Sentenza n. 142 del 1976
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SENTENZA N. 142

ANNO 1976

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori giudici:

Prof. Paolo ROSSI, Presidente

Dott. Luigi OGGIONI

Avv. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vincenzo Michele TRIMARCHI

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

Dott. Michele ROSSANO

Prof. Antonino DE STEFANO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 651 del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 27 novembre 1974 dal pretore di Latina, nel procedimento civile vertente tra Mastrantoni Mario e Pette Raffaele, iscritta al n. 47 del registro ordinanze 1975 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 55 del 26 febbraio 1975.

Udito nella camera di consiglio del 25 marzo 1976 il Giudice relatore Vincenzo Michele Trimarchi.

Ritenuto in fatto

Avverso il decreto ingiuntivo emesso il 21 settembre 1973 dal pretore di Latina, per un credito fondato su assegni bancari, in favore di Raffaele Pette e nei confronti di Mario Mastrantoni, questi ha proposto opposizione con atto di citazione del 29 ottobre 1973. Il convenuto, costituitosi in giudizio, ha rilevato pregiudizialmente l'inammissibilità dell'opposizione perché non preceduta dal deposito per il caso di soccombenza di cui all'art. 651 del codice di procedura civile. L'attore, però, ha eccepito l'illegittimità costituzionale di codesta norma.

Il pretore di Latina, con ordinanza del 27 novembre 1974, ha sollevato la questione di legittimità costituzionale del citato art. 651 in riferimento agli artt. 24, comma primo, e 3, comma primo, della Costituzione.

In punto di rilevanza, ha ritenuto che per decidere in ordine all'eccezione di inammissibilità proposta dal convenuto, non si poteva prescindere dall'applicazione della ripetuta norma.

Ha considerato la questione non manifestamente infondata per varie ragioni.

Ricordato che con la sentenza n. 56 del 1963, con cui la detta questione é stata dichiarata non fondata, questa Corte non ha messo in dubbio l'incidenza sul diritto di agire in giudizio dell'onere patrimoniale costituito dal deposito per il caso di soccombenza ed ha tuttavia ritenuto che l'esistenza di codesto onere trova giustificazione nell'esigenza di interesse pubblico di "richiamare la parte ad una sua responsabilità nell'apprezzamento delle proprie ragioni, in modo che del diritto di azione non abusi e, abusandone, rechi intralcio all'amministrazione della giustizia", il giudice a quo ha osservato che la norma in questione appare ictu oculi manifestamente inidonea a garantire il soddisfacimento degli interessi a cui si é riportata questa Corte. Ed invero, solo che si tenga conto dell'ammontare del deposito, deve riconoscersi che la norma non é idonea a frenare abusi e ad impedire la proposizione di opposizioni meramente pretestuose e dilatorie (rispetto alle quali, per altro, si rinvengono congrui rimedi negli artt. 642 e 648 del codice di rito), e che la disciplina da essa norma stabilita si risolve in un vuoto e rigoroso formalismo e, nella pratica giudiziaria, non agevola affatto il responsabile esercizio del diritto di azione, ma é motivo di sterili questioni che intralciano la giustizia delle decisioni.

Di conseguenza, il sacrificio del diritto non risulta coordinato con alcun interesse di prevalente valore costituzionale e resta vulnerato il precetto di cui all'art. 24 della Costituzione.

Secondo il pretore di Latina, d'altra parte, non sarebbe rispettato il principio di eguaglianza perché "la norma impugnata stabilisce una disciplina che, rispetto a situazioni analoghe, appare priva di idonea e ragionevole giustificazione".

