Sentenza n. 191 del 1974
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SENTENZA N. 191

ANNO 1974

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori Giudici:

Prof. Francesco Paolo BONIFACIO

Dott. Giuseppe VERZÌ

Avv. Giovanni Battista BENEDETTI

Dott. Luigi OGGIONI

Dott. Angelo DE MARCO

Avv. Ercole ROCCHETTI

Prof. Enzo CAPALOZZA

Prof. Vezio CRISAFULLI

Dott. Nicola REALE   

Prof. Paolo ROSSI     

Avv. Leonetto AMADEI

Dott. Giulio GIONFRIDA

Prof. Edoardo VOLTERRA

Prof. Guido ASTUTI

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi riuniti di legittimità costituzionale dell'art. 49 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 2960 (Stato giuridico degli impiegati civili dello Stato), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 14 dicembre 1971 dalla Corte dei conti - sezione III pensioni civili - sul ricorso di Sansonetti Alfonso contro il Ministero delle finanze, iscritta al n. 234 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 180 del 12 luglio 1972;

2) ordinanza emessa il 18 gennaio 1972 dalla Corte dei conti - sezione III pensioni civili - sul ricorso di D'Ardes Giorgio contro il Ministero dell'interno, iscritta al n. 147 del registro ordinanze 1973 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 169 del 4 luglio 1973.

Visto l'atto di costituzione di Sansonetti Alfonso;

udito nell'udienza pubblica del 15 maggio 1974 il Giudice relatore Luigi Oggioni;

udito l'avv. Filippo Lubrano, per il Sansonetti.

 

Ritenuto in fatto

 

Sansonetti Alfonso, ex funzionario di dogana, dimissionario dal servizio per ragioni di salute nel 1943, con istanze dell'11 dicembre 1968 e del 27 febbraio 1969, chiese la liquidazione del trattamento di quiescenza non corrispostogli a suo tempo in applicazione dell'art. 49 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 2960, secondo cui "le dimissioni accettate e quelle dichiarate d'ufficio fanno perdere ogni diritto a pensione o indennità", trattamento che invece, a suo dire, gli sarebbe ora spettato sulla base della giurisprudenza di questa Corte, che avrebbe riconosciuto l'intangibilità del relativo diritto.

Le dette istanze furono respinte con d.m. del giugno 1969 ed il Sansonetti il 21 luglio successivo propose ricorso alla Corte dei conti che, con ordinanza del 14 dicembre 1971, ritenuta la tempestività del ricorso stesso, ha sollevato questione di legittimità costituzionale del citato art. 49 del r.d. n. 2960 del 1923, dichiarandolo applicabile al caso in esame benché abrogato dall'art. 385 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, ciò in base al principio secondo cui il trattamento di quiescenza é disciplinato dalle norme vigenti all'epoca della cessazione del servizio.

Secondo la Corte dei conti la disposizione impugnata sarebbe in contrasto con l'art. 36 Cost. in quanto, come riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte, il diritto a pensione o indennità rivestirebbe carattere di retribuzione differita da corrispondersi alla cessazione dell'attività lavorativa, e la esclusione di tale corresponsione nel caso di dimissioni volontarie inciderebbe appunto sulla garanzia della retribuzione, attuale o differita, sancita dalla norma costituzionale invocata.

Inoltre la norma impugnata contrasterebbe anche con il principio dell'uguaglianza dei cittadini davanti alla legge, posto dall'art. 3 Cost., poiché sarebbe palese la discriminazione a danno degli impiegati statali dimissionari di fronte a quelli destituiti per condanna penale o per sanzioni disciplinari ed ai dipendenti delle aziende private dimessisi volontariamente o licenziati per colpa, che conservano, rispettivamente, il diritto al trattamento di quiescenza, in virtù dell'art. 1 della legge 8 giugno 1966, n. 424, ed il diritto all'indennità di anzianità, a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 2120 cod. civ. pronunziata con la sentenza n. 75 del 1968 di questa Corte.

L'ordinanza, notificata e comunicata come per legge, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 180 del 12 luglio 1972.

