Sentenza n. 159 del 1982
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SENTENZA N. 159

ANNO 1982

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Leopoldo ELIA

Prof. Antonino DE STEFANO

Prof. Guglielmo ROEHRSSEN

Avv. Oronzo REALE

Dott. Brunetto BUCCIARELLI DUCCI

Prof. Livio PALADIN

Dott. Arnaldo MACCARONE

Prof. Antonio LA PERGOLA

Prof. Virgilio ANDRIOLI

Prof. Giuseppe FERRARI

Prof. Giovanni CONSO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 82 della legge 22 dicembre 1975, n. 685 (Disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope. Prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), promosso con ordinanzaemessa il 15 marzo 1978 dal Giudice istruttore del Tribunale di Torino, nel procedimento penale a carico di Contaldo Pierino, iscritta al n. 285 del registro ordinanze 1978 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 250 del 6 settembre 1978.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

Udito nell'udienza pubblica del 28 aprile 1982 il Giudice relatore Giovanni Conso;

Udito l'avvocato dello Stato Giorgio Azzariti, il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

Nel corso del procedimento penale a carico di Contaldo Pierino, imputato di falsa testimonianza e di favoreggiamento personale successivamente al suo proscioglimento ai sensi dell'art. 80 della legge 22 dicembre 1975, n. 685, il Giudice istruttore presso il Tribunale di Torino ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 82 della stessa legge n. 685 del 1975, che impone, in deroga agli artt. 348 e 465 c.p.p., a "coloro i quali siano stati dichiarati non punibili peravere agito nelle condizioni di cui all'art. 80", il dovere dideporre come testimoni nei processi relativi ai fatti che comunque possono portare all'individuazione delle persone o delle organizzazioni criminose che illecitamente producono, fabbricano, importano, esportano, vendono o altrimenti cedono o detengono sostanze stupefacenti o psicotrope, in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

Secondo il giudice a quo la deroga stabilita dalla norma impugnata alla generale impossibilità di assunzione testimoniale, a pena di nullità, degli imputati di un reato connesso (salvo che siano stati prosciolti, a seguito di giudizio, con la formula per non avere commesso il fatto o perché il fatto non sussiste) ha l'esclusiva funzione di consentire l'uso di uno strumento in più nella difficile opera di individuazione di soggetti particolarmente pericolosi quali gli spacciatori di sostanze stupefacenti. Tuttavia, "a parte le considerazioni che si possono svolgere sulla reale efficacia di questo strumento", sta il rilievo che il tossicomane, prosciolto ex art. 80, diviene, in base al successivo art. 82, possibile imputato di altri reati; e ciò in contrasto con lo spirito della legge n. 685 del 1975 che tende a considerarlo, piuttosto che un delinquente, un malato da curare e un cittadino da reinserire; le ragioni della deroga sembrano quindi - secondo il giudice a quo situarsi sul versante opposto rispetto agli intenti del legislatore. Ma, aldilà di tale puntualizzazione, vi é un preciso dato di riferimento per considerare illegittimo l'art. 82; si tratta della sentenza n. 201 del 1975 della Corte costituzionale con la quale venne affermato, testualmente: "é razionale che il soggetto che abbia reso, a suo tempo, interrogatorio in qualità di coimputato, non possa essere successivamente chiamato, in mutata veste, a riferire come testimone sugli stessi fatti. Ciò perché il timore di incorrere in pregiudizievoli contraddizioni e conseguenti responsabilità finirebbe col togliere attendibilità alla sua deposizione".

Orbene, conclude il Giudice istruttore, l'affermazione della Corte, relativa proprio alla dichiarazione di infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 348, secondo comma, c.p.p., non lascia adito ad equivoci se é vero che la Corte non ha "posto in luce la possibilità di deroghe alcune al principio del divieto di testimonianza dell'imputato prosciolto in processo per fatti connessi".

L'ordinanza, ritualmente notificata e comunicata, é stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 250 del 1978.

