Sentenza n.154 del 1973
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SENTENZA N. 154

ANNO 1973

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici

Prof. Francesco PAOLO BONIFACIO, Presidente

Dott. Giuseppe  VERZÌ

Dott. Giovanni  BATTISTA BENEDETTI

Dott. Luigi  OGGIONI

Dott. Angelo  DE MARCO

Avv. Ercole  ROCCHETTI

Prof. Enzo  CAPALOZZA

Prof. Vincenzo  MICHELE TRIMARCHI

Prof. Vezio  CRISAFULLI

Dott. Nicola  REALE

Prof. Paolo  ROSSI

Avv. Leonetto  AMADEI

Prof. Giulio  GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido  ASTUTI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale degli artt. 392, 304 bis, 348, ultima parte, 462, primo comma, n. 3, 463, primo comma, e 465, secondo comma, del codice di procedura penale, promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 28 settembre 1971 dal tribunale di Venezia nel procedimento penale a carico di Mazzucato Paolo ed altri, iscritta al n. 435 del registro ordinanze 1971 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 16 del 19 gennaio 1972;

2) ordinanza emessa il 16 maggio 1972 dal tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Simonelli Sergio ed altro, iscritta al n. 252 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 247 del 20 settembre 1972;

3) ordinanza emessa il 27 giugno 1972 dal tribunale di Torino nel procedimento penale a carico di Viterbi Mario ed altro, iscritta al n. 292 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 247 del 20 settembre 1972;

4) ordinanza emessa il 19 giugno 1972 dal tribunale di San Remo nel procedimento penale a carico di Viale Francesco ed altri, iscritta al n. 308 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 279 del 25 ottobre 1972;

5) ordinanza emessa il 13 novembre 1972 dal tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Morelli Fernando ed altri, iscritta al n. 84 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 112 del 2 maggio 1973.

Udito nell'udienza pubblica del 3 ottobre 1973 il Giudice relatore Luigi Oggioni.

Ritenuto in fatto

1. - Con ordinanza 28 settembre 1971 del tribunale di Venezia, si é posta questione di legittimità costituzionale degli artt. 348, ultima parte, e 465, secondo comma, del codice di procedura penale, secondo cui, mentre (art. 348) é vietata la testimonianza di imputati dello stesso reato o di reato connesso (anche se prosciolti o condannati, salvo che il proscioglimento sia stato pronunciato per non avere commesso il fatto o perché il fatto non sussiste), si consente tuttavia (articolo 465) la lettura in dibattimento dei rispettivi verbali di interrogatorio in istruttoria, il che impedirebbe il controllo diretto e personale del teste ed escluderebbe il contraddittorio su quanto potrebbe costituire prova a favore di quel coimputato nei cui confronti si svolga il giudizio dibattimentale. Ne risulterebbe, quindi, violazione del diritto di difesa, tutelato dall'art. 24 della Costituzione.

L'Avvocatura di Stato si é costituita in giudizio, ma fuori termine perché oltre il ventesimo giorno dalla pubblicazione dell'ordinanza sulla Gazzetta Ufficiale.

2. - Con ordinanza 27 giugno 1972 del tribunale di Torino é stata proposta sostanzialmente la stessa questione, indicando come in violazione dell'art. 24 Cost. il solo art. 465, secondo comma, del codice di procedura penale.

3. - Con ordinanza 16 maggio 1972, il tribunale di Roma, nel procedimento a carico di Simonelli Sergio e Zammatario Orazio, imputati di favoreggiamento alla prostituzione di Renzi Rosa e Nastri Iliana, dopo avere dato atto che queste, assunte come testimoni in istruttoria dal Procuratore della Repubblica e citate a comparire in dibattimento, erano risultate irreperibili ed era altresì necessario ordinare la lettura delle rispettive deposizioni, ai sensi dell'art. 462, n. 3, cod. proc. pen., perché indispensabili all'accertamento dei fatti, ha prospettato la presunta violazione dell'art. 24 Cost. per effetto del citato articolo, nella parte in cui consente che il giudice, nel caso di irreperibilità del teste, assunto in istruttoria, ordini la lettura in dibattimento delle sue deposizioni, anche in assenza delle parti.