Avanti a questa Corte si é costituito il Sansonetti, rappresentato e difeso dall'avv. Filippo Lubrano, che ha depositato le deduzioni il 12 luglio 1972.

La difesa illustra, facendoli propri, i motivi di contrasto con gli artt. 36 e 3 della Costituzione enunciati nell'ordinanza di rinvio ed insiste sul carattere retributivo del trattamento di quiescenza, nonché sulla ingiustificata discriminazione che la norma impugnata concreterebbe a danno degli impiegati dello Stato dimissionari, sia rispetto agli impiegati privati, non potendo la diversa natura del rapporto d'impiego legittimare un diverso trattamento ai fini della corresponsione della retribuzione differita, sia nei confronti degli altri dipendenti dello Stato che, a seguito della citata legge n. 424 del 1966, sono stati reintegrati nel diritto a pensione perso in precedenza per condanna penale o sanzione disciplinare, dovendosi ovviamente riconoscere gli impiegati dimissionari meritevoli, almeno, di favore eguale a quello concesso agli altri assoggettati a provvedimenti penali o disciplinari.

Con altra ordinanza emessa il 18 gennaio 1972 la Corte dei conti ha poi sollevato analoga questione di legittimità costituzionale nel procedimento pensionistico pendente su ricorso di D'Ardes Giorgio, applicato di p.s., dichiarato dimissionario di ufficio a decorrere dal 6 aprile 1946 con decreto 31 luglio 1946 per non avere riassunto servizio allo spirare del termine del periodo di aspettativa concessogli per motivi di salute. Il D'Ardes aveva reiteratamente chiesto la attribuzione del trattamento di quiescenza che gli era stato peraltro negato, opponendovisi il ripetuto art. 49 del r.d. n. 2960 del 1923. Anche in questo caso la Corte dei conti, dopo aver ampiamente motivato sul punto della tempestività del gravame, che ha ritenuto ritualmente proposto in vista dei riscontrati difetti di forma nelle comunicazioni dei provvedimenti di dimissioni d'ufficio e di quelli successivi concernenti il diniego del trattamento di quiescenza, osserva che il denunziato contrasto con gli artt. 3 e 36 Cost. sarebbe reso evidente dalla natura retributiva del trattamento di quiescenza.

L'ordinanza, notificata e comunicata come per legge, é stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 169 del 4 luglio 1973.

Nessuna parte si é costituita in questa sede, né ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Considerato in diritto

 

1. - Le due cause riguardano questioni analoghe, riferendosi, l'una, all'ipotesi delle dimissioni dall'impiego accettate dalla pubblica amministrazione, l'altra, all'ipotesi delle dimissioni dichiarate d'ufficio, entrambe riferite alla pretesa violazione degli artt. 36 e 3 della Costituzione, che deriverebbe dall'esclusione del diritto al trattamento di quiescenza previsto in detti casi dall'art. 49 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 2960.

Pertanto le cause possono essere decise con unica sentenza.

2. - Va preliminarmente osservato che l'art. 49 impugnato ha cessato di avere efficacia per effetto dell'art. 385 del d.P.R. n. 3 del 10 gennaio 1957, che ha espressamente abrogato il r.d. 30 dicembre 1923, n. 2960. Tuttavia, poiché nei giudizi principali nei quali sono state sollevate le questioni in esame, si controverte circa diritti maturati anteriormente all'entrata in vigore della disposizione abrogante, le questioni stesse conservano indubbiamente la loro rilevanza.

3. - Le due sopra riferite situazioni vanno esaminate unitariamente, venendo in entrambe in considerazione il raffronto della lamentata esclusione del trattamento di quiescenza, con le garanzie costituzionali della giusta retribuzione e dell'eguaglianza dei cittadini avanti alla legge, in termini tali che escludono ogni influenza delle modalità delle dimissioni, siano esse volontarie, siano esse dichiarate d'ufficio. Le questioni sollevate sono, invero, sostanzialmente incentrate sulla natura retributiva del trattamento di quiescenza, come tale garantito dalla Costituzione, e sulla generale validità di tale garanzia a favore di tutti i lavoratori pubblici e privati, indipendentemente dalle cause di cessazione dal servizio.