Ha spiegato intervento la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Premette l'Avvocatura, con riferimento alla decisione della Corte indicata dal giudice a quo, che la razionalità di una regola generale (quella fissata nell'art. 348 c.p.p.) non significa assolutamente inderogabilità della regola stessa quando valide ragioni richiedano una disciplina particolare.

A ben vedere, poi, quella introdotta con la norma impugnata non é la sola eccezione operante nel nostro diritto positivo al divieto di assumere come testimoni gli imputati di uno stesso reato o di reato connesso anche se prosciolti: la Corte di cassazione, infatti, con giurisprudenza costante, ha statuito che non é vietata la testimonianza del coimputato che sia anche persona offesa rispetto ad un reato connesso, perché chi é stato offeso da un reato é tenuto a deporre ai sensi dell'art.408 c.p.p.. La norma impugnata, che stabilisce l'obbligo di testimoniare per chi sia stato dichiarato non punibile ai sensi dell'art. 80 legge n. 685 del 1975, costituisce allora un'ulteriore deroga, che si aggiunge a quella già posta dall'art. 408, alla regola generale fissata dall'art. 348 c.p.p.. Essa é stata voluta dal legislatore a conclusione di ampia e approfondita discussione: appare nel disegno di legge redatto dalle commissioni riunite del Senato 2a e 12a, precisandosi nella relazione che la disposizione proposta tende "al fine di individuare le persone che si dedicano al traffico illecito di stupefacenti: in sostanza il drogato da vittima del trafficante diventa collaboratore della giustizia per stroncare il traffico". E se é vero che la minoranza della commissione si dichiarò subito contraria a tale disciplina é vero altresì - prosegue l'Avvocatura - che, sulle posizioni contrapposte, si é poi approfondito il dibattito in sede di discussione, osservandosi che "occorre rompere la catena che ha, fino ad ora, legato i produttori e gli spacciatori. "Questa catena - si é detto potrà essere infranta solo attraverso la testimonianza dei consumatori dichiarati non punibili. Non prevedendo, quindi, obbligo di testimoniare per i consumatori dichiarati impunibili vedremo perduto uno dei punti più qualificanti del disegno di legge in discussione".

É, pertanto, esatta (anche se non esauriente), conclude l'Avvocatura, l'individuazione operata dall'ordinanza di rinvio del fine della norma impugnata; ma tale fine giustifica, in relazione al principio di eguaglianza, la deroga stabilita al pur ragionevole principio generale fissato nell'art. 348 c.p.p..

Quanto osservato dal giudice a quo in ordine alla inadeguatezza della norma rispetto al fine perseguito, nonché circa le remore che da essa potrebbero derivare alla cura e al reinserimento del tossicomane, si risolve pertanto "in una valutazione opposta a quella compiuta dal legislatore nell'esercizio della sua sovrana discrezionalità".

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Giudice istruttore presso il Tribunale di Torino dubita della legittimità costituzionale, per contrasto con l'art. 3, secondo (rectius, primo) comma, Cost., dell'art. 82 legge 22 dicembre 1975, n. 685: e ciò in quanto, a suo avviso, sarebbe priva di giustificazione la "deroga agli artt. 348 e 465 del codice di procedura penale", nella quale, non solo per ragioni letterali ma anche per ragioni sistematiche, la norma in esame si sostanzia con il prevedere, a carico di "coloro che sono stati dichiarati non punibili per aver agito nelle condizioni di cui all'art. 80" della stessa legge n. 685 del 1975, "il dovere di deporre come testimoni nei processi relativi ai fatti che comunque possono portare all'individuazione delle persone o delle organizzazioni criminose che illecitamente producono, fabbricano, importano, esportano, vendono o altrimenti cedono o detengono sostanze stupefacenti o psicotrope".

Più esattamente, la "deroga" va vista in relazione non all'intero testo degli artt. 348 e 465 c.p.p. (anzi, il secondo comma dell'art. 348, per la parte in cui statuisce che "Ogni persona ha capacità di testimoniare, salvo al giudice di valutarne la credibilità", rimane ben fermo, mentre, per la parte in cui dispone che "Eccettuati i casi espressamente indicati dalla legge, nessuno può sottrarsi all'obbligo di deporre", trova piena conferma nell'art. 82 della legge n. 685 del 1975), ma al terzo comma dell'art. 348 ed al secondo comma dell'art. 465, concordi nello stabilire, l'uno in generale e l'altro in particolare per la fase dibattimentale, che non possono essere assunti come testimoni gli imputati dello stesso reato o di reato connesso, anche se prosciolti o condannati, "salvo che il proscioglimento sia stato pronunciato in giudizio per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste".