Il tribunale osserva al riguardo che con la sentenza n. 63 del 1972 la Corte costituzionale, nel dichiarare infondata la questione concernente l'esclusione della difesa dell'imputato dall'assistenza all'assunzione delle prove testimoniali in istruttoria sancita dall'art. 304 bis c.p.p., avrebbe essenzialmente motivato tale pronunzia con riferimento alla ripetibilità delle prove stesse in dibattimento, cioè nella pienezza del contraddittorio, e con la conseguente esclusione di una effettiva lesione del diritto di difesa. La successiva sentenza n. 64 del 1972 avrebbe ribadito tali concetti col ritenere illegittima l'esclusione del difensore dell'imputato dall'assistenza all'interrogatorio dei testi assunti a futura memoria, appunto in relazione alla prevista irripetibilità del mezzo istruttorio. Secondo il giudice a quo, dalle citate sentenze dovrebbe desumersi il principio che una lesione del diritto di difesa sarebbe quindi configurabile tutte le volte che non sia possibile ripetere l'assunzione in dibattimento del mezzo istruttorio.

Tutto ciò premesso, secondo il giudice a quo, sarebbe necessario riconsiderare il più ampio problema della legittimità costituzionale dell'art. 304 bis c.p.p. sempre in relazione all'art. 24 Cost., tenendo conto che la ripetibilità in dibattimento delle prove testimoniali assunte in istruttoria non sarebbe un elemento sempre prevedibile, ma soltanto accertabile a posteriori, e non sarebbe quindi idoneo "a costituire lo strumento ermeneutico cui ancorare il giudizio sulla legittimità di una norma processuale volta invece a disciplinare un'attività destinata a ripercuotersi sui futuri svolgimenti del procedimento".

Pertanto, secondo il tribunale, la Corte dovrebbe, in via principale, riesaminare la detta questione di carattere generale, già dichiarata non fondata con la sentenza n. 63 del 1972, e, soltanto in via subordinata, passare all'esame della prospettata questione di legittimità dell'art. 462, n. 3, del codice di procedura penale.

4. - Con ordinanza 19 giugno 1972, emessa nel procedimento penale a carico di Viale Francesco, Goya Paride ed altri, imputati di concussione, il tribunale di San Remo ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 462, n. 3, c.p.p. sostanzialmente per gli stessi motivi esposti nell'ordinanza del tribunale di Roma sopra riferiti, estendendo peraltro l'impugnazione anche all'art. 463, primo comma, c.p.p., in quanto consente la lettura in dibattimento dei verbali dei confronti compiuti dal giudice, dal pubblico ministero e dagli ufficiali di polizia giudiziaria. Il Goya si é costituito fuori termine.

5. - Con ordinanza 13 novembre 1972, emessa nel procedimento penale a carico di Morelli Fernando e altri, imputati di omicidio colposo in danno dell'operaio Sardellini Rolando, deceduto per infortunio sul lavoro, il tribunale di Roma ha sollevato questione analoga a quelle sollevate con l'ordinanza dello stesso tribunale in data 16 maggio 1972 sopra richiamata.

Il giudice a quo, in questa occasione determinata dalla circostanza che un teste citato in dibattimento era risultato emigrato in Germania, pone particolarmente l'accento sulla considerazione che il regime delle letture previsto dall'art. 462, n. 3, c.p.p. muoverebbe proprio dalla intenzione del legislatore di ovviare in qualche modo alla sopravvenuta irripetibilità della formazione della prova il che evidenzierebbe maggiormente il contrasto di tale regime con i criteri sanciti nelle sentenze nn. 63 e 64 del 1972 della Corte, tanto più che l'ipotesi delle testimonianze a futura memoria, già esaminata dalla Corte, e delle testimonianze da leggere in dibattimento ai sensi della norma impugnata, si differenzierebbero, in sostanza, solo per quanto riguarda la prevedibilità della impossibilità della ripetizione in dibattimento dell'atto istruttorio, che nel secondo caso sarebbe appunto esclusa.

