione e, quindi, per atto della Pubblica Amministrazione verrebbe posta nella condizione di rispettare la norma. Nella ipotesi invece di detenzione, già al momento di entrata in vigore della legge, di armi in numero superiore a quello consentito - ipotesi prevista dal comma ottavo dello stesso articolo - non sarebbe previsto alcun intervento della Pubblica Amministrazione.

3. - Le questioni non sono fondate.

Le situazioni - che il Tribunale di Rovigo ritiene "di fatto simili" - sono assai diverse.

Il comma primo dell'art. 10 legge n. 110 del 1975 prescrive il divieto assoluto a decorrere dall'entrata in vigore della stessa legge, di rilasciare licenze per la detenzione o la raccolta di armi da guerra o tipo guerra di munizioni di esse o di munizioni da guerra.

Il successivo comma secondo impone all'erede, al privato, o all'ente pubblico, cui pervengono in tutto o in parte armi da guerra - delle quali era stata autorizzata la detenzione o la raccolta ai sensi dell'art. 28 Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza approvato con r.d. 18 giugno 1931, n. 773, anteriormente all'entrata in vigore della medesima legge n. 110 del 1975 - di darne immediato avviso al Ministero dell'Interno e di richiedere il rilascio di apposita autorizzazione a conservarle.

Il comma quarto dello stesso art. 10 punisce l'omissione del suddetto avviso al Ministero dell'Interno con l'ammenda fino a lire 100.000.

Il comma ottavo del medesimo art. 10, norma impugnata, prescrive, invece, a coloro che detengono armi comuni da sparo in quantità superiore a quelle indicate nel comma sesto (due armi comuni da sparo o sei armi da caccia) di richiedere al Questore la licenza di collezione entro il termine di 180 giorni dall'entrata in vigore della legge.

Il successivo comma decimo punisce l'omissione della suddetta richiesta di licenza al Questore con la reclusione da uno a quattro anni e con la multa, a quel momento, da lire 200.000 a lire un milione.

É opportuno precisare che le norme anteriori alla legge n. 110 del 1975 non stabilivano alcun limite all'acquisto ed alla detenzione delle armi da parte di privati. Pertanto - come fu posto in evidenza nella relazione ministeriale al disegno di legge divenuto legge n. 110 del 1975 - erano frequenti i casi di persone, munite di licenza di porto d'armi, che potevano legittimamente acquistare in momenti diversi armi senza alcun limite numerico. Al fine di soddisfare quelle esigenze di difesa e di sicurezza sociale, che impongono un effettivo controllo delle armi, é stata introdotta la licenza del Questore per collezione di armi comuni da sparo.

Le due fattispecie penali, contemplate rispettivamente dai commi secondo e ottavo sono oggettivamente diverse e ciò giustifica il trattamento differenziato. Infatti l'ipotesi di chi fa collezione di armi senza aver richiesto la licenza al Questore e, quindi, senza che la competente autorità di P.S. ne sia a conoscenza, é stata ritenuta più grave di quella in cui versa chi viene a trovarsi nel possesso di armi da guerra per le quali il suo dante causa aveva già ottenuta la licenza di raccolta.

Non sussiste, quindi, la denunciata violazione del principio di eguaglianza.

4. - Non é fondata neppure la censura di violazione dell'art. 97 della Costituzione poiché, contrariamente a quanto afferma il Tribunale di Rovigo, il comma sesto dell'art. 10 non prevede alcun invito della Pubblica Amministrazione a munirsi della licenza di collezione di armi. Peraltro é da rilevare che il principio di buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione non potrebbe subire alcun pregiudizio per effetto di norme che prevedessero sanzioni per inosservanza di prescrizioni stabilite nell'interesse della sicurezza pubblica.

5. - I Tribunali di Chiavari e di Ancona hanno proposto la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10, commi sesto, ottavo e decimo legge n. 110 del 1975, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sotto profili in gran parte eguali.

Il Tribunale di Ancona ha impugnato, in riferimento al medesimo art. 3 della Costituzione, anche il comma nono dello stesso art. 10, che, per la raccolta e collezione di armi di qualsiasi tipo, esclude la detenzione delle relative munizioni.

Secondo i suddetti Tribunali l'art. 10, commi sesto, ottavo e decimo - punendo la collezione di armi comuni da sparo senza la licenza del Questore con la reclusione da 1 a 4 anni e la multa (in quel momento) da lire 200.000 a lire 1.000.000 - sarebbe in contrasto con l'art. 3 della Costituzione nelle parti in cui non prevede:

a) una pena inferiore nel minimo a quella stabilita per la detenzione illegale di arma da guerra dall'art. 10 legge 14 ottobre 1974, n. 497 (reclusione da 1 a 8 anni e (allora) della multa da lire 700.000 a lire 1.500.000);

b) una pena minima eguale, ad avviso del Tribunale di Chiavari; inferiore, ad avviso del Tribunale di Ancona, a quella contemplata dall'art. 14 menzionata legge n. 497 del 1974 per la detenzione illegale di armi comuni da sparo (reclusione da 8 mesi a 5 anni e multa, allora, da lire 133.333 a lire 1.000.000);

c) l'applicazione, nei casi di lieve entità del fatto, della diminuente contemplata dall'art. 5 della legge n. 895 del 1967 per la detenzione illegale di arma da guerra.