Stando a tali due commi, coloro che "sono stati dichiarati non punibili per aver agito nelle condizioni di cui all'art.80" della legge n. 685 del 1975 (acquisto o comunque detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope allo scopo di farne uso personale terapeutico, purché in quantità non eccedente in modo apprezzabile le necessità della cura; acquisto o comunque detenzione di modiche quantità per farne uso personale; pregressa detenzione di sostanze di cui si sia fatto uso esclusivamente personale), in quanto "non punibili" per ragione diversa da quella del non aver commesso il fatto o del fatto non sussiste, non avrebbero potuto essere assunti come testimoni in nessun processo per reati connessi e, quindi, nemmeno "nei processi relativi ai fatti che comunque possono portare all'individuazione delle persone o delle organizzazioni che illecitamente producono, fabbricano, importano, esportano, vendono o altrimenti cedono o detengono sostanze stupefacenti o psicotrope", se connessi al fatto dell'acquisto o della detenzione per cui sia stata fatta applicazione dell'art. 80.

Invece, in seguito alla "deroga" introdotta dall'art. 82 della stessa legge, questi "dichiarati non punibili" - e non importa se la loro non punibilità sia stata dichiarata nella fase istruttoria o dopo - vengono ad aggiungersi ai "prosciolti in giudizio per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste" come obbligati a deporre quali testimoni, pur in presenza di un rapporto di connessione, salva l'ulteriore delimitazione che, in ordine a tale tipo di rapporto, l'art. 82, con lo specificare i "processi" nei quali il dichiarato non punibile ai sensi dell'art. 80 ha l'obbligo di testimoniare, introduce rispetto alla nozione di "reato connesso" contenuta negli artt. 348, terzo comma, e 465, secondo comma, c.p.p..

Due, in particolare, le ragioni addotte nell'ordinanza di rimessione per motivare l'irrazionalità della "deroga". Anzitutto, il giudice a quo ravvisa un contrasto, all'interno stesso della legge n. 685 del 1975, fra il considerare il tossicomane come un malato da curare, tanto da prevederne la non punibilità in presenza di certe condizioni che ne consigliano l'immediato recupero sociale, e l'esporre il così "dichiarato non punibile" al rischio di un'altrettanto immediata criminalizzazione attraverso l'obbligo, penalmente sanzionato, di rendere testimonianza. In secondo luogo, e più in generale, il giudice a quo si richiama alla "razionalità" che questa Corte, non solo sotto il profilo dell'art. 24 Cost. (v. la sentenza n. 154 del 1973), ma anche sotto il profilo dell'art. 3 Cost.(v. la sentenza n. 201 del 1974), ha espressamente riconosciuto al dettato degli artt. 348, terzo comma, e 465, secondo comma, c.p.p., là dove statuiscono che il soggetto, che abbia reso a suo tempo interrogatorio in qualità di coimputato, non può essere successivamente chiamato, in mutata veste, a riferire come testimone sugli stessi fatti: e ciò perché - diceva la Corte - "il timore di incorrere in pregiudizievoli contraddizioni e conseguenti responsabilità finirebbe col togliere attendibilità alla deposizione", con il che - proseguiva la Corte - "resta pure escluso, ovviamente, il contrasto col principio di eguaglianza", essendo costante giurisprudenza" che il principio stesso può dirsi violato soltanto quando la denunziata disparità di trattamento non sia fondata su presupposti logici ed obiettivi che ne giustifichino razionalmente l'adozione".

La questione non é fondata.