4. - La Corte dei conti, in primo luogo, assume sostanzialmente che l'esclusione del diritto al trattamento di quiescenza prevista dall'art. 49 del r.d. n. 2960 del 1923 nel caso di dimissioni degli impiegati civili dello Stato, contrasterebbe con la garanzia della retribuzione del lavoro sancita dall'art. 36 Cost., dovendosi riconoscere appunto natura di retribuzione, sia pure differita, alla pensione o all'indennità di liquidazione.

La questione é fondata.

Questa Corte invero ha già avuto occasione di affermare, fin dalla sentenza n. 3 del 1966, che deve intendersi retribuzione dei lavoratori, tanto quella corrisposta nel corso del rapporto di lavoro, quanto quella differita, ai fini previdenziali, alla cessazione di tale rapporto, e corrisposta nella forma di pensione o di indennità di liquidazione. La retribuzione rappresenta, nel vigente ordinamento costituzionale, un'entità oggetto di particolare protezione, e la Corte, con la citata sentenza, ha conseguentemente escluso la compatibilità della perdita del diritto a pensione da parte dei dipendenti di enti pubblici come conseguenza di condanna penale, espressamente equiparando a tal fine la posizione dei dipendenti pubblici e privati in vista della sostanziale corrispondenza del trattamento retributivo, indipendentemente dalla natura pubblica o privata del soggetto cui fa carico il trattamento stesso.

Questo orientamento, che corrisponde alla preminente posizione acquisita dal lavoro nell'ordine dei valori sociali, così come é espressamente affermato dall'art. 1 Cost., ha poi condotto ad altre pronunzie che ne costituiscono il logico sviluppo. É stato così riconosciuto in contrasto con l'art. 36 Cost. l'articolo 2120 del codice civile, che escludeva il diritto all'indennità di anzianità dei dipendenti di aziende private in caso di dimissioni volontarie (sent. n. 75 del 1968), ed é stata inoltre riconosciuta l'illegittimità della esclusione o riduzione del diritto a pensione degli impiegati destituiti a seguito di procedimento disciplinare (sentenze nn. 112 del 1968, 25 del 1972).

Infine, con la sentenza n. 203 del 1972, é stata risolta una questione analoga a quella in esame, riconoscendosi in contrasto con l'art. 36 Cost. l'art. 16, comma primo, lett. a, del testo unico sulle pensioni dei dipendenti delle ferrovie dello Stato approvato con r.d. 22 aprile 1909, n. 229, e modificato dall'art. 1 del d.l.l. 8 giugno 1945, n. 915, secondo cui era escluso il diritto a pensione dell'agente dichiarato d'ufficio dimissionario dal servizio. Ciò sempre in conseguenza della lesione del diritto alla retribuzione, costituzionalmente garantito, che consimile disposizione comportava a giudizio di questa Corte.

É quindi evidente che, in coerenza con i criteri ora enunciati, anche la disposizione ora impugnata, la quale costituisce ulteriore manifestazione della illegittima limitazione restrittiva in danno dei lavoratori, deve essere ritenuta contrastante con la garanzia apprestata dall'art. 36 della Costituzione.

Resta pertanto assorbita ogni altra questione prospettata nelle ordinanze in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la illegittimità costituzionale dell'art. 49 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 2960, sullo stato giuridico degli impiegati civili dello Stato.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14 giugno 1974.

 

Francesco Paolo BONIFACIO - Giuseppe VERZÌ- Giovanni Battista BENEDETTI - Luigi OGGIONI - Angelo DE MARCO - Ercole ROCCHETTI - Enzo CAPALOZZA - Vincenzo Michele - Vezio CRISAFULLI - Nicola REALE - Paolo ROSSI - Leonetto AMADEI - Giulio GIONFRIDA - Edoardo VOLTERRA - Guido ASTUTI.

Arduino SALUSTRI - Cancelliere

 

Depositata in cancelleria il 26 giugno 1974.