Se si mettono a raffronto i procedimenti e gli atti a cui può far ricorso il titolo di un credito fondato su assegno bancario (come quello di specie) e cioé il procedimento per ingiunzione e l'intimazione di precetto, é facile notare (ricordando che nelle due ipotesi il debitore può far valere le sue ragioni mediante un giudizio di cognizione introdotto rispettivamente con l'opposizione a decreto ingiuntivo di cui all'art. 645 del codice di procedura civile e con l'opposizione a precetto prevista dall'art. 56 r.d. 21 dicembre 1933, n. 1736, con le forme processuali di cui all'art. 615, comma primo, del codice di procedura civile) che, mentre la prima opposizione deve essere preceduta dal deposito per soccombenza, l'ammissibilità della seconda opposizione non é subordinata ad alcun onere di natura patrimoniale. Si ha così una disparità di trattamento arbitraria ed illogica, che sul piano costituzionale non può essere giustificata col richiamo alla discrezionalità riservata al legislatore ordinario; e la norma che la pone in essere va contro il principio di eguaglianza.

Comunicata, notificata e pubblicata l'ordinanza, davanti a questa Corte non si é costituita alcuna delle parti, e non ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

1. - Con l'ordinanza indicata in epigrafe il pretore di Latina solleva, in riferimento agli artt. 24, comma primo, e 3, comma primo, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 651 del codice di procedura civile, secondo cui "l'opposizione di cui all'articolo precedente e quella contro il decreto pronunciato nei casi previsti nell'art. 642, primo comma, debbono essere precedute dal deposito di lire cinquecento, se proposte davanti al conciliatore o al pretore, di lire mille, se proposte davanti al tribunale e alla Corte d'appello" e "a tale deposito si applicano le norme relative al deposito per il ricorso per cassazione".

2. - Sulla legittimità costituzionale della norma oggetto del giudizio, questa Corte si é già pronunciata con la sentenza n. 56 del 1963 e con le ordinanze nn. 99, 138 e 159 dello stesso anno.

Con la citata sentenza si é ritenuto che l'onere di natura patrimoniale di cui si tratta, sia dalla legge imposto quale condizione per la valida costituzione del rapporto processuale, a tutela di un interesse pubblico ed in funzione di situazioni di ordine oggettivo. Il deposito - vi si dice - é richiesto quando l'opposizione é mossa avverso una ingiunzione che é stata o può essere dichiarata esecutiva, ovvero che ha giustificazione in titoli i quali di per sé danno un fondamento di serietà alla pretesa; e perciò "la norma impugnata trova la ragione essenziale nella particolare forza del provvedimento, volendo essa evitare che si invochi la tutela giurisdizionale per una pretesa che presenta gravi indizi di infondatezza". E - si conclude - "sono circostanze oggettive queste esposte; ed é di interesse pubblico il richiamare la parte ad una sua responsabilità nell'apprezzamento delle proprie ragioni, in modo che del diritto di azione non abusi e, abusandone, rechi intralcio alla amministrazione della giustizia".

Ciò premesso la Corte non ha ravvisato nell'art. 651 un ostacolo alla tutela giurisdizionale. La norma "determina il presupposto del diritto all'impugnativa di un provvedimento che l'ordine giuridico ritiene meritevole di un particolare trattamento per la sua presumibile speciale capacità di resistenza alla impugnazione".

D'altra parte, secondo la Corte, non si ha violazione dell'art. 3 della Costituzione, perché "il principio di eguaglianza, che é alla base del bisogno di assicurare anche ai non abbienti i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione, non si può invocare al fine di permettere che si abusi del proprio diritto; e comunque nella specie esso é rispettato, perché dal deposito sono esonerati coloro i quali sono ammessi al beneficio del gratuito patrocinio".

3. - Con l'odierna ordinanza di rimessione il pretore di Latina é dell'avviso che gli argomenti a suo tempo "addotti a sostegno della costituzionalità dell'art. 651 c.p.c. non sono completamente convincenti e non riescono a dissipare le perplessità, serie e motivate, in ordine alla compatibilità della norma suddetta con gli artt. 3 e 24 Cost.".