2. - Quanto alla prima delle due ragioni addotte dal giudice a quo per dimostrare l'irrazionalità dell'art. 82 legge 22 dicembre 1975, n. 685, é la stessa ordinanza a riconoscere che l'obbligo di testimoniare ivi previsto vuol essere "uno strumento in più nella difficile opera di individuazione di soggetti socialmente pericolosi quali gli spacciatori di sostanze stupefacenti". Il legislatore, pur essendo doveroso non illudersi sull'efficacia reale di tale strumento, ha preferito non rinunciarvi a priori, nella logica stessa, forse esasperata, ma non contraddittoria, di una riforma che, profondamente innovando i tipi di risposta nei confronti del consumatore - piccolo detentore, ne persegue il recupero sociale attraverso la rinuncia alla punibilità e gli interventi curativo - riabilitativi, spingendosi sino al punto di chiamarlo ad essere collaboratore di giustizia, secondo il classico paradigma della testimonianza. Il fatto che l'obbligo di testimoniare dopo l'ottenuta declaratoria di non punibilità comporti, in caso di violazione, misure cautelari personali e sanzione detentiva (alcuni studiosi, ma si tratterebbe di una diversa scelta di politica legislativa, preferirebbero lo strumento dell'interrogatorio libero o, caso mai, dell'esame testimoniale su consenso), non si traduce in una contraddizione assoluta, e quindi inaccettabile, con la norma liberatrice di cui all'art. 80.

In altri termini, non si può asserire che l'obbligo di testimoniare ex art. 82 sia stato introdotto come un corrispettivo ineluttabilmente da pagare in cambio del trattamento favorevole ex art. 80. Se così fosse, il dichiarato non punibile ai sensi di quest'ultima disposizione dovrebbe essere sempre citato come testimone in qualsiasi processo per produzione o traffico di stupefacenti rispetto al quale sia possibile ipotizzare un suo contributo di verità. Valgono, invece, anche qui, le disposizioni che comunemente regolano l'assunzione della testimonianza. Pertanto, sarà il giudice procedente a decidere l'assunzione di un dichiarato non punibile ex art. 80, solo se e sempreché lo ritenga "utile" all'accertamento della verità, come precisa l'art. 348, primo comma, c.p.p., al quale, nonostante la genericità della formula adoperata nell'art. 82 della legge n. 685 del 1975, quest'ultima non apporta deroga alcuna (la tesi secondo cui la deroga, investendo anche il primo comma dell'art. 348 c.p.p., implicherebbe non soltanto un obbligo di rispondere a carico del dichiarato non punibile ex art. 80, ma addirittura un dovere di esaminarlo a carico del giudice, non trova, né può trovare, consensi), con il che, e qui si apre il discorso sull'attendibilità o no del teste, il legislatore si rimette in definitiva alla prudenza ed accortezza del giudice in sede di eventuale ammissione della prova, prima ancora che al suo libero convincimento in sede di successiva valutazione delle risultanze probatorie. Né va dimenticata, per quanto inerisce ai casi di non punibilità della falsa testimonianza e reticenza, l'ovvia operatività dell'art.384 c.p..

3. - La seconda ragione di irrazionalità addotta dal giudice a quo nei confronti dell'art. 82 legge 22 dicembre 1975,n. 685, con il far leva sulla "razionalità" riconosciuta da questa Corte alla "regola" cui l'art. 82 dichiaratamente sottrae la situazione ivi contemplata, sembra dare per scontato che la razionalità di una regola significhi, sempre e necessariamente, l'irrazionalità di qualsiasi eccezione ad essa. Ma, in tal modo, si verrebbero a confondere tra loro, così da sovrapporle sino a renderle coincidenti, la razionalità di questa o di quella regola con la sua inderogabilità, mentre non si può escludere - anzi, di solito, avviene - che una regola, pur di riconosciuta razionalità, vada o possa andare incontro a deroghe, anch'esse razionali.