Anche in questo caso il tribunale prospetta l'opportunità di un "ampliamento dei margini dell'indagine" suggerito dalla "ambiguità" del concetto di ripetibilità della prova, rilevando in particolare che l'essersi già svolta un'attività conoscitiva istruttoria, condotta, oltre tutto, col metodo inquisitorio, si riverserebbe sulla ripetizione della stessa, potendola condizionare. E ciò oltre al fatto che subordinare la legittimità dell'acquisizione della prova alla possibilità di ripetere la stessa in un momento successivo, implicherebbe un necessario spostamento nel tempo della verifica della legittimità stessa, che diverrebbe quindi aleatoria. Onde la Corte dovrebbe riesaminare la questione di legittimità dell'art. 304 bis c.p.p. cui dovrebbe aggiungersi analoga questione per quanto riguarda l'art. 392 dello stesso codice, in quanto richiama l'art. 304 bis citato.

Considerato in diritto

1. - Le cinque ordinanze, elencate nella precedente esposizione di fatto, sottopongono questioni che, pur in relazione a distinte fattispecie legali, sono riconducibili ad uno stesso tema: legittimità della lettura in dibattimento di atti processuali pregressi (deposizioni testimoniali rese in istruttoria, interrogatori di già coimputati dello stesso reato o di reato connesso).

Pertanto, la Corte ritiene opportuno disporre la riunione dei giudizi, per definirli con unica sentenza.

2. - Con le ordinanze del tribunale di Roma, (rispettivamente del 16 maggio e del 13 novembre 1972) viene anzitutto prospettata l'illegittimità dell'art. 304 bis del codice di procedura penale nonché del seguente art. 392 che lo richiama.

Si assume in proposito che, soltanto ove fosse superata, con riconoscimento di illegittimità, la norma dell'art. 304 bis, che esclude in istruttoria l'intervento del difensore alla escussione delle prove testimoniali, la lettura in dibattimento, nei casi indicati nell'art. 462, n. 3, delle deposizioni rese in precedenza, potrebbe essere diversamente considerata nelle conseguenze in relazione a nuovi criteri. Donde la necessità di premettere l'esame della legittimità dell'art. 304 bis (e conseguentemente dell'art. 392).

La questione non é fondata.

Questa Corte, con sentenza n. 63 del 1972, ha riconosciuto la legittimità dell'art. 304 bis e, con la successiva sentenza n. 64, ha statuito, ma solo per il particolare caso degli esami a futura memoria, la illegittimità della esclusione del difensore.

I contrari motivi, ora addotti nelle ordinanze, non sono validi per giustificare una modifica della citata decisione numero 63.

Il presupposto, in questa delineato, della ripetibilità in dibattimento degli atti assunti in istruttoria (a parte che, nel contesto della sentenza, non risulta unico motivo della decisione) riguarda la normalità e generalità dei casi nei quali la presenza in dibattimento dei testi citati sia, come di regola, ordinariamente prevedibile e prevista, secondo il naturale svolgimento della procedura (eccettuati i casi di esame a futura memoria) ed anche assicurata con mezzi coattivi. La ripetibilità, così intesa, risulta, quindi, di per sé, motivo condizionante la legittimità della norma.

L'ipotesi di irripetibilità, verificatasi successivamente per ostacoli obiettivi ed eccezionali postumi, é stata considerata separatamente dalla legge ed assistita da mezzi sussidiari di indagine, come sarà esaminato al numero seguente. Resta ferma la validità del principio e del sistema, che, già vagliati dalla Corte, vanno ribaditi, sia nei riguardi dell'art. 304 bis, sia nei riguardi del connesso art. 392.

3. - Le predette due ordinanze del tribunale di Roma e l'ordinanza, indicata in narrativa, del tribunale di San Remo, pongono questione di legittimità dell'art. 462, n. 3, cod. proc. pen. in quanto consente la lettura in dibattimento delle deposizioni testimoniali rese in istruttoria, quando risulti che il teste sia morto, assente dalla Repubblica, irreperibile o divenuto inabile a deporre.

L'illegittimità, in rapporto alla norma di raffronto dell'art. 24 Cost., consisterebbe in ciò che detta lettura é consentita, a prescindere dal consenso delle parti interessate.

La questione non é fondata.

Il consenso delle parti private é giustificato nella ipotesi di cui al n. 1 dello stesso articolo, quando i testimoni di cui sia ordinata la citazione non siano comparsi per motivi diversi da quelli elencati nel n. 3.

Nella prima ipotesi, le parti sono messe in condizioni di scegliere tra l'alternativa di pretendere la presenza personale del teste ovvero rinunciarvi, rimettendosi alla lettura della precedente deposizione.