La violazione del principio di eguaglianza sarebbe ravvisabile sia per eguale disciplina di situazioni diverse sia per diversa disciplina di situazioni identiche o analoghe.

Il Tribunale di Chiavari sostiene che la detenzione, senza la licenza del Questore per collezione, di un solo esemplare di arma comune da sparo in eccedenza al numero consentito dal comma sesto dell'art. 10 legge n. 110 del 1975 - reato oggetto del procedimento pendente davanti a quel Tribunale - costituirebbe fatto meno grave della detenzione illegale di un esemplare di arma da guerra, punita con la stessa pena minima di un anno di reclusione. Aggiunge che la diminuente della lieve entità del fatto prevista dall'art. 5 legge n. 895 del 1967 per l'ipotesi di detenzione illegale di armi da guerra, non é applicabile alla ipotesi di collezione di armi comuni da sparo senza licenza, che é indubbiamente fatto meno grave.

Osserva, infine, che per il reato sopra specificato é prevista sanzione più grave nel minimo (1 anno di reclusione) di quella contemplata per la detenzione illegale di arma da sparo (8 mesi di reclusione), che costituisce una situazione analoga, alla quale é anche applicabile, secondo la giurisprudenza, la predetta diminuente.

Il Tribunale di Ancona considera del tutto ingiustificata la disparità di trattamento, per la previsione delle diverse pene edittali minime, tra il detentore, senza licenza di collezione, di un solo esemplare in eccedenza al numero consentito o delle munizioni, relative a collezioni o raccolta di armi, ed il detentore anche di più armi comuni, che commetterebbe un unico reato, assumendo il numero delle armi rilievo solo ai fini della determinazione della misura della pena.

Secondo il suddetto Tribunale le situazioni previste dalle rispettive norme incriminatrici sarebbero oggettivamente eguali e identici sarebbero i beni giuridici che le norme intendono tutelare: "vita e incolumità delle persone, sicurezza ed ordine pubblico".

Inoltre, le ipotesi di violazione del divieto di detenere le munizioni relative alle armi, per le quali é stata rilasciata la licenza di collezione, e di mancata richiesta di licenza di collezione, relativa alle armi detenute anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 110 del 1975, sarebbero di minor rilievo rispetto a quella di illegale detenzione di armi comuni da sparo perché nel primo caso l'autorità di P.S. é pur sempre a conoscenza, attraverso la denuncia presentata a norma dell'art. 38 Testo unico delle leggi di P.S., del luogo in cui le armi si trovano e della persona che le detiene, il che non si verifica per la illegale detenzione di armi comuni da sparo che si realizza per la mancata presentazione della denuncia.

Sarebbe ravvisabile altra disparità di trattamento non giustificata nella previsione di una identica pena edittale minima tanto per il reato di cui all'art. 10 legge n. 110 del 1975 quanto per quello di detenzione illegale di armi da guerra, contemplato dall'art. 2 legge n. 895 del 1967, come sostituito dall'art. 10 legge n. 497 del 1974, dato che la collezione di armi comuni da sparo senza licenza costituisce minor pericolo per il bene giuridico, che la norma incriminatrice intende tutelare, rispetto alla detenzione illegale di armi da guerra. Dovrebbe, quindi, essere prevista per la prima delle suddette ipotesi una pena edittale minima inferiore a quella stabilita per la seconda e la possibilità di concedere la diminuente del fatto di lieve entità contemplata dall'art. 5 legge n. 895 del 1967 per i reati concernenti le armi da guerra ed applicabile anche ai reati riguardanti le armi comuni da sparo.

Le censure non sono fondate.

Questa Corte ha più volte affermato che, in tema di sanzioni penali, il principio di eguaglianza esige che la pena sia proporzionata al fatto commesso in modo che il sistema sanzionatorio adempia, nel contempo, alla funzione di difesa sociale ed a quella di tutela delle posizioni individuali. Le valutazioni all'uopo necessarie rientrano senza dubbio nell'ambito del potere discrezionale del legislatore, il cui esercizio può essere censurato sotto il profilo della legittimità costituzionale soltanto nei casi in cui non sia stato rispettato il limite della ragionevolezza di talché la sanzione comminata risulti irrazionale ed arbitraria (cfr. tra le numerose decisioni: sentenze n. 72 del 1980; n. 103 e n. 109 del 1982).