La conseguente inaccettabilità della tesi che dalla razionalità della regola vorrebbe automaticamente dedurre l'irrazionalità dell'eccezione emerge non solamente dall'angolo visuale della logica concettuale (tanto più che, a loro volta, gli artt. 348, terzo comma, e 465, secondo comma, c.p.p.si risolvono in una deroga al più generale principio dell'art. 348, secondo comma, c.p.p.), ma anche da un più attento esame della stessa giurisprudenza di questa Corte richiamata dall'ordinanza di rimessione. Ogni discorso sull'eventuale violazione del principio di eguaglianza implica una precisa verifica, consistente nell'accertare se la "denunziata" disparità o incongruenza di trattamento risulti o non risulti fondata su presupposti che ne giustifichino razionalmente l'adozione. Il che sottintende che la relativa valutazione va compiuta di volta in volta, norma per norma, senza la possibilità di automatiche deduzioni da decisioni precedenti. Il parametro costituzionale dell'art. 3 richiede che l'eccepita irrazionalità di trattamento venga esaminata alla stregua della disparità od incongruenza "denunziata" nella specie, in relazione, cioè, alle situazioni di volta in volta messe a confronto. Il fatto che questa Corte, con il riconoscere "razionale che il soggetto, che abbia reso, a suo tempo, interrogatorio in qualità di coimputato, non possa essere successivamente chiamato, in mutata veste, a riferire come testimone sugli stessi fatti" (sentenza n. 201 del 1974, già ricordata), abbia escluso l'esistenza di un contrasto degli artt. 348, terzo comma, e 465, secondo comma,c.p.p. con l'art. 3 Cost., se significa che la Corte ha ritenuto non ingiustificata la disparità di trattamento, in quel caso denunziata, "fra i cittadini in genere", che sono sempre tenuti a deporre, "ed i coimputati prosciolti in diverse fasi processuali e con diverse formule", che non sono sottoponibili ad esame testimoniale, non significa, altresì, che la Corte abbia con ciò ritenuto implicitamente ingiustificata ogni eventuale disparità di trattamento fra coimputati prosciolti in ordine all'assunzione della qualità di testimone, esclusa di "regola" dagli artt. 348, terzo comma, e 465, secondo comma, c.p.p.

A parte il già accennato rilievo che gli artt. 348, terzo comma, e 465, secondo comma, c.p.p., si presentano, a loro volta, come una deroga (oltretutto assai discussa in sede di lavori preparatori) al principio generale per cui, data la capacità di testimoniare riconosciuta ad ogni persona, "eccettuati i casi espressamente indicati dalla legge, nessuno può sottrarsi all'obbligo di deporre" (art. 348, secondo comma, c.p.p.), donde la possibilità di costruire alla stregua di una riaffermazione di quel principio generale le deroghe agli artt.348, terzo comma, e 465, secondo comma, c.p.p., sarebbe fin troppo agevole contrapporre alla pretesa di considerare aprioristicamente irrazionali tali deroghe la circostanza che, per i coimputati prosciolti "in giudizio per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste", l'obbligo di deporre é ribadito dagli stessi terzo comma dell'art. 348 e secondo comma dell'art. 465 c.p.p., oggetto del ripetutamente menzionato intervento di questa Corte.

4. - Non mancano, del resto, altre ragioni obiettive che consentono di ritenere non palesemente irrazionale l'adozione di un particolare trattamento - analogo a quello, pur basato su ragioni ben diverse, dei prosciolti "in giudizio per non aver commesso il fatto o perché il fatto non sussiste - nei confronti di coloro che sono stati dichiarati non punibili per aver agito nelle condizioni di cui all'art. 80" della legge n. 685 del 1975.

Come ha sottolineato l'Avvocatura generale dello Stato nell'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri, la giurisprudenza della Corte di cassazione é costantemente orientata nel senso di escludere l'incompatibilità a testimoniare del coimputato che sia persona offesa rispetto ad uno dei reati connessi, così da ravvisare per lui sussistente l'obbligo di deporre, a prescindere da un suo eventuale proscioglimento con qualsiasi formula. L'osservazione ha il suo peso, non solo perché mette in risalto l'esistenza, a livello di diritto vivente, di un'altra deroga - questa volta implicita (o, meglio, deducibile in sede di interpretazione sistematica con il riconoscere prevalente il disposto dell'art. 408, secondo comma, c.p.p., nella parte in cui prevede l'obbligatoria citazione della persona offesa dal reato in qualità di teste, rispetto agli artt. 348, terzo comma, e 465, secondo comma, c.p.p.) al divieto di assumere come testimoni i coimputati di un reato connesso, ma anche perché suggerisce l'idea che il consumatore - piccolo detentore, dichiarato non punibile in uno dei casi di cui all'art. 80 della legge n. 685 del 1975, venga considerato, in definitiva, dall'art. 82 di essa come una vittima delle organizzazioni criminose impegnate nella diffusione illecita delle sostanze stupefacenti o psicotrope.