A proposito del ricordato bilanciamento dei diversi beni e interessi costituzionalmente garantiti, sostiene che la norma denunciata "appare, ictu oculi, manifestamente inidonea a garantire il soddisfacimento degli interessi che, secondo la Corte, giustificano, sul piano costituzionale, il sacrificio imposto dalla norma in questione al diritto di agire in giudizio, riconosciuto nei termini più ampi dal primo comma dell'art. 24 Costituzione". E ritiene che la disciplina in esame "si risolve, quindi, in un vuoto e rigoroso formalismo e, nella pratica giudiziaria, non agevola affatto il responsabile esercizio del diritto di azione, ma é motivo di sterili questioni che intralciano la giustizia delle decisioni".

Ma la tesi espressa dal giudice a quo non può essere condivisa. Essa, infatti, poggia in sostanza ed unicamente sulla misura dell'ammontare del deposito.

In contrario, però, basta ricordare che con la sentenza n. 56 del 1963, pur riconoscendosi ché il sistema al quale l'art. 651 si informa "avrebbe potuto essere appoggiato a criteri meno formalistici", si é precisato che la finalità dell'istituto non era esclusa dalla tenuità dell'importo del deposito, e rifarsi anche a recente giurisprudenza secondo cui la legittimità dell'imposizione non può fondatamente discutersi sul rilievo della detta tenuità dell'onere, involgendo codesta considerazione (unitamente all'altra circa il tempo dell'effettuazione del deposito) "un inammissibile sindacato relativamente a scelte di politica legislativa riservate all'apprezzamento discrezionale del legislatore ordinario, perché attinenti non all'an della limitazione, ma al quomodo della più efficace ed opportuna sua strutturazione".

Non può, quindi, negarsi che, sul piano logico, si abbia, in modo adeguato, un bilanciamento tra i sopraricordati interessi; e deve, di conseguenza, escludersi che, sotto il profilo fin qui considerato, possa l'art. 651 cit. apparire in contrasto con l'art. 24 della Costituzione.

4. - Con l'ordinanza di rimessione é denunciata nuovamente, e sotto un profilo in passato non considerato, la contrarietà della norma in oggetto al principio di eguaglianza.

Si ricorda che contro il titolare di un credito fondato su cambiale o su assegno bancario che richieda l'emissione di un decreto ingiuntivo ovvero utilizzi direttamente l'efficacia esecutiva del titolo mediante l'intimazione del precetto, il debitore può, in entrambe le ipotesi, far valere le sue ragioni mediante un giudizio di cognizione; e si mette in evidenza che, mentre l'opposizione a decreto deve essere preceduta dal deposito prescritto dall'art. 651, l'ammissibilità dell'opposizione a precetto non é subordinata ad alcun onere di natura patrimoniale, e pertanto, si avrebbe una disparità di trattamento arbitraria ed illogica in violazione dell'art. 3 della Costituzione.

Ad avviso della Corte codesta denuncia non é fondata.

Le situazioni di chi agisce in opposizione a decreto ingiuntivo e di chi propone opposizione a precetto, ancorché il decreto sia stato ottenuto e il precetto sia stato intimato in forza e sulla base di cambiale o assegno bancario, debbono essere considerate e valutate unitamente a quelle che vanno riferite nei due casi al creditore.

Così facendosi, si mettono a raffronto due fattispecie che non possono non essere considerate diverse, dato che nel primo caso il creditore ha ottenuto un accertamento, sia pure senza contraddittorio, del proprio diritto e nel secondo, invece, ha solo intimato precetto a fini esecutivi.

E per ciò é razionalmente giustificato che nel primo caso, e non anche nel secondo, sia richiesto il deposito per soccombenza.

5. - Stante ciò, non può non essere confermata, anche se con rinnovata o nuova motivazione, la precedente pronuncia.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 651 del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli artt. 24, comma primo, e 3, comma primo, della Costituzione, dal pretore di Latina con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, in camera di consiglio, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 giugno 1976.

Paolo ROSSI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele TRIMARCHI - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI - Michele ROSSANO - Antonino DE STEFANO.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 22 giugno 1976.