Invece, nella seconda ipotesi, la possibilità di intervento personale é esclusa. Il ricorso alla lettura appartiene, allora, all'esercizio dei poteri del giudice, onde pervenire a quell'accertamento di verità, che rientra nel quadro finalistico del procedimento penale (artt. 299 e 457 cod. proc. pen.).

É dovere del giudice dibattimentale che, in genere, le risultanze processuali, acquisite regolarmente agli atti, non restino celate e sottratte al pubblico esame per una complessiva valutazione di tutte le emergenze di causa, che tocchino, a sfavore od a favore, la posizione degli imputati e delle parti offese. Valutazione, che sarà, in definitiva, "libera" da parte del giudice (art. 158 cod. proc. pen.), intesa questa libertà non come arbitrio, ma come motivato convincimento sulla attendibilità dei risultati e sulla formazione del mezzo istruttorio, tenuto conto delle deduzioni delle parti, alle quali non é negato in dibattimento l'esercizio della difesa in funzione della particolare tipologia dell'atto scritto.

Per uguali motivi, la questione va riconosciuta non fondata anche per quanto riguarda l'estensione in tema di confronti (art. 463, primo comma, cod. proc. pen.) dedotta con l'ordinanza del tribunale di San Remo.

4. - Con l'ordinanza del tribunale di Venezia si deduce che gli artt. 348, ultimo comma, e 465, ultimo comma, cod. proc. pen. contrasterebbero con l'art. 24 Cost. perché, mentre l'art. 348 vieta la testimonianza di imputati dello stesso reato o di reato connesso, anche se prosciolti o condannati (salvo se prosciolti per non avere commesso il fatto o perché il fatto non sussiste), viceversa l'art. 465 consente, anche d'ufficio, la lettura in dibattimento dei rispettivi interrogatori.

Con ordinanza del tribunale di Torino, viene proposta la stessa questione, restringendo la norma, prospettata come illegittima, a quella dell'art. 465.

La questione non é fondata.

É razionale che il soggetto, che abbia reso, a suo tempo, interrogatorio in qualità di coimputato, non possa essere successivamente chiamato, in mutata veste, a riferire come testimone sugli stessi fatti. Ciò perché il timore di incorrere in pregiudizievoli contraddizioni e conseguenti responsabilità, finirebbe col togliere attendibilità alla sua deposizione.

Invece, la semplice lettura del verbale d'interrogatorio del coimputato rientra nel quadro delineato nel numero precedente e caratterizzato dalla esigenza di esteriorizzare gli elementi di esame acquisiti, onde possano in sé essere vagliati criticamente dalle parti e dal giudice recepiti ed utilizzati, nella misura che il giudice reputerà, come mezzi di valutazione complementare.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

a) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 304 bis cod. proc. pen. e del correlativo art. 392 dello stesso codice: questione sollevata con le ordinanze 16 maggio e 13 novembre 1972 del tribunale di Roma, in riferimento all'art. 24 Cost.;

b) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 462, n. 3, cod. proc. pen., sollevata con le accennate ordinanze del tribunale di Roma e con l'ordinanza 19 giugno 1972 del tribunale di San Remo, in riferimento all'art. 24 Cost.;

c) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata con la citata ordinanza del tribunale di San Remo, dell'art. 463, primo comma, cod. proc. pen., in riferimento all'art. 24 Cost.;

d) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 348, ultimo comma, cod. proc. pen., sollevata dal tribunale di Venezia con ordinanza 28 settembre 1971, in riferimento all'art. 24 Cost.;

c) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 465, secondo comma, cod. proc. pen., sollevata con la predetta ordinanza del tribunale di Venezia e con ordinanza 27 giugno 1972 del tribunale di Torino, in riferimento all'art. 24 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 novembre 1973.

Francesco  PAOLO BONIFACIO – Giuseppe  VERZÌ – Giovanni  BATTISTA BENEDETTI – Luigi  OGGIONI – Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA – Vincenzo MICHELE TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI – Nicola REALE – Paolo  ROSSI – Leonetto AMADEI - Giulio  GIONFRIDA. – Edoardo VOLTERRA – Guido ASTUTI

Arduino  SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 21 novembre 1973.