Ancor più importante, ai fini che interessano nella presente sede, volta ad accertare se la disparità di trattamento in questione sia o non sia razionale, sembra a questa Corte il generale riferimento dell'art. 82 a tutti "coloro che sono stati dichiarati non punibili per aver agito nelle condizioni di cui all'art. 80", a prescindere, cioé, dalla forma e dalla natura del provvedimento in concreto adottato per dichiarare tale non punibilità. Ed invero, la "deroga" agli artt. 348, terzo comma, e 465, secondo comma, c.p.p. e, quindi, l'obbligo di testimoniare debbono intendersi operanti tanto nel caso che la non punibilità sia stata dichiarata dal pretore ai sensi dell'art. 98 della legge n. 685 del 1975, quanto nel caso che la relativa dichiarazione abbia avuto luogo ai sensi dell'art. 96, quinto comma, della stessa legge da parte del giudice penalmente competente, al termine dell'istruttoria o del giudizio, in primo o in secondo grado.

Ciò ha il pregio di risolvere il problema dei rapporti tra la declaratoria di non punibilità ex art. 80 e l'obbligo di testimoniare in modo chiaramente univoco, evitando ogni disparità di trattamento nell'ambito dei piccoli consumatori - non detentori dichiarati non punibili, quale, viceversa, sarebbe stato possibile riscontrare in mancanza di una disposizione come quella dell'art. 82. É ben nota, infatti, la giurisprudenza, anche a questo proposito consolidata, della Corte di cassazione, che ritiene non applicabile il disposto degli artt. 348, terzo comma, e 465, secondo comma, c.p.p. a chi, non avendo mai assunto la qualità di imputato in senso proprio, non sia stato assoggettato all'esercizio dell'azione penale. Alla stregua di tale giurisprudenza, l'"interessato" dichiarato non punibile dal pretore ai sensi dell'art. 98, terzo comma, della legge n. 685 del 1975 sarebbe stato, comunque, tenuto a rendere testimonianza perché, come questa Corte ha avuto modo di precisare (v. la sentenza n. 158 del 1982), il procedimento preordinato all'applicazione dell'art. 98, terzo comma, non ha natura giurisdizionale penale e, quindi, il soggetto di cui il pretore si occupa non assume, in nessun caso, la qualità di imputato (conclusione, del resto, condivisa anche da quanti hanno fin qui interpretato l'art. 98, terzo comma, ravvisando nella pronuncia del pretore un decreto di non doversi promuovere l'azione penale, ai sensi dell'art. 74, quarto comma, c.p.p.).

L'estensione dell'obbligo di testimoniare a tutti i dichiarati non punibili ex art. 80 della legge n. 685 del 1975 sta, dunque, a confermare che quest'ultima ha ravvisato nell'assumibilità come testimoni di tali persone un utile strumento nella sempre più difficile ed imprescindibile lotta contro la droga. Una scelta politica non sindacabile sotto il profilo della legittimità costituzionale, una volta esclusane l'irrazionalità.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 82 della legge 22 dicembre l975, n. 685, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Giudice istruttore presso il Tribunale di Torino con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21 luglio 1982.

 

Leopoldo ELIA - Antonino DE STEFANO - Guglielmo ROEHRSSEN - Oronzo REALE - Brunetto BUCCIARELLI DUCCI - Livio PALADIN - Arnaldo MACCARONE - Antonio LA PERGOLA - Virgilio ANDRIOLI - Giuseppe FERRARI - Giuseppe CONSO.

Giovanni VITALE - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 29 luglio 1982.