Tale limite non é stato superato dal legislatore con le norme impugnate che adottano invece ragionevoli criteri di politica legislativa.

Invero, non può considerarsi in modo assoluto fatto meno grave della detenzione di una sola arma da guerra o di una sola arma comune da sparo il possesso di altra arma comune oltre al numero massimo consentito di due armi comuni da sparo e sei armi da caccia.

Al riguardo si deve precisare, in relazione alla specifica censura formulata dal Tribunale di Ancona, che la detenzione di più armi non denunciate concreta un'unica ipotesi di reato solo qualora non sia superato il limite numerico sopra specificato. Il soggetto che intende detenere armi eccedenti quel limite, é obbligato a chiedere e ad ottenere preventivamente il rilascio della licenza per collezione, subordinato all'accertamento della capacità tecnica del richiedente ed alla sussistenza dei requisiti soggettivi previsti dagli artt. 8 e 9 stessa legge n. 110 del 1975.

Solo in via transitoria l'impugnato comma ottavo dell'art. 10 concede a coloro, che già detengono armi comuni da sparo in quantità superiore a quella consentita, di richiedere la licenza di collezione al Questore entro il termine di 180 giorni dall'entrata in vigore della legge. Decorso tale termine il rilascio della licenza per collezione deve precedere la detenzione dell'arma o delle armi eccedenti il numero consentito e non esonera dalla immediata denuncia delle armi acquistate imposta in ogni caso dall'art. 38 Testo unico delle leggi di P.S.

Il reato di detenzione di armi comuni da sparo senza licenza concorre con quello di omessa denuncia di detenzione delle singole armi.

É evidente la diversità tra la denuncia e la licenza per collezione: la denuncia concerne una o più armi, che non superino il limite imposto dalla legge, ed é atto immediatamente successivo all'acquisto delle armi stesse; la licenza per collezione concerne armi in numero superiore a quel limite e deve essere rilasciata prima della detenzione dell'arma o delle armi che eccedono tale limite.

La previsione della licenza per collezione trova la sua ratio, come si é già sopra precisato, nella necessità di soddisfare quelle esigenze di difesa e di sicurezza sociale che impongono un effettivo controllo delle armi. E per realizzare in modo efficace tale controllo non é sufficiente la presentazione di più denuncie concernenti ciascuna singola arma, perché occorre una valutazione preventiva dei requisiti soggettivi e della capacità tecnica del richiedente.

Non é fondata neppure l'ultima censura, proposta da entrambi i Tribunali, di mancata previsione, per la collezione di armi senza licenza, dell'attenuante del fatto di lieve entità di cui all'art. 5 legge n. 895 del 1967.

Invero l'art. 14 legge n. 497 del 1974, che ha sostituito l'art. 7 legge n. 895 del 1967, prevede la riduzione delle pene stabilite dagli articoli precedenti se i fatti ivi previsti si riferiscono alle armi comuni da sparo; tra gli articoli precedenti é compreso il menzionato art. 5, che contempla l'attenuante del fatto di lieve entità ed é l'unica disposizione della legge n. 895 del 1967 non modificata dalla legge n. 497 del 1974. Tale attenuante é da ritenere applicabile sia alla detenzione ed al porto di arma comune da sparo sia alla detenzione di armi senza la licenza di collezione. In tali sensi si é consolidata la giurisprudenza della Corte di Cassazione, la quale ha anche rilevato che una diversa interpretazione comporterebbe la conseguenza assurda della previsione per i reati di detenzione e porto di armi comuni da sparo, che destano minore allarme sociale e per tale unica ragione appaiono più suscettibili di concessione del beneficio, di una pena edittale più elevata, nel minimo, di quella comminata dagli artt. 2 e 7 legge n. 895 del 1967 per la detenzione di armi da guerra e anche nel massimo qualora a tale detenzione venisse applicata l'attenuante di cui all'art. 5 della stessa legge.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate:

1) Le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 10, commi ottavo e decimo, legge 18 aprile 1975, n. 110 (nuove norme integrative della disciplina vigente per il controllo delle armi, delle munizioni e degli esplosivi) proposte dal Tribunale di Rovigo, con due ordinanze 14 febbraio 1977, in riferimento agli. artt. 3 e 97 della Costituzione;

2) La questione di legittimità costituzionale del citato art. 10, commi sesto, ottavo e decimo, legge n. 110 del 1975 proposta dal Tribunale di Chiavari, con ordinanza 1 giugno 1975, in riferimento all'art. 3 della Costituzione;

3) La questione di legittimità costituzionale del medesimo art. 10, commi sesto, ottavo, nono e decimo, legge n. 110 del 1975 proposta dal Tribunale di Ancona, con ordinanza 18 febbraio 1981, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 novembre 1982.

 

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Francesco SAJA - Giuseppe CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 24 novembre